Come sapete, una delle ossessioni di BS con riguardo alla giustizia è quella delle intercettazioni disposte dalla magistratura, tanto che la riforma della materia è uno dei punti cardine del programma del PDL. In primavera è stato approvato un disegno di legge di riforma del sistema, in discussione in Parlamento.
La riforma, fino ad oggi, è partita con un disegno di legge governativo, parzialmente emendato dalla commissione giustizia della camera e nuovamente emendato dallo stesso governo. Essa, a prescindere dagli emendamenti vari della commissione giustizia e del Governo, limita in maniera estremamente radicale l’uso delle intercettazioni come strumento investigativo, tanto da buttare via, sotto molti profili, il bambino con l’acqua sporca.
Dalla presunta acqua sporca, dobbiamo, dunque, necessariamente partire, e cioè dalle motivazioni addotte dai politici per limitare radicalmente l’uso dello strumento. I problemi ad esso connesso sarebbero:
- Un altissimo numero di persone intercettate. Durante il dibattito mediatico in primavera ho sentito parlare, addirittura di “milioni di italiani intercettati”;
- l’utilizzazione delle intercettazioni per cercare fatti reato non noti e cioè per acquisire notizie di reato di cui non si è in possesso;
- una forte limitazione della privacy che potremmo chiamare interna e cioè della privacy del soggetto sottoposto ad indagini e le cui comunicazioni vengono intercettate;
- una forte limitazione della privacy che potremmo definire esterna e cioè di quei soggetti che, esterni all’indagine, ignari ed incolpevoli, hanno contatti con il soggetto intercettato e, quindi, vengono intercettati anch’essi;
- la divulgazione mediatica del contenuto delle intercettazioni;
- il loro costo.
Prima di analizzare se e fino a che punto le affermazioni a giustificazione della riforma siano o meno logicamente corrette e/o accettabili, lasciatemi, brevemente, descrivere il sistema com’è attualmente e come dovrà essere nelle intenzioni di BS.
Le intercettazioni quale sistema di investigazione estremamente invasivo, erano note anche al nostro Costituente, il quale, all’art. 15 Cost. ha previsto che
La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
Pertanto, per Costituzione, nessuna forza di polizia ed ancor meno, nessun servizio segreto, può procedere ad intercettazioni in assenza di un provvedimento motivato da parte di un giudice o di un Pubblico Ministero e solamente nei limiti e con le modalità normativamente stabilite.
A questo principio si è ispirato il legislatore del 1988, allorché fu riformato il codice di procedura penale. Attualmente l’intercettazione può essere disposta per tutte le fattispecie di reato punite, nel massimo, ad una pena superiore a 5 anni di reclusione più i reati di ingiuria, minaccia, molestia, ed abusiva attività finanziaria (art. 266 CPP). Il Pubblico Ministero, ove sussistano gravi indizi di reato e l’intercettazione sia assolutamente indispensabile alla prosecuzione delle indagini, chiede al GIP di essere autorizzato ad eseguirle (art. 267 CPP). Il decreto non può avere una durata superiore a 15 giorni, dopodiché il PM deve chiedere una proroga per ulteriori 15 giorni. Non c’è limite temporale alle proroghe, salvo il limite generale della durata delle indagini preliminari (6 mesi prorogabili fino a 18 o 24 nel caso di criminalità organizzata ed altri reati particolarmente gravi). La PG trascrive a verbale, in forma riassuntiva o per esteso, le conversazioni ritenute rilevanti a fini di indagine (art. 268 CPP). Al termine dell’attività, i verbali e le registrazioni sono depositati e viene dato avviso ai difensori che possono esaminarli ed estrarre copia. Terminata questa fase, il giudice dovrebbe disporre, con la partecipazione delle parti (PM e difensori), l’acquisizione e la trascrizione dei colloqui rilevanti ai fini di indagine. Di fatto, nella pratica, per ragioni di economia finanziaria e processuale, quest’ultima fase non avviene nelle indagini preliminari (almeno qui a Bolzano), bensì solamente in occasione dell’eventuale giudizio, allorché il PM e le parti chiedono la trascrizione delle intercettazioni che ritengono utili a fini processuali. I nastri sono conservati fino a quando la sentenza è passata in giudicato dopodiché ne è disposta la distruzione, ma gli “interessati” possono chiedere la distruzione della documentazione non necessaria per il procedimento (art. 269 CPP).
Già che ci sono, aggiungo una piccola considerazione su una forma di intercettazione introdotta nell’ottobre 2001 (art. 226 disp. att. CPP, modificato con L. 15 dicembre 2001, n. 438), subito dopo l’attentato alle torri gemelle di cui non parla nessuno e che, nel disegno di legge non viene minimamente presa in discussione. Si tratta di intercettazioni, chiamate “preventive” che possono essere eseguite dai servizi con semplice provvedimento del Procuratore della Repubblica, anche all’interno di un’abitazione semplicemente per acquisire notizie concernenti la prevenzione di delitti di terrorismo. L’intercettazione dura 40 giorni prorogabili senza limite alcuno ogni 20 giorni. Ricapitolando, se i servizi dicono che tizio è sospettato di terrorismo, non ci vogliono indizi, non ci vuole l’autorizzazione del GIP ma solo del Procuratore, non c’è limite temporale, non c’è deposito e via discorrendo. Provate a cercare questa norma nel disegno di legge e vedete un po’ se lì cambia qualcosa. Certo i servizi non intercettano politici che raccomandano veline, ma solo musulmani notoriamente brutti, sporchi e cattivi. Ciononostante io mi domando: quante sono le persone intercettate, quanto costano queste operazioni e dov’è il cuore liberale di BS in questo caso?
Passiamo a vedere se i problemi evidenziati dai politici sono reali. Si tratta di questioni completamente distinte l’una dall’altra che richiedono soluzioni diverse e che, non necessariamente, implicano la sostanziale abolizione dello strumento sognata da BS.
In una recente trasmissione televisiva, l’On. Ghedini ha sostenuto che l’Italia sarebbe costretta a rivedere la normativa in virtù di alcune sentenze della Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU). Ho provato a fare una ricerca giurisprudenziale e non ho trovato nessuna pronuncia in tal senso. Ve n’è una che non mette minimamente in discussione il nostro sistema così come concepito, mentre ve n’è un’altra, che critica la violazione della riservatezza della persona nel caso concreto .
Cominciamo con lo sgomberare il campo da una delle più strumentali ed incredibili affermazioni fatte, e cioè quella per cui “milioni di italiani” sarebbero sottoposti ad intercettazione da parte dell’autorità giudiziaria. Si tratta di un’affermazione assolutamente falsa e semplicemente scandalosa. I dati sul numero di utenze intercettate a livello nazionale li potete trovare sul sito del ministero della giustizia. Già solo questi dati evidenziano come si tratti di un modesto numero di persone le cui comunicazioni sono captate (per un totale, nell´anno 2007, di 112.623 bersagli intercettati + 10.493 intercettazioni ambientali). Ma va considerato un altro dato molto significativo. Le fattispecie di reato dove più massicciamente si utilizzano le intercettazioni sono connesse al traffico di sostanze stupefacenti. Gli spacciatori e trafficanti sono consapevoli di ciò e, quale precauzione, sono soliti cambiare con cadenza anche settimanale, sia la scheda telefonica che il telefono, oltre ad utilizzare contemporaneamente più schede e telefoni. Ciò significa che per una persona sottoposta ad intercettazione, servono più decreti autorizzativi (bersagli nel documento del ministero) e, quindi, il numero di decreti non corrisponde affatto al numero di persone intercettate. Facciamo anche qui un esempio concreto. Prendiamo le intercettazioni che facciamo noi a Bolzano. Nel 2007 abbiamo intercettato 480 bersagli (target), ma le persone sottoposte ad intercettazione erano solamente 226, di cui 123 italiani e 106 stranieri.
La questione di cui al punto 2) a me, a dire il vero, non risulta. Può darsi. Non metto affatto la mano sul fuoco per i colleghi. Noi, a Bolzano, non lo facciamo. Di più non saprei dire. Certamente sarebbero degli abusi, non so se è un fenomeno diffuso come dicono i politici, personalmente ci credo molto poco. Se si tratta di casi eccezionali, andrebbero sanzionati in sede processuale o disciplinare, ma non abolendo lo strumento investigativo.
Ben più complessa è la questione della tutela della privacy, ovvero la segretezza delle comunicazioni, che, per semplicità, potremmo definire “interna”, cioè della privacy del cittadino sottoposto ad indagini e, quindi, intercettato. Si tratta di una questione filosofica che ogni società risolve diversamente, il problema è quello di contemperare l’esigenza di libertà personale con quella della tutela della collettività. Il primo nodo da sciogliere è quello di evitare l’arbitrio da parte di forze di polizia che agiscano senza controllo. In tal senso agisce il vincolo costituzionale che richiede il vaglio giurisdizionale secondo rigidi paletti stabiliti dalla legge. Fin qui, almeno per i procedimenti penali veri e propri, tutto bene, in Italia ci siamo già. L’ulteriore problema è quello di stabilire fino a dove si può spingere l’intrusione, pur secondo crismi di legge, da parte dell’apparato dello Stato nella vita del cittadino. Và detto chiaramente all’opinione pubblica che lo strumento delle intercettazioni è fondamentale per combattere tutta una serie di fenomeni criminali, tra cui, fra l’altro, fattispecie di reato che suscitano un indubbio allarme sociale, quali, ad esempio, associazioni a delinquere, corruzioni, concussioni, rapine, estorsioni, furti in abitazioni, violenze sessuali anche nei confronti di minorenni, sequestro di persona semplice, i reati finanziari, bancarotta fraudolenta e via discorrendo. Rinunciare allo strumento significa rinunciare a combatterli efficacemente (specie le associazioni a delinquere). Il resto spetta alla politica, ma, vorrei ricordarlo, essa dovrebbe agire nell’interesse comune. Valutino i lettori quali sono gli interessi in gioco e quali le scelte da fare.
La quarta questione è quella della privacy “esterna” e cioè il diritto alla segretezza delle comunicazioni di chi non è sottoposto alle indagini. La vicenda sicuramente più scandalosa è stata quella dei famosi SMS della Falchi a Ricucci. Si trattava di messaggi completamente privi di rilevanza investigativa finiti in pasto ai giornali e da questi, compresi quelli che fanno finta di essere seri, pubblicati. Ma, se ci riflettiamo senza (troppi) preconcetti, è altrettanto ingiustificato che vengano trascritte e successivamente rese pubbliche telefonate tra noti uomini politici e soggetti indagati, il cui colloquio non sia rilevante a fini probatori ovvero non integri esso stesso reato. Cominciamo con il dire che le conversazioni di natura privata, generalmente, non vengono trascritte. Non avrebbe senso alcuno. La PG preposta alle operazioni di intercettazione ha già fin troppo lavoro a trascrivere le conversazioni considerate rilevanti. Se trascrivesse ogni singolo colloquio, anche quelli in cui si parla di calcio o di donne, non finirebbe più. Facciamo un esempio boccaccesco ma, tutt’altro che improbabile. Intercettazione ambientale all’interno di un’abitazione perché si ritiene che ivi si spacci della droga. Cosa succede con le intercettazioni della moglie dell’indagato che vi si incontra con l’amante? Nulla, in quanto la circostanza non dovrebbe essere menzionata negli atti. Perché allora furono trascritti i messaggi della Falchi? Questo, purtroppo, è dovuto a ragioni tecniche. Il sistema informatico trascrive tutti i messaggi “SMS” intercettati, i quali, a quel punto, inevitabilmente finiscono nel fascicolo e nel caso della Falchi, trattandosi di vicenda di interesse per l’opinione pubblica, in pasto ai giornali (invito dunque tutti i fedifraghi a non comunicare via SMS, ma solo per telefono, pazienza se qualche poliziotto vi ascolta). Certamente la problematica c’è. Anche qui la soluzione sta nel trovare un equilibrio tra l’esigenza di tutela sociale e quella della privacy delle persone incolpevolmente intercettate. Certo è che, quando si intercetta una, questa, inevitabilmente, ha contatti con persone terze non coinvolte, la cui segretezza delle comunicazioni non può non essere violata.
Ulteriore problema è quello della divulgazione mediatica delle intercettazioni, questione estremamente spinosa e di difficile soluzione. Inutile dire che, anche qui, il problema esiste e necessità di una soluzione.
Il codice di procedura penale, all'art. 114, prevede che
È vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto (329).
È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari (405 ss.) ovvero fino al termine dell’udienza preliminare (424).
In sostanza, mettere a disposizione dei giurnalisti atti del procedimento, fino alla conclusione delle indagini preliminari è vietato.
Le fonti dei giornalisti sono, sostanzialmente quattro in ordine cronologico: la polizia, i magistrati, le cancellerie, gli avvocati. Ognuna di esse, nel passare le intercettazioni alla stampa, si comporta in modo deontologicamente scorretto. Direi che su questo siamo tutti d’accordo. Sarebbe d'accordo anche il codice, che, infatti, all'art. 115 CPP stabilisce che
1. Salve le sanzioni previste dalla legge penale (684 c.p.), la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli artt. 114 e 329 comma 3 lett. b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
In astratto, dunque, chinque violi il divieto (poliziotti, magistrati, impiegati delle cancellerie, ma anche avvocati), è passibile di un procedimento disciplinare.
Vi è anche una forma di divulgazione, di per sé, corretta, quando le intercettazioni sono riportate nel provvedimento cautelare, ma qui, con tutta evidenza, la soluzione è semplice; basta prevedere che non vadano riportate nella motivazione. Ciò, ovviamente, solamente nell'ipotesi in cui l'ordinanza sia arrivata al giornalista da una fonte diversa da quelle citate. L’attuale sistema è deresponsabilizzante, perché consente, ad ognuna delle figure di cui sopra, di nascondersi dietro l’altra (la PG che dà la colpa al magistrato che dà la colpa all’avvocato che, a sua volta, dà la colpa al magistrato). Per un dibattito sul punto e sui rimedi vi rimando a questo link .
Veniamo, infine, alla problematica dei costi. Le intercettazioni costano troppo. Ecco un’altra affermazione scandalosamente mistificatoria. Il costo si può ridurre in maniera radicale, con pochi, semplici accorgimenti. La Procura di Bolzano è riuscita a dimostrarlo efficacemente. Basta che si dia un’occhiata a questo schema per capirlo. Oltretutto, mi risulta che, in altri paesi, gli operatori telefonici, essendo concessionari dello Stato, non possono, come in Italia, pretendere del denaro sull’attività di intercettazione. Insomma, lasciatemelo dire, anche questa dei costi è un’affermazione strumentale. Molto si potrebbe fare per ridurre significativamente i costi.
Detto questo, torniamo agli abusi. Oltre alla scorretta divulgazione mediatica già citata, ve ne sono di altri. Alcuni di quelli commessi dalla magistratura sono noti. Ad esempio, milioni di euro spesi in intercettazioni inconcludenti o ad ascoltare telefonate piccanti di qualche velina di turno. C’è, tanto per cambiare, un’assenza di professionalità da parte dei Pubblici Ministeri, tra cui anche l’incapacità di fare un ragionamento sul rapporto costi/benefici dell’attività. La complessità della problematica arriva a coinvolgere la figura del magistrato come potere c.d. “diffuso” e cioè di un potere che, a differenza di quello legislativo ed esecutivo, è incarnato da ogni singolo magistrato nel momento in cui esercita le sue funzioni. Ma c’è anche un’assenza di professionalità e risorse da parte della polizia giudiziaria, la quale finisce per concentrarsi esclusivamente sulle intercettazioni. Mi baso qui sulla mia esperienza concreta. Facciamo un esempio. Tutte le Procure intercettano, prima di tutto, per reati in violazione della legge sugli stupefacenti. Un’indagine di questo tipo, per essere efficace, parte dall’intercettazione per arrivare al sequestro della sostanza stupefacente, altrimenti le intercettazioni non sono più un mezzo per acquisire la prova, bensì la prova stessa. In sostanza, ci deve essere un poliziotto nella saletta intercettazioni ed almeno due sulla strada che intervengono al momento dell’arrivo o della cessione della droga, chiudendo il cerchio. Si tratta di un’attività che si svolge, quasi sempre in ore notturne, quando i trafficanti solitamente sono attivi. Questo significa lavorare molto più dell’orario previsto e senza che vengano pagati gli straordinari. Capita così che la PG ascolti le telefonate di consegna non in diretta, ma il giorno successivo, per così dire, a “babbo morto”. Poiché si capisce che il soggetto è un trafficante, continua ad intercettare senza arrivare mai al dunque. Anche qui, tuttavia, si torna al punto di partenza e cioè al PM, che dovrebbe fermare la PG e non chiedere più le proroghe delle intercettazioni.
C’è un altro aspetto lucidamente evidenziato da un magistrato della Procura antimafia in una rivista e non preso in considerazione minimamente dai padri della patria e cioè quello dello standard probatorio da utilizzare nella valutazione delle intercettazioni. Dice questo collega che, allo stato attuale, si può essere condannati, nel pieno rispetto delle regole processuali, solo sulla base di quanto due tizi si dicono nelle intercettazioni. Se, ad esempio, un certo dirigente di una nota squadra di calcio si vanta, magari per scherzo, di aver dato una lezione all’arbitro x e di essersi messo d’accordo con l’arbitro y, basta quello per mandare la squadra in questione in serie B! Tutto questo solo per far vincere quell’altra squadra apprezzata da professori amerikani che, oltre a non capire nulla di economia, non capiscono nemmeno qualcosa di calcio. [Nota degli Editori: tipicamente richiediamo a noi stessi e ai nostri collaboratori di essere prima professionisti e poi tifosi – ma come nota il collaboratore autore di questo post - e’ cosa tristemente nota in Italia che sia impossibile fare affidamento sulla professionalita’ dei Pubblici Ministeri] In sostanza, il punto in cui si è arrivati in Italia è costituito dal fatto che, spesso, la intercettazioni non sono un mezzo di ricerca della prova come dice il codice, ma finiscono con l’essere la prova decisiva a carico dell’imputato.
Insomma, sostenere che “và tutto bene la madama la marchesa” sarebbe un grave errore. Non nego che, anch’io, confrontando le cifre delle spese per intercettazioni, ho l’impressione che lo strumento venga utilizzato con una frequenza eccessiva. Basta prendere le cifre riportate dal ministero sulle spese per distretto e metterle a confronto tra di loro rendersi conto della situazione. Ciò significa, inevitabilmente, che si è abusato dello strumento e, come logica vuole, quando abusi di un potere che hai, finisce che te lo tolgono. Ha un bel lamentarsi la magistratura sul punto. Come al solito, essa mette la testa sotto la sabbia ed ammette solo che c’è un problema di divulgazione e non anche di utilizzazione indebita dello strumento. La reazione è quella di chiudersi a riccio e di non elaborare o proporre alcuna soluzione alternativa. E' sufficiente confrontare tra loro i pareri espressi dalla magistratura e quelli espressi dall’avvocatura, basati, peraltro, sul disegno di legge originario, per capirlo.
Delle soluzioni prospettate dai “padri della patria” parleremo nella prossima puntata e, quindi, per il momento, invito i lettori a discutere con me solo dello stato attuale.
Forse contravvengo alla tua ultima esortazione (non discutiamo delle soluzioni), ma la mi curiosità riguarda il pagamento delle intercettazioni.
1) E' possibile non pagare le concessionarie telefoniche per il servizio di registrazione perchè, come si dice, essendo titolari di una concessione dovrebbero farlo gratis? Rispondimi non da libertario su un sito di libertari (tutti diremmo: dall'avere una concessione non ne discende che io debba fornire alcuna delle prestazioni per le quali ho la concessione gratis); rispondimi da uomo di legge imbevuto di dottrina dello stato (spero che tu beva cose migliori...ma è giusto per poter svolgere la mia "riflessione"). Insomma, lo stato potrebbe giuridicamente chiedere alle compagnie telefoniche di fare le intercettazioni gratis? Travaglio dice(va) di si. Tu?
2) Chi è che fa materialmente le intercettazioni? La compagnia telefonica che gestisce il numero sotto controllo? Oppure direttamente la polizia giudiziaria? Cioè, avviene sempre in differita, come sembri dire tu?
3) Una domanda off topic...ma che riguarda privacy e diritti. Com'è possibile che abbiamo visto i filmati dell'interrogatorio del ragazzo rumeno accusato di stupro. Chi ha fatto uscire quelle immagini e perchè?
Rispondo solo adesso perché, come sapete, il computer, per me, durante il fine settimana, é off limits.
Cominciamo con il dire che le voci di spesa sono sostanzialmente due. Una consiste nel pagamento dell’accesso all’utenza che mi deve dare l’operatore, l’altra nel costo per il noleggio delle apparecchiature e del software per gestire l’intercettazione. La voce di costo principale è quest’ultima. Nel nostro ufficio, il costo dell’accesso all’utenza incide circa per il 15% sul costo complessivo. In ogni caso, il 15% di € 300.000,00 sono pur sempre € 45.000,00 risparmiati.
Nel diritto amministrativo si distingue tra licenza e concessione. Mentre la prima spetta perché è connessa all’esercizio di un mio diritto che giá possiedo e che deve solo essere "attivato" (pensa al permesso di costruire su di un mio terreno edificabile), la concessione, invece riguarda un settore che è, diciamo così, di pertinenza dello Stato e che questi mi mette a disposizione (concede). Poiché le frequenze sono limitate, appartengono allo Stato, il quale le concede ad operatori privati. La concessione, non essendo qualcosa che spetta, ma che viene dato, può essere connessa a varie contropartite che lo Stato può chiedere, contropartite in denaro o in servizi. Alla fine ciò che conta sono i rapporti di forza. La libertà di iniziativa economica qui non c’entra un gran che.
Comunque, il grosso del risparmio lo abbiamo ottenuto con la ditta che ci mette a disposizione l’apparecchiatura ed il software. Il costo non è fisso, ma connesso al numero di utenze intercettate per il periodo. Noi abbiamo ottenuto un prezzo di € 10,00 per bersaglio al giorno, mentre altre Procure arrivano a pagare anche il doppio.
Il gestore telefonico apre una diramazione dall’utenza intercettata verso la saletta intercettazioni, dove c’è la Polizia che, materialmente provvede all’ascolto delle telefonate ed alla loro trascrizione. Il contenuto dei colloqui è custodito nell’archivio informatico della Procura. La Polizia trascrive le telefonate di suo interesse ed estrae copia delle trascrizioni. Non so se fanno copia anche dei file audio. L’ascolto in differita si può tranquillamente fare. Dipende dalle esigenze di indagine. Se il riscontro alla telefonata si può trovare anche in un momento successivo (ad esempio documentazione varia), non c’è nessun problema. Nelle indagini sugli stupefacenti, invece, o ascolto in diretta ed agisco, oppure spreco solo tempo e risorse sia materiali che umane.
Sul chi abbia fatto uscire quelle immagini, non saprei. Tendenzialmente sospetterei che sia stata la polizia, per evidenti motivi. Poiché il terreno sta loro franando sotto i piedi, cercano di influenzare l’opinione pubblica. Sarei curioso di sapere se, in occasione di questa confessione era presente un difensore. Normalmente un difensore minimamente accorto, non fa dichiarare nulla al suo cliente prima di aver visto le carte, specie in un caso del genere. Temo che la “confessione” sia stata resa senza un avvocato, ed allora, da un punto di vista probatorio, varrebbe meno di zero.