Quella della distinzione tra il meridione e i meridionali è questione che mi gira per la testa da un po'.
Mi spiego: tipicamente si utilizzano dati macroeconomici relativi alle regioni meridionali per trarre implicazioni sul benessere (o il malessere) dei meridionali. Il Sud non cresce - il reddito pro-capite delle regioni meridionali è solo 2/3 di quello del Nord, la disoccupazione è elevatissima, e via discorrendo amabilmente. Nessun problema, ma bisogna stare attenti a non farsi prendere la mano da questi ragionamenti. Questo modo di affrontare il problema nasconde infatti, almeno potenzialmente, un errore logico/concettuale importante. Non è solo la tradizionale quesitone che i dati macroeconomici sono misure imperfette:
- che il Pil non è benessere - anche i ricchi piangono;
- che il Pil si misura in modo impreciso a causa della componente sommersa (componente probabilmente più forte al Sud, come Alberto non si stanca mai di ricordarci).
La questione che invece mi pare fondamentale è che il meridione, da un secolo almeno, è terra di emigrazione - prima verso gli Stati Uniti e poi, dagli anni cinquanta/sessanta, verso il Nord. Tanti meridionali - o meglio, discendenti di meridionali, stanno a Milano e a Brooklyn; qualcuno, meno, anche a Buenos Aires, a Toronto, a Zurigo e a Bruxelles.
Proviamo a fare una stima rozza (ma proprio rozza; nella speranza che i lettori forniscano dati per costruirne una più precisa) della frazione di discendenti dei meridionali dell'Unità d'Italia che ancora vivono al Sud. Questi son quei calcoli che gli amerikani dicono fatti sul retro di una busta, ma che per me son fatti sul retro del cartoncino dei Toscanelli.
La popolazione totale del Mezzogiorno (secondo i rilevamenti Istat del dicembre 2008) ammonta a circa 21 milioni di abitanti (di cui 6,7 milioni nelle isole).
Il Census del 1990 conta circa 15 milioni di americani di discendenza italiana; per circa l'80% di questi i discendenti provengono da regioni meridionali. Fanno 12 milioni di meridionali negli Stati Uniti solamente. Nel 1990. Facciamo che non siano cresciuti ad oggi.
Dal bel paper di Bonifazi et al. scopro che dal 1946 al 1965, 5,6 milioni di italiani (soprattutto dal Sud) sono emigrati, in particolare verso paesi del Nord-Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Svezia, Inghilterra). Facciamo pure 80% dal Sud, come in America. Fanno 4,5 milioni. Ce ne poi saranno 500 mila a Toronto? Facciamo conto di sì. E in America Latina? 1 milione mi pare una enorme sottostima anche considerando che l'emigrazione in Argentina è in larga parte dal Nord. L'Argentina ha 40 milioni di persone e, a sentir loro, almeno la meta' hanno "(bis)abuelos italianos", ossia, potrei dire 10 milioni senza timore, ma dico solo un decimo.
Dal 1955 al 1970 (dati sui cambi di indirizzo, da Bonifazi et al.) indicano un flusso migratorio netto dal Sud al Nord (e Roma) di oltre 2 milioni di persone (a me paiono pochi, ma questo è il dato che ho; continuamo). Anche solo negli ultimi 10 anni (dati Svimez) il flusso è stato di circa 600 mila persone. Questo flusso fa notizia; assumiamo quindi un flusso molto inferiore dal 1970 al 1998: facciamo 500 mila in 30 anni.
Sommiamo il tutto, in milioni: 12 in USA + 4,5 in Nord-Europa + 0,5 a Toronto + 1 in America Latina + 3,1 in Nord-Italia -- fanno oltre 21 milioni di meridionali fuori dal meridione.
Stiamo pure larghi:
un (discendente di) meridionale su due non vive nel meridione
Anche eliminando il milione e mezzo che ho imputato senza dati (Toronto e America Latina), fanno quasi 20 milioni, e il discorso non cambia per nulla.
Giusto per provare a dare robustezza ai calcoli (in realtà è che ho un'altra scatola di toscanelli da scribacchiare) guardiamo anche ad alcuni dati di flusso. Questi dati sono difficili da utilizzare ai nostri fini, perché i conti dipendono maggiormente dalle ipotesi che si fanno sui tassi di crescita della popolazione. Ma gli ordini di grandezza paiono consistenti (sotto una ipotesi di popolazione essenzialmente costante): 26 milioni di emigranti dall'Italia dal 1876 al 1970, con 9 milioni di ritorni (Birindelli, 1984).
E via un'altra scatola: estrapolando dal tasso di crescita della popolazione di Napoli dall'Unità d'Italia fino al 1921 - e assegnando la popolazione mancante in quota ai (discendenti di) napoletani fuori Napoli, arrivo essenzialmente alla stessa stima:
un napoletano fuori Napoli per ogni napoletano a Napoli.
Ecco i conti. Napoli all'Unità d'Italia, nel 1861 (dati Istat da Wikipedia, voce Napoli - vedi Tabella sotto), aveva 484 mila abitanti circa. Oggi (2001) ne ha poco più di un milione. Assumiamo eroicamente che, i) Napoli sia rappresentativa del Sud in termini demografici, che ii) da Napoli si emigri ma che nessuno emigri a Napoli, e che iii) i napoletani, ovunque essi siano si sposano prevalentemente con i napoletani, avendo cioé figli napoletani, iv) .... E poi tante altre assunzioni, facciamo, così tante che non val nemmeno la pena elencarle, che saranno ovvie a tutti.
Evoluzione demografica della citta'di Napoli (migliaia)
Allora, dal 1861 al 1921, subito dopo la Prima Guerra Mondiale (è forse arbitrario scegliere il 21, che già gli Stati Uniti avevano chiuso le porte, ma il tasso di crescita cambia poco se mi fermo all'11), la popolazione di Napoli è passata da 484 mila a 859 mila abitanti. Un tasso di crescita di circa l'1% annuale (cioé, 1.01 alla 60-esima=1.8, che a sua volta è = 859/484; così se ho sbagliato i conti qualcuno se ne accorge). Supponendo lo stesso tasso di crescita fino al 2001 (80 anni), gli abitanti sarebbero un milione e 900 mila. Invece, nel 2001, gli abitanti di Napoli sono circa un milione.
Ok, che ce ne facciamo di questa stima a spanne? Beh, molti di questi meridionali che non stanno al Sud sono integrati culturalmente ed economicamente a New York e a Milano, o duvunque essi siano. A New York non vivono nemmeno più tutti a Bensonhurst o ad Arthur Ave. Stanno economicamente bene, molto meglio, in media, dei napoletani a Napoli. In media, dati NORC, gli italiani d'Amerika hanno un anno di università (sei anni oltre la scuola dell'obbligo) e un reddito di circa 33 mila dollari. Mi fido di questo divertente sito, spero di non riporre male la mia fiducia negli italo-americani (potrei guardare a U.S. Census, o ai dati NORC direttamente - ma poi il gelato da Simonetti non faccio più in tempo a prenderlo, che sta invecchiando Simonetti, il figlio vende gelati in Sud Africa e lui ormai chiude presto la sera).
Ecco quindi cosa ce ne facciamo della stima. La usiamo per ricordarci che quando pensiamo allo sviluppo (mancato) del Sud, non dobbiamo dimenticare i meridionali di New York e Milano. Hanno pagato un costo elevato (sono espatriati - che, anche se uno lo fa come l'ho fatto io, di espatriare, con tutti gli agi, o quasi, i costi sono notevoli); immaginiamoci per loro, quelli di Ellis Island o delle miniere del Belgio - o anche quelli delle foto di Uliano Lucas sotto il Pirellone ); ma i loro discendenti stanno bene, per loro lo sviluppo non è mancato affatto.
Voi direte, vabbé, è ovvio. Chi se ne frega. Resta che quelli che sono rimasti vanno aiutati, che hanno basso reddito, ... Gli altri sono andati, via, sono "altri".
E poi uno legge le seguenti affermazioni (dal Corriere del 18 Luglio - di Giovanni Russo) e capisce dove vado a parare. Dove sta l'errore logico/concettuale nel dimenticarsi di quel napoletano su due che sta via.
Il fenomeno più allarmante denunziato dal «Rapporto Svimez 2009» riguarda l' emigrazione intellettuale dal Mezzogiorno. I giovani che si trasferiscono al Nord sono quasi tutti diplomati o laureati. [...] Dagli anni Novanta l' emigrazione dal Sud verso il Nord è ricominciata, ma questa volta non sono più contadini analfabeti. Il Mezzogiorno oggi si impoverisce non solo economicamente, [...] ma si impoverisce culturalmente e intellettualmente. [...] il Sud perde i suoi giovani migliori: i laureati «eccellenti». Nel 2004 sono partiti per il Nord il 28% dei laureati meridionali con il massimo dei voti; tale percentuale è salita nel 2008 al 28%.
È chiara la logica? il Sud si impoverisce. Il Sud ... la terra, le zolle, il cemento ... I laureati che vanno al Nord, però, con ogni probabilità si arricchiscono (a parte i costi di "espatrio"). Ma a noi che ci frega dei meridionali che espatriano, a noi ci importa il Meridione ... la terra, le zolle, il cemento.
E naturalmente, vai con le conclusioni di politica economica facile. Denaro sul meridione:
Bisogna quindi che il governo si impegni a rovesciare le politiche attuali per dare ai giovani prospettive di lavoro nel Mezzogiorno, altrimenti si corre il rischio di lasciarvi una popolazione solo di anziani e pensionati [...]
Perché bisogna crearle nel Mezzogiorno le prospettive di lavoro? Ok, se ci si riuscisse si ridurrebbero i costi di espatrio. Questa è una buona ragione. Ma sono decenni che ci si prova senza successo. E allora, all'espatrio... che rimanga "una popolazione solo di anziani e pensionati".
Ok, lo so, mi sono fatto prendere la mano e sto esagerando con le provocazioni. Ma l'argomento è chiaro, no? Se ci preoccupiamo dei meridionali e non del meridione (nel senso di terra, zolle, cemento) allora forse l'emigrazione non è affatto una opzione da evitare come la peste. Specie ora che Ellis Island non c'è più e quelli che "tel chi el terun" fanno ridere invece che piangere.
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Davvero, l'ultima cosa che mi preoccupa è la migrazione intellettuale dal Sud. Chi l'ha detto che bisogna nascere-vivere-morire dove sono nati-vissuti-morti i nostri antenati?
bella idea, via tutti dal meridione così il pizzo i mafiosi se lo chiedono tra loro :). Tra l'altro il clima di rassegnazione che c'è lì rispetto al lavoro non fa bene.
Poi all'estero si comporterebbero sicuramente meglio...