Madamina, il catalogo è questo

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dove, prendendo spunto da Lorenzo Da Ponte, si prova a ragionare degli italiani.

Lorenzo Da Ponte è stato un personaggio eccezionale: meriterebbe un bel film hollywoodiano. Un ebreo veneto, convertito alla religione cattolica, che dopo aver girato le corti di mezza Europa, percorso un po’ di strada insieme a Casanova, scritto libretti per Mozart e Salieri, fatto l’impresario a Londra, scopre poi  l'Amerika: se ne va a vivere a New York, dove diventa il primo professore di letteratura italiana in quella che oggi è la Columbia University e muore infine cittadino americano nel 1838.

Tra le tante cose che Da Ponte ha prodotto, c’è anche la sua autobiografia che, spinto da impeto bibliofilo, ho acquistato qualche anno fa da una di quelle bancarelle che vendono libri fuori commercio. E’ stato un acquisto fortunato, perchè il libro, intitolato Memorie, oltre ad essere scritto in un italiano piacevole e per nulla appesantito dal tempo (non potrebbe essere diversamente per l’autore del Don Giovanni o di Così Fan Tutte) consente di vivere l’atmosfera quotidiana che si respirava a Venezia, in Europa e anche in America, a cavallo tra ‘700 e ‘800.

Il motivo per cui ne parlo oggi qui, non è però musicale o letterario, ma per ragionare sull’unità d’Italia e su cosa vuol dire essere italiani. Cosa ha a che fare Da Ponte con l'unità d'Italia? Non è mai stato un patriota, sotto molti aspetti è stato un cives mundi, un libertino, un vero figlio del ‘700, eppure....  Eppure c'è un passo nella sua autobiografia che ben può essere usato per discutere del concetto di  “Italia”. Nella seconda parte del suo libro, infatti, quando descrive gli anni americani e la comunità di italiani che lì viveva, Da Ponte descrive la vita di una comunità, per l'appunto, di "italiani", non di veneziani, non di milanesi, non di napoletani, ma gente accomunata da una lingua comune e da tradizioni comuni, nonostante le differenze e che egli definisce "compatrioti". Come molti espatriati, soffriva anche di nostalgia e così ce lo ritroviamo addirittura ad inciampare nell’orgoglio nazionale, facendo l’elogio ante litteram del made in Italy

"v'ebbero in ogni tempo e v'hanno ancora in Italia degli spiriti imprenditoriali, che spedirono e spediscono nelle città principali d'America (siccome nel'altre parti del mondo) prodotti, lavori e mercanzie di ogni sorte. Quasi in ogni città si trovano i vini e l'uva della Sicilia, l'olio, l'ulive e le sete di Firenze, il marmo di Carrara, le catenelle d'oro di Venezia, il cacio di Parma, i cappelli di paglia di Livorno, le corde di Roma e di Padova, i rosoli di Trieste, la salsiccia di Bologna e fino ai maccheroni di Napoli e le figurettine di Lucca" (pag. 388).

Ecco, la domanda che viene spontanea è: perché  mai questo veneto, non-patriota e libertino, sente come a lui naturalmente comuni l’uva di Sicilia e i rosoli di Trieste, il cacio di Parma e i maccheroni di Napoli ? Proverò a rispondere, precisando che, essendo tutto tranne che uno storico, so di rischiare gli spernacchiamenti degli esperti. Bring it on, dicono gli amici amerikani.

Preciso subito che non intendo celebrare la burocratica data del 17 marzo, che sancisce un fatto politico. [Se il post esce il 17 marzo è colpa di Alberto, l'editor di turno.] Non è di politica in senso stretto che voglio parlare, infatti, ma della nascita degli "italiani" o, meglio, dell'identità nazionale.
La questione è aperta, anche perchè è stata trattata solo superficialmente da alcuni pensatori minori come Guicciardini, Machiavelli, Leopardi o Gramsci.....

Scherzi a parte, con Michele Boldrin ne abbiamo discusso a lungo privatamente e anche su nFA e lui, da ultimo, ha proposto la sua tesi: gli italiani (estremizzo) sono sostanzialmente un frutto di Mussolini: sarebbe stato il duce a portare a compimento la profezia di D’Azeglio, per cui fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. Dice Michele:

l'Italia in cui noi viviamo è in buona sostanza un prodotto di Benito Mussolini e dei suoi soci e comparielli, più i preti. Il resto son dettagli scarsamente rilevanti.

Insomma gli italiani diventano “Italiani” solo grazie alla retorica fascista ed allo stato totalitario. La tesi è suggestiva e fissa la data di nascita degli “italiani” a poco meno di cento anni fa. Prima di allora le genti che abitavano il luogo geografico chiamato Italia erano “altro”, nel senso che la loro identità culturale era di carattere più locale, essenzialmente legata a realtà pre-unitarie. Questo soprattutto laddove quelle realtà avevano un vincolo identitario più forte, come nel Veneto, con la sua (decaduta) storia millenaria, oppure nello sfasciato Regno delle due Sicilie, che comunque ai Savoia si era opposto militarmente.

Senza avere la pretesa di dire nulla di originale, mi sento di dissentire o, meglio, di vedere la cosa da un altro punto di vista. Diciamo subito che il fatto che l'Italia come unità politica con leggi e regole comuni abbia solo 150 anni rende meno sorprendente le difficoltà affrontate per rendere progressivamente omogeneo (e neanche tanto) questo insieme, figlio delle diverse realtà della penisola, sul piano politico, geografico, amministrativo, legislativo e, conseguentemente, economico. Le madri e i padri di questo processo di “unificazione” sono stati molteplici, a mio avviso: la leva obbligatoria e la scuola dell’obbligo che dobbiamo alla destra e alla sinistra storica, la prima legislazione sociale, che dobbiamo a Giolitti, i morti della prima guerra mondiale, la retorica identitaria, che dobbiamo a Mussolini, la ricostruzione post 1945, il boom economico, l’emigrazione di massa sud-nord (cosa che ha fatto davvero mischiare il sangue tra le genti, con ciò unendole), la televisione.

Ma questo processo di "unificazione" non è affatto progressivo e lineare: dal punto di vista politico, si può dire che ogni momento cruciale dello stato unitario, tranne la vittoria nella prima guerra mondiale, ha avuto una parte della nazione che a quell’evento si è sentita estranea, se non nemica.
E infatti, al momento della sua proclamazione il regno d’Italia nasce contro i cattolici, i repubblicani e parte delle popolazioni del Mezzogiorno; il fascismo è una dittatura, anche se largamente popolare all'inizio; la Resistenza è anche uno scontro tra fascisti ed antifascisti (una guerra civile?), la Repubblica viene proclamata con pochi voti di scarto sulla Monarchia; il boom economico si basa anche sull’emigrazione di massa. Insomma, non abbiamo un 4 di luglio in cui tutti possiamo riconoscerci.

Ciononostante, secondo me, l'attuale versione dello stato italiano presuppone comunque una coscienza di sé degli italiani in quanto nazione, per quanto labile essa sia. La mia tesi e' che questa labile coscienza esista e non sia il frutto né del Risorgimento, né dei Savoia, né di Mussolini, né della televisione, ma che semplicemente essa si sia formata nel corso dei secoli, a partire almeno dall’alto medio-evo. Per capire cosa intendo, riprendo un episodio che risale al 1378, vale a dire l’anno del conclave che elesse Papa Urbano VI. Gregorio XI aveva riportato, dopo settant’anni, la sede  papale a Roma da Avignone ed alla sua morte, il popolo di Roma, temendo l’elezione di un nuovo Papa francese, scese nelle piazze e minacciò i cardinali al grido di

Romano lo volemo, o almanco italiano.

L’episodio (riportato da John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, p. 563) è indicativo e la frase riportata spiega, in sei parole, quanto cerco di sostenere. E' indicativo perche' a parlare, qui, non sono intellettuali, non è il Dante di  "serva Italia"“ o il Petrarca di Italia mia benchè 'l parlar sia indarno, nè i successivi Machiavelli o Guicciardini. Qui parla il popolo di Roma, che rivendica la sua identità, chiede che il Papa sia una sua espressione e ci dice che già nel Medio-Evo questi italiani erano coscientemente parte di un sottoinsieme localistico (“romano lo volemo”) all’interno di un insieme più grande (“almanco italiano”).

Vero è che questo "sentire comune" non ha avuto una evoluzione politica comune, non si è trasformato in stato unitario. Tuttavia, a mio modo di vedere, è stato rafforzato, fertilizzato e guidato da qualcosa di assolutamente peculiare e del tutto originale nel panorama storico, che ha plasmato le genti della penisola: uno stato nazionale, per secoli, non è stato sentito come necessario dagli italiani perchè c’era già una struttura giuridica, amministrativa e di potere che operava uniformemente in tutta Italia - la Chiesa Cattolica.

Il potere della chiesa, che era già presente del medio-evo, con la Controriforma, si riorganizzò rafforzando il controllo sul clero ed aumentando in maniera esponenziale la sua influenza sulla vita quotidiana delle persone. Questo controllo, la cui estensione è per noi oggi inimmaginabile, in Italia fu assai più pervasivo che non in altri paesi, tant’è che gli stati italiani finirono per trovarsi tutti, più o meno, in condizioni di sovranità limitata in molti campi della propria vita politica e sociale. Il potere ecclesiastico veniva esercitato principalmente attraverso due strumenti. Il primo era il Sant'Uffizio, istituito per

mantenere e difendere l'integrità della fede esaminare e proscrivere gli errori e le false dottrine.

In pratica, con l’inquisizione del Sant'Uffizio la chiesa aveva il potere di processare chiunque, per una serie indefinita e indeterminata di atti, poteva vietare la pubblicazione di libri, poteva controllare i comportamenti, grazie al fatto che il sacramento della confessione era stato reso obbligatorio. L'inquisizione romana, però, non è fondamentale solo per il controllo delle coscienze, ma anche e soprattutto perché questo controllo fu esercitato attraverso una organizzazione giudiziaria e burocratica strutturata in modo da non tener conto dei confini dei singoli stati in cui era divisa l'Italia, ma su una base sovrastatale, che aveva come riferimento l'intera penisola e che scavalcava le prerogative dei poteri locali.

Il secondo strumento, non era coercitivo, ma, diremmo oggi, era volto a generare il consenso. Mi riferisco alle pratiche devozionali (culto dei santi e della Madonna, pellegrinaggi, osservanza delle feste, processioni), ai predicatori, alle scuole pie e alle scuole di dottrina cristiana per il popolo e ai gesuiti per le èlite (in pratica il monopolio dell’istruzione) e, più in generale, al catechismo, che diffuso e insegnato uniformemente in tutta Italia, costituiva un vero e proprio strumento di indottrinamento delle masse

"Perché il fedele possa avvicinarsi ai sacramenti maggior reverenza e devozione, il Santo Sinodo incarica tutti i vescovi che li amministrano a spiegare i gesti e le usanze in modo che adatto alla comprensione del popolo; devono inoltre osservare che i propri parroci osservino la stessa regola con pietà e prudenza, facendo uso per le loro spiegazioni, dove necessario e conveniente, della lingua volgare; e siano conformi alle prescrizioni del Santo Sinodo nei loro insegnamenti (catechesi) per i vari Sacramenti: i vescovi devono accertarsi che tutti questi insegnamenti siano accuratamente tradotti in lingua volgare e spiegati da ogni parroco ai fedeli...".

Insomma, a partire dalla fine del ‘500 e soprattutto nel 600 e (progressivamente meno nel '700), parrocchie, catechismo, pratiche devozionali e scuole pie, ebbero in Italia quella medesima funzione che tre secoli più tardi avrebbe avuto Carosello: creare un immaginario di massa ed una cultura collettiva diffusa uniformemente, da Trieste alla Sicilia.

È in questo medesimo periodo, poi, che la chiesa, pur mantenendo la sua aspirazione universale, diventò  sempre più "italiana". Non è un caso che l’ultimo papa “straniero” prima di Wojtyla sia stato l’olandese Adriano VI nel 1522. Basta dare un’occhiata alla composizione dei conclavi che elessero i papi dal ‘500 al ‘700 (quialcuniesempi) per verificare che si trattò, all’80/90%, di un affare interno alle principali famiglie nobili d’Italia. Insomma,  quelle medesime famiglie che in qualche modo erano coinvolte nel governo dei vari stati italiani, erano anche coinvolte (con cardinali e vescovi) nella gestione di uno stato che non solo governava direttamente una porzione d’Italia, ma aveva la pretesa di guidare l’intera Cristianità e, sicuramente, il potere di intromettersi negli affari  degli altri stati della penisola. Una sorta di super-stato, che aveva il potere e la capacità di plasmare le coscienze del popolo ed il cui vertice era composto dalle medesime èlites che erano al comando a Napoli, Venezia, Milano o Firenze. Certo, in tutta Italia il Papa e la sua corte non decidevano direttamente su esercito, moneta, tasse e gli altri attributi tipici della funzione statale, ma poteva controllare le menti e i comportamenti della popolazione.

In questo contesto era dunque improbabile che nascesse uno stato politicamente unitario e, sotto molti aspetti, non era neanche necessario, dato che chi deteneva il potere a livello locale (le famiglie aristocratiche),  aveva anche una sponda nella sovrastruttura nazionale in un costante rapporto di scambio. Questo “super-stato” ha dominato l’Italia per tre secoli ed è solo quando è andato in crisi il dominio assoluto della Chiesa sulla vita quotidiana, grazie all’Illuminismo e a Napoleone, che le istanze per una differente struttura unica nazionale hanno preso vigore.
Queste istanze, però, non sono nate improvvisamente, nel deserto, sono emerse perchè alle spalle c’era un comune sentire nazionale, che trecento anni di potere papale avevano ulteriormente rafforzato e plasmato, sia pure sotto una cappa opprimente. Del resto, come stessero le cose lo aveva ben capito il principe Metternich, proprio quello de “l’Italia è un espressione geografica”.
La sua frase, infatti, è un po' più elaborata di come viene abitualmente riportata:

"La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle".

Insomma, per  il ministro austriaco era chiaro: c’era un territorio ben determinato, con una comune tradizione (la lingua); solo che, a suo parere, tutto ciò non poteva evolvere in soggetto politico. Bè, la sua prognosi era evidentemente sbagliata e oggi (per una beffa del destino) il suo palazzo di famiglia è la sede dell’ambasciata d’Italia a Vienna.

Ed infine, con questo sbaffo di retorica patriottarda che mi è scappata, chiedo scusa e la chiudo qui.

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Commenti

Ci sono 83 commenti

Post molto interessante, con cui concordo nei limiti delle mie conoscenze storiche; volevo approfondire un tema che viene solo accennato e cioè il fatto che come ogni identità, anche quella italiana nasce in contrapposizione ad altre identità nazionali e per cui era tanto più forte nelle comunità emigrate: quello che vale per gli italiani negli USA descritti da Da Ponte (ancora commercianti, prima dell'esodo di massa) valeva di sicuro anche in epoche anteriori, quando gli italiani espatriati venivano dall'esterno accomunati, magari venendo chiamati "lombardi" anche se fiorentini (quando commercianti; cfr. Boccaccio, la novella di Ser Cepparello) o "genovesi" anche se livornesi (quando mercenari). Certo, nei quartieri per stranieri di Istanbul veneziani e pisani si massacravano di botte ad ogni provocazione, e l'appartenenza comunale aveva un'importanza superiore rispetto a quella "nazionale" ma probabilmente un napoletano e un toscano nelle Fiandre o in Provenza avevano un substrato culturale e linguistico in comune già nel basso Medioevo, e sicuramente ne disponevano nel Rinascimento.

(questo non vale solo per gli italiani; l'idea di un'identità nazionale albanese, ad esempio, nasce con l'emigrazione verso il nostro paese del sedicesimo secolo di comunità che prima sentivano solo un'appartenenza di clan e che parlavano dialetti estremamente diversi tra di loro)

bello e affascinante l'affresco storico, mi hanno colpito il ruolo che viene dato alla Grande Madre Chiesa e al sentimento popolare.

Più ci penso e più mi convinco che l'Italia non esista solo da una concezione statocentrica della questione: è innegabile che dei buoni politici "italiani" non li abbiamo mai avuti, o solo raramente, di sicuro non oggi - in questa ottica ha ragione boldrin, l'ultima vera "italia" è stata quella fascista.

Ma la visione che pone lo stato come centro delle analisi internazionali non è l'unica valida, e nemmeno l'unica "politica" - se consideriamo tutti i fattori citati in questo articolo, ed altri ancora (il made in italy, sfiorato di sfuggita, ma anche il cibo, la cultura culinaria, la storia, ecc - e se pensate che queste cose non bastino a fare un popolo ed uno stato pensate agli ebrei, che si sono ritrovati come primo e hanno fondato il secondo dopo quasi 2000 anni, periodo in cui sono stati tenuti insieme dalla loro religione e dai loro pranzi pasquali, con brindisi finale "quest'anno qui, il prossimo a gerusalemme"), allora gli italiani esistono da un bel po' di secoli.

a dispetto dei politici, nostri, austriaci, e d'ogni dove.

faremmo bene a ricordarcene un po' più spesso.

Avete ragione: è il "made in" (aggiungere la provenienza desiderata per vendere più facilmente) che fa capire meglio lo scempio della secessione. Sul tema della secessione come svantaggio per l'Italia ho espresso abbastanza.

Però con il discorso del made, il tutto diventa ancora più divertente. Secondo voi, imprenditori nordici, farà più colpo mettere l'etichetta "made in Padania" rispetto al "made in italy"?

Il senatur ha aperto il concorso per decidere nome e logo definitivo?

Altra osservazione: è ovvio che in chiave concorrenza mondiale, assistere (come paesi concorrenti) alla distruzione dell'unità di un concorrente non può solo che far piacere.

Io invece lo vivo con uno strano sentimento e aggiungo che c'ho ben poca voglia di ridere

 

quelle realtà avevano un vincolo identitario più forte, come nel Veneto, con la sua (decaduta) storia millenaria

 

Non mi sembra che la storia millenaria di Venezia possa essere assimilata alla storia di un territorio come il Veneto. La storia di Venezia è la storia di un impero. Credo, ad esempio, che i sentimenti dei corfioti (parlo naturalmente della "aristocrazia") fossero, fino alla caduta di Venezia (ed oltre, persino un tantino, al tempo presente) assimilabili ai sentimenti delle stesse classi sociali di Padova, Verona o Vicenza. E' vero che i corfioti sono diventati greci, e i padovani italiani. Ma è anche vero che il patriota e poeta nazionale greco Solomòs, l'autore dell'inno nazionale greco, ha imparato il greco da adulto, e l'italiano, o forse il veneto, dai genitori a Corfù. Del resto Foscolo, pure lui nato nelle isole venete dello Ionio, è diventato invece un poeta e patriota italiano. Credo che il "Veneto" sia un'invenzione moderna, e che la storia di Venezia sia la storia di un impero, all'interno del quale convivevano diversi gruppi etnici, linguistici e religiosi, ed anche staterelli dipendenti come il "Granducato dell'Arcipelago". Venezia (non il veneto) è dapertutto in Grecia, nella lingua, nei monumenti, nei nomi e nella storia. Forse sono influenzato dalla mia assidua frequentazione della Grecia, ma credo anche dalla bellissima storia di Venezia scritta dall'americano Lane.

 

Ma è anche vero che il patriota e poeta nazionale greco Solomòs, l'autore dell'inno nazionale greco, ha imparato il greco da adulto, e l'italiano, o forse il veneto, dai genitori a Corfù

 

Il primo presidente della Grecia indipendente, un patrizio veneziano:

http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Capodistria

 

 

Non mi sembra che la storia millenaria di Venezia possa essere assimilata alla storia di un territorio come il Veneto. La storia di Venezia è la storia di un impero.

 

Non e' corretto parlare di Veneto come entita' politica millenaria, e' vero.  Tuttavia dalle dedizioni del 1300-1400 fino alla fine del 1700 c'e' stato un periodo di ~3 secoli di unione politica che gia' ai tempi della Lega di Cambrai aveva sostanzialmente reso leali al potere di Venezia le masse popolari del Veneto, poi estese fino alle province di Pordenone e Udine. Una certa lealta' alla Serenissima c'era anche a Bergamo e Brescia credo.

 

Credo che il "Veneto" sia un'invenzione moderna, e che la storia di Venezia sia la storia di un impero, all'interno del quale convivevano diversi gruppi etnici, linguistici e religiosi, ed anche staterelli dipendenti come il "Granducato dell'Arcipelago"

 

La storia di Venezia e' quella di un Impero, ma pur non avendo caratteristiche etniche col significato di oggi, esisteva nelle province venete un legame di stima, rispetto e lealta' delle masse verso la Serenissima che invece non esisteva nel resto del suo Impero, dove le masse vedevano comunque i veneziani come estranei ed invasori, anche per le irriducibili differenze tra cattolici ed ortodossi. In certi casi perfino i nobili veneziani infeudati nei possedimenti di oltremare avevano recriminazioni e desiderio di autonomia politica dalla madrepatria, ad esempio a Creta. Il legame tra veneti e Venezia e' testimoniato da fatti storici come le sollevazioni in favore di Venezia in occasione delle invasioni della Lega di Cambrai e di Napoleone. Perfino negli ultimi anni della Repubblica e' possibile leggere in Ippolito Nievo come l'onesta e relativamente efficiente amministrazione della Serenissima si guadagnava la stima delle masse popolari venete.

Lorenzo Da Ponte è stato un personaggio eccezionale: meriterebbe un bel film hollywoodiano.

Il film c'è, ed è recente, seppur non  holliwoodiano. Non l'ho visto, quindi niente giudizi, anche se magari lo vedrò, prima o poi, visto che il personaggio in questione è un mio concittadino, anche se di epoca diversa.

Grazie per il post interessante.

Da Torinese - per quanto espatriato - mi pongo sempre domande sull'italianità della mia città.

Nella lista di Da Ponte Torino e il Piemonte non figurano; Mussolini, che è citato qui per 'aver fatto gli Italiani', trovava Torino insopportabile e 'francese'. Che Torino ora sia italiana, sono sicuro - immigrazione e industrializzazione ne hanno fatto qualcosa di profondamente diverso dalla Torino aristocratica che promosse le campagne militari per 'fare l'Italia'; ma che Torino fosse considerata 'italiana' nel senso proposto dal post, e da quando, non saprei e trovo sia una domanda interessante.

Anche per le implicazioni: seguendo il post,

 

[...] era dunque improbabile che nascesse uno stato politicamente unitario e, sotto molti aspetti, non era neanche necessario, dato che chi deteneva il potere a livello locale (le famiglie aristocratiche),  aveva anche una sponda nella sovrastruttura nazionale in un costante rapporto di scambio.

 

Sembra quasi che, come in molti altri casi, l'Italianità sia un sistema che si autogoverna in maniera informale, somma di piccoli potentati, localismo + cultura comune + Chiesa, e che lo stato moderno si affermi sopra un corpo di comuni e signorie con un intervento esterno. O, a bolder claim: che molti pezzi di modernità arrivino dall'esterno, siano imposti da un vincolo estero a un sistema politico bloccato.

Mi sembra che il potere della chiesa fosse minore a Torino che altrove in Italia, almeno dopo il periodo Napoleonico, il che quadrerebbe con la tesi del post; non so tuttavia quanto la battaglia anticlericale dello stato sabaudo - vicino a casa mia a Torino, in piazza Savoia (la regione, non la dinastia) c'è un obelisco dedicato all'abolizione del foro ecclesiastico inaugurato, narra la leggenda, con riti pagani appositamente studiati - fosse una conseguenza delle mire espansionistiche verso sud, o una (con)causa.

Insomma: domani si festeggia a Torino, capitale per 5 anni di uno stato conquistato ma da cui in realtà si è stati conquistati, come Roma con la Grecia; e nel post l'italianità è tutto tranne che subalpina. E non mi pare un caso.

 

Mi sembra che il potere della chiesa fosse minore a Torino che altrove in Italia, almeno dopo il periodo Napoleonico,

 

Dopo Napoleone e' possibile, prima di Napoleone il potere politico della Chiesa era da sempre quasi azzerato nel Veneto, ed era li' al livello di gran lunga minimo di tutta Italia, ritengo.

 

Sembra quasi che, come in molti altri casi, l'Italianità sia un sistema che si autogoverna in maniera informale, somma di piccoli potentati, localismo + cultura comune + Chiesa, e che lo stato moderno si affermi sopra un corpo di comuni e signorie con un intervento esterno.

 

Esiste un interessante discorso di Niccolà Tommaseo di Sebenico durante la rivolta veneziana del 1848 in cui argomentando la sua contrarietà alla "fusione" col Piemonte, tra le motivazioni metteva proprio il fatto che il Piemonte (e i suoi governanti) fosse sicuramente il meno italiano tra gli stati italiani.

La cosa non può stupire, esiste un'altra Nazione, che ha avuto gli stessi problemi di localismo, ma al tempo stesso di sentimento nazionale comune, che è stata unificata più o meno negli stessi anni dell'Italia dallo stato della Nazione più esterno che c'era, tanto da essere formalmente considerato uno stato straniero:

http://it.wikipedia.org/wiki/Unificazione_della_Germania

 

Tratto da mobile.wikipedia:

As a political term, "Scandinavia" was first used by students agitating for [PanScandinavianism] in the 1830s. The popular usage of the term in Sweden, Denmark and Norway as a unifying concept became established in the nineteenth century through poems such as [Hans Christian Andersen] 's "I am a Scandinavian" of 1839. After a visit to Sweden, Andersen became a supporter of early political Scandinavism and in a letter describing the poem to a friend, he wrote: "All at once I understood how related the Swedes, the Danes and the Norwegians are, and with this feeling I wrote the poem immediately after my return: 'We are one people, we are called Scandinavians!'". external link[Hans Christian Andersen and Music - I am a Scandinavian] . The Royal Library of Denmark, the National Library and Copenhagen University Library. Retrieved 17 January 2007. The historic popular use is also reflected in the name chosen for the shared, multigovernmental airline, [Scandinavian Airlines System] , a carrier originally owned jointly by the governments of the three countries, along with private investors. 


 

 

Ma questo processo di "unificazione" non è affatto progressivo e lineare:dal punto di vista politico, si può dire che ogni momento cruciale dello stato unitario, tranne la vittoria nella prima guerra mondiale, ha avuto una parte della nazione che a quell’evento si è sentita estranea, se non nemica.


... 

Insomma, non abbiamo un 4 di luglio in cui tutti possiamo riconoscerci.

 

Non c'erano forse lealisti, nel periodo della guerra di indipendenza? ed il IV luglio non accomuna un popolo che ha nella sua storia una delle guerre civili più sanguinose (oltre 600.000 morti ed altrettanti feriti)? Non credo che si possa considerare la "non linearità" come un fatto anomalo, ma piuttosto come la norma.

 

Voi pensate che la differenza tra Prussiani Bavaresi e Svevi(Stutgart) oppure tra Gallesi Inglesi e Scozzesi si minore a quella tra veneti e calabresi??

 

Voi pensate che la differenza tra Prussiani Bavaresi e Svevi(Stutgart) oppure tra Gallesi Inglesi e Scozzesi si minore a quella tra veneti e calabresi??

 

Ritengo che le differenze tra Prussiani Bavaresi e Svevi siano molto inferiori a quelle tra veneti e calabresi come si potrebbe anche quantificare con indicatori socioeconomici come quelli usati da R.Putnan in "Civic traditions in modern Italy".  Tra gallesi e inglesi presumo che le differenze, oggi, siano evanescenti, e quindi inferiori, tra scozzesi e inglesi ci sono differenze significative che stimerei pero' nettamente inferiori a quelle tra veneti e calabresi, anche se mi piacerebbe vedere alcuni indicatori quantitativi per rifinire le mie stime personali.

Post interessante, ne condivido l'impostazione. Per approfondire alcuni punti, suggerisco

Ermanno Rea "La fabbrica dell'obbedienza - Il lato oscuro e complice degli italiani"

Fammi sapere, Sabino

L'ho letto io, mi piace, anche se (per ammissione dello stesso autore) è un'invettiva, uno sfogo, nulla di costruito. Comunque molto bello, di E. Rea ho molto apprezzato anche "la dismissione" sula chiusura dell'Italsider di Bagnoli e "Mistero napoletano" uno spaccato del PCI degli ani '50 veramente molto bello.

Comunque io dò ragione a Rea (ma non sono il solo): gli italiani sono figli della Controriforma.

Credo che sia corretto riconoscere che una idea d'Italia e' stata presente nelle elites specie culturali per secoli prima dell'unificazione politica. Sarei pero' molto cauto a ipotizzare che il sentimento fosse diffuso nelle masse.  Nel 1861 i piemontesi riportavano che nel Regno delle Due Sicilie quasi nessuno sapeva nemmeno il vocabolo "Italia", negli strati popolari.  Presumo che questo valesse anche per le masse romane nel 1870, sarebbe interessante rivedere quanto rimane dei commenti dell'epoca.

L'invocazione del papa romano o almeno italiano da parte delle masse romane mi sembra molto strumentale ai vantaggi concreti che un papa locale garantiva.  Nel 1870 circa il 50% dei romani viveva di elemosine collegate con la presenza del papa a Roma, e la presenza del papa a Roma garantiva la sussistenza di buona parte della cittadinanza romana anche nei secoli precedenti, ritengo. Dopo 70 anni di corte papale trasferita ad Avignone, presumo che l'ipotesi di un papa non romano e legato all'Italia terrorizzasse le plebi romane reduci da 70 anni di fame. Non credo che si possa parlare di sentimenti nazionali, probabilmente le masse volevano un papa 1) non francese 2) proveniente da territori piu' vicini a Roma che alla Francia o altra potenza.

Le peculiarita' dell'Italia consistono nel fatto che le sue masse sono rimaste fortemente analfabete per secoli dopo la riforma protestante, e non hanno avuto come in Spagna nemmeno uno Stato che le abbia coinvolte in un'impresa comune capace di cementare uno spirito nazionale. A questo si aggiunge il fatto che le elites italiane hanno avuto per secoli persistente discredito e disistima da parte delle masse, con l'eccezione di quelle della Serenissima, e credo a partire dal 1700, in una certa misura, di quelle sabaude.

Mi sembra plausibile che la Chiesa cattolica abbia in qualche modo trasmesso alle masse italiane un qualche poco cosciente substrato comune.  Tuttavia, almeno per quanto riguarda l'influenza politica della chiesa e dei suoi tribunali, questa e' stata sempre sostanzialmente azzerata nei territori sotto il controllo della Serenissima, come hanno mostrato vari casi storici di interdetto papale miseramente falliti.

 

A questo si aggiunge il fatto che le elites italiane hanno avuto per secoli persistente discredito e disistima da parte delle masse, con l'eccezione di quelle della Serenissima, e credo a partire dal 1700, in una certa misura, di quelle sabaude.

 

E' un'affermazione che non mi convince. Mi sembra che il rapporto tra masse ed élites si manifestasse in quasi tutto il territorio italiano attraverso i rapporti tra proprietari terrieri e mezzadri, e non vedo ragioni per le quali il mezzadro veneto o piemontesse avesse con il proprietario rapporti diversi da quelli che aveva il mezzadro abruzzese o toscano.

Certamente è stato il progresso sociale che ha fatto emergere le differenze regionali. Almeno fino alla generazione nata un secolo fa, la borghesia cioè i  magistrati, gli ufficiali, i funzionari pubblici di ruolo A, i professori di università e di liceo, i medici, gli avvocati, e gli altri professionisti laureati, si sentivano molto più vicini tra loro, indipendentemente dalle origini regionali, di quanto non si sentissero vicini ai loro conterranei di classe inferiore. Ma questo non basta per asserire che la italianità è stata imposta dalle élites a masse riluttanti.

 

 

A questo si aggiunge il fatto che le elites italiane hanno avuto per secoli persistente discredito e disistima da parte delle masse, con l'eccezione di quelle della Serenissima, e credo a partire dal 1700, in una certa misura, di quelle sabaude.

 

E' un'affermazione che non mi convince. Mi sembra che il rapporto tra masse ed élites si manifestasse in quasi tutto il territorio italiano attraverso i rapporti tra proprietari terrieri e mezzadri, e non vedo ragioni per le quali il mezzadro veneto o piemontesse avesse con il proprietario rapporti diversi da quelli che aveva il mezzadro abruzzese o toscano.

 

Con "elites della Serenissima" intendo solo quelle di Venezia, non quelle della terraferma.

Le elites venete e friulane della terraferma non erano come dici molto diverse dalle altre elites transpadane (lombarde e piemontesi).  Tuttavia come ho spiegato in un altro commento esiste storicamente una differenza significativa tra le elites a nord del Po (approssimativamente) e quelle a Sud del Po e nel resto dell'Italia centrale dei comuni medievali: i rapporti tra possidenti e contadini erano nettamente meno tesi a nord del Po, sia per i diversi rapporti economici sia per l'intermediazione della Chiesa.

La stima e il credito delle masse andava alle elites di Venezia, che amministravano con relativa efficacia e onesta' e tenevano a bada oltre alla Chiesa anche le parassitiche elites locali che, seguendo il costume italiano, tendevano ad angariare i villici sfruttandoli anche usando l'interpretazione di leggi incomprensibili a loro vantaggio, per quanto come detto i rapporti fossero complessivamente migliori rispetto a Sud del Po.  L'espressione tipica era "viva San Marco", non altro.

Per quel che so poi il rapporto di mezzadria era tipico delle aree subappenniniche, mentre in Emilia Romagna e nella bassa padana il rapporto di lavoro tipico era il bracciantato, e nelle aree pedemontane era diffusa la piccola proprieta'.

 

Certamente è stato il progresso sociale che ha fatto emergere le differenze regionali. Almeno fino alla generazione nata un secolo fa, la borghesia cioè i  magistrati, gli ufficiali, i funzionari pubblici di ruolo A, i professori di università e di liceo, i medici, gli avvocati, e gli altri professionisti laureati, si sentivano molto più vicini tra loro, indipendentemente dalle origini regionali, di quanto non si sentissero vicini ai loro conterranei di classe inferiore. Ma questo non basta per asserire che la italianità è stata imposta dalle élites a masse riluttanti.

 

E' probabile che le elites italiane alfabetizzate, storicamente una piccola percentuale della popolazione, si sentisse accomunata da ideali nazionalisti unitari, particolarmente dopo le invasioni napoleoniche.  A me sembra che questo sia vero ancora oggi, infatti il personale politico della Lega Nord che si oppone al nazionalismo unitario non viene dalle elites, salvo pochissime eccezioni. La struttura dello Stato e delle'economia italiana, inoltre, fa si' che una parte significativa delle elites italiane derivi la propria prosperita' direttamente o primariamente dello Stato (basta pensare a magistrati, universitari, notai), consolidando il loro nazionalismo ottocentesco.

Per quanto riguarda le masse, piu' che riluttanti io le considero non coscienti dei fatti storici al momento dell'unificazione, e poco disposte ad assorbire gli ideali delle proprie elites, considerate indegne di stima e di credito.  Questo e' il problema storico dell'Italia, secondo me.  Ovunque le elites hanno mosso la storia, anche in Italia, ma rispetto agli altri Stati le elites italiane sono state storicamente meno civiche, piu' corrotte e disoneste e meno stimate rispetto a quelle degli altri Paesi.

Anche fatti storici potenzialmente eroici, come la prima guerra mondiale, hanno lasciato l'amaro in bocca ai coscritti, decimati dalle fucilazioni in numero comparabile ai caduti sul campo, se ricordo bene, e mandati allo sbaraglio, con equipaggiamento spesso ridicolo come di regola avviene in Italia, a fronteggiare l'esercito austriaco molto meglio equipaggiato, tanto che ci furono 3 caduti italiani per ogni caduto austriaco.

applausi

Affascinante la storia di Lorenzo Da Ponte ed interessante il post. Circa l'ipotesi di M Boldrin sugli italiani fatti da Mussolini e co, sarei piuttosto scettico. Per le genti meridionali, il re, Nussolini, un presidente sarebbero stati esattamente la stessa cosa. Vero questo, una comunanza nazionale è del tutto condivisiile sia stata rappresentata dalla Chiesa che ancora oggi nel Mezzogiorno e specialmente nei piccoli centri ricopre ruoli rilevanti non esclusa influenza sul voto amministrativo e politico. D'altro canto, la costante assenza di strutture statuali degne di questo nome nel Mezzogiorno non solo ha favorito il persistere dell'influenza della chiesa, ma ha perpetuato anche il peso di quelle elite una volta aristocratiche e poi parassite che si sono poste ancora una volta come referenti del nuovo stato contribuendo a mantenere stabile una loro posizione di rendita e quella conseguente di sudditanza della popolazione. Tendo a pensare che l'italianitù sia un dato di fatto presente a livello inconscio in quanto slegato rispetto ad un evento intimamente collegato alla raggiunta unità. Non c'è un 4 Luglio, come nell'articolo si osserva. Quello di appartenere all'Italia è, penso o spererei, un pò un sentire rimosso e poi fortemente spinto ad essere sempre più latente da chi, per ragioni che riconosco fondate riguardanti l'economia, crede di poter creare una nuova identità che francamente appare risibile. §Che poi le masse del mezzogiorno nn sapessero che cosa Italia fosse, è verosimile. Che lo ignorassero le masse di altre regioni chissà se anche piemontesi. credo sia altrettanto vero.

Sul concetto di Italia si era gia discusso (selvaggiamente :-) ) in un altro tuo post (Gli Imperi Del Mare).

Andrebbero fatti dei distinguo per poter discutere:

1. Chiaramente il concetto di Italia esiste da parecchio tempo. Da discutere è quanto a questo concetto sia corrisposto un sentimento (il sentirsi italiani) e poi se questo sentimento sia stato di massa o solo un fenomeno elitario.

2. Mussolini ha cercato di creare l' "italiano", per farlo si è ispirato ai presunti antenati comuni i gloriosi "antichi romani"ed a altre sue fisse.

A mio avviso Michele Boldrin su questo ha pienamente ragione: "l'italianità" di cui si parla oggi è figlia di quello che ha cercato di fare il fascismo. Cosa fosse l'italiano prima diventa difficile da ricostruire dopo tutta la retorica risorgimental-fascista.

 

 

Io non sono un esperto.

La mia sensazione è che la frammentazione italiana sia dovuta alla presenza di un centro "negativo" costituito prima dai rimasugli dell'impero e poi, senza soluzione di continuità, dalla Chiesa Cattolica.

Con questo non voglio dire che la Chiesa abbia esercitato sempre un potere diretto (la Serenissima ad esempio è sempre stata relativamente indipendente). Però è sempre stata in grado di esercitare una forte facoltà di interdizione sulle istanze nazionali. 

Credo si questo che ci distingue ad esempio dalla Spagna.

altra chicca medioevale: i crociati esibivano la propria provenienza per nazionalità con diversi colori, gli Italiani avevano l'azzurro (un segno del destino?).

Effettivamente la Chiesa ha fatto da ostacolo all'unificazione politica ma ha contribuito a quella culturale. Pensare ad un sentimento di appartenenza diffuso nelle masse nei secoli passati è un anacronismo, ma oggi non è forse un anacronismo fare l'opposto, cioè negare che (in qualunque modo siano stati generati) esistono gli Italiani? L'impressione è che non siano le fisiologiche differenze culturali delle varie regioni a mettere in crisi questa appartenenza quanto la confusione tra Stato (in cui nessuno ha fiducia) e Nazione.

Sono d'accordo con te.

Difatti è anche quello che diceva Metternich che fesso non era. 

Questa è la specifica caratteristica anomala (come venivano chiamati i bug bloccanti nella mia azienda ) che in qualche modo influenza tutta la storia d'Italia.

 

Interessante.

Gli italiani esistono sempre per "contrasto". Quando sono in Italia vedo "noi": abbastanza diversi gli uni dagli altri (toscani, siciliani, veneti ecc). Quando sono all'estero vedo "noi" gli italiani: diversi dai tedeschi, dai francesi ecc

 

 

Effettivamente la Chiesa ha fatto da ostacolo all'unificazione politica ma ha contribuito a quella culturale. Pensare ad un sentimento di appartenenza diffuso nelle masse nei secoli passati è un anacronismo, ma oggi non è forse un anacronismo fare l'opposto, cioè negare che (in qualunque modo siano stati generati) esistono gli Italiani? L'impressione è che non siano le fisiologiche differenze culturali delle varie regioni a mettere in crisi questa appartenenza quanto la confusione tra Stato (in cui nessuno ha fiducia) e Nazione.

 

Vero, ma ciò non comporta che abbia portato un qualcosa di positivo, ossia la chiesa ha sempre cercato aiuto per avere il massimo potere possibile in italia, chiedendo aiuto ad i bizantini, alle volte a qualche principato longobardo, alle volte a qualche regno straniero...Ha comportato una cultura unitaria? Probabile, personalmente però la ritengo una cultura fortemente negativa, in quanto ha impedito la formazione di un'unificazione politica o poliformazione politica con identità nazionale, il che comporta tutto quello che vediamo oggi e si riflette anche sulla cultura

 

 

 

E' stata trasmessa dalle Iene questa sera una godibile serie di interviste ai politici italiani sull'unita' d'Italia. Il quadro risultante e' ridicolo, oltre che indicativo di quanto queste persone conoscano o abbiano a cuore la storia unitaria dello Stato, che a loro probabilmente interessa probabilmente solo come erogatore di appannaggi principeschi. Cosa commemori il 17 marzo non lo sa praticamente nessuno, inclusi Mussi (ex ministro di istruzione e universita'), Rosi Bindi e Formigoni. Molti credono che si commemori qualcosa avvenuto nel 1860 (l'analfabetismo matematico si sovrappone a quello storico), quasi tutti sbagliano anche le date fondamentali piu' conosciute dell'unificazione italiana.

 

Grazie Iene.

Sabì, I rest my case (e vado a nanna, che domani il volo è lunghetto).

Viva l'itaglia, viva il liceo classico, viva i paglietta ...

P.S. Il più bello è l'on. Alaimo. È la sintesi di tutto, dopo di lui non serve scrivere nulla.

P.P.S. Ma leggersi l'Antonio, mai?

Vedere alla voce "Analfabetismo professionale" e magari pure a quella dell'"Analfabetismo di ritorno", inteso non in senso assoluto ma in quello relativo che si calcola faccia perdere un anno di istruzione ogni cinque di mancata frequentazione.

Confesso che non avrei saputo rispondere a una buona metà di quelle domande (sempre stato scarso sulle date), probabilmente avrei pure fatto confusione sull'ordinale del re, ma Teano! E l'"eroe dei due mondi"! É come non sapere quanti erano i nani di biancaneve...

CYA

Mettiamo il caso di mantenere l'unità dell'italia.

Ma come regioni del nord ci teniamo i soldi delle tasse dando, diciamo, non più del 20% allo stato centrale: vi sentireste ancora così legati all'italia ed al tricolore?

Interessante questa visione dell'unità nazionale.

Sono sicuro che Cattaneo sarebbe stato affascinato da tanta potenza di idee.

 

 

Dal corriere.it/cronache/11_marzo_18, ecco un esempio di come anche i bambini vengono strumentalizzati per la lotta politica, in questo caso a favore dell'unita' italiana:

 

... alcuni bambini hanno accolto Napolitano sventolando bandierine tricolori, ma hanno fischiato il Presidente leghista della Regione Piemonte, Roberto Cota.

BAMBINI IN PRIMA FILA- Un'insegnante ha spiegato di aver fatto fischiare i bambini perché, ha detto, era proprio quella l'occasione giusta per contestare Cota che ieri, in piazza Castello, non ha partecipato alla cerimonia dell'alzabandiera.

 

Non leggo di alcun rammarico da parte dei fautori dell'unita' nazionale per i mezzi usati.

Non è neppure la prima volta. Sarà perché stanno facendo gli italiani o per via dell'uomo nuovo. Conforme.

Non condivido il gesto ovviamente.

Non noto però neanche una parola spesa sul fatto che il Presidente della Regione, in linea con molti altri suoi degni colleghi non si presenta alle cerimonie di Stato.