Miti da buttare - I

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Una prima lista, parziale e solo parzialmente ragionata, di miti nazionali che sarebbe tempo di gettare alle ortiche. La storia l'ha già fatto: è ora che lo facciano anche gli atti degli italiani.

Premessa. Da ben prima della campagna elettorale mi vado chiedendo cosa sarebbe bene, a mio immodesto avviso, che gli italiani facessero e, soprattutto, forzassero i loro governanti - le elites in genere - a fare. Mi uscivano sempre le stesse, intellettualmente noiose anche se sommamente pratiche, risposte. Mi son detto quindi: il problema è cognitivo. Io vedo l'Italia attraverso dei filtri, dei modi di pensiero che, evidentemente, non sono condivisi dai miei (ex) concittadini. Delle due l'una: o sono confuso io o lo sono loro. Sempre a causa della mia patologica immodestia - ma forse anche dei fatti e dei dati che il pragmatismo suggerisce consultare in tali circostanze - ho temporaneamente concluso che sto chiaramente meglio io e peggio loro (almeno in media, alcuni dicono che BS stia meglio di me ma a vederlo vivere non ho questa impressione). Questo implica, dunque, che se gli (ex) concittadini non vedono l'ovvio e non chiedono con forza alle loro elites di metterlo in pratica il tutto dev'essere attribuibile a qualche mito che loro occlude la visione dei fatti (in altre istanze ho anche suggerito, papagallando un maestro, il rumore come causa di tutti i fraintendimenti, ma tralasciamo l'ironia tecnocratica).

Nei miei solipsismi notturni, mentre la signora dorme ed il cane pure, mi son detto dunque: essi continuano ad interpretare i fatti, i dati, i tacchi, i dadi ed i datteri attraverso dei miti, delle mitologie, delle artificiali costruzioni della mente forse adeguate a rappresentare ed interpretare la realtà che prima era ma che ora, chiaramente, non è più. Se voglio dunque intendere perché gli (ex) concittadini non chiedano a gran voce l'ovvio, meglio mi sforzi d'intendere questi miti che a loro fanno vedere quello che io non vedo e che, ad immodesto avviso mio e modesto computo della statistica, non esiste proprio. Una disamina dei miti nazionali, forse adeguati ad interpretare e financo a costruire (perché, in vena di post-modernismi, anche io a volte pretendo che la realtà si costruisca attraverso categorie culturali, miti insomma) ciò che era ma ora non è più: un Bel Paese. Ma non più costruttivi, non più utili, anzi oggi dannosi: miti da buttare, appunto. Apparendomi questo paese non più tanto bello, ed apparendo esso ancora bellissimo a chi ivi vive, evidentemente la ragione deve risiedere in una dissonanza cognitiva o perlomeno culturale. Ecco quindi la decisione di riconsiderare, per parte mia, i miti loro (a loro, per carità, nessuno toglie il diritto di riconsiderare e decostruire i miei) per vedere se, magari, poi riesco a capire perché non chiedono si faccia quell'ovvio che a me sembra ovviamente da farsi. Una rivisitazione, se volete, delle microfoundations di tempo addietro, solo da un punto di vista meno episodico e, mi auguro, più sistematico. Che tutto questo serva a terzi, dubito alquanto; ma io scrivo soprattutto per spazzolare la mente mia dei miti suoi, questi puzzolenti parassiti (danke Palma, ottima l'idea dell'amico tuo ed ora collega mio: come vedi l'uso).

Decomposti i miti, forse troverò ragione per dedicarmi ai riti, quali i programmi di governo sono. Non nuovi (i miti ed i riti, dei programmi ancora non so) 'ché non è il caso di pretendere troppo in tempi di Krisis.


Le elites italiane si coagulano e definiscono attorno ad una serie di miti "nazional-popolari" che sono andate inventando da sessant'anni a questa parte e che hanno inculcato - attraverso strumenti ed istituzioni che pure varrebbe la pena discutere - nelle cosidette "masse popolari". Espressione, quest'ultima, comune nella parlata della casta italiana e sintomatica alquanto.

Di tali miti le popolari masse, forse a causa della crescente impopolarità della casta, sembrano aver cominciato a disfarsi con una certa inconsapevole leggerezza, e forse incoscienza - nel senso che alla gente di abbattere miti non frega nulla: lo fanno perché gli viene. Da qui, in parte, il famoso scollamento fra elites, specialmente quelle intellettuali e politiche, e popolo, cittadini, produttori. Loro la chiamano "crisi della politica", io suggerisco di rivisitarla in una chiave quasi post-moderna: lo sgretolamento d'una valanga di balle.

La supremazia della politica, ovvero il ritorno dello stato.

Alla radice di tutto siede la supremazia della politica su qualsiasi altra modalità di relazione umana o meccanismo di decisione e ripartizione delle risorse. La parola originale, e più frequentemente usata, credo sia "primato" e credo venga da Tronti e Cacciari, ma non sono in vena filologica stasera e me la ricordo anche in bocca di Aldo Moro per il quale voleva dire "mediazione oliata dal pubblico denaro", insomma geometrie dell'orrore tipo le convergenze parallele a causa delle quali l'universo potrebbe scomparire. Il suo alfiere, in tempi relativamente recenti, è stato il Massimo D'Alema, sulle labbra del quale l'affermazione andava intesa nel senso di "primato mio"; ne abbiamo visto i luminosi risultati per quasi quarant'anni e, in particolare, nei due anni in cui ha fatto da Primo Ministro. Ma l'illustre D'Alema non era e non è l'unico depositario del primato: esso compariva sulle labbra di Craxi ogni volta che lo beccavano a rubarsi qualche azienda nazionale, o su quelle di Andreotti quando i magistrati portavano evidenza delle sue frequentazoni mafiose, o su quelle di Berlusconi quando cambiava la legislazione fiscale e sui bilanci societari per rimanere fuori dalla galera, o su quelle di Mastella o di qualsiasi altro figuro della medesima risma quando le intercettazioni telefoniche rivelavano un qualche loro losco affare, o di Fassino e D'Alema di nuovo quando li pizzicavano a fare telefonate assicurative. Il primato della politica è l'assioma fondamentale su cui la casta si regge: senza di esso la giustificazione degli assurdi privilegi ad essa concessi non si può nemmeno tentare. Se la politica ha il primato - ovvero la supremazia sulla società civile ed economica e sugli individui - allora i privilegi sono giustificati in quanto costi di produzione del bene pubblico "politica".

L'origine è chiara: il potere arbitrario di principi e signorotti medievali ha sempre goduto di grande ammirazione nel nostro paese, mischiato ad una pseudo-scienza macchiavellica della politica intesa come "arte dell'arrangiarsi", del rimanere in sella, del lisciare ed oliare la corporazione che, nel momento dato, risulta fare da pivot. Negli ultimi anni la cosa ha raggiunto livelli parossistici: per qualsiasi problema si cerca una soluzione politica e si chiede al politico di turno di trovare la soluzione, normalmente attraverso qualche spesa aggiuntiva, esenzione, prebenda, pensione o facilitazione fiscale. L'intera nazione vive da due decenni nell'illusione che vi sia una soluzione "politica", ossia indolore, della crisi nella quale si dibatte: che il reddito di tutti, o della stragrande maggioranza, possa ricominciare a crescere come negli anni 50-70 attraverso una redistribuzione del reddito degli "altri". Che il degrado culturale ed educativo sia arrestabile e reversibile attraverso un re-arrangiamento dei nomi dei corsi e dei titoli. Che il degrado civile e la crescita dell'insicurezza si risolvano attraverso interventi di tipo "politico", ossia che non puniscono nessuno, anzi: indultando. L'idea è che, quando il primato della politica si realizza, i vincoli di bilancio e financo materiali non diventano solo soffici ma, letteralmente, evaporano e tutti riescono a realizzare il sogno italiano: la moglie ubriaca a la botte piena.

Nella sua versione più recente il mito della supremazia della politica è, ovviamente, incarnato dal commercialista di Sondrio. Da alcuni anni, in un linguaggio vieppiù oscuro e lacaniano (che forse crede degno del College, ma transeat) egli predica all'incazzato popolo lavoratore del Nord che l'antidoto per la spoliazione fiscale di cui è vittima, per l'inefficienza dei servizi pubblici, per la paralisi amministativa e decisionale, per il degrado della sua competitività economica sullo scenario internazionale, può fornirlo solo la politica: il ritorno dello stato, del grande stato (comunitario, ovviamente, e tutto il resto, altrimenti Formigoni non ci sta). Abbiamo scoperto recentemente che il ritorno dello stato richiede, oltre a dei dazi (che sarebbero il meno, in quanto impossibili) anche delle nuove nazionalizzazioni, di cui Alitalia è evidentemente il banco di prova, e dei nuovi "aiuti pubblici", il finanziamento dei quali sarà possibile grazie all'assunzione al cielo del vincolo di bilancio. Cos'altro vi sia da statalizzare in una nazione dove anche i cantieri navali e gli stabilimenti balneari già sono statali, non è dato sapere. Forse gli studi commerciali e notarili ...

Oso predire che, nella sua re-incarnazione "colbertista", la supremazia della politica avrà gambe ancor più corte di quanto non abbia avuto anteriormente nelle sue versioni catto-comuniste. I problemi dei produttori del Nord (ma anche del Centro e, seppur rari ma pregevoli, del Sud) sono tutti materialmente "mercatisti", in quanto determinati da sempre più stringenti vincoli di bilancio i quali, piaccia o meno, non percepiscono l'impatto di tiritere roman-lacaniane. Poiché la borsa è oramai vuota e la vacca stremata dal troppo mungere attendo, con quasi ammirante curiosità, la nuova sequenza di trucchi del commercialista da Sondrio. Passati i quali il primato della politica apparirà, ancora una volta, per quello che è: la copertura ideologica d'una casta incompetente, oltre che vorace.

La centralità ed essenzialità del sindacato.

Un sindacato in realtà tentacolare, perché oltre a CGIL-CISL-UIL abbiamo Confindustria, Confcommercio, Confartigianato ed i mille ordini di questo e quello. Come il primato della politica, eredità anch'esse medievali le nostre sindacal-corporazioni, per quanto molti pensino sia una scoperta del movimento operaio e socialista (e cattolico, scusate). Trattasi di corporazioni professionali la cui funzione storica è da sempre stata l'implementazione del detto "chi è dentro è dentro e chi è fuori s'arrangi". Un detto, peraltro, utile o perlomeno non dannoso in tempi di scarso cambiamento tecnologico all'esterno delle frontiere e di grande abbondanza di fattori produttivi inutilizzati all'interno delle medesime; come furono gli anni dal 1946 al 1966. Poiché allora quasi tutti erano dentro o potevano esservi ammessi, poiché c'era spazio per accumulare beni capitali uno uguale all'altro ed importati da fuori, e v'era abbondante ed omogeneo lavoro da assorbire dentro, le corporazioni, ognuna manovrando il proprio fattore produttivo, non producevano la paralisi che dopo venne, ma quasi cooperavano ad una crescita che fu vera anche se malnata. Salvo poi legnarsi selvaggiamente tra il 1966 ed il 1976, quando l'accumulazione di K e l'assorbimento di L erano terminati proprio quando qualche marocchino decise d'alzare repentinamente il prezzo di E. Da allora in poi la centralità sindacale e l'associato meccanismo detto della "concertazione" (traduzione: la camera delle elites delle corporazioni, in cui ogni corporazione è rappresentata da pochi autoproclamati lobbisti che condividono con la casta il primato della politica) hanno prodotto redistribuzione distruttiva per circa quindici anni e paralisi degradante per i seguenti, sino alla condizione attuale di un sistema economico incartato ed incapace di crescere.

In cosa consistono la centralità sindacale ed il metodo della concertazione? Nell'applicazione più ferrea del modello superfisso: le risorse sono date, il prodotto nazionale pure ed altrettanto lo sono le tecniche ed i metodi di produzione. Si tratta di ripartirli fra le parti interessate (dove "interessate" va inteso nella doppia e cinica accezione) fregandosene nella maniera più suprema sia di chi parte interessata non è (ossia non è dentro, ma fuori dalla camera delle corporazioni) sia del non banale fatto che il prodotto nazionale non è un dato ma va prodotto ed i modi e le forme in cui produrlo se le inventano i singoli produttori, non i rappresentanti delle corporazioni medievali. Costoro, avendo ben inteso che così è, hanno da almeno due decenni un'unico ed ossessivo proposito: sopravvivere sino alla pensione, occupare una sedia, ricevere una prebenda di stato sotto forma di ente da gestire o patrimonio da amministrare. A casa, ossia a casa degli interessati che sono dentro alle corporazioni, portano sempre meno perché sempre meno c'è da spartire. Da cui le tensioni evidenti, lo sfilacciamento della base sindacale non solo della triplice ma anche confindustriale: se nemmeno chi è dentro ci guadagna, allora a che serve essere dentro? Da cui, anche, l'incazzatura generalizzata che sembra percorrere il paese ed il Nord in particolare: se il sindacato non porta a casa nulla, e Confindustria nemmeno, mentre la casta continua imperterrita a tassare e scialare, io che ho sempre creduto che lì (nella sacra concertazione di quelle tre parti che guarda caso sembrano une e trine) lì stesse la soluzione di tutto, io dove cazzo sbatto la testa?

Ammetto che l'impressione di progressivo sfaldamento che viene sia dalla triplice che dalla Confindustria non viene, con altrettanta chiarezza, dalle altre e svariate "Conf-qualcosa", o dagli ordini. Questi resistono all'assalto che viene sempre più forte e dall'esterno. Da quelli che sono fuori e vogliono venire dentro. Resistono, e questo mi sorprende non poco: evidentemente del grasso che cola da qualche parte ancora deve esserci altrimenti la capacità di corporazioni impazzite ed altamente improduttive, come giornalisti e taxisti per non parlare dei semprelodati notari, di resistere ed erigersi a vittime, come ve la spiegate? Oddio, aspetta: non tutti i sindacati son nati uguali. Le Conf-qualcosa e gli ordini, in effetti, sono molto più astuti ed efficaci (oserei dire anche meno socialmente dannosi, ma non m'arrischio che non ho fatto i conti) degli altri quattro. Fondamentalmente perché occupano interstizi di potere e di rent-seeking, ma non paralizzano necessariamente produzione ed innovazione tanto quanto gli altri. Per questo, credo, meglio resistono alla krisis generalizzata. O forse perché più forte è lo spirito identitario: gli avvocati sempre quelli sono ed in un paese che non cambia nei suoi non-tradeables fanno anche sempre le cose di prima. Nell'industria, invece, specialmente quella dei tradeables, lo spirito identitario è saldato da almeno due decenni se non tre.


Fermiamoci qui. Che, fra i due di stasera, un mito regga l'altro non ci piove. Agli ex-concittadini entrambi sembrano entità divine e necessarie alla vita: fonte di tutte le disgrazie ma anche di tutte le soluzioni. Ecco, in questo rapporto sado-masochistico con la politica e la concertazione sindacale sta una delle piaghe d'Italia. Viste da qui sembrano orrende figure di paglia che il vento potrebbe portarsi via ogni momento. Visti da Marcon o da Vigevano, probabilmente, essi, partiti e sindacati, appaiono l'unica ancora a cui aggrapparsi in un oceano ribollente di cinesi e rumeni. Che differenza fanno i punti di vista, no? A volte creano dei miti.

 

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Commenti

Ci sono 46 commenti

Ce ne sono tanti altri di miti, signor Boldrin, ma stupisce che non venga considerato innanzitutto il mito dei miti, la madre di tutti i miti, quello fondativo. Cioè quello della resistenza che ha sconfitto il fascismo (mentre la V* armata Americana faceva i picnic sui prati evidentemente) e quello conseguente della Repubblica antifascista, la cui Costituzione mette chiare le premesse alle conseguenze stataliste (e ci è andata pure bene grazie alla vituperata DC, allo zio d'America e a "San" Yalta, con quel PCI che ci ritrovavamo). La stortura, che è culturale innanzitutto, nasce da là.

Anch'io mi fermo qui. Meglio parlare di Tremonti e di new-colbertismo, fa indubbiamente più fino.  

 

 

Signor "cumino", lei ha un brutto vizio, anzi due.

Tira il sasso, anzi il veleno, e poi ritrae il braccio. La qual cosa, oltre ad essere in media una vigliaccata, non serve neanche a molto. Ha qualcosa di intelligente da dire? Lo dica.

E lo firmi, anche. O non sarà il fatto che lei non firma le sue incursioni un segno della sua tempra?

P.S. La cosa ironica è che la costituzione è uno dei miti nella lista, assieme a quello degli eroici tempi fascisti ovviamente. Perché anche quelli sono una balla, ossia un mito per gente intellettualmente debole ed anche un po' acida.

P.P.S. Ma cos'è un vizio nazionale? Battute scritte in fretta, senza un minimo di articolazione logica e poi via ad altra faccenda? Non so su cosa si fondi lo "stato" italiano, "johnnydatadinascita". Ad occhio e croce, in quanto stato, si fonda su casa savoia, garibaldi, mazzini e la protezione militare francese. Almeno così insegnavano a scuola ... Non sono proprio certo che uno stato debba "fondarsi": a volte semplicemente accade e poi continua ad essere, magari evolvendosi, peggio o meglio dipende. Ad ogni modo, faccio anche io le domande: che dice l'antropologia al riguardo? Che lo stato italiano e' stato fondato da Enrico Mattei? 

 

 

in che senso la Repubblica non è fondata sulla resistenza?

per caso la V armata ha scritto o influenzato la costituzione?

per caso la Francia trova i suoi fondamenti nella Big Red One?

che la repubblica si fondi sulla resistenza - attraverso il CLN se vogliamo dirla tutta e per prevenire eventuali obiezioni - è un dato di fatto e che da li sia nata la costituzione pure.

francamente a questo punto invito l'autore del post a indicarmi una bibliografia ragionata a sostegno della sua affermazione. inutile ribaltare la richiesta. sarebbe indice di idiozia e follia ideologica.


detto questo invito ancora l'autore a distinguere tra desiderata, chiacchere da bar(accone) e storia fatta dagli storici.

 

Me che scemenze si inventa Sig. Cumino?

 

La resistenza, che fu fenomeno perfettamente reale e assai minoritario, fornì in pratica, quasi direttamente da CLNAI, il ceto politico della transizione dalla monarchia alla repubblica.

 

D'altronde chi altro c'era? McArthur era occupato (ogni tanto legge qualche libro di storia o solo le opere complete di Walt Disney?), il papa era scemo (mancò di originalità in quel rispetto), il monarca e la dinastia dei cagoia (non solo assai squalificata dall'eccesso di fellazioni praticate al maestro di Predappio, ma pure pochettino credibile dopo aver mandato la gente a morire in Libia o a Kursk) ebbe poi (il re fellone) la faccia di dare l'ordine di non dare ordini agli ufficiali....

ERGO chi rimase, se non l'antifascismo?

Ebbene sì: avevano i loro limiti, i Nenni, i Terracini, i Dossetti, De Gasperi, Taviani, Amendola e Togliatti-- ha il sottoscritto nessun dubbio in merito.

Ma il "mito" dove sta?

 

 

 

io invece penso proprio di si. le frasi "è il mercato", "è il libero gioco del mercato", "sono le regole del mercato" e mille altre varianti del genere sono usate in ogni trasmissione televisiva che tratti di economia. Tra queste spicca Porta a Porta. A corollario del "è il mercato" solitamente si aggiunge "serve più concorrenza". Considerato il modo con cui queste frasi sono utilizzate è d'obbligo constatare che sono entrate ormai nel senso comune dell'italiano medio e sopratutto del mediocre giornalista medio che non si prende più (o non si è preso mai) la briga di approfondirne il senso specifico.

 

 

Per fortuna non hanno mai approfondito il senso. Se lo facessero non le userebbero piu quelle parole. Mercato e concorrenza sono sconosciute in Italia.

 

Sono disgustato dai commenti che arrivano qui e nel post sull'iniziativa di Vincenzo Visco.  Forse e' proprio vero che c'e gente che arriva a NfA inserendo  "mutandine sporche" in un motore di ricerca.  Oltre che un' analisi dei concetti (sbagliati) che gli Italiani hanno (o miti da buttare, come li chiama michele boldrin), ci vorrebe un'analisi dei concetti che mancano agli Italiani: diritto alla privacy, per citarne uno.

 

Potrei anche essere d'accordo sul "primato della politica", ma il paragrafo sul sindacato davvero fa cadere le p--braccia.

La concertazione fu un invenzione di fine anni '80, imposta dal "senso istituzionale" del povero Trentin; fino ad allora, la teoria e la pratica sindacale passavano per il conflitto duro che aveva come prospettiva finale il riappropriarsi dei mezzi di produzione per riproporre un'economia di tipo cooperativo. Altro che "modello superfisso".

Il sindacato italiano, negli ultimi 25 anni, non e' stato all'altezza proprio perche' ha rinunciato all'elaborazione autonoma, finendo per assecondare i disegni macchiavellici delle sue caste interne in chiave nazionale (i.e. fare la ruota di scorta della miserabile sinistra parlamentare, altro che cinghia di trasmissione). Purtroppo questo e' successo a livello europeo, non solo italiano, e rientra piu' in generale nella crisi post-sovietica, ma in italia ha assunto forme molto piu' sclerotizzate.

Non so, mi pare che questo blog, quando editorializza, puntualmente la faccia fuori dal vaso. Il number-crunching vi si addice molto di piu'...

Non sopporto molto la gente che sermona a caso distribuendo la propria ignoranza qua e là. Sembra che in questo periodo quelli così arrivino a frotte: si stava più comodi quando eravamo in meno. Potere del web: dà a tutti l'illusione d'avere un'opinione coerente e fondata sui fatti solo perché la scrivono in uno spazio pubblico. Non è così.

- Modello superfisso e sua relazione con la politica e lotta sindacale: se ti leggi l'articolo linkato sopra, bastano due minuti, forse capisci lo stretto legame. Se non lo capisci non so che farci.

- Non so in quali mondi virtuali tu abbia scoperto che il sindacato degli anni '60 e '70 voleva "riappropriarsi dei mezzi di produzione per riproporre un'economia di tipo cooperativo." ma ti assicuro che quei mondi non sono solo virtuali, sono allucinati. Il sindacato voleva ben altro, figliolo. Vatti a leggere i giornali ed i documenti del tempo, poi ne parliamo.

- Bruno Trentin era un grande personaggio, complesso, intelligente ed anche confuso: il salario variabile indipendente è anche un'idea con la quale s'è trastullato alquanto. Che abbia giocato un ruolo nell'introdurre l'idea della concertazione in Italia non elimina la natura della concertazione ed i principi su cui si fonda. Bruno c'era, quindi? Le due cose sono ortogonali. Non capire che la concertazione è basata sul principio che i rappresentanti dei fattori produttivi si siedono attorno al tavolo, distribuiscono la torta e programmano l'utilizzo della medesima e dei fattori produttivi è gravetto, no?

- Sul sindacato degli ultimi 25 anni all'altezza o alla bassezza, ti lascio discettare da solo. Sembri avere molte idee, ma tutte molto confuse.

Consiglio: prima di discettare sulla storia del movimento operaio e sindacale in Italia, studiala almeno visto che l'opportunità di parteciparci non l'hai avuta. 

 

Al resto, faccia di tolla, cazzate anonime, niente da fare di meglio nella vita ecc.. non replico. Per educazione nei confronti del blog soprattutto e anche nei suoi confronti, nonostante tutto. Preferisco pensare che alcune cose nascano male, e talvolta si sviluppino peggio o scivolino in qualche modo involontariamente per trasformarsi in un battibecco di cui nessuno può onorarsi e che complessivamente risulta bugiardo delle rispettive qualità. Spero sia questo il caso.

 

 

 

Signor Fogel, preferisco chiamare la gente con il suo nome, non faccia l'offeso che da queste parti non funziona e, nel caso suo, è proprio un metodo inappropriato.

Qui può trovare una collezione dei suoi recenti commenti. Le paroline pesanti ed i giudizi taglienti sono una sua specialità, e sono regolarmente "uncalled for" e distribuiti allegramente a destra ed a manca. Parecchi di essi non sono nemmeno motivati: sparano un giudizio negativo, e basta. Se li rilegga, che se vuole le faccio estrarre quelli pregressi. A molti dei suoi commenti, le persone che lei ha aggredito ed offeso non hanno nemmeno risposto; in altre occasioni sì. Capita a chi va in giro dando giudizi taglienti senza essere provocato: a volte viene ripagato con la medesima moneta.

Perdippiù: fino ad oggi, quando s'è finalmente accorto di essere un completo anonimo solo perché gliel'ho ripetuto tre volte, erano anche insulti anonimi! Il faccia di tolla, per esempio, era diretto ad uno che dichiarava di firmarsi facendosi poi chiamare "cumino". Se lei non sapeva quello che stava facendo, non attribuisca la colpa agli altri tanto per fare un po' la vittima offesa.

Idem per la presente sequenza di commenti e contro commenti. Lei è arrivato qui facendo battute pesantemente critiche alle quali ho risposto osservando che ha il pessimo vizio di tirare il sasso e nascondere il braccio. Le sue battute iniziali erano, inoltre, ortogonali (se lei avesse letto l'articolo che commentava avrebbe colto che i due temi di cui parlavo non ne escludevano altri, nel futuro) e vuote di contenuto (continua a non dirci in che senso la resistenza sia un mito, attendo paziente: l'ultimo commento definisce (malamente) la parola mito ma non ci dice perché la resistenza lo sia). Voleva dire che non le piace la costituzione? Neanche a me. Ha qualche argomento da proporre? Lo scriva e lasci stare le battute sul "fa fino", che con il sottoscritto cade malino. Invece continua, senza mai offrire un sostegno delle sue lapidarie affermazioni. 

Libero lei di procedere con questo metodo, se le aggrada. Libero io di risponderle a tono quando mi trova, come oggi, di non particolare buon umore con la gente che sermona senza spiegare il cosa ed il come. 

P.S. Di grazia, mi spiega cosa sia il complesso dei Fuksas? Così almeno scopro di quale malattia soffro. 

 

<em>D'Alema ricorda Aldo Moro: primato della politica o paurosa regressione.<em>

9 Maggio 2006



 

Torni

l'idea di un primato della politica: e' il monito che il presidente dei

Ds Massimo D'Alema lancia in occasione di un convegno che ricorda la

figura di Aldo Moro. Ragionando sulla figura dello statista

democristiano ma con un occhio all'attualita', D'Alema invita a

riflettere sulla necessita' di un primato della politica che governi i

processi della societa'.


''Oggi la logica della mediazione, la

coscienza della necessita' e dei vincoli, dei rapporti di forza, gode

di cattiva fama. Sembra che lo scontro brutale indichi un piu' alto

senso di moralita', mentre ogni tentativo di compromesso e mediazione

e' visto come deteriore'', ha osservato D'Alema rilevando come invece

questo senso della politica sia stato lo spirito della lezione di Moro

e piu' in generale di una buona parte del ceto politico della prima

Repubblica.


''Oggi prevale la logica della delegittimazione

reciproca e della condanna di ogni compromesso: e' una regressione

culturale e politica paurosa''. La politica invece deve stabilire il

quadro di regole condivise entro cui si manifesta il conflitto.


''La

grande debolezza della seconda Repubblica e' che non e' stato

realizzato un nuovo fondamento comune: il limite e' che si e' costretti

giorno dopo giorno, e oggi e' uno di quelli, a cercare gli

aggiustamenti necessari''.


D'Alema ha ricordato il progetto di

Moro di inaugurare una nuova stagione politica, ''stagione brutalmente

interrotta'' con la morte dello statista. Una stagione, ha spiegato

D'Alema, in cui si desse rappresentanza, con il riconoscimento

reciproco, a quella parte del paese non rappresentato dalla Dc. ''E'

stata

una importante lezione riformista - ha osservato il

presidente della Quercia - e dopo quella morte e' anche finita la

stagione di quella repubblica dei partiti. Poi gli anni '80 hanno

costituito una lunga agonia''.


La lezione di Moro, dunque,

oltre al riconoscimento del primato della politica e' stato quello di

un riformismo moderato: ''oggi il termine moderato e' usato in modo

improprio, visto che ci sono tanti estremisti che si definiscono

moderati''. Ma primato della politica significa anche la difesa della

democrazia, e ''il riconoscimento del ruolo di tutte le forze in campo,

una visione dello Stato e la capacita' di promuovere il cambiamento.

Altrimenti - ha concluso D'Alema - si tratta solo di gestione del

potere e dell'esistente''.

 

 

 

 

 

L'articolo lungo e' direttamente dal webpage del ministro degli esteri.

Per la cronaca, Tronti invento' l'"autonomia del politico", il germanismo e' voluto. Trattasi di autonomia della politica in base ad un bizzarro rivedere il marxismo (cosidetto ottuso) di quelli che insistono sulla nozione di "sovrastruttura".... 

 

fa bene il signor cumino a specificare visto che si era messo a traino della "valanga di balle" di cui si parlava del post principale.

 

ho letto la parte "centralità ed essenza del sindacato".

non saprei proprio esprimermi a riguardo perchè non sono uno storico del movimento sindacale e della vita politica dal post 45 ad oggi. ed è evidente come la complessità dell'argomento sia altissima e le opinioni le più varie.

detto questo, nella mia esperienza di rsu, posso confermare la tentacolarità del sindacato e il suo carattere parassita. il problema secondo me non sta nel modello fisso, super fisso o in altri modelli, ma nella democrazia interna al sindacato ed allo spazio sindacale in generale. a questo ovviamente si aggancia il problema della comunicazione e dell'informazione in italia e della spesso scarsa partecipazione dei lavoratori alle scelte sindacali. anche qui ovviamente la situazione è molto complessa e non bisognerebbe generalizzare. io parlo per esperienza personale. in base a cosa parlino o scrivano gli altri non so.

in generale le aziende che ho frequentato (premetto: non sono piccole) mi sono sembrate sistemi feudali organizzati a cordate di potere che si scontrano e si fronteggiano con fortune alterne.

i sindacali (confederali) simulacri del passato impegnati a garantirsi la sopravvivenza a scapito dei principi e delle persone che dovrebbero rappresentare.


per quanto riguarda la supremazia della politica il discorso è lo stesso.

in generale però bisognerebbe tener sempre ben presente che il livello politico non sparisce certo con lo sparire o l'indebolirsi del "politico istituzionale". la società non esisterebbe senza relazioni e le relazione non sarebbero relazioni senza rapporti e dislivelli di potere. si tratta solo di capire chi se avvantaggia, con quale visione e con quali obiettivi. attualmente è chiara un'evidente conquista del campo politico da parte di (varie) forze economiche che sono riuscite a creare un potente apparato egemonico, per dirla alla Gramsci. detto questo non bisogna buttare il bambino con l'acqua sporca. il campo politico può anzi deve cambiare.

 

(...)

 

Vorrei contribuire citando un microscopico "mito" recentemente rivitalizzato da Walter Veltroni. Il neo trombato (che ho votato, ma solo alla Camera) gonfiava il petto proferendo con solennità: il miracolo economico italiano è da attribuire in larga parte al centro-sinistra.

La cosa non è poi così secondaria visto che, appassito il boom, tutto la restante storia dell' economia post bellica italiana puo' essere archiviata nel file "declino".

Ma la realtà sembra parlare altrimenti: il miracolo durò fino ai primi sessanta proseguendo poco oltre per inerzia, e le date sembrano confermare questa antitesi.

La lira vinse l' oscar della migliore valuta nel 1960. La produttività ebbe il suo balzo tra il 58 e il 61. L' export, dal 53 al 57, schizzava di un 15% annuo; e la produzione industriale quasi di un 6% (peccato che la Germania ci freghi, altrimenti eravamo i migliori d' Europa). Inflazione? Tra il 51 e il 61 il tasso medio fu del 2.8%. Più che accettabile. Nel 1963 disoccupazione ai minimi rispetto ai precedenti 50 anni (2.5% di media). Nel 57 aderiamo al MEC, ottima scelta.

Non parliamo dei simboli: 500, 600, grattacielo Pirelli, metropolitane, autostrada del sole... Tutta roba passata quando il centro sinistra emise il primo vagito.

Con il centro sinistra arrivò invece la crisi, pudicamente battezzata "congiuntura". E con quella il monopolio dell' energia elettrica stabilmente arpionato nelle grinfie statali che ancora adesso stentiamo a disincastrarlo da lì.. E l' esempio riscosse entusiasmo visto che da allora l' economia cominciò a nazionalizzarsi ad una velocità pari solo alla sua corruzione, così come cominciò la fuga dei capitali e l' impennata di spesa pubblica. Altro semino importante fu amorevolmente piantato dai proto-veltroniani: un bellissimo sistema previdenziale a ripartizione. E' così che il nostro welfare cominciò a contorcersi dovendosi realizzare a suon di baby pensioni e pensioni d' invalidità. Era l' unico canale.

Un capitalismo del genere sta in piedi finchè c' è da "copiare", quando c' è da "innovare" perde colpi. E infatti nei settanta e ottanta resse solo grazie alle supposte svalutative, inflattive e debitorie.

A sinistra i liberali erano circa 5. Ernesto Rossi + i 4 gatti del Mondo. Non influirono molto circondati dalla massa per la quale il Capitalismo è molto meglio disintegrarlo che cambiarlo.

A Veltroni lascio i miti del centro sinistra fanfaniano. Io preferisco puntare su un' altra squadra, mi sbilancio con una formazione di calcetto: De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni, La Malfa... e anche un certo Marshall all' ala.

Bottom: in un recente articolo sul Sole, Carrubba riesponeva questa storiella in modo molto più professionale, ho pensato bene di fregargli un po' di numeri.

 

Mi associo, ma all'80%. All'80% perché mi sembra una storia molto "MiTo-centrica" dell'economia italiana: una storia non falsa ma scritta pro-piani alti di Confindustria.

Mi spiego.

C'è un dettaglio, non irrilevante per l'oggi, che va aggiunto a questa storia: c'è stata crescita, anche se limitata ad alcune aree del paese, anche dopo la metà degli anni '60. È cominciata a fine anni '70, ed ha coinvolto soprattutto (non solo, sia chiaro) il Nord-Est, l'Emilia Romagna e, anche se in misura minore, altre regioni del centro Italia. Senza la crescita della piccola industria che si concentra in queste regioni e che è altamente flessibile e, fino a che ce l'ha fatta, anche molto innovativa, la crisi italiana sarebbe molto ma molto peggio di quanto non sia.

Questo aspetto non va scordato, specialmente per intendere l'oggi e chiedersi su quali punti di forza si possa fare ancora leva. Le energie positive risiedono oggi molto parzialmente nell'asse MiTo poiche' molte delle sue componenti che storicamente fecero il "miracolo italiano" sembrano oramai completamente integrate nel sistema statalista che ha la casta al proprio centro.

Aggiungo di più: occorre riflettere sul perché, in un quadro di progressiva statalizzazione/corruzione/sindacalizzazione del paese, la grande industria (che, di nuovo, ha l'asse MiTo come punto storico di riferimento) sia declinata ed abbia supinamente accettato una connivenza oramai trentennale con i pilastri di questo sistema. Non faccio l'elenco delle mille prove di questa affermazione, ma la relazione fra FIAT e casta, mediata dall'appropriazione delle tasse degli italiani, è il simbolo di tale connivenza. Le grandi banche basate in MiTo, private di nome ma co-gestite di fatto da settori della casta, ne forniscono un secondo.

E' invece nelle regioni che ho menzionato, e nella piccola e media industria piu' in generale, che e' rimasta in piedi una "resistenza economico-politica" al sistema di statalismo che sta asfissiando il paese. Carrubba dovrebbe tenerne conto, e non raccontare, insisto, una storia pro-Confindustria-MiTo.

 

 

Per come la vedo io IL PRIMATO DELLA POLITICA, LA CENTRALITA' DEL SINDACATO, LA CONCERTAZIONE, più che dei miti sono delle parole d'ordine, delle trappole retoriche che servono a intimidire, confondere e paralizzare "democraticamente" l'opinione pubblica per meglio difendere la propria corporazione o "casta". E ce sono molto altre, che non significano NULLA ma hanno la loro bella efficacia, in Italia. Mai sentito parlare, ad esempio, di:

SOCIETA' CIVILE? E' il manganello della CASTA INTELLETTUALE. L'invenzione lessicale della "società civile", che presuppone logicamente quella "incivile", è l'oracolo di Delfi dei politici e degli intellettuali di sinistra comme il faut; vi si fa ricorso se malauguratamente i responsi della democrazia elettorale non corrispondono ai loro desiderata; in casi estremi si fa appello "alla parte migliore della società civile", quella che si riserva una golden share sui destini democratici del paese. E' la P2 politicamente corretta.

DEMOCRAZIA COMPIUTA? Questa clava dialettica va molto di moda tra la CASTA DEI MAGISTRATI DEMOCRATICI, che hanno il culto della legalità, ma che stanno agli altri magistrati come la Germania Democratica stava alla Germania Federale: è un atto d'accusa preventivo alla CASTA POLITICA, e serve per giustificare anticipatamente, nel nome - beninteso - della "democrazia sostanziale", le procedure non proprio ortodosse dei giustizieri togati, che vogliono mettere a posto il mondo. Intanto fanno carriera alla grande.

CLASSE DIRIGENTE? Qual è la classe dirigente in Gran Bretagna? Qual è la classe dirigente negli USA? Cos'è la classe dirigente? La mancanza di una "classe dirigente" all'altezza, è stato il mantra della CASTA CONFINDUSTRIALE, veicolato dai soliti Corriere-Stampa-Sole24Ore. Tradotto per i villici in parole povere significa: l'Italia va modernizzata, evviva le liberalizzazioni, ma per quanto ci riguarda con mucho juicio; quindi il governi modernizzi pure, ma "concerti" con noi, che siamo "classe dirigente". Il libro "La Casta", supersponsorizzato dai quartieri alti di Viale dell'Astronomia e caso editoriale ancor prima di uscire, è stata una cannonata sparata dalla CASTA CONFINDUSTRIALE contro la CASTA POLITICA, visto il mal parare del governo Prodi, per salvarsi dai furori della pubblica opinione e per far dimenticare al volgo la precedente alleanza fra le due CASTE.

E così il PRIMATO DELLA POLITICA è il compunto, paternalistico, ammonimento della CASTA POLITICA alla plebe inquieta di non buttare il bambino con l'acqua sporca; e la CENTRALITA' DEL SINDACATO è una specie di avvertimento semimafioso della CASTA SINDACALE per dire che senza la sua non richiesta mediazione non si fa nulla.

Quando c'è armonia fra le caste allora trionfa la CONCERTAZIONE, come avvenne per l'ultima volta nella campagna elettorale prodiana del 2006.

Questo succede nei quartieri alti, ma poi il fenomeno si replica in tutti i segmenti della società. Le piccole corporazioni sono lo specchio delle grandi. A mio modo di vedere la "casta politica" non è altro che una fazione tra le fazioni, o per meglio dire, si comporta come una fazione tra le fazioni, specie quando ha paura. Questa deriva tribale è il segno di un paese in cui regna la sfiducia e ognuno cerca sicurezza intruppandosi in un branco. Abbonda lo statalismo e manca il senso dello stato, ovvero il senso dello "stare insieme", perché quando manca la fiducia e la collaborazione alla fine tutti guardano in alto al potere salvifico della politica. Se l'equilibrio delle fazioni immobilizza il paese cos'altro resta? E' naturale poi che in un clima come questo il paese sia spazzato da venti ipocriti di moralizzazione, sotto la cui veste, la storia insegna, c'è sempre la filosofia che animava l'azione delle minoranze organizzate "rivoluzionarie" di una volta e che riduceva i problemi all'individuazione della parte marcia della società, i sabotatori o i kulaki o i capitalisti giudei. In questo senso, la barbara iniziativa pseudomoralistica e legalistica di Visco e i sogni di palingenesi vaffanculista di Grillo hanno una medesima radice.

Sull'origine di questo spirito di fazione e sul significato della vittoria berlusconiana ho opinioni piuttosto diverse da quelle che leggo qui su NFA, ma intanto non so neanche se qualcuno trova il tempo di leggere questa pappardella (un po' schematica, lo ammetto).

 

A titolo personale vorrei testimoniare che hai almeno un lettore interessato a conoscere la tua opinione sul significato della vittoria di Berlusconi. Concordo con l'interpretazione data del libro "La Casta", oltre a quanto hai scritto si tratta della revisione politicamente corretta da Confindustria delle lamentele della Lega, con cui G.A.Stella cerca di disinnescare le ragioni di questo partito che lui Mieli e soprattutto Confindustria non amano. La ragione principale del malfunzionamento dello Stato italiano sono sprechi e corruzione statali al Centro per la Casta politica, al Sud per l'enorme spesa clientelare, al Nord per aiuti e protezione alle grandi imprese (tra cui i prepensionamenti). Non c'e' bisogno dei mille aneddoti riportati da G.A.Stella se non per fare degli esempi, le cifre aggregate sono note e sono anche pubblicizzate dalla Lega fin dai primi anni '90.