Secondo l’articolato del decreto legge Misure urgenti finalizzate alla stabilizzazione finanziaria e alla competitività economica, la manovra sugli stipendi elevati dei dipendenti pubblici è la seguente (articolo 9 comma 2)
In considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, …. superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro;….La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma non opera ai fini previdenziali.
La regola quindi non intacca la base di calcolo della futura pensione del dipendente pubblico. Ma in questo modo essa diventa un’imposizione fiscale che colpisce una sola categoria di lavoratori dipendenti. L’Associazione Nazionale Magistrati lo ha puntualmente osservato dichiarando
E’ del tutto evidente, infine, l’incostituzionalità della disposizione con la quale si opera una decurtazione secca del trattamento economico, per la palese violazione dei principi di eguaglianza e di progressività del sistema fiscale che deriva dall’introduzione di un’imposta fissa a carico esclusivamente dei dipendenti pubblici.
Se l’Associazione Nazionale Magistrati ha ragione, penso di sì ma attendo lumi da altri più addentro di me sulla questione, sospetto che una misura del genere sarà cassata dai giudici che saranno chiamati a pronunciarsi sugli immancabili ricorsi che saranno inoltrati dai soggetti destinatari di tale provvedimento. La prima domanda che nasce spontanea è: per quale motivo hanno scelto questa soluzione che è a dir poco problematica e che rischia di cadere in fretta? E poi, secondo interrogativo, esistevano soluzioni alternative?
Vediamo la prima cominciando con una premessa. Gli uffici legislativi dei ministeri hanno professionisti che conoscono bene queste ingarbugliate materie. Se escludiamo l’insipienza, ma dopo l’affaire Scajola tutto è possibile, i decisori politici di questa soluzione si attendono che il palloncino venga bucato prima ancora di essere gonfiato.
In parole semplici: i fiumi di inchiostro e i torrenti di parole sono solo effetto annuncio e propaganda. Forse per scaricare sui giudici la responsabilità di aver sabotato l’improbo lavoro dell’esecutivo, in totale spregio delle richieste dei mercati e dell’Europa. Forse per lasciarsi aperta la possibilità di rinnegare l’intenzione insidiosa di azioni che deludono una parte, né piccola, né marginale, dei propri affezionati sostenitori. Un quadretto anticipato dalla astuta citazione mussoliniana: la privata confessione di impotenza del duce nell’imporre la propria volontà a recalcitranti gerarchi, è un abile modo di mettere le mani avanti.
Metodo che ricorda i suggerimenti del mago Ismeno nella Gerusalemme Liberata
Vela il soverchio ardir con la vergogna,
e fà manto del vero a la menzogna.
Alla seconda domanda: esistono soluzioni che permettono di evitare il prevedibilissimo contenzioso, la risposta è sì ma, ancora una volta, attendo lumi da parte degli esperti. Due numeri due per inquadrare la questione. Secondo la rilevazione della Ragioneria Generale vi sono 3,5 milioni di lavoratori dipendenti che comportano una spesa annua di oltre 160 miliardi di euro. Attualmente i contributi versati sul conto previdenziale del lavoratore dipendente sono pari al 33% della retribuzione lorda. I lavoratori versano l’8,8% del loro stipendio lordo, il datore di lavoro che ci mette la differenza. Questo significa che 31,2 miliardi l’anno sono i versamenti contributivi delle amministrazioni pubbliche alla previdenza dei propri dipendenti, e questi ultimi contribuiscono con ulteriori 11,3 miliardi.
Dato l’ammontare atteso di risparmi che si intendeva ottenere dall’intervento mannaia sugli stipendi, cosa ostava a reperirlo facendo aumentare il contributo previdenziale a carico del dipendente pubblico, diminuendo parallelamente quello del datore di lavoro? O, meglio ancora, consentire ai diversi soggetti di optare fra questa soluzione e l’alternativa di mantenere inalterato il livello retributivo corrente rinunciando a prestazioni previdenziali future?
E’ chiaro che le preferenze intertemporali, per il consumo, dei soggetti sono assai diverse anche e soprattutto a seconda della loro età. Coloro che sono vicini alla pensione preferiscono mantenere inalterato il livello della prestazione attesa e accettano una diminuzione del livello retributivo; per converso coloro che sono più distanti dalla pensione preferiscono mantenere inalterato il livello di reddito corrente e rinunciare ad un pezzetto di prestazione previdenziale, magari con la prospettiva di recuperare nel futuro.
Una misura così congegnata, e le sue innumerevoli varianti, avrebbe consentito i risparmi desiderati senza avere l’odiosa caratteristica che la rende comprensibilmente indigesta ai destinatari e meno esposta all’accidentato percorso che invece si preannuncia per la misura attuale.
Ma forse non bisogna mai prendere sul serio un obbiettivo che dichiara di volere far piangere i ricchi (anche se dipendenti pubblici e, peggio ancora, magistrati).
riguardo ai tagli ai giudici, alla camera, ecco tremonti a ballarò " è una voce simbolica"
sulla progressività della tassazione ho sempre avuto i miei dubbi, per il resto, avevo già letto che nulla sarebbe cambiato a fini contributivi. L'unica cosa che non capisco è: chi ha il potere di decurtare gli stipendi dei magistrati? non sto scherzando, è una domanda seria. il parlamento, si dice, decide da se, ciclicamente, di aumentarsi diarie e buste paga, ma davvero il governo nulla pote?
per quanto riguarda l'opzione di variare la quota contributiva.
Il giorno dopo ci sarebbero state tutte le sezioni CGIL CISL et UIL con cartelline in mano davanti ai vari giudici del lavoro, TAR e ordinari per opporre dubbi di costituzionalità: non puoi variare ai pubblici il metodo di recupero dei contributi, mentre ai privati nisba. anche la possibilità di scegliere è "ingiusta" direbbero. tanto varrebbe fare come l'imprenditore veneto: dare la busta lorda e dire "ora i contributi ve li pagate da soli"