E' piacevole sentirsi superiori, magari ostendando la nostra tradizione
culturale. Non pochi commentatori hanno ricordato nei giornali le
origini intellettuali della contrarieta' italiana alla pena capitale,
che risalgono agli scritti di Cesare Beccaria. Sono andato percio' a
riguardarmi il suo "Dei delitti e delle pene", facilmente
rintracciabile online, che
dedica il Capitolo 28
alla pena capitale. L'illuminista Beccaria non usa considerazioni etiche per dimostrare la sua contrarieta' alla pena di
morte. Piuttosto, cerca di dimostrare che la pena di morte non costituisce un adeguato deterrente al crimine. Ma senza presentare alcuna
evidenza per supportare la validita' empirica dei suoi argomenti.
Beccaria suggerisce per esempio che l'estensione della pena e' piu' efficace della sua intensione,
o intensita'. Con questo intende dire che e' peggiore una piccola
sofferenza, ma ripetuta (come la prolungata limitazione della liberta'
personale), piuttosto che un grande dolore ma limitato nel tempo (come
quello inflitto dalla morte). L'idea e' che la violenza della morte
sorprende l'uomo, ma viene presto dimenticata, mentre la schiavitu'
perpetua fornisce un monito costante al potenziale criminale. Idee
forse condivisibili, ma da dimostrare. Gli effetti preventivi della
pena di morte sono studiati da decenni, e non esiste ancora consenso in
letteratura.
Beccaria inoltre sente il bisogno di rispondere a
chi lamenta che la schiavitu' dell'ergastolo e' tanto crudele quanto la
condanna a morte. Egli sostiene che, sommando tutti i "momenti
infelici" della schiavitu', forse essa e' anche piu' crudele della
morte. Tuttavia, i momenti infelici sono stesi per tutta la vita del
condannato, mentre la morte esercita la sua forza in un solo istante.
Per questo, la schiavitu' spaventa piu' chi la vede che chi la soffre,
perche' "chi
soffre trova delle risorse e delle consolazioni non conosciute e non credute dagli
spettatori, che sostituiscono la propria sensibilità all'animo incallito dell'infelice".
Beccaria
sembra sostenere che il valore atteso attuale delle pene sostenute
nell'arco della vita e' maggiormente negativo di quello della morte. Se
cosi' fosse, sarebbe vero che l'ergastolo avrebbe maggiore valore
deterrente. Ma Beccaria usa questo ragionamento per negare che
l'ergastolo sia troppo crudele, sostenendo che la sofferenza dell'ergastolano percepita
dall'osservatore e' diversa da quella percepita dal condannato. Per il
condannato all'ergastolo la disutilita' e' piu' lieve, trovando
consolazione in pensieri non ben specificati, non internalizzabili
dall'osservatore. Ma cos'e' che ha valore preventivo, la percezione di
sofferenza sperimentata osservando il carcerato o l'aspettativa di
sofferenza futura subita in quanto carcerati, che - credendo al
ragionamento - sappiamo essere inferiore? Boh! Ammetto che il ragionamento possiede una certa logica interna, ma resta da verificare
empiricamente la sua validita'.
Infine, vale la pena notare che Beccaria non esclude totalmente l'uso della pena di
morte. Uno dei casi in cui la trova ammissibile e' quello del
condannato che "quando anche privo di libertà [...] abbia ancora tali relazioni e tal potenza che
interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una
rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita".
Curiosamente, qualcuno potrebbe citare questo passaggio per sostenere
che Beccaria avrebbe giustificato l'impiccagione di Saddam.
Insomma,
citare e appropriarsi di Beccaria per ostentare una presunta superiorita' morale - che semmai e' propria degli individui, non delle nazioni - sembra a
me alquanto ardito. Tutti i suoi argomenti sono confutabili, e in qualche caso secondo me anche le assunzioni usate per stabilire il ragionamento logico sono piuttosto deboli. Bene ha fatto il governo iracheno a
ricordare che tanto diversi non siamo visto che poco piu' di 60 anni fa
abbiamo appeso Mussolini per i piedi, dopo averlo fucilato senza
nemmeno
una farsa di processo. Trovo abbastanza deboli i tentativi di sottolineare le differenze
fra i due casi, che esistono, ma non ci rendono poi tanto superiori.
Personalmente, ho trovato l'iniziativa del governo tardiva e
strategicamente
inopportuna. Meglio sarebbe stato adottare l'atteggiamento
pragmatico di Beccaria per sollecitare, per esempio, una soluzione meno
cruenta. Il governo avrebbe potuto adoperarsi presso la diplomazia
americana per evitare la barbarie dell'impiccagione. O perlomeno le circostanze del suo svolgimento. Il video dell'esecuzione e' facilmente rintracciabile online. L'ho scaricato anch'io, ma non ho avuto il fegato di guardarlo. Ho girato la testa, e ne ho solo ascoltato l'audio, le grida e gli insulti, che ho trovato raccapriccianti. Io sono contrario alla pena di morte, e posso solo cercare di capire l'inevitabilita' di questa esecuzione. Nel XXI secolo
esistono pero' metodi meno cruenti e teatrali, e non sarebbe stato male se si
fosse speso un po' di capitale politico verso un obiettivo almeno
teoricamente realizzabile, piuttosto che per fare propaganda interna ex post.
"Ma Beccaria non
presenta alcuna
evidenza per supportare la validita' empirica dei suoi argomenti."
Beh, e' passato un po' di tempo da allora, ed appare chiaro oggi che la pena di morte non e' un deterrente. Se si controlla per altri fattori (come lo stato dell'economia, numero di giovani maschi, disoccupazione) la presenza o assenza della pena di morte negli stati USA, per esempio non ha effetto sui crime rates.
"Nel XXI secolo
esistono pero' metodi meno cruenti e teatrali, e non sarebbe stato male se si
fosse speso un po' di capitale politico verso un obiettivo almeno
teoricamente realizzabile, piuttosto che per fare propaganda interna ex post."
La pena di morte di Saddam e' stata chiaramente diretta a mantenere in Iraq una situazione d'emergenza, e continuare gli handouts di public money (o meglio di public debt) agli amici dell'industria bellica almeno per i prossimi due anni. Non c'era assolutamente alcuna ragione ne' necessita', e anzi ha impedito la conclusione dei numerosi procedimenti nei confronti dell'ex dittatore.
Sono d'accordo, e mi chiedo appunto come mai il governo si sia mosso dopo l'esecuzione anziche' prima.
Ciao PAolo,
la "deterrenza" o meno della pena di morte non può essere dimostrata, e in ogni caso non ha molta importanza. Chi sostiene la pena di morte non lo fa per la sua funzione di deterrente, e chi è contrario probabilmente non smetterebbe di esserlo se fosse dimostrato che avesse una tale funzione.
La PdM ha un ovvio vantaggio rispetto all'ergastolo: le probabilità che il condannato esca di prigione (vuoi per una fuga, vuoi per un mutato clima politico o giuridico) e ri-offenda sono esattamente zero. Un altro vantaggio è che la comunità, e in particolar modo le stesse vittime del crimine, non sono costrette a pagare il mantenimento del criminale per anni, con le loro tasse. Un ovvio svantaggio della PdM è la possibilità di giustiziare un innocente, anche se si può obiettare che il progresso scientifico e la presenza di telecamere pressocché ovunque nelle grandi città rendono questo sempre più difficile.
Se si è favorevoli o contrari alla PdM è solo per il rapporto tra la sensazione di disagio che si prova all'idea di giustiziare una persona e quella che si prova leggendo dei crimini che ha commesso, o dell'ennesimo criminale che è uscito dal carcere e ha ammazzato di nuovo.