L’eguaglianza come valore in se'
Il principio che caratterizza la sinistra è di considerare l’uguaglianza come valore. Con una espressione più poetica, e ancora più vaga, essere di sinistra significa stare dalla parte degli ultimi. Molti di noi sono cresciuti con queste idee, e alcuni si domandano cosa ne sia rimasto. I dibattiti sulla questione, formali o informali, continuano, quindi è ora di fare chiarezza.
Uguaglianza come valore: è difficile perfino cominciare a pensare se si è d’accordo o meno con un'idea del genere, semplicemente perché è troppo vaga. Per tradurre un concetto così impreciso in politiche precise, in risposte a domande sulle scelte da fare, per esempio in politica economica e sociale, ci vuole un criterio operativo. Stiamo dunque cercando una definizione operativa del concetto di cosa sia socialmente giusto. Per definizione operativa intendo una che poi ci permetta di esprimere un’opinione sulla giustezza di una qualunque proposta di politica economica e sociale.
Per esempio: la riforma del sistema fiscale. Il sistema di imposte personali sul reddito in Italia oggi è fortemente progressivo. Una parte sostanziale (intorno al sessanta-settanta per cento, a seconda di come si cercano di calcolare gli effetti dell’evasione) delle imposte personali è pagato dal venti per cento con il reddito più alto. E’ troppo? O troppo poco?
Un altro esempio è il federalismo, che pone la questione dell'uguaglianza fra cittadini che vivono in regioni diverse. Altri esempi pongono questioni anche più difficili. Che dire, per esempio, delle scuole private? Ignoriamo la questione del carattere confessionale della scuola, che porta a tutto un altro ordine di problemi. Chiediamoci: abbiamo un'obiezione di principio alle scuole private perché sanciscono la differenza non solo degli esiti ma anche delle opportunità fra diversi giovani? E per la sanità: c’è chi parla di un diritto alla salute, uguale per tutti. Cosa vuol dire, concretamente, il "diritto alla salute" uguale per tutti? Che tutti vanno necessariamente negli stessi ospedali? Che tutti stanno ugualmente bene, indipendentemente dalle loro condizioni di partenza? A qualsiasi età? Più uno ci pensa, più la generica affermazione sull'uguaglianza come diritto diventa un rompicapo.
Sto cercando, dunque, di dare una definizione operativa, che possa essere usata per decidere in tutte le questioni che abbiamo presentato, e molte altre. Perché, alla fine, fare politica non consiste in elencare diritti astratti e fumosi o proclamare dei desiderata tanto grandiosi quanto indefiniti. Fare politica vuol dire fare proposte che si possono mettere in pratica e ottengono gli effetti pratici desiderati, con il consenso della maggioranza che in tali effetti si identifica. Altrimenti si è solo dei chiacchieroni senza costrutto, non dei politici.
Il pensiero inconscio
Un avvertimento: non sto considerando teorie della disuguaglianza che assumono o concludono che i ricchi sono ricchi a spese dei poveri. Per queste teorie, socialmente giusto ha un significato molto semplice: eliminare lo sfruttamento. Una giustificazione analitica di questa posizione per esempio è quella di Marx, o quelle contro il neocolonialismo di Frantz Fanon. Queste erano le fondamenta teoriche della sinistra in Italia esplicitamente fino a circa gli anni settanta. Dopo quegli anni c’è stata una trasformazione radicale. Oggi nessuno a sinistra in Italia, neppure Vendola, invoca lo lotta allo sfruttamento come giustificazione di politiche egualitarie. La sinistra italiana è post-marxista. Polemizzare con queste teorie sarebbe dunque oggi uccidere un uomo morto. Però quell’idea ("i ricchi sono ricchi a spese dei poveri"), è passata da teoria abbandonata a idea inconscia. Questa idea inconscia si attiva automaticamente ogni volta che si parla di disuguaglianza: sfortunatamente, parlare come Rawls pensando come Marx fa male alla salute mentale. Lasciamo dunque Marx da parte, assumendo che ci sia largo accordo sull’idea che i ricchi non sono ricchi a spese dei poveri ma perché hanno avuto un qualche colpo di "fortuna".
Iniziamo esaminando qualche criterio possibile, e ci renderemo subito conto che la domanda non ha una risposta ovvia. Si potrebbe dire, per esempio, che socialmente giusto è ciò che la maggioranza decide. Regola ragionevole in un regime democratico. Una conseguenza spiacevole di questo criterio si presenta subito: se la una maggioranza del cinquantun per cento decide di redistribuirsi la ricchezza del rimanente quarantanove, questo dovrebbe essere considerato, perché deciso a maggioranza, socialmente giusto. E’ una proposta e una applicazione sospetta però, perché pare dettata dall’interesse particolare di quel cinquantuno per cento. Lo stesso sospetto viene se il criterio proposto è quello dell’uguaglianza, quando proposto da chi abbia un basso reddito. Un diverso criterio potrebbe essere quello di non toccare assolutamente nulla: ognuno tiene ciò che ha. Anche questo è un criterio operativo molto chiaro, ma se proposto da un ricco suscita il legittimo sospetto che sia non espressione di giustizia sociale, ma di convenienza personale.
Dietro il velo
In questi esempi, la ragione per essere sospettosi del criterio è che il criterio proposto va a vantaggio del proponente. Come si elimina questa potenziale parzialità? Un criterio classico è di richiedere che la decisione su cosa sia socialmente giusto venga fatta indipendentemente da criteri di convenienza personale. Per illustrare il metodo, prendiamo un esempio molto semplice. Molti degli elementi importanti in questa versione semplice mancano, ma li introdurremo via via.
Venite informati che nascerete domani, in una società molto piccola: ci saranno solo due persone. Sapete anche che una delle due sarà fortunata, e l’altra no. Per illustrare, diciamo per il momento che il fortunato guadagnerà un milione di euro all’anno, e l’altro nulla. Per ora non sapete se sarete il fortunato o lo sfortunato. Sapete solo che sarete uno dei due, con uguale probabilità, e che questo verrà deciso con il lancio di moneta. Se viene testa, siete fortunato, e l’altro no; se viene croce, succede l’opposto.
Dovete decidere ora, prima di sapere quali dei due casi si realizzerà, quale assetto sociale desiderate per il futuro. Una volta scelta, questa regola verrà messa in atto senza eccezioni, senza ripensamenti, senza condoni. In questa società molto semplice, in cui il reddito è l’unica caratteristica delle persone, un assetto sociale è sostanzialmente una regola di distribuzione del reddito. Per esempio, un possibile assetto sociale è di lasciare tutto come il caso decide. Un altro assetto sociale è di redistribuire il milione in parti uguali. Ci sono soluzioni intermedie, in cui solo una parte del reddito del più fortunato viene trasferita.
L’assetto sociale che sceglierete in queste condizioni sarà considerato socialmente giusto. Siccome non sapete chi dei due sarete, il sospetto che stiate scegliendo per ragioni di interesse personale non c’è più. Una decisione sull’assetto sociale fatta in come questa viene detta presa dietro il velo dell’ignoranza, prima cioé di sapere come sarà l’esito della lotteria che deciderà se sarete fortunati o sfortunati.
E’ una domanda ipotetica, chiaramente. E non c’è modo per me di indurvi ad essere onesti nella risposta. E’ un po’ come se vi domandassi se preferite avere il biglietto di una lotteria in cui potete vincere mille euro o nulla con uguale probabilità, o se preferite invece cinquecento euro di sicuro.
Facciamo un po’ di esempi specifici, per vedere se il metodo proposto almeno dà delle risposte che siano chiare e sembrino ragionevoli. Se il trasferimento non comporta nessuno spreco, allora giustizia sociale è il comunismo. Se c’è invece qualche spreco, per esempio perché l’apparato redistributivo costa, allora perfetta uguaglianza non è più la soluzione ideale. Questo si capisce subito se lo stato, o chi per lui fa questa redistribuzione, si prende la quasi totalità (diciamo tutto meno un euro) del reddito del fortunato. Fra avere un milione di euro se la moneta viene croce, o avere mezzo euro di sicuro, quasi tutti sceglieranno la possibiltà di avere il milione.
E’ chiaro che, così facendo, abbiamo ridotto il problema di cosa sia socialmente giusto a un problema di scelta fra opzioni disponili, con esito incerto. Il velo dell’ignoranza, che ci impedisce di vedere chi saremo, ci impone però di tenere conto in maniera equanime dell’interesse di tutti coloro che ci paiono possibili, di quelli più avvantaggiati e di quelli meno fortunati, perché potremmo essere, in questa immaginaria società futura, uno qualunque dei due. Il velo impone un atteggiamento caritatevole (perché potreste essere lo sfortunato) ma evita sprechi (perché potreste essere il fortunato a cui si chiede di rimediare alle sfortune degli altri).
Questa è la miglior definizione, e la miglior difesa che credo si possa fare di "uguaglianza come valore". Vediamo prima una conseguenza importante di questo modo di definirla, e poi i problemi, seri, che questa visione di ciò che è socialmente giusto ha.
Uguaglianza ed efficienza
La conseguenza importante è questa. Persone normali hanno un grado normale di avversione al rischio. Per queste persone, anche se si accetta la definizione di socialmente giusto che abbiamo visto, uguaglianza non è un valore assoluto: invece, va valutata per quanto costa. C’è una sola eccezione, che è bene vedere da vicino per capire quanto sia irragionevole.
Prendiamo un individuo estremamente prudente: così prudente da sfiorare la psicopatia. Questo è un individuo che se gli proponente di uscire di casa per cena, vi domanda quale sia lo cosa peggiore che gli possa capitare. Alle sue domande ansiose, dovete riconoscere che fuori di casa potrebbe essere travolto da un’auto, e in casa no. Aggiungete subito che essere travolti da un’auto è estremamente improbabile e citate statistiche autorevoli a sostegno della vostra affermazione. Invano. La sola possibilità dell’evento catastrofico gli basta per decidere. La regola che sta seguendo è molto semplice: per ognuna delle due opzioni, stare a casa o uscire, lui considera quale sia l’esito peggiore fra tutti i concepibili. Che sia o meno probabile non gli interessa. Se sta a casa, il peggio che gli possa capitare è annoiarsi. Se esce, il peggio che gli possa capitare è morire. Siccome annoiarsi è meglio di morire, se ne sta a casa.
Come deciderebbe un individuo simile quando posto di fronte alla scelta di un assetto sociale giusto? Come il nostro personaggio che deve scegliere se andare a cena o no, questo criterio guarda solamente alla situazione del più sfortunato, e fra due assetti sociali è da preferirsi quello che garantisce la situazione migliore al più sfortunato. A tutti i costi, indipendentemente da quello che succede agli altri. Un criterio di giustizia sociale basato su una simile propensione verso il richio è stato proposto da John Rawls. Una conseguenza del suo criterio è che le disuguaglianze economiche sono accettabili solo se vanno a vantaggio della persona più sfavorita, o, per usare il termine con cui siamo partiti, degli ultimi. Fra due società, una più disuguale dell’altra, può essere socialmente giusto scegliere quella più disuguale, ma solo a condizione che in questa società la situazione del più povero sia migliore di quanto lo sarebbe in quella più uguale. Quanti sarebbero a favore di una simile psicopatia?
Veniamo ai problemi seri, che sono tre.
Merito
Il primo è che fino ad ora quando abbiamo parlato del reddito non abbiamo detto come viene guadagnato. Invece il modo in cui il reddito viene guadagnato ha una importanza determinante. Semplici esperimenti dimostrano che l’atteggiamento degli individui verso la redistribuzione del reddito degli altri cambia sostanzialmente se quel reddito deriva dal "caso" (ossia, da fattori non osservabili ed imponderabili) o dal "merito" (ossia da attività e sforzi osservabili del soggetto). Molte persone sono più favorevoli alla redistribuzione dei beni ottenuti grazie a fortuna che non di quelli ottenuti per sforzo e qualità personali. La fondazione filosofica del merito è semplice: il merito compete a chi è responsabile di un esito. Io merito una vittoria se ho lavorato per ottenerla. Merito è anche la fondazione di un diritto, a mantenere i frutti di ciò che si è meritato. Un'estensione del principio (giusnaturalistico per alcuni) secondo cui i frutti del lavoro appartengono a chi il lavoro ce l'ha messo. Dal punto di vista psicologico, questo principio sembra avere una forza superiore a quello dell’eguaglianza. Non fosse così, troveremmo tutte le competizioni sportive (e non solo, non solo ...) ingiuste e per nulla entusiasmanti ...
Dipendenza
Il secondo problema è la dipendenza. Stare dalla parte degli ultimi significa prima di tutto lasciare che imparino a fare da soli, non costruire una rete di assistenza che li rende dipendenti. Questa è la famosa storia cinese secondo cui se vuoi dar da mangiare ad una persona per un giorno gli regali il pesce, se vuoi dargli da mangiare per sempre gli insegni a pescare. L’aiuto ha sempre un costo nascosto, quello di creare in chi lo riceva l’abitudine e l’aspettativa che l’aiuto continuerà. Nascosto almeno per chi non vuol vedere o sentire: i critici più feroci dei programmi di welfare per le minoranze nere sono proprio quegli intellettuali neri che hanno capito questo nesso. L’aiuto provoca dipendenza. Lo stanno ripetendo da decenni, in parole semplici e chiare.
Stato
L’ultimo problema è lo stato. Implicito nei ragionamenti della vecchia sinistra è che lo stato si può considerare uno strumento neutro, privo di interessi specifici, e quindi potenzialmente strumento perfetto per realizzare ingegneria sociale. Un aneddoto interessante nella recente biografia di Tony Blair è il racconto di un momento nella sua gioventù in cui in una discussione fu costretto ad ammettere che lo stato può avere una sua agenda. Il New Labor, la terza via della sinistra, nacque quel giorno. Peccato che la sinistra si stia dimenticando di quella illuminazione. Qui, naturalmente, il problema si collega a quello della dipendenza. I politici di professione hanno un interesse naturale a mantenere i programmi di redistribuzione e di aiuto. Ma è molto peggio di così: i politici hanno un interesse naturale a mantenere la dipendenza.
Conclusioni
La sinistra italiana sta cercando oggi di conciliare eguaglianza e libertà: Libertàeguale è il nome di uno delle sue associazioni/think tanks. Mettere insieme libertà ed eguaglianza, però, è molto più difficile che mettere insieme i due nomi. Ne deriva, ormai da più di trenta anni, una confusione che produce lo stato di inerzia attuale della sinistra, italiana soprattutto ma non solo. Le idee del passato sono riconosciute inutili. Quelle per il futuro non ci sono, perché a ogni passo c’è il sospetto che la destra sia riuscita ad abbindolarci. Come si può agire in politica, dove le idee devono essere chiare ed i fini precisi, se si è combattuti fra due identità, quella del passato considerata inutile e quella più moderna, considerata sospetta?
Sul nesso fra le due aspirazioni, Milton Friedman si espresse qualche decennio fa con la sua usuale chiarezza, ed è utile riprendere quello che disse come una sfida. In traduzione libera (chi lo vuol sentire, eccolo qui), Friedman dice:
Una società può aspirare a libertà e eguaglianza, ma ha due modi per farlo. Se aspira a eguaglianza prima che a libertà, non avrà né libertà né eguaglianza. Sarà serva di A e B che dicono a C quanto deve dare a D. Se aspira a libertà prima che a eguaglianza, avrà libertà di sicuro; non avrà uguaglianza, ma ci andrà vicino tanto quanto è possibile con i sistemi storicamente sperimentati.
Questa la sfida da destra. La risposta a sinistra non può essere di fare la somma algebrica dei due termini. Friedman contava molto sui mercati. La vecchia sinistra contava molto sullo stato. La nuova sinistra dovrebbe contare sulla gente e molto meno sullo stato. Libertà oggi non è da uno stato autoritario, o neppure da uno stato padrone con la faccia di Berlusconi, ma da uno stato-badante che si prende cura di noi.
Fra le tante lezioni sempre ricordate di Don Lorenzo Milani, ricordiamone una sempre dimenticata: la scuola di Barbiana non aspettò aiuti del governo, e non abbassò i livelli dell’insegnamento, ma li alzò. Quella scuola era difficile, e voleva insegnare ai poveri a fare da se'.
Caro giovane, mentre si scopre un mondo che venne rimosso nel passato, per cui e' bene esser "liberal" (solo Guzzanti e' liberale: e' chic dirlo in inglese, non so bene perche') sarebbe bene non scoprire l'acqua calda.
In particolare. Vi sono due nozioni di liberalismo e non si capisce mai a quale si riferisca il liberalismo alle vongole, tanto di moda.
In breve, ma se la cosa e' di interesse generale, si puo' benissimo tornarci sopra.
La teoria della giustizia (nei termini di J. Rawls) e' una teoria liberale: ammette e domanda un insieme di inalienabili diritti e ammette e domanda che un attacco diretto (via fisco) alla situazione economica (in termini semplici di chi fa piu' soldi) sia giustifcata dalla teoria quando e solo quando il risultato sia a facore degli ultimi (ringrazio Aldo Rustichini per introdurre la terminologia religiosa che male non fa in questi casi.)
La teoria della giustizia (nei termini di R. Nozick) e' una teoria liberale: ammette che le transazioni non coatte sono tutte legittime e giuste (se si ama questo termine.) Il fatto e' che le transazioni producono effetti di diseguaglianza a volte considerevoli. Nozick, di nuovo in termini semplici, mostra come vi sia un liberalismo che dica che una societa' e' libera se libera dalla coazione e dall'abuso. E' libera anche nel senso che gli effetti, ad esempio di eguaglianza e diseguaglianza, sono lasciati essi stessi liberi.
Cari giovani, quale dei due volete? Il dibattito sul merito e' un po' capzioso, nel senso che' sotto descritto e poco definito, a mio avviso.
Mi riprometto di tornare e argomentare, se i lettori si trovano interessati al problema.
p.s. vi sono insiemi di teorie che negano tutto questo, nulla di male, ad esempio in politica adesso vi sono gruppi religiosi (essi spingono una nozione di "comunita'" che trascende individui e da diritti a gruppi) vi sono gruppi marxisti (spesso confusi, ahime' dalla poca chiarezza di quel che dicono: l'ultimo che ascoltai sostenne che adesso vi sono i soviet capitalistici [dette banche dal volgo] e il "problema" e' formare una "soggettivita' dentro e contro", che si oppone al comunismo del capitale) che oppongono direttamente l'idea che vi sia una sfera di diritti, vi sono gruppi di idioti che oppongono tutto. Nei tre casi, e' opportuno chiedersi se valga la pena di discutere. Non mi sottraggo alla pena, se necessario.
p.s. Mk.II
Le due teorie ulteriormente si avvicinano su nozioni come "bene primario" (tutelato da diritti umani, infringer quelli e' mai giusto.) Sono primari il diritto alla tutela e integrita' della persona fisica di tutti, il diritto al movimento, e altri, con una serie di compromessi e transazioni ineguali (cone han tradotto trade-offs in Italiano?) in cui si puo' ammettere come giusto che vi siano umiliati ed offesi, se si preserva la liberta' di tutti di esprimere il pensiero proprio, sia o meno offensivo.
Le due si distanziano nel giudicare se vi un diritto umano a tenersi quel che si e' guadagnato (la rapina giusta e' mai siano uno liberal-nozickista o liberal-rawlsiano] o no. Nozick risponde di si, con argomenti di origine Lockean, Rawls risponde di non con argomenti di origine Kant.
Il "merito" in questo senso ha nulla d'interessante da scoprire. Tutti sanno benissimo, gli uni come gli altri, che per adottare l'esempo (da Nozick) se W. Chamberlain e' in grado di chiedere a cento persone di pagare un euro per vederlo segnare i personali (chi gioca a pallacanestro illustri), alla fine della giornata, cento persone avranno un euro di meno e lui cento di piu'.
Rawls sostiene che qui bisogna tassarlo e forse tanto, Nozick sostiene che vi e' nessuna ragione per tassarlo percentualmente in ogni caso piu' di me. Dopo tutto se le tasse servono a costruire i ponti non e' poi probabile o possibile che Chamberlain attraversi da Messina alla Calabria, avanti e indietro 24 ore al giorno.
Che il suo merito sia sociale (gli hanno insegnato bene a usare la pallam) sia innato (Chamberlain nacque con questa grande passione per far entrare nel buco la palla), se sia un trucco prodotto dai pubblicitari ( a nessuno importa meno di due fichi secchi -- che costano meno di un euro-- di che cosa fa Chamberlain con il pallone ma i temibili Pirella & Ass. convincono tutti di dover veder gli sport a pagamento) interessa meno che mai a nessuno.
Che cosa sta dibattendo la sinistra?
Temo un problema assai diverso. Dibattono un tema pre-rivoluzionario nel senso di pre 1789.
Se esistano le guarentigie tali che il figlio di Marrazzo debba esser a lavorare alla Rai quanto il figlio di Minoli e Bernabei debba aver le mani in pasta coi media....
Come penso sia chiaro qui il problema e' di efficienza, mentre Marrazzo G era un bravo giornalista, Marrazzo P ando' a puttane. Le dinastie da D'Alema G a D'Alema M fino a Berlusconi B da Berlusconi S sono una catastrofe per il motivo antico che per ogni Cesare ci sono due Eliogabalo.
Punkt. Il merito c'entra nulla. Qualcuno dica a questo Adinolfi di informarsi.
cfr. Post di Giulio Zanella, infra
Mahh...forse bisognerebbe sgombrare il campo da equivoci sul termine "liberali" e sostituirlo con "liberali classici" o meglio "libertari". La parola libertà e liberali sono le piu' stuprate nella storia e dall'ideologia.
Il concetto di merito dovrebbe essere meglio compreso: in una società libera chi fa soldi ci riesce solo perchè soddisfa le aspettative e i bisogni dei suoi clienti. In altre parole si è arricchito solo perchè ha prodotto qualcosa a cui la su controparte attribuisce maggior valore rispetto ai soldi che ha ceduto. Altrimenti lo scambio non sarebbe accetterebbe. Ne segue ovviamente che è ben difficile attribuire qualche senso al solito discorso "...il 10% della popolazione possiede il 90% della ricchezza": le due parti si sono arricchite entrambe.
Quanto detto dovrebbe anche spiegare perchè aggredire la proprietà e la persona altrui anche quando a deciderlo è una maggioranza o l'unanimità meno uno è un non sequitur.
La Verfall einer Familie é inevitabile.Ma molti di quelli che biascicano contro la meritocrazia dimenticano che il suo primo sostituto non é la benevolenza verso i diversamente abili, bensì il più comodo scudo per consentire ai potenti di oggi di tramandare ad una prole incapace i propri vizi.
Caro vecchio
mi pare giusto introdurre Nozick. Ma un commento su quello che dici:
Il fatto e' che le transazioni producono effetti di diseguaglianza a volte considerevoli.
Anche Rawls, che e' la posizione estrema, accetterebbe disuguaglianze considerevoli. Gli basterebbe che gli utlimi stessero meglio. Cioe' fra una societa' molto diseguale come gli USA e una meno diseguale come l'Europa, preferirebbe gli USA, se i poveri stanno meglio in USA. Qundi non e' la dsuguaglianza di per se' che lo preoccupa. Certi Rawlsiani sono piu' Rawlsiani di Rawls,