Ma proprio mai ...

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Una piccola diatriba estiva, con un paio d'implicazioni non estive.

La lettera di Roberta De Monticelli, che apre il caso, e gli altri elementi della diatriba.

A me sembra che:

1) La De Monticelli abbia ragione da vendere: quanto sostiene non è nemmeno da discutere, sempre che i criteri siano quelli della deontologia professionale dell'accademia internazionale. In particolare, vorrei sottolineare questa frase:

 

«Chiedere a lei e non a uno degli altri quattro neolaureati se poteva nascere una facoltà di Economia sul pensiero dell'autore sul quale verteva la sua tesi, davanti al presidente del Consiglio, conteneva un'implicita richiesta di finanziamento. E Barbara Berlusconi, che magari potrebbe anche diventare una grande economista, gli ha risposto di sì».

 

Un episodio del genere non potrebbe accadere in alcuna istituzione, privata o pubblica, del paese dove lavoro o dei paesi nei quali la dignità accademica viene presa sul serio. Nessun presidente o chancellor o rector si sognerebbe mai d'assumere un simile comportamento pubblico e, se lo facesse, dovrebbe dimettersi il giorno dopo su richiesta del corpo docente. Ora questo al San Raffaele non succederà perché, in classico stile italiota, il signor Verzé è padre e padrone dell'istituzione - ossia, Cacciari è pro-rettore: perché il rettore a vita è Verzé; vicario: perché sino all'altro giorno ne avevano un altro. Il signor Verzé gode di tale assoluto potere per grazia ricevuta e volontà di dio e dei suoi rappresentanti italici - fra cui oggi spicca BS come un tempo spiccava Craxi.

2) Al momento Roberta De Monticelli sembra essere l'unica docente del San Raffaele che abbia avuto il coraggio di stigmatizzare pubblicamente un tale comportamento. L'omertà accademica italiana continua e si fa ogni giorno più pesante, ogni giorno più triste, ogni giorno più dannosa.

3) La risposta di Massimo Cacciari e Michele Di Francesco alla De Monticelli è sia non dovuta, che insufficiente, che ipocrita.

È non dovuta, perché un docente ha tutto il diritto di dire ciò che vuole, incluso criticare l'istituzione per cui lavora, senza che le "autorità preposte" emettano un comunicato stampa ad ogni dichiarazione critica. Se così non fosse i presidenti ed i chancellors delle grandi università USA passerebbero le loro giornate a confezionare comunicati stampa. Anzi, comunicati stampa di questo tipo denotano un certo cattivo gusto ed una coda di paglia particolarmente secca. Quasi già in fiamme, direi, a giudicare dal tono della missiva e dalle parole di scomunica che essa contiene nei confronti dell'eretica.

È insufficiente, perché la lettera della De Monticelli menzionava solo marginalmente la lode attaccata al 110 mentre si concentrava, giustamente, sul trattamento differenziale riservato alla signora Berlusconi e sulle umilianti parole pronunciate dal rettore. Su questi temi la risposta di Cacciari e Di Francesco glissa, menzionando un atteggiamento "paterno" (come in "paternalismo", per caso?) del rettore verso gli studenti. Forse che il medesimo Verzé assiste a tutte le sedute di laurea e chiede a tutti coloro che si laureano al triennale con 110 e lode se sarà possibile un giorno finanziare (oops, far nascere) una facoltà di economia al San Raffaele? Suvvia, signori, siamo seri!

È ipocrita, perché è una lettera servile e lo è in tutte le direzioni sbagliate. È servile nei confronti del padre-padrone (quello, appunto, con l'atteggiamento "paterno": ma non è prete?) dell'università di cui sono dipendenti: ma come si fa? Lo è nei confronti della signora Berlusconi e, ovviamente, del di lei signor padre (che dovrebbe avere il buon gusto d'evitare che le lauree della sua prole si trasformassero in palcoscenici per il suo parlare a vanvera, mettendo in secondo piano gli ALTRI studenti che pure si laureano in quell'occasione e che, pur figli d'un padre minore, hanno diritto ai loro tre minuti al sole) che un giorno o l'altro, o ben come Primo Ministro o ben privatamente, il favore al San Raffaele lo fa. [Su quest'ultimo punto, guai a chi se ne esce con affermazioni inconsulte sulle università USA che fanno fund raising: lo fanno, eccome, e contribuisco io stesso a quello della mia. Ma, appunto, facendo estrema attenzione ad evitare squallori di questo tipo!]

Ma l'ipocrisia del testo di Cacciari e Di Francesco è accentuata da quel riferimento finale alla santità dei concorsi, vero baluardo dell'università italiana e garanzia dell'alta qualità scientifica dei docenti che nella medesima insegnano: ma chi volete gabbare?

A questo punto due righe aggiuntive, che spiegano il titolo. Si, perché uno dei due firmatari della non dovuta, insufficiente ed ipocrita scomunica di Roberta De Monticelli si chiama Cacciari Massimo, fu sindaco di Venezia, esponente visibile del PD ed ora leader di un altro movimento ancora.

Una lettera del genere prova solo che non c'è speranza alcuna perché, firmandola, Massimo Cacciari dimostra di non aver proprio capito che:

- il "paternalismo" non è una cosa buona ma dannosa ed antiliberale;

- la dignità ed indipendenza accademica non sono finzioni retoriche, ma realtà che o si proteggono rigidamente o muoiono rapidamente;

- il servilismo verso i potenti, siano essi novantenni preti potenti o potenti signori non ancora novantenni, non è valore scarso nel nostro paese.

Se si vuole provare a fare dell'Italia una democrazia liberale normale, il paternalismo ed il servilismo vanno massacrati, non incentivati. E la libertà accademica va protetta, non "rigettata con forza".

In altre parole, caro Massimo, fossi in te io di quella lettera mi vergognerei e chiederei pubblicamente scusa a Roberta De Monticelli che ha fatto, da sola, il proprio dovere. Dovere che tutti gli altri docenti del San Raffaele, pro-rettore vicario in testa, hanno invece omesso di fare.

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Commenti

Ci sono 37 commenti

Suggerisco di guardare il video qui, alla fine quando Barbara dice (traduco) che se papa' le compra la facolta' allora si' continua a studiare.  por bambin, direbbe mia nonna. 

 

Io veramente ho trovato questa vicenda ricchissima di utili informazioni: dove NON andare a studiare economia, quali filosofi NON ascoltare etc. Grazie Barbara.

A me in tutta questa storia chi piu’ mi fa schifo e’ Cacciari, mi mette tristezza e sconforto vederlo trasformarsi in replicante di Bondi.

 

PS: Probabilmente un refuso “non è valore scarso nel nostro paese” dovrebbe essere “non è un fattore scarso nel nostro paese”

 

Probabilmente un refuso “non è valore scarso nel nostro paese” dovrebbe essere “non è un fattore scarso nel nostro paese”.

 

Senza dubbio fattore scarso non è, ma io intendevo proprio "valore".

Perché, capisci, quando si scrivono cose di questo tipo, o si pubblicano i comunicati del padrone prima ancora che questi li emetta, il servilismo s'è trasformato in "valore", sia d'uso che di scambio.

Per quei prof tra i redattori ed i lettori che siedono in qualche admission committee,

se nella prossima application season vi arriva sul tavolo il pacchetto di Berlusconi Barbara (con tanto di lettere di Don Verzè, Renato "Sveriges Riksbank" Brunetta e Giulio Tremonti), promettete solennemente di valutarla con equanimità (-:

Con una laurea triennale manco la lettera del Papa,.... che probabilmente non faticherebbe ad avere, del resto. 

buongiorno a tutti, sono testè iscritta. non amo parlare di me per cui riferisco un caso di persona che conosco.

Una laureata con 110 e lode in Cosmologia, partendo dalla media del 28.5, con tesi sperimentale di un anno.

Adesso programma database, dato che non ha paparino che può comprare Cacciari, neanche in periodo di saldi.

Come tutti i suoi colleghi, COMPRESA un'allieva del Cacciari, laureata in Architettura con tesi in Estetica e con due diplomi al conservatorio - ora insegna educazione artistica alle medie.
Gli esempi potrebbero andare avanti a raffica, eppure io la vedrei, questo architetto spiantato e quella astrofisica fallita, davanti a Cacciari con il loro curriculum e una mazza da baseball in mano.

Digli di lasciare a casa la mazza da baseball.

Sia la lettera di Cacciari e De Francesco, sia le parole di altri personaggi raccontate dall'articolo del Corriere http://www.corriere.it/cronache/10_luglio_22/laurea-barbara-berlusconi-polemica-prof_ed341a34-9550-11df-91c3-00144f02aabe.shtml?fr=correlati di tutto parlano meno che della questione sollevata dalla Prof De Monticelli. Ma don Verzè è fatto così!!! Non c'è giorno senza doversi rammaricare per la discesa verso il basso.

Don Verzé chi?

Ah l'amico di Vendola.

Nel 1931 ai docenti universitari venne imposto il giuramento di fedeltà al fascismo. 

Giocando d'anticipo, qui ci troviamo di fronte ad un asservimento profilattico. Bravi.

La De Monticelli scrive oggi un articolo per il Fatto Quotidiano, ma su temi più generali dell'Università e del merito. Bell'articolo.

RR

Sono d'accordo su tutto... tranne che sulla citazione del libro di Viroli...quel libro è letteralmente agghiacciante.

Uno che scrive che in Italia:

«la libertà dei cittadini è del tutto impossibile per la semplice ragione che le persone che hanno i necessari requisiti morali e intellettuali sono pochi»

 

per me non è un teorico della politica, e solo un moralista che non mi offre alcuna categoria analitica seria per poter comprendere la situazione italiana.

Aggiungo che tutto il libro è una tirata contro il berlusconismo che avrebbe rincoglionito tutti e tutto con la televisione, ecc ecc ecc ecc. 

Princeton è un gran posto eh...però a volte certa gente...

Marco, sul libro di Viroli ritornerò presto. Il mio giudizio è diverso dal tuo, quel libro contiene parecchia verità, solo che di parziale verità basata su un'analisi insufficiente ed auto-censurata si tratta.

Un po' OT, ma visto che si parla di servilismo è opportuno segnalare l'ennesimo intervento di Maurizio Lupi, detto Mickey Mouse. Ai candidati PdL recalcitranti, il buon Lupi ricorda

 

Tutti si ricordino - ha detto ancora Lupi - che senza Berlusconi non sarebbero stati in Parlamento

 

Bacino l'anello quindi, e non rompano. Solo chi ha completamente interiorizzato la sua condizione di servo riesce a dire cose simili in totale scioltezza, senza che la coscienza sollevi il più flebile lamento. Bravo Lupi, ma non abbassare la guardia. C'è sempre qualcuno che riesce a essere ancora più servo e cerca di fregarti il posto.

Ma non si parla di "assenza di vincolo di mandato"? Frasi del genere sono incredibili. Però sono un buon segno: vuol dire che la confusione sotto il cielo, scusate: il cesso è grande. 

Tra l'altro non vedo molto in giro Ghedini...anche questo è preoccupante...

Michele, hai intenzione di tornare in Italia? ...Vedo che scrivi

non è valore scarso nel nostro paese.

:-)  Mi fa comunque piacere vedere scritto quel "nostro".

E' un mondo che sta andando all'incontrario, dove non c'e' piu' nemmeno la vergogna. Probabilmente c'e' pure un certo grado di ignoranza dovuta al fatto che certa gente ha perso completamente il contatto con il mondo reale e la ragione. Chi dichiara che non sa chi gli ha comprato casa, o altri che si sono auto-convinti di essere i salvatori....

Mi ricorda tanto la frase comunemente (ma non correttamente) attribuita alla regina di Francia Maria Antonietta, quando il programma economico del ministro delle finanze Jacques Turgot creò forti proteste e scoppiò una sommossa che venne chiamata "guerra della farina". In questa occasione Maria Antonietta avrebbe detto: «Se non hanno pane, che mangino brioches!».

E' un mondo che sta andando all'incontrario, dove non c'e' piu' nemmeno la vergogna.

Io aggiungerei questo www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/24/dottor-roberto-scarpinato-come-nuovo/43628/

La figlia del premier Silvio Berlusconi ha fatto una tesi di Laurea su Amartya K. Sen.

La scelta non è malvagia perché Sen è un pensatore che sostiene in modo convincente che l’idea soffocante ed assertiva d’identità culturale (io direi compresa quella italiana), come qualcosa le cui tracce incontestabili debbano essere avvertite e verificate rappresenta una minaccia considerevole al diritto di individui responsabili di vivere la propria identità ed auto-espressione con senso di libertà.

Troppo spesso, A. K. Sen suggerisce, le complesse stratificazioni ed instabilità generate da identità ibride, originali e creative sono compresse e mortificate attraverso l’imposizione forzata di rappresentazioni pregiudizialmente sbilanciate.

Non mi sembra accettabile che individui autonomi vengano inequivocabilmente classificati come membri di una «civiltà» o «cultura» italiane definite nelle loro qualità morali, poiché ciò si accompagna al presentimento, che presto diviene certezza, che una simile classificazione meccanica non solo è una forma di non-scelta e assoggettamento, ma anche, più semplicemente, una illusione.

E’ il caso di soffermarsi a riflettere sul fatto che la diversità culturale italiana rappresentata come familista e amorale non possiede un valore intrinseco.

La questione della priorità e del peso da assegnare alla propria identità, inclusa l'identità culturale italiana dovrebbero essere il risultato di una scelta individuale, razionale e libera piuttosto che il risultato dell’obbedienza ad un segno del destino o il mero riconoscimento di un imperativo stabilito dai politologi di turno o da giornalisti indignati per professione.

In breve, l’identità culturale italiana definita negativamente non dovrebbe precedere l’autonomia della ragione. Nel potenziale conflitto fra ragione e identità culturale, sia essa morale o amorale, la razionalità deve precedere l’identità.

Spesso, l’unicità culturale dell'Italia è celebrata ed enfatizzata come se fosse una scoperta fondazionale, quasi un obbligo che non richiede riflessione e rigoroso esame.

E’ il caso di riaffermare il ben noto argomento secondo cui la riflessione e la comprensione sono una questione d’importanza ultima e capitale per l’essere umano. Ragionamento, investigazione e scrutinio non possono che essere centrali nella (e alla) vita umana.  

Infatti, come rilevato da A. K. Sen “numerose pratiche del passato ed identità assunte come date si sono sgretolate a seguito di interrogazione e scrutinio. Le tradizioni possono cambiare, persino all’interno di una particolare cultura o Paese”. Inclusa la cultura del familismo amorale in Italia, presentata gattopardescamente con sfiducia e rassegnazione come un marchio incancellabile e immodificabile della Storia.

Non è sorprendente, allora, che aspetti culturali di diversa provenienza si trovino liberamente mescolati in modi ironici, polifonici e molteplici all’interno dello stesso individuo, il quale è pienamente capace di partecipare, in ogni momento, in più di una “cultura” allo stesso tempo.

Nelle parole di A. K. Sen, una:

«persona può avere simultaneamente una identità in quanto Italiana, donna, femminista, vegetariana, romanziere, conservatrice fiscale, jazz fan, e londinese. La possibilità di tali identità multiple è abbastanza ovvia, e la loro rilevanza dipendente dal loro contesto non è meno evidente. Se questa stessa persona è coinvolta nella promozione di jazz classico in tutto il mondo la sua identità come amante di jazz potrebbe essere più rilevante della sua identità come londinese, la quale tuttavia potrebbe essere cruciale quando muove delle critiche al modo in cui è organizzato il trasporto a Londra.

A questo punto si potrebbe aggiungere che l’idea di appartenere al consorzio umano in senso ampio è di gran lunga molto più significativa dell’attaccamento ad una «cultura nazionale» che, essendo ontologicamente data, restringe e costringe i margini di scelta sostanziale e di auto-determinazione dei suoi membri.

L’identità culturale nazionale può essere la prigione, il sepolcro della soggettività.

I filtri di una «cultura nazionale» possono specificare alcune caratteristiche dell’identità ma, allo stesso tempo, essi possono anche avere un ruolo preminente nel soffocare la varietà di soluzioni comportamentali ed interazioni possibili fra gli esseri umani.

Seguendo un simile percorso argomentativo, Anthony K. Appiah   rileva il pericolo tirannico, repressivo ed oppressivo implicito nell’enfatizzare una sola dimensione dell’identità (i.e. familismo amorale italiano):

«[n]el controllare questo imperialismo dell’identità – un imperialismo visibile nelle identità razziali quanto altrove – è cruciale ricordare sempre che noi non siamo semplicemente bianchi o neri o gialli o bruni, gay o eterosessuali o bisessuali, ebrei, cristiani, musulmani, buddisti o seguaci di Confucio ma siamo anche fratelli e sorelle; genitori e figli; liberali, conservatori e progressisti; insegnanti e avvocati e operai d’auto e giardinieri; tifosi dei Padres and the Bruins; amatori di grunge rock ed amanti di Wagner; esperti di film; MTV-dipendenti, lettori di gialli; surfers e cantanti; poeti e amanti degli animali; studenti e insegnanti; amici e amanti. L’identità razziale può essere la base della resistenza al razzismo – e sebbene il nostro progresso sia stato grande, abbiamo ancora molto da fare – non lasciamo che le nostre identità razziali ci assoggettino a nuove tirannie» (corsivo mio).

E’ sullo sfondo di questi rilievi che, secondo me, dovremmo guardare alla questione dell’identità culturale italiana.

Il gruppo culturale al quale appartengo e la nazione o regione nella quale sono nato, ad esempio, potrebbero non essere importanti nel determinare le scelte reali che posso compiere riguardo i modi in cui voglio vivere e dare forma alle mie prospettive future.

Invece di mantenermi ancorato alla «cultura» del mio gruppo d’origine, potrei essere guidato da altri tipi di considerazioni, priorità e preoccupazioni.

Potrei ad esempio pensare che il mio gruppo culturale d’origine non partecipa o contribuisce al mio miglioramento personale, così come alla mia realizzazione ed auto-definizione in quanto individuo e andarmene a studiare in America.

Naturalmente un gran numero di scelte non saranno a me disponibili o persino fattibili e realizzabili.

Tuttavia ciascuno di noi gode di una sostanziale libertà e spazio di scelta, persino quando le opzioni disponibili sono ristrette e costrette da robuste limitazioni percettive.

L’identità culturale, essendo il risultato di una decisione deliberata e ben ponderata, non è riducibile a una scoperta "nazionale", per giunta amorale, indiscutibile e incontestabile.