Leggo questa sorprendente notizia, riportata da Corriere.it:
Così, dal primo gennaio c'è l'obbligo per tutti i datori di lavoro di "misurare" lo stress dei propri dipendenti, provvedendo, qualora esista, a eliminarlo o almeno a ridurlo. [...]
A indicare che in quell'azienda c'è un malessere possono essere, per esempio, un eccessivo assenteismo, la frequente rotazione del personale, un numero elevato di infortuni e malattie professionali. [...]
Alcuni campanelli d'allarme per il rischio stress possono essere, per esempio, la paura che un piccolo errore o una disattenzione possano avere conseguenze gravi, oppure la sensazione di non ricevere il rispetto che ci si merita e, quanto mai attuale in tempi di crisi, il senso di precarietà del posto di lavoro.
Qui trovate altri dettagli sulle nuove norme in vigore da gennaio, come da circolare del Ministero del Lavoro. I datori di lavoro dovranno monitorare eventuali rischi di stress sul posto di lavoro; se vengono rilevate condizioni di stress, dovranno intervenire pena sanzioni.
Per chi non rispetta le regole sono previste le stesse sanzioni previste per la violazione di altre norme sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro: da 2.500 a 6.400 euro e la reclusione da tre a sei mesi.
Infine, le nuove norme valgono per tutti: pubblico e privato, grandi e piccoli, Co.co.co. e Chicchirichì.
La notizia mi lascia molto perplesso. Diamo anche al regolatore il beneficio del dubbio, supponiamo che sia animato dalle migliori intenzioni ed abbia veramente a cuore il benessere dei lavoratori. Sui luoghi di lavoro possono sicuramente esistere situazioni di stress psicofisico per i dipendenti. Ma gli "indicatori di stress" descritti nell'articolo sono a dir poco ambigui. Essi possono essere sì sintomatici di stress "genuino", legato a condizioni pericolose o insalubri del posto di lavoro. Ma altrettanto facilmente possono essere invece sintomi di scarsa produttività, di relazioni industriali deteriorate all'interno di un'impresa, di tentativi da parte del datore di lavoro di meglio monitorare e incentivare l'attività degli impiegati.
Assenteismo? Frequente rotazione del personale? ... La sensazione di non ricevere il rispetto che ci si merita? Verrebbe da chiedere: ma il governo che ha approvato queste norme è lo stesso di cui è attivissimo membro Renato Brunetta? Lo chiedo perché, dalla descrizione che il Corriere dà della legge, e da quelle che Brunetta dava (se le dà ancora, non lo so) della Pubblica Amministrazione, verrebbe immediato concludere che il primo datore di lavoro passibile di severissime e sistematiche multe per creazione di stress sul luogo di lavoro sia proprio ... lo stato italiano!
Ma veniamo a considerazioni un tantino meno paradossali. Mettiamoci nei panni di un imprenditore o di un dirigente in una ditta "malata", poco competitiva, con una cultura del lavoro deteriorata. Come salvare l'impresa da fallimento certo senza esporsi al rischio di essere accusati di aver creato condizioni di stress? O pensiamo al direttore di un ufficio pubblico che voglia risollevare le sorti di detto ufficio, migliorandone l'efficienza e la qualità del servizio reso ai cittadini... Gli esempi sono infiniti, ed il punto dovrebbe essere chiaro: mi sembra molto difficile distinguere fra stress "vero" e stress "finto", adoperato magari da lavoratori poco produttivi per evitare di dover impegnarsi di più.
Ciliegina sulla torta: "il senso di precarietà del posto di lavoro." Questo mi sembra particolarmente sintomatico della paura di qualsiasi cambiamento che sembra aver completamente ingessato il paese. Conducendo questo ragionamento alla sua logica conclusione, occorre legiferare per garantire il posto di lavoro a tutti, in modo da ottemperare alle norme anti-stress (ma vedi più sotto, nelle conclusioni). Andiamo avanti:
«Abbiamo lasciato alle aziende l'autonomia di scegliere se rivolgersi o meno a figure professionali specifiche per valutare lo stress dei lavoratori. [...] Certo, se un’azienda riterrà di organizzare focus group, è implicito che servirà uno psicologo» [...] Sarà monitorato non solo il mondo dei lavoratori dipendenti, ma anche il popolo delle partite Iva e i precari. Nella prima fase di valutazione del rischio stress, le aziende possono affidarsi a check list validate, come quella stilata dall'Ispesl (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro), o dalle regioni
Ah ecco. Liste, nuove figure professionali, albi... Sarò il solito disfattista, ma ci vuole poca immaginazione per prevedere le nuove mangianze (rendite, per chi vuole il termine tecnico) che si verranno a creare grazie a questa normativa.
Ma attenzione, avverte Fantini: «Rimane l'obbligo legale di proteggere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, che ora si applica anche ai problemi di stress; quindi, con i medesimi controlli e stesse sanzioni».
Traduzione: guardate che non stiamo scherzando; controlleremo (quindi, operatori appositi per conferire l'ambito sigillo "posto di lavoro esente da stress"), vi costringeremo a stilare lunghi rapporti e riempire dettagliati formulari (il famoso A(i) di Alberto), e se necessario vi sanzioneremo (multe, gabelle, ecc).
Negli Stati Uniti, per quello che ho potuto vedere sul sito della Occupational Safety and Health Administration (OSHA), non vi è menzione di regole/sanzioni specifiche per situazioni di stress psicofisico. Fa piacere vedere che ancora una volta l'Italia è all'avanguardia mondiale, con una legislazione moderna, attenta, e sofisticata.
Per chiudere, due osservazioni. La prima: come notato sopra, le norme si applicano anche al settore pubblico. Non sarebbe forse più urgente cercare di misurare la produttività delle amministrazioni pubbliche (visto che a tutt'oggi ne sappiamo ben poco), piuttosto del livello di stress?
La seconda: mentre cercavo in rete documentazione su eventuali legislazioni anti-stress in altri paesi, ho trovato quest'interessante studio dell'OECD su dati canadesi che lega la maggiore incidenza di stress e depressione sul posto di lavoro alla presenza di maggiori protezioni del lavoro (essenzialmente norme che limitano la possibilità di licenziare da parte delle aziende). L'argomentazione è semplice: se i costi di "divorzio" fra lavoratore e impresa sono alti, rapporti lavorativi poco soddisfacenti (o per il lavoratore o per l'impresa) vengono mantenuti invece di essere dissolti, dando luogo a conflitti e atmosfera men che ideale sul posto di lavoro (incluso bullismo, eccetera), che alla lunga provocano stress.
Dalla padella nella brace, allora! Se riduco le protezioni dei lavoratori induco stress per via del "senso di precarietà ". Se le aumento induco stress ugualmente, perché si deteriorano le relazioni industriali sul posto di lavoro. Il legislatore reagisce al dilemma aumentando il volume di normative e regolamenti: non puoi licenziare (facilmente), e se rendi l'ambiente di lavoro poco piacevole per il lavoratore, ti punisco. A nessuno sembra venire in mente un'altra soluzione, quella di facilitare la dissoluzione di "matrimoni che non funzionano" fra impresa e lavoratore, in modo da permettere ad entrambi di trovare "matrimoni" migliori.
La soluzione per lo stress ci viene dal Nostro Silvio: lui sa come combatterlo. Lele Mora e Fede gli organizzano le seratine. Basta procurarsi l'invito alle sue feste o in alternativa recarsi direttamente in via Olgettina...
Scusate, non sono riuscito a resistere, l'argomento comunque è serio.