L'invasione straniera

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In cui si parla della vita in un paese dove un abitante su cinque è straniero. 

nFA si è occupata spesso dell'immigrazione, come del resto è naturale, dato che rappresenta uno dei fenomeni sociali più interessanti e potenzialmente innovatori che l'Italia sta vivendo. Nonostante i flussi migratori siano relativamente recenti, sono anche notevolmente accelerati e quindi stanno rapidamente modificando la società italiana.

Lasciando a chi ha più competenza di me la valutazione delle conseguenze macreconomiche dell'arrivo (per ora) di più di tre milioni di persone, voglio parlare dei "minimi sistemi" e portare alla attenzione dei miei dieci lettori la mia esperienza quotidiana di vita e lavoro in un paese con il 20% di immigrati.

La città dove vivo si chiama Porto Recanati e non è certo una metropoli, dato che conta appena 11.000 abitanti, secondo gli ultimi dati Istat. Ha però una particolarità che la fa diventare una finestra sul futuro italiano: gli stranieri sono poco meno del 20% della popolazione: 2.069 residenti ufficiali all'1.1.2007, senza considerare ovviamente i clandestini.

Questo dato, fa entrare di diritto PR nella top ten dei comuni italiani con la maggior percentuale di popolazione straniera, in rapporto alla popolazione residente e la rende un interessante laboratorio per tutte le questioni connesse alla convivenza ed integrazione con gli stranieri ed alla probabile/possibile evoluzione della società italiana.

Al bar dove faccio colazione al mattino vengo servito da bariste rumene, cubane o brasiliane; tra le agenzie immobiliari attive in paese, due sono di proprietà di rumene, un'altra ha il titolare cubano; il brodetto viene comunemente cucinato da cuoche tunisine mentre muratori macedoni e albanesi costruiscono le case; una buona metà degli ambulanti al mercato settimanale è cinese, pakistano o del Bangla Desh, tanto che passeggiando il mese scorso per il mercato di Brick Lane a Londra mi sembrava di essere a casa e, ciliegina sulla torta, per molto tempo uno dei parroci che dicevano messa in una delle due parrocchie del paese è stato un colombiano.

Nella scuola elementare e media il numero di bambini stranieri sfiora  il 25%, anche qui ponendo PR ai primi posti della classifica nazionale.

Una così alta percentuale di stranieri dovrebbe generare, secondo l'attuale comune sentire, un diffuso senso di insicurezza e di malessere sociale, dovrebbero apparire cartelli con l'invito ad emigrare in altre lande e lamentele simili.

In realtà, sebbene il tasso di criminalità sia più alto di quello medio provinciale (di suo però abbastanza basso) non si assiste a fenomeni di degrado, spaccio diffuso di droga o violenza, nè, da parte degli abitanti, ci sono manifestazioni di diffusa intolleranza, se non dei banali mugugni da bar (per ora).

Il paese (con tutti i limiti legati all'essere comunque un piccolo centro di provincia) ha una vivace economia turistica e terziaria,  si sono aperti nuovi locali, negozi, banche, bar e ristoranti, le domeniche e per tutta l'estate il corso principale e il lungomare sono affollati di turisti e gente che viene dall'interno semplicemente per farsi qui una passeggiata.

Una prova indiretta la si ritrova nelle  quotazioni immobiliari, che pongono PR ai primi posti della provincia per valori al metro quadrato: una così alta concentrazione di stranieri non ha impedito, infatti, negli ultimi dieci anni, di far incrementare notevolmente la domanda di seconde case per uso turistico e, conseguentemente, i prezzi, mentre dall'altro lato, l'arrivo degli immigrati ha portato in alto anche le quotazioni delle case di minor pregio, che in passato erano finite del tutto fuori mercato. Insomma, PR è in pieno circolo virtuoso dell'economia e se poi ciò avvenga nonostante o grazie agli immigrati stranieri è un interrogativo che dovrebbe stimolare gli economisti. 

Dal punto di vista logistico, la ragione per la quale così tanti stranieri hanno finito per risiedere qui ha un nome e si chiama "Hotel House", vale a dire  uno di quei tanti deliri urbanistici che gli anni 60 e 70 hanno lasciato in eredità alle attuali generazioni. Si tratta di un fabbricato di 450 appartamenti e 18 piani dove vivono più di 2000 persone, di cui non più di un centinaio italiane.

Inaugurato in pompa magna da ministri e uomini politici, doveva rappresentare, nelle intenzioni degli amministratori locali che ne autorizzarono la costruzione, la nuova frontiera del turismo e dello sviluppo. Nei fatti, dopo pochi anni, si rivelò un casermone ingestibile, isolato alla periferia del paese, disabitato nei mesi invernali o, al più, popolato da figure equivoche ed ai limiti della legalità.

Passato l'entusiasmo dei primi acquirenti, le quotazioni degli appartamenti presero a crollare sino ad arrivare, a cavallo tra la fine degli '80 i primi anni '90, a cifre irrisorie per un immobile (25-30milioni di lire per abitazione), innescando un circolo vizioso per il quale nessuno era disposto a comprar casa e tutti erano solo volenterosi di disfarsene. Il picco negativo dei valori immobiliari coincise con l'arrivo dei primi immigrati ai quali, in un esempio da manuale di funzionamento della legge della domanda e dell'offerta, il mercato mise a disposizione un buon numero di case a buon prezzo, capaci di soddisfare la loro domanda crescente di abitazioni.

La medesima legge della domanda ha poi fatto sì che, dapprima lentamente e più rapidamente poi, anche i prezzi abbiano cominciato a risalire  consentendo ricche plusvalenze a chi aveva comprato quando l'orso imperava e permettendo a chi non aveva voluto vendere all'epoca delle vacche magre, di portare a casa un po' di soldi, magari reinvestiti nell'acquisto di altre case di maggior pregio.

Non appena in possesso di un reddito adeguato, infatti, gli immigrati hanno iniziato a comprare le case dove prima pagavano affitti elevati, sostituendo al canone di locazione la rata del mutuo ed il mercato ha funzionato, mettendo a disposizione case a prezzi che - sebbene in crescita - erano e sono tuttora notevolmente più bassi di quelli comuni. Se è vero poi che gli immigrati occupano spesso (soprattutto appena arrivano in Italia) la fascia bassa del mercato del lavoro, non sono tutti badanti, lavapiatti, camerieri e giardinieri: molti di loro sono parte integrante della "classe operaia" ed hanno un reddito certo e non precario, sufficiente per accedere al credito bancario e comprarsi casa. Molti poi, come è economicamente naturale, appena possono, fanno il salto di qualità e migliorano le proprie condizioni di lavoro.

Il fatto poi che non ci sia una comunità prevalente, ma un mosaico di nazionalità, fa sì che ci sia anche una forzata integrazione reciproca per la quale nel giro di poco più di dieci anni questo vero e proprio quartiere verticale è diventato la casa di senegalesi, pakistani, albanesi, bengalesi, nigeriani, marocchini, tunisini e quant'altro, in un vero melting pot di etnie e religioni, in cui l'unica cosa comune tra tutti i suoi abitanti è la lingua italiana, che i residenti usano per comunicare tra loro, in cui i bambini  parlano arabo, urdu o bengali con i propri genitori ed italiano quando si ritrovano sul bus che li porta a scuola.

La sua particolare collocazione, situato com'è alla periferia del paese, ha consentito di risolvere ipocritamente e praticamente (per noi "italiani") la questione della presenza di così tanti stranieri che, di fatto, vivono in un'isola autonoma e distante dal paese vero e proprio, con ciò contribuendo a far calare il sentimento di "(op)pressione da straniero", che con un 20% di "ospiti" qualsiasi comunità inizierebbe a sentire. 

E' poi una collocazione ideale per le forze di polizia, che quando devono fare controlli sull'immigrazione clandestina o sullo spaccio di droga, vanno a colpo sicuro, certe di trovare comunque qualcuno non in regola. E' evidente che il passo da "isola" a "ghetto" può essere molto breve e la banlieu parigina è lì a ricordarcelo. Insomma, ciò che si riuscirà a fare dell'Hotel House può essere sintomatico di quel che si riuscirà a fare dell'immigrazione in generale.

L'immigrazione, cioè, può essere vista solo come una fonte di manodopera da tenere distante e sotto controllo di polizia e da far vedere e sentire il meno possibile o si può prendere atto, realisticamente, che non si tratta di un fenomeno che passerà tra pochi anni, ma che è strutturale ed è destinato a cambiare l'Italia, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi (che sono molti comunque).

In realtà, questi segnali sono ben visibili qui a PR. Intanto, molti dei primi acquirenti dell'HH, avendo nel frattempo migliorato il proprio reddito, iniziano a vendere per comprare appartamenti in zone migliori e di maggior qualità, dando inizio al primo (minuscolo per ora) nucleo di classe media immigrata, aumentano i matrimoni misti, aumentano gli immigrati che si mettono in proprio e danno vita ad attività imprenditoriali o costituiscono società, nascono associazioni culturali, si intrecciano cioè relazioni che vanno ben al di là della figura del lavoratore-ospite che tanto piacerebbe a certi italiani.

Intendiamoci, niente di nuovo sotto il sole, dato che, in qualsiasi tempo ed in qualsiasi luogo, è così che funzionano le migrazioni.

 

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Commenti

Ci sono 2 commenti

Bell'articolo.

Speriamo che l'Italia in futuro possa essere in grado di cogliere i lati positivi dell'Immigrazione, che sono tanti e secondo me sono più di quelli negativi se ci mettiamo in testa di fare le cose per bene. 

 

 

Al bar dove faccio colazione al mattino vengo servito da bariste rumene, cubane o brasiliane

 

Ecco perchè hai deciso di vivere proprio lì.... ;)