Quando l'economia va male ai politici che hanno scarsa dimestichezza con l'economia viene in mente una sola cosa: sussidi pubblici. Se la gente non consuma un po' di più e le imprese non assumono dev'essere, pensano costoro, perché i beni di consumo e il lavoro costano troppo. Basta allora sussidiare l'acquisto di questo e quel bene e l'assunzione di lavoratori con questa e quella caratteristica. In Italia gli esempi abbondano -- abbondando, se ne inferisce, la specie dei suddetti politici. Si va dai ripetuti sussidi all'acquisto dell'auto a quelli più originali all'acquisto di cucine, lavastoviglie e motori fuoribordo.
Come forse ricorderete, qualche settimana fa al nostro ministro dell'economia è venuta l'idea di utilizzare i fondi strutturali europei allocati all'Italia ma che l'Italia non riesce a spendere per co-finanziare un sussidio all'occupazione per il sud -- un bonus fiscale, tecnicamente. Si tratta di co-finanziamento perché le regole europee richiedono comunque che parte del progetto venga finanziata dai governi nazionali. Più spesa pubblica, insomma. Il che lascia pensare che non se ne farà di niente, ma siccome, primo, con questa gente non si sa mai e, secondo, in un paese civile quando il ministro dell'economia annuncia un piano di politica economica lo si prende sul serio, io (come Sandro su l'Inkiesta) lo prendo sul serio.
Sandro si è preso la briga di ricordare perché i sussidi all'occupazione sono una cattiva idea e finiscono, essenzialmente, per trasferire risorse a chi l'azione che si vorrebbe incentivare l'avrebbe intrapresa comunque. Nel caso specifico, sussidiare l'occupazione a tempo indeterminato al sud finirebbe col trasferire denaro pubblico a chi avrebbe comunque assunto nuovo personale con un contratto non a scadenza, con effetti che variano dallo scarso al nullo sull'occupazione.
Io, invece, in questo post mi prendo la briga di illustrare empiricamente questa lezione basilare di politica economica. Avverto subito che il livello dell'analisi empirica che segue è divulgativo, ed è ben lontano dallo standard scientifico di valutazione di un programma di politica economica. Questo è un post su nFA, non un articolo per il Journal of Labor Economics. Però è il punto dal quale un'analisi più approfondita partirebbe.
La lezione viene nientepopodimeno che dalla Turchia. Come molti altri paesi in giro per il mondo la Turchia ha sofferto le conseguenze reali della crisi finanziaria internazionale. Il suo PIL reale si è ridotto del 4,7% nel 2009 (si, persino loro hanno fatto meglio dell'Italia :-)) e la disoccupazione è passata dal 9% nel 2007 al 13% nel 2009. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) è passata nello stesso periodo dal 17% al 23%. In più questo paese soffre, come molte altre aree prevalentemente rurali, inclusa l'Italia meridionale, di partecipazione cronicamente scarsa al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione medio della popolazione in età lavorativa (15-64 anni) nel 2008 (prima della crisi, cioé) era del 45% in Turchia e del 46% nell'Italia meridionale.
Alle prese con questo stato di cose, il governo turco ha approvato nel maggio del 2008 un pacchetto per l'occupazione, comprendente un corposo sussidio alle nuove (effettivamente nuove oppure emergenti dal sommerso) assunzioni. Specificamente, tutti i datori di lavoro che avessero ufficialmente assunto una donna oppure una persona di età compresa tra 18 e 29 anni nel periodo tra il primo luglio 2008 e il 30 giugno 2009 avrebbero beneficiato di uno sconto sui contributi sociali a loro carico, per 5 anni, partendo dall'esenzione completa e riducendo il sussidio di 20 punti percentuali ogni anno. Ovvero il sussidio sarebbe stato pari al 100% dei contributi a carico del datore di lavoro il primo anno, 80% il secondo, 60% il terzo, eccetera, fino a tornare al livello normale di contributi (e quindi di costo del lavoro) dal sesto anno in poi. I contributi a carico del datore di lavoro in Turchia ammontano a quasi il 20% del costo del lavoro. Il pacchetto prevedeva quindi per le imprese uno "sconto" non da poco.
Cosa è successo all'occupazione dei gruppi che si volevano così aiutare? La figura qui sotto illustra la risposta, che è: assolutamente niente, pare. La figura riporta il tasso di occupazione trimestrale dei quattro gruppi indicati nella legenda (fonte: Eurostat). Le due linee verticali rosse indicano l'intervallo di validità del sussidio: assumere una donna o un giovane in una data compresa tra le due linee dava diritto al sussidio per i successivi cinque anni. La curva interpolante spessa è il trend HP. La linea interpolante sottile e continua è la migliore retta interpolante.
La figura mostra quindi che nei cinque anni rappresentati il tasso di occupazione totale, femminile, e dei giovani maschi si muovono tutti lungo propri trend di lungo periodo (al netto del ciclo economico, cioé) che sono sostanzialmente lineari: il sussidio non sembra aver spostato di un solo millimetro (per lo meno a questo livello rozzo di analisi) il trend occupazionale di donne e giovani. In altre parole, le imprese che hanno assunto lavoratori provenienti da queste due categorie (e che hanno quindi beneficiato del trasferimento a carico del contribuente turco) lo avrebbero fatto comunque, anche in assenza del sussidio.
Cosa dobbiamo aspettarci, quindi, il giorno che Tremonti annuncerà (se non preferirà rimangiarsi la parola, come in questo caso dobbiamo sperare che faccia) il decreto di sussidio occupazione al sud per spendere i fondi europei? La stessa cosa, perché no? Gli italiani (al nord come al sud) rispondono agli incentivi esattamente come i turchi, gli svizzeri e gli svedesi. La figura qui sotto mostra la dinamica del tasso di occupazione italiano per macroarea (fonte: come sopra), nello stesso periodo. Anche in questo caso i tassi di occupazione si muovono lungo il proprio trend di lungo periodo. Perché mai quelli al sud dovrebbero discostarsene se lì riducessimo il costo del lavoro di, diceva Tremonti a suo tempo, trecento euro al mese per due anni? Se fate i conti su uno stipendio lordo di duemila euro vedete che fa ben meno del sussidio turco!
Sig. Ministro, guardi le due figure sopra, apprenda dall'esperienza turca e lasci perdere: è come se il sussidio al sud gliel'avesse già dato!
La lezione, per concludere, è quindi la seguente. I sussidi alle imprese e ai consumatori, quando non ci sono evidenti esternalità che li giustifichino, sono quasi sempre sperpero di denaro pubblico. Ecco un'idea per chi sta lì ad arrovellarsi cercando nuove tagli: sfrondare pesantemente la selva di sussidi esistenti alle imprese (di ogni ordine e grado) e ai consumatori. Il trend del paese è deprimente, ma tutto lascia pensare che dopo questa sfrondatura non andrebbe affatto peggio di quanto non sarebbe comunque andata.
Ed avreste risparmiato (fonte Oscar Giannino a Radio 24 Ore qualche giorno fa) 44 miliardi di euro.
Ecco qua, verso la fine, paragrafo che inizia con
L'alternativa che suggerisce, pero',
non e' molto diversa.