Il ddl 772, come concepito inizialmente dal ministro, avrebbe dovuto portare ad una liberalizzazione del sistema dei servizi pubblici locali e di conseguenza alla rinuncia da parte della casta politica a significative posizioni di privilegio. Quel ddl pero', ormai in giro da piu' di un anno, continua a subire pesanti modifiche ad ogni giro di ruota e rischia di venire totalmente stravolto se la serie di compromessi al ribasso imposti da Rifondazione non verrano fermati quanto prima.
Ma andiamo per ordine. Nella scorsa legislatura la maggioranza di centrodestra, con la modifica dell'articolo 113 del T.U. sull'ordinamento degli enti locali, reintrodusse l'affidamento diretto dei servizi a societa' a capitale interamente pubblico controllate dall'ente locale proprietario, il cosidetto affidamento "in house". Ovvero: piena garanzia delle posizioni di monopolio godute dai gestori pubblici come richiesto da sindaci, amministratori locali e compagnia cantante.
Il ddl 772 si propone di superare questa situazione perniciosa introducendo il ricorso a procedure competitive per l'affidamento della gestione dei servizi ad imprese a capitale privato o (in casi eccezionali e per una durata di tempo limitata) a societa' "miste" participate dall'ente locale stesso. Di fatto, si tratterebbe di gare pubbliche nel cui capitolato il comune indichi nel dettaglio le caratteristiche principali del servizio da fornire e valuti poi non solo in base all'offerta economica ma anche alle garanzie sulla qualita' del servizio offerto (un beauty context, dunque). La proprieta' delle reti resterebbe pubblica e la gara per l'affidamento del servizio ripetuta dopo l'esaurimento di ogni mandato.
Fin qui tutto bene. Una riforma a mio avviso necessaria anche se non di portata epocale. Il ddl pero', presentato nell'Agosto dello scorso anno, subisce pesanti attachi dall'ala radicale della maggioranza (Rifondazione in primis) ed il ministro per gli affari regionali viene lasciato solo a combattere con i mulini vento. Strada facendo, e fino all'ultima versione presentata in aula la settimana scorsa, viene introdotta una moratoria sulle gestioni industriali dell'acqua, poi si apre alla gestione diretta in economia dei comuni ed infine la ciliegina sulla torta di Russo Spena: vengono re-introdotte le aziende pubbliche speciali (le vecchie municipalizzate).
Sembra ripetersi la storia delle liberalizzazioni di Bersani: compromessi al ribasso in serie che rischiano di far perdere quasi tutto il contenuto riformatore al progetto di legge originale. Il tutto mentre il nostro presidente del consiglio risulta ancora una volta "non pervenuto" nonostante la riforma dei servizi locali fosse stata propagandisticamente inserita nei famigerati 12 punti di Caserta.
Che dire? E' tutto vero. Lo confermo dall'interno, lavorando per una società che essendo interamente controllata dagli Enti locali si configura come "in-house".
Tra l'altro a me pare che il modello "in-house" (che prevede un controllo da parte dell'Ente o degli Enti locali analogo a quello di una "divisione operativa" del comune) confligga con l'ordinamento previsto dal Codice Civile per le Spa, limitando di fatto poteri e responsabilità degli amministratori.
La cosa assurda è estendere il modello "in-House" che potrebbe aver senso nelle piccole comunità montane dove probabilmente nessun privato sarebbe interessato alla gestione dei servizi pubblici a società, come ad esempio quella dove lavoro, con 2.000 dipendenti e 300 milioni di fatturato.