Letture per il fine settimana, 29-10-2011

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Questa settimana: le elezioni tunisine; per favore, non tassate i precari; il New York Times sulla crisi europea e il ruolo dell'Italia; cosa dice l'accordo europeo?; consiglieri regionali e popolazione; la piccola impresa italiana attrae l'attenzione della blogosfera usa.

Buona lettura e buon fine settimana.

  • Io so che esiste almeno un'altra persona che, quando ha sentito parlare di elezioni in Tunisia, non si è chiesta ''chissá chi vince'' ma ''chissá che sistema elettorale usano''. La risposta si può trovare in questo post del blog di Matt Shugart. Nello stesso blog comunque trovate anche una discussione dei risultati.
  • Su Il Post Marco Simoni discute la proposta, che arriva da settori del PD, di alzare il prelievo contributivo sui contratti atipici, ossia aumentare le tasse sui precari. Devo dire che condivido il giudizio di inopportunità dell'aumento della tassazione, ma ho trovato l'articolo insoddisfacente sotto due aspetti. Primo, l'articolo assume che l'offerta di lavoro precario sia perfettamente rigida, per cui maggiori contributi sociali verrebbero pagati interamente dai lavoratori. Vorrei vedere maggiore evidenza al riguardo; che l'offerta sia rigida non c'è dubbio, ma forse non perfettamente. Con un salario più basso qualche giovane che decide di non lavorare probabilmente ci sarebbe. Secondo, a mio avviso la decisione di tassare in modo differenziale a seconda del tipo di contratto è abbastanza cervellotica e priva di giustificazione economica. Uniformare il trattamento fiscale dei vari redditi da lavoro sarebbe quindi opportuno. Ovviamente si può uniformare abbassando le tasse su quelli che pagano di più oppure alzando le tasse su quelli che pagano meno. La prima possibilità sembra non la consideri nessuno.
  • Il New York Times dedica un lungo articolo alla crisi europea, spiegando come l'Italia e il suo disfunzionale sistema politico siano diventati elementi centrali: ''The big problem is that Italy, with its dysfunctional politics and nearly €2 trillion, or around $2.8 trillion, in outstanding debt, has supplanted Greece as the biggest threat to European banks and the biggest source of investor anxiety''.
  • Cosa dice l'accordo a livello europeo che tanta euforia ha generato nelle borse? Forse meno di quello che la gente ha capito, spiega Daniel Gros su vox.eu. Sul punto vale anche la pena di leggere Mario Seminerio, qui e qui.
  • È ragionevole attendersi che, per la presenza di costi fissi, regioni più piccole abbiano un più basso rapporto popolazione/consiglieri regionali. Su La Voce, Massimo Bordignon segnala però che tale rapporto varia tra le regioni italiane senza alcuna particolare logica.
  • È un po' di tempo che sulla blogosfera economico-politica statunitense si è aperta una discussione sulla piccola impresa italiana. Devo dire che non ho trovato grossi elementi di novità, ma è comunque un fatto degno di interesse.
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Commenti

Ci sono 44 commenti

Io non ho capito, ma proprio non ho capito niente di questa riduzione del 50% del valore facciale dei titoli di stato greci.

Cosa vuol dire?

molte banche rinunceranno volontariamente al 50% del loro credito verso la grecia. altri investitori, non sensibili alla volontà dei governi, si aspettano a scadenza il rimborso al 100%.

le banche lo fanno perchè è una proposta che non si può rifiutare, stante le loro urgenti necessità di ricapitalizzazione, indipendentemente dai titoli greci. a queste allora più o meno provvederanno i governi.

''chissá che istema elettorale usano''

Ovviamente di può uniformare abbassando le tasse su quelli che pagno di più oppure alzando le tasse su quelli che pagano meno.

 

Gros, non Gris

Vabbè, allora mi ci metto pure io :-P

Massimo Bordignon segnale però che tale rapportoi

 

premesso che non sono del mestiere ma seguo il blog per pura cultura personale mi spiegate qual'e' il nesso tra crisi del debito e banche? Comprendo l'indebitamento statale ma come e perche' la crisi si riflette sulle banche che invece "dovrebbero" essere private ?

 

qual'e' il nesso tra crisi del debito e banche?

 

perchè tutte detengono una grande quantità di titoli del debito sovrano domestico, che adesso andrebbe svalutato deprimendo il patrimonio, e ciò  renderebbe indispensabile ampie ricapitalizzazioni delle stesse. per unicredit, si parla del terzo aumento di capitale in tre anni  e tutti imponenti.

 

Se se la sentono di prendere dei rischi, le banche prestano a imprenditori, artigiani, ecc.; se invece pereferiscono dormire tranquilli investono in titoli di stato (nazionali o di altri paesi dell'eurozona) che sono considerati piu sicuri dei prestiti ai privati...

Le banche greche, per esempio detengono quantita molto importanti di titoli di stato greci, se il 50% di questi non viene rimborsato sono guai grossi.

[commento incrociatosi con quello di Dragonfly].

 

Bisogna considerare anche una cosa. Le banche hanno dei requisiti a livello di capitale un po' diversi da quelli di una società normale perché se una banca fallisse, a causa della sua funzione di facilitatore degli scambi commerciali, farebbe mediamente più danni del fallimento di una società normale.

Per questi motivi gli accordi di Basilea richiedono che le banche abbiano una certa quantità di capitale e che questo abbia un certo livello di rischio. Non voglio entrare nei dettagli su come si calcolano questi requisiti sia perché noiosi sia perché ammetto di non capirli perfettamente però sostanzialmente puoi immaginare che la banca ha, oltre al denaro che i clienti gli depositano e che costituisce un debito, un certo capitale proprio derivato dal capitale fornito dagli azionisti più tutti i profitti passati non ridistribuiti come dividendi. Questo capitale, insieme a denaro preso in prestito (e.g: obbligazioni) ed ai depositi viene investito dalla banca sostanzialmente per guadagnarci; ovviamente questi investimenti hanno un certo livello di rischio e compito delle banche è di diversificare tra investimenti più o meno rischiosi al fine di avere un livello di rischio globale non eccessivo. Per questa ragione le banche sono tra i principali acquirenti di debito pubblico, perché questo è percepito come meno rischioso rispetto al prestito ad aziende o privati.

Il default greco (di questo si tratta alla fine) non dovrebbe essere un problema troppo grave in linea di principio in quanto le dimensioni in termini assoluti dovrebbero essere ridotte, banche con forti esposizioni dovrebbero aver comunque avuto tempo di ridurre l'esposizione o di accumulare riserve per compensare le perdite etc etc... Nel contesto attuale però, dove il debito italiano e spagnolo è più rischioso che in passato aumentando quindi il livello di rischio complessivo, l'economia è in recessione quindi anche i profitti delle banche calano, registrare una perdita sul debito greco significa ridurre la propria quota di capitale proprio mentre si ha un fattore di rischio in crescita. Per far fronte a ciò è intuitivamente comprensibile che sia necessario un aumento di capitale.

Spero di essermi spiegato.

... grazie per le coincise e chiare spiegazioni. La cosa che mi ha sempre fuorviato sul tema e sul rapporto tra benche e debito sono state le parole spese dai "banchieri" per annunciare la perfetta tenuta del sistema. Se la relazione è così forte e chiara, stante il default italiano, anche le banche avrebbero dovuto urlare di paura.

 

Un'altra nota. Sul Corriere di oggi si parla ancora di rischio Grecia, evidentemente le testate italiane hanno un pudore tutto loro che gli impedisce di chiarire ai propri lettori che il problema è proprio (ahinoi) l'Italia come chiaramente spiega l'articolo estero consigliato in rassegna.

anche io mi accodo: benche = banche

Hai perfettamente ragione.

Da due anni a questa parte l'elefante nel negozio di porcellana è l'Italia. Per questo, anche solo per questo, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti verranno ricordati, nella storia, come due dei più grandi criminali che la politica abbia mai generato.

Grazie per i commenti.

Due risposte. 1) Quel post immagina una offerta rigida per semplicità di esposizione. Immagino che anche il più lento tra i lettori capisca che quando il salario diventasse troppo basso qualche disoccupato in più ci sarebbe. La cosa che mi premeva spiegare è che date le condizioni del mercato d.l. precario la tassazione - comunque la si voglia definire nominalmente - viene  pagata dai lavoratori.

2) Per info, con Italia Futura  è almeno un anno che proponiamo il concetto che per avvantaggiare il lavoro a tempo indeterminato esso va reso più economico, ad esempio usando tutti i proventi del recupero dell'evasione fiscale per ridurre il cuneo, anzichè buttarli nel calderone.

Mi permetto una domanda sul punto di renderlo più economico. In teoria se si riducesse il cuneo fiscale il prezzo di equilibrio tra domanda ed offerta andrebbe ad abbassarsi (il salario comunque aumenterebbe) e la quantità di lavoro precario offerto e praticato andrebbe ad aumentare. Questo in linea teorica andrebbe a modificare la curva di domanda ed offerta del lavoro T.I. a causa della cross-price elasticity. Non è questo effetto negativo in termini di well-fare globale? O detto in altri termini, sono state calcolate le curve di domanda ed offerta per lavoro precario e non considerando anche gli effetti cross tra le due categorie (intuitivamente lavoro T.I. e precario sono beni sostituibili anche se non perfettamente, quindi mi aspetto effetti cross) per selezionare la strategia migliore? 

Purtroppo nei due articoli consigliati su Italia Futura consigliati nei commenti sul Post non trovo questi numeri necessari per fare un'analisi quantitativa delle policy.

Ciao Marco, grazie per l'intervento. Sì, hai fatto bene a porre l'accento sul fatto che l'aumento della tassazione del lavoro precario verrebbe pagata principalmente dai lavoratori. Non sono esperto delle stime dell'elasticità dell'offerta di lavoro, ma credo che in realtà l'offerta sia abbastanza elastica a livelli bassi. Per essere chiari, il problema non è che un abbassamento dei salari causerebbe più disoccupazione, quanto che causerebbe una fuoriuscita dalla forza lavoro delle componenti più marginali. Son contento di sapere che Italia Futura propone l'abbassamento della tassazione del lavoro a tempo indeterminato. Siamo allora almeno in due :-)

E' possibile trovare in rete, nel sito di una qualche istituzione, la serie temporale del dato di economia sommersa per i paesi avanzati (es. OCSE-OECD)?

Io non ho trovato dei dati "ufficiali" di questo tipo.  Nella documentazione Euorstat c'e' scritto che, nonostante esistano raccomandazioni per standard uniformi, di fatto ogni Stato usa metodi diversi per stimare il sommerso, e probabilmente per questo motivo non esistono che io sappia dati Eurostat per il sommerso (ma esistono per il PIL, che include il sommerso!). A livello mondiale esiste anche meno di quanto esiste a livello eurostat. Le stime piu' aggiornate che io conosca sono quelle di Schneider et al., che hanno il vantaggio di essere fatte con metodo uniforme per molti Stati, e arrivano ad anni relativamente recenti. Schneider ha anche scritto in collaborazione con un italiano approfondendo specificamente il sommerso italiano. Link ne esistono a profusione in nFA, sia nei miei interventi che in altri, l'ultimo link in un recente post di letture del fine settimana se ricordo bene.

Si e parlato poco di Christopher Sims, il recente co-vincitore del Nobel.

Segnalo un suo recente intervento (2011/10/24) su i problemi del debito nell'Eurozona. In breve ritiene che ci siano stati dei punti deboli nel progetto dell'euro fin dall'inizio e che sarebbero necessarie grosse modifiche al sistema (per quanto difficile questo possa essere).