Vale la pena parlarne?
Di solito è molto difficile che un parlamento metta mano alla legge elettorale, per la buona ragione che i signori che siedono in parlamento devono la loro poltrona proprio alla legge esistente. Quindi le leggi vengono cambiate o in periodi di forte pressione esterna, come è accaduto in Italia a principio degli anni '90, o perché la maggioranza del parlamento ritiene di poter trarre notevoli vantaggi da un cambiamento, come è accaduto in Francia negli anni '80 e in Italia poco prima delle elezioni di quest'anno.
Il nuovo governo ha però promesso di metter mano alla legge elettorale. La recente esperienza italiana dovrebbe aver convinto i politici che è abbastanza futile cercare di cambiare la legge elettorale a proprio vantaggio; si finisce il più delle volte danneggiando se stessi, oltre che la credibilità del processo democratico. Non era la prima volta che un partito o una coalizione sbagliavano clamorosamente i propri calcoli di convenienza. Per esempio, Alleanza Nazionale si oppose con molta durezza al passaggio dal proporzionale al maggioritario (erano i tempi in cui AN plaudeva ai giudici che mettevano in galera i politici sospettati di corruzione, circa un secolo fa). AN si accorse successivamente che il maggioritario la beneficiava notevolmente, e si schierò quindi accanitamente in favore di tale sistema, almeno fino all'inesplicabile voto in favore della 'legge porcata'.
Tutto questo per giustificare il tempo che stiamo perdendo parlando di legge elettorale. Vista l'inclinazione del governo e la recente lezione ricevuta dai partiti attualmente all'opposizione è forse possibile, dico forse, discutere senza che ciascuno pensi solo al proprio interesse di breve periodo.
Criteri per scegliere una legge elettorale.
Un buon sistema elettorale deve cercare di conciliare due obiettivi. Il primo è quello di far si che la composizione del parlamento rifletta in modo sufficientemente fedele le opinioni della popolazione. Chiamiamo questo l'obiettivo della rappresentanza. Il secondo è quello di garantire che, sempre nel rispetto della volontà popolare, il parlamento sia in grado di formare una maggioranza capace di governare. In particolare è desiderabile che l'elettorato sia in grado di indicare da quale maggioranza desidera essere governato. Questo consente di identificare chiaramente i responsabili delle politiche implementate e punire, evitando di rieleggerli, i governi che si mostrano inadeguati. Chiamiamo questo l'obiettivo della accountability (o responsabilità).
Purtroppo i due obiettivi sono tra loro in conflitto. Al fine di riflettere fedelmente l'opinione popolare il miglior sistema è il proporzionale puro. D'altra parte tale sistema produce parlamenti frammentati, in cui le maggioranze vengono formate mediante negoziati in cui i piccoli partiti sono in grado di esercitare un potere sproporzionato. Inoltre, siccome la maggioranza parlamentare non viene scelta direttamente dall'elettorato e le politiche attuate sono costantemente il risultato di compromessi, risulta molto difficile per l'elettorato identificare le responsabilità dei fallimenti e dei successi. Quindi, deviazioni dal proporzionale sono necessarie se vogliamo raggiungere almeno parzialmente l'obiettivo di accountability.
Riassumendo, un buon sistema elettorale deve massimizzare il livello di rappresentanza sotto il vincolo di generare maggioranze parlamentari stabili e chiaramente indicate dall'elettorato.
I problemi del sistema maggioritario.
Il sistema maggioritario di tipo anglosassone, che era la base del sistema elettorale italiano fino alle ultime elezioni, è meglio del proporzionale ma è ben lontano dall'essere un sistema ideale. In sostanza, il maggioritario funziona bene in un sistema bipartitico con una distribuzione delle opinioni elettorali abbastanza omogenea sul territorio nazionale. Una violazione di una qualunque di queste due condizioni rischia di generare risultati pessimi.
Per vedere come una 'cattiva' distribuzione dei voti possa generare risultati indesiderabili, consideriamo un caso in cui ci sono due partiti, Bianchi e Rossi, e tre distretti elettorali. Nel primo e nel secondo distretto ci sono 51 elettori bianchi e 49 rossi, mentre nel terzo distretto ci sono 100 rossi. Con il sistema maggioritario verrebbero eletti 2 parlamentari bianchi e uno rosso, mentre nel paese ci sono 198 rossi e 102 bianchi. Esempi di risultati elettorali bizzarri quando ci sono più di due partiti sono fin troppo facili da trovare.
Non si tratta di preoccupazioni irrilevanti e marginali. In un sistema bipartitico come quello americano, il sistema maggioritario ha dato la vittoria al candidato con meno voti nel 2000, e non era la prima volta che ciò accadeva. Nel 2004, se Kerry avesse avuto 150 mila voti in più in Ohio avrebbe vinto le elezioni, nonostante Bush abbia preso 3 milioni di voti in più a livello nazionale. Le bizzarrie del sistema sono abbastanza bipartisan.
Esempi abbondano anche di situazioni nelle quali la presenza di più di due partiti ha generato vittorie elettorali da parte di candidati minoritari. In Cile nel 1970 Allende vinse con il 36,3% dei voti, perchè i voti restanti vennero divisi tra un candidato conservatore e quello democristiano (visto quello che è successo dopo, lasciatemi ribadire che l'elezione di Allende fu perfettamente legale e il colpo di stato fascista del 1973 fu una delle peggiori barbarie della storia moderna). In Gran Bretagna nel 1983 i conservatori vinsero una colossale maggioranza di seggi con solo il 42,4% dei voti, perdendo voti rispetto al 1979, perché il voto non conservatore (e in effetti anticonservatore) fu diviso quasi ugualmente tra il Labor Party e l'alleanza Liberali-Socialdemocratici.
È vero ovviamente che il numero di partiti è endogeno, e che un sistema maggioritario favorisce un sistema bipolare (i politologi chiamano questa predizione 'legge di Duverger'). Vi sono tre obiezioni a questa osservazione, due teoriche e una empirica. La prima obiezione teorica è che il maggioritario favorisce il bipolarismo a livello di distretto, non necessariamente a livello nazionale. Quindi, anche se in ogni distretto ci sono solo due partiti, può non emergere alcun partito maggioritario a livello nazionale (di nuovo, non sono preoccupazioni solo teoriche; questa è la situazione in India). La seconda obiezione teorica è che il maggioritario, come osservato prima, può comunque generare pessimi risultati anche quando ci sono solo due partiti se la distribuzione dei voti non è territorialmente omogenea. L'obiezione empirica è che la legge di Duverger non sempre funziona: ci sono molte importanti elezioni con sistema maggioritario in cui, anche a livello di distretto, si presentano più di due partiti. Gli esempi di Cile 1970 e Gran Bretagna 1983, discussi precedentemente, sono solo due di tanti.
Un premio di maggioranza nazionale è una buona idea.
Per le ragioni precedentemente discusse ritengo che non sia opportuno un ritorno duro e puro al maggioritario. Piuttosto, occorre avviare una discussione serena su come raggiungere l'obiettivo della accountability e della governabilità senza sacrificare eccessivamente la rappresentatività. Non ho la risposta in tasca, ma posso offrire qualche riflessione.
Primo, l'idea di dare un premio in seggi al partito o coalizione che ottenga più voti a livello nazionale è giusta perché in questo modo si neutralizza l'effetto arbitrario di distribuzione disomogenea dei consensi sul territorio. L'attuale legge elettorale è indubbiamente una porcata e va urgentemente riformata, ma non c'è motivo di buttare via il bambino con l'acqua sporca.
Secondo, l'attuale legge elettorale garantisce una eccessiva rappresentanza, e un eccessivo potere politico, ai piccoli partiti. Questo è risultato evidente nella formazione del nuovo governo. Abbiamo già segnalato su questo sito la grottesca intervista del neo sottosegretario all'economia Paolo Cento. Qui vale la pena di aggiungere che le idee di Cento, oltre a essere bizzarre, sono non solo nettamente minoritarie nel paese, ma molto probabilmente minoritarie tra gli elettori del centrosinistra (vorrei vedere in quanti sono a sostenere l'idea della decrescita). Solo la protezione ai partiti minori accordata da questa legge permette il risultato antidemocratico di avere governanti completamente fuori sintonia con l'elettorato.
Ci sono vari modi di rimediare al problema. Il più semplice è alzare la soglia minima che garantisce la rappresentanza in parlamento, che attualmente è un risibile 2% per i partiti che si presentano all'interno di una coalizione (tra le liste di centrosinistra per la Camera, solo Unione e Rifondazione Comunista superano il 4%). La mia preferenza però va all'eliminazione del legame di coalizione accompagnata a un sistema a doppio turno, simile a quello che si utilizza oggi per i comuni con più di 15000 abitanti. In tale sistema i partiti si presentano singolarmente al primo turno. Se un partito vince la maggioranza dei seggi, si assegnano i seggi proporzionalmente. Se invece nessun partito ottiene la maggioranza si realizza un ballottaggio tra i due partiti più votati. Chi vince il secondo turno prende il 55% dei seggi, e gli altri seggi vengono distribuiti proporzionalmente secondo i risultati del primo turno. Il grosso vantaggio del doppio turno rispetto al sistema attuale è che riduce il potere di negoziazione dei partiti a favore della libera manifestazione della volontà dell'elettorato. Nel maggioritario secco è importante come si formano le coalizioni, e le ambizioni personali dei politici hanno spesso la prevalenza sulla affinità programmatiche. Con il doppio turno sono invece gli elettori a scegliere. Il sistema garantisce che si crei sempre una maggioranza di governo. Al tempo stesso garantisce che il governo non sia inviso a più di metà della popolazione, come può accadere con il maggioritario. Garantisce infine che anche opinioni minoritarie trovino rappresentanza in parlamento, senza dar loro necessariamente un ruolo di governo.
Una ultima osservazione. Nessun sistema elettorale è perfetto, e il doppio turno non fa eccezione. Nelle ultime elezioni presidenziali francesi gli elettori di sinistra sono riusciti a battere ogni record di insensatezza, frazionando il voto del primo turno tra una miriade di candidati e ottenendo il bel risultato di mandare al ballottaggio Chirac e Le Pen. Per ogni sistema elettorale c'è un grado sufficientemente alto di immaturità politica che garantisce pessimi risultati. Ma questo purtroppo è vero per qualunque aspetto dell'architettura istituzionale, e non ci esime da una discussione razionale sul disegno delle istituzioni.