Fabio Beltram e Chiara Carrozza hanno gia' criticato aspramente il disegno del bando le cui norme non trovano alcun riscontro nelle migliori prassi internazionali (Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2012). Il ministro Profumo ha prontamente risposto difendendo l'impianto del bando (Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 2012). A fonte di tale difesa la critica voce autorevole di Guido Tabellini si è fatta sentire (Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2012). Si era forse trattato di un errore del solito burocrate che inserisce norme astruse e insensate? No, è stato proprio il ministro Profumo ad averle volute.
Ma andiamo per ordine.
Un'attenta valutazione delle suddette norme richiede un confronto dettagliato con il sistema precedente. Si consideri ad esempio il PRIN. Fino all'anno scorso il meccanismo era abbastanza "semplice": un ricercatore o docente universitario poteva costituire in veste di responsabile scientifico un gruppo di ricerca presentando domanda di finanziamento. Ogni gruppo doveva essere costituito da una o più unità, ognuna delle quali coordinata da un responsabile scientifico. Nella fase preliminare ogni gruppo doveva richiedere all'Ateneo di afferenza la disponibilità al cofinanziamento. Nel caso in cui l'Ateneo avesse avallato tale richiesta, il gruppo di ricerca poteva procedere alla presentazione della domanda. A nostra memoria, il cofinanziamento non è mai stato negato ad alcun gruppo di ricerca.
I progetti erano di durata biennale ed il sistema di valutazione si basava sulla peer review. La selezione dei valutatori avveniva in larga parte sulla base di un processo di autocandidatura. Ovvero, il revisore doveva volontariamente iscriversi all'albo dei revisori specificando i propri ambiti di ricerca. Dopo aver adempiuto a questa formalità il suo nominativo era presente nella banca dati del MIUR e quindi poteva essere selezionato come referee. Tale impianto, seppur snello, ha spesso favorito esiti non competitivi della procedura di valutazione. I revisori assegnavano una valutazione al progetto e alla fine del processo di valutazione i progetti con le valutazioni più alte venivano finanziati. Il punteggio massimo era di 60 punti. Specialmente negli ultimi anni, a fronte di risorse limitate, sono stati finanziati solo i progetti che ricevevano 60 o 59 punti. La selezione dei valutatori sulla base di autocandidature e di parole chiave ha prodotto effetti distorsivi nel processo di selezione. Ad esempio, i progetti del barone A su un ambito molto specifico avevano possibilità di essere valutati sempre dagli stessi esperti (amici?) e di risultare più facilmente finanziati. I progetti di un giovane professore B su un ambito più ampio e internazionale venivano valutati da esperti che di anno in anno cambiavano. Nel caso in cui entrambi i progetti fossero stati ritenuti meritevoli e finanziabili dai rispettivi valutatori, spesso accadeva che il progetto di A fosse quello finanziato. Mentre i valutatori del progetto A, più esperti sul funzionamento del sistema, erano consapevoli che il progetto risultasse finanziato solo nel caso in cui avesse ottenuto il massimo punteggio, quelli del progetto B, spesso più giovani ed allineati agli standard internazionali, tendevano a basare la propria valutazione su criteri più selettivi. Inoltre, il sistema non ha sempre garantito l'anonimato dei valutatori. Carlo Fiocchi del Cleveland Clinic Foundation Lerner Research Institute sembra supportare tale sconcertante scenario (qui l'articolo su La Repubblica).
La valutazione ex-post dei progetti era una prassi formale e non sostanziale. La relazione scientifica, su cui essa si basava, era spesso un resoconto delle attività più varie del gruppo di ricerca: pubblicazioni dei suoi membri, partecipazione ai convegni, organizzazione dei workshop e altro. Tuttavia, il tipo di controllo non entrava adeguatamente nel merito delle attività svolte. L'importante era che le carte fossero in regola.
Nel corso degli anni sono stati così assegnati centinaia e centinaia di milioni di euro a sostegno della ricerca di base. Tutto da buttare? No, non sempre. Alcuni progetti finanziati, almeno nell'area 13 (quella che meglio conosciamo), erano diretti da responsabili scientifici di alto profilo accademico. I PRIN hanno consentito il finanziamento di assegni di ricerca a giovani meritevoli e lo svolgimento di missioni all'estero altrimenti impossibili. A volte, con una certa dose di fortuna, si poteva essere finanziati pur essendo giovani sconosciuti, ma di qualità. Tuttavia, nel complesso, l'impressione era di essere molto lontani da un'allocazione efficiente delle risorse.
Cosa è cambiato con le attuali modifiche? Tutti noi avremmo auspicato una rivoluzione copernicana, ma ci saremmo accontentati anche di poche norme che avessero puntato a favorire i progetti di qualità. Invece, come spesso capita in Italia, "la toppa è peggio del buco". Come è già stato evidenziato da Fabio Beltram e Chiara Carrozza e da Guido Tabellini nei loro editoriali per Il Sole 24 Ore, le nuove norme favoriranno la creazione di cordate e carrozzoni eterogenei e determineranno una distribuzione a pioggia delle risorse (scarse). E' superfluo sottolineare che ciò non avviene in altre parti del mondo. Tuttavia il nostro intento non è quello di essere qualunquisti e di sparare sulla Croce Rossa per partito preso (senza dubbio lo sport più praticato nel Bel Paese), ma quello di analizzare nel dettaglio quegli articoli del bando PRIN che lasciano molti dubbi e perplessità.
Il bando (art. 2 comma 1) stabilisce il numero minimo di cinque unità, poi successivamente ridotto a due solo per alcuni settori disciplinari, per la presentazione di un progetto. Nel caso in cui un gruppo di ricerca, molto competitivo a livello internazionale, formato da due università stia lavorando ad un progetto promettente non può fare domanda. Deve necessariamente aggregare altre tre università o rinunciare. Preoccupanti sono le parole del ministro nell'intervista a Il Sole 24 Ore: "Ritengo che la modalità scelta sia quella opportuna: il gioco di squadra. Anche gli atenei migliori debbono pensare di mettersi a disposizione come partner di grande capacità. In Europa, d'altronde, si compete così". La strategia è far si che i gruppi di ricerca migliori "aiutino" quelli più poveri per legge.
La novità più rilevante riguarda le procedure di selezione (art. 5). Quest'anno per la prima volta le singole università vengono corresponsabilizzate (parole del ministro Profumo). Cerchiamo di capire meglio cosa significa corresponsabilizzare le università. Ogni università sottopone ad una fase di preselezione, svolta in totale autonomia e a proprie spese, i progetti in cui il coordinatore nazionale afferisce all'università. Appare evidente che questo è un ottimo modo per scaricare i costi della selezione sulle singole università che nel corso dell'ultimo triennio hanno subito consistenti tagli all'FFO. Come pagheranno la fase di preselezione quelle università che hanno passivi di bilancio di diversi milioni di euro (per esempio l'Università di Siena)? La norma ha anche aspetti cinici prevedendo che la procedura di preselezione debba perentoriamente concludersi entro il 15 giugno 2012 e, laddove le università non dovessero rispettare questo termine, tutti i progetti scientifici presentati da coordinatori afferenti all'università inadempiente sono esclusi. Ovvero, i progetti vengono esclusi non perché inadatti o non all'altezza, ma perché l'università non ha provveduto a concludere le procedure di preselezione nei tempi imposti. Il MIUR pretende da parte degli atenei una preselezioni nell'arco di 3 mesi, quando i tempi medi per la valutazione dei progetti da parte del MIUR erano superiori all'anno. Sfugge per quale ragione la valutazione, svolta in 3 mesi da parte degli atenei in seno ai quali gravano conflitti di interesse salienti, debba essere più efficiente di quella effettuata del MIUR.
Come avviene la preselezione? Le università la svolgono in totale autonomia avvalendosi di revisori anonimi che possono, ma non devono, essere selezionai tra gli esperti appartenenti alla banca dati del Ministero secondo il criterio della peer review. I referee saranno soggetti a forti pressioni da parte delle cordate, che queste nuove norme rischiano di facilitare. Ciò che lascia perplessi è il fatto che la procedura di preselezione sia svolta in totale autonomia dalle università. Come giustamente fatto notare da Guido Tabellini, in (altri) paesi avanzati i finanziamenti alla ricerca vengono erogati da enti/agenzie indipendenti organizzati per settori disciplinari. In Italia invece, dopo aver aspramente criticato le storture dei concorsi di valutazione comparativa per personale docente organizzati localmente, si lascia decidere alle singole università chi è meritevole di essere preselezionato.
Quanti progetti possono essere preselezionati da ogni università ? Il criterio di efficienza vorrebbe che tutti i progetti di qualità o che ottengono una determinata valutazione vengano preselezionati. Purtroppo il bando PRIN (e anche quello FIRB) prevede dei limiti numerici al numero massimo di progetti preselezionabili per ogni ateneo (si veda l'articolo di Fabio Beltram e Chiara Carrozza). I parametri previsti fanno riferimento ad una percentuale (0.75%) del personale di ruolo dell'università e alla media (moltiplicata per 0.75) dei progetti finanziati negli ultimi tre anni. Per determinare il numero di progetti preselezionabili le università devono considerare il valore massimo tra i due criteri (si veda l'allegato al bando PRIN). Da un lato si parametra tutto alla dimensione dell'ateneo, penalizzando così i piccoli atenei, dall'altro lato si introduce un criterio storico che consente di ottenere più finanziamenti agli atenei che sono già stati finanziati in passato.
A fronte di questo processo di valutazione macchinoso e contorto, è facile prevedere che i giovani ricercatori troveranno qualche difficoltà. La presentazione e la stesura di un progetto richiede un elevato dispiego di energie e di tempo. Forse è preferibile rassegnarsi a non essere coordinatori di progetti PRIN (o FIRB).
Finora abbiamo analizzato solo il PRIN. Al lettore più distratto potrebbe sembrare che il bando FIRB, riservato ai giovani ricercatori, non abbia problematiche. Purtroppo dovrà ricredersi. Alcuni elementi del bando FIRB sono comuni al PRIN (preselezione da parte dell'università), ma alcuni elementi sono diversi e nuovi rispetto alle tornate precedenti. Il bando FIRB introduce un criterio relativo alle pubblicazioni che i partecipanti devono possedere all'atto della domanda. Purtroppo, le pubblicazioni sono valutate sulla base dell'assegnazione dell'ISSN o dell'ISBN e non, come molti avrebbero auspicato, su una distinzione tra riviste internazionalmente riconosciute e capitoli di libri editi dalla casa editrice del quartiere. Quasi tutto ciò che è pubblicato ha un ISSN o ISBN. Qualsiasi rivista, qualsiasi libro. Anche il Corriere Ortofrutticolo ha l'ISSN (per essere precisi ISSN numero 1720-4828). Inoltre, il bando FIRB prevede il requisito minimo di 15 pubblicazioni dotate di ISSN o ISBN per la linea di intervento 3 e rispettivamente 5 e 10 per le linee di intervento 1 e 2 affinchè sia possibile presentare domanda in qualità di responsabile scientifico o capo unità.
Utilizzando questo criterio la maggior parte gli assistant professor (e non solo) di università prestigiose come Harvard, MIT, Yale, Berkeley, Stanford, Chicago, ecc. non potrebbe fare domanda. Per non essere generici ecco alcuni noti e promettenti giovani economisti non all'altezza del FIRB italiano: Tomasz Strzalecki (Harvard), Arnaud Costinot (MIT), Sylvain Chassang (Princeton).
Normalmente coloro che puntano a svolgere ricerca di qualità, sia in economia sia in altri settori disciplinari, hanno poche pubblicazioni (ma di alta qualità) soprattutto nella fase iniziale della propria carriera accademica. L'ISSN e l'ISBN sono dei meri codici identificativi. Il criterio che utilizza l'ISSN e l'ISBN è un criterio puramente quantitativo e non qualitativo. E' facile prevedere che molti validi ricercatori non parteciperanno al FIRB perché, pur avendo pubblicazioni di qualità, non raggiungono il minimo richiesto che invece sarà raggiunto da ricercatori che hanno privilegiato la quantità a discapito della qualità. Dopo aver chiesto chiarimenti al ministero ci è stato detto che questo criterio è stato stabilito da esperti scientifici, ovvero dalla commissione FIRB nominata da organi elettivi del mondo accademico italiano, e che il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) non ha mosso alcuna obiezione al limite di 15 pubblicazioni dotate di ISSN o ISBN.
Come comportarsi in questa situazione? Molti saranno tentati di fare le valigie e di trasferirsi all'estero. Noi, al contrario, siamo convinti che i ricercatori abbiano il dovere di denunciare, con spirito collaborativo, le storture che le norme possono determinare nella speranza di poter contribuire a cambiare in meglio il contesto italiano.
In buona sostanza, noi riteniamo che i bandi andrebbero ritirati per un tempo indefinito necessario a ripensare il meccanismo di assegnazione dei fondi prendendo spunto dalle migliori prassi internazionali.
Questa vicenda è effettivamente assurda ma ho l'impressione che gli unici che ne parlano siano i giovani economisti, sbaglio? Ci sono giovani promettenti matematici, fisici, ingegneri, medici o filosofi che hanno sollevato lo stesso problema?
Forse per deformazione professionale gli economisti sono piu' attenti al problema di allocazione efficiente delle risorse scarse.