La finanziaria non è ancora chiusa, e forse c'è spazio per qualche suggerimento tecnico migliorativo. In questo sito abbiamo già spiegato che non ci piace il modo in cui il trasferimento all'INPS dei fondi accantonati per il TFR viene fatto passare come una entrata. Ma oramai la cosa è fatta, e non vale la pena rimuginare. C'è però un'osservazione contenuta nell'articolo di Gianluca che non ho visto ripresa da nessun'altra parte, e su cui invece occorre chiamare l'attenzione. Sto parlando dei rischi per la crescita delle imprese che l'attuale normativa, che limita alle imprese con più di 50 dipendenti il trasferimento del TFR, può creare.
Come avevo già osservato nel commento all'articolo di Gianluca, l'attuale regime in base al quale i fondi accantonati per il TFR rimangono alle imprese, ma il pagamento delle liquidazioni viene comunque garantito dall'INPS, rappresenta un immotivato e arbitrario sussidio alle imprese. Il sussidio è pari alla differenza tra il tasso d'interesse che le imprese pagherebbero sul libero mercato, e che tiene conto del loro livello di rischio, e il tasso d'interesse implicito sui fondi TFR. Quest'ultimo è molto vicino al tasso d'interesse che si paga sul debito pubblico, di solito assai minore. Il fatto che il sussidio non appaia nei conti pubblici non significa che non esista; in effetti si materializza ogni volta che una impresa fallisce e l'INPS è chiamato a rispondere con i suoi soldi delle liquidazioni dei dipendenti.
Si tratta di uno dei peggiori tipi di sussidio per un paio di ragioni. Primo perché è occulto. Non appare esplicitamente nei conti pubblici e il suo ammontare è ambiguo, e in verità ben pochi sembrano rendersi conto semplicemente dell'esistenza di questo sussidio. Secondo, perché varia tra imprese in modo assolutamente casuale e privo di alcuna logica economica. L'impresa più rischiosa riceve un sussidio più alto, dato che la differenza tra il tasso a cui può prendere a prestito e il tasso risk-free è più alto, l'impresa che opera in un settore capital intensive riceve meno sussidio perché usa meno lavoro per unità di valore aggiunto, e così via. Bene quindi che questo sussidio venga eliminato, trasferendo gli accantonamenti all'INPS o a fondi pensione privati. Male, anzi malissimo, usare la sua eliminazione per trucchi contabili, ma di questo ho promesso di non parlare.
Quello di cui voglio parlare è il pericolo che il mantenimento del sussidio solo per le imprese con meno di 50 dipendenti comporta. I contorni della manovra non sono ancora interamente definiti, ma voglio lo stesso provare a comparare due situazioni di stato stazionario.
Consideriamo una impresa con 50 dipendenti, che accantona in media 1800 euro per dipendente l'anno. Questo significa che tale impresa incamera 90000 euro l'anno come prestito a tasso risk free. L'ammontare totale del prestito che l'impresa riceve nello stato stazionario dipende dal turnover, ossia da quanto frequentemente deve pagare le liquidazioni ai dipendenti, ma mi sembra una stima ragionevole che nello stato stazionario l'ammontare del prestito accumulato negli anni sia intorno ai 900000 euro. Su questo prestito l'impresa paga un tasso di circa il 4%. Se il tasso a cui prende a prestito dalle banche è del 7%, ossia il premio al rischio è del 3%, allora il sussidio all'impresa è il 3% di 900000, ossia 27000 euro annuali. Cosa significa questo? Un'impresa di 50 dipendenti ne assume un cinquantunesimo se i profitti generati dall'occupato addizionale sono superiori al costo del lavoro. Ora a tale costo si aggiunge la perdita del sussidio annuale di 27000 euro. Non ci vuole un dottorato in economia per capire che questo costituisce un forte disincentivo all'assunzione di nuovo personale. Il disincentivo sarà tanto più forte quanto più alto è il premio al rischio. Per esempio, se il premio al rischio è il 6% (ossia l'impresa prende fondi sul mercato a un tasso del 10%) allora il sussidio è di 54000 euro annuali. Si tratta uno di quei meccanismi a cui si tende a fare poco caso ma che nel lungo termine possono avere effetti diabolici.
Come ovviare al problema? La cosa più semplice sarebbe ovviamente trattare fin da subito tutte le imprese allo stesso modo, indipendentemente dal numero dei dipendenti. Ma se questo proprio non è possibile (chissa poi perché) ci sono varie possibili soluzioni che eliminano la distorsione. Per esempio, si potrebbe prevedere fin da ora l'eliminazione nel tempo di questo trattamento differenziato, stipulando che il limite di 50 dipendenti viene ridotto a 40 nel 2008, a 30 nel 2010, per poi venire eliminato. Oppure si può stabilire che il TFR dei primi 50 dipendenti resta comunque all'impresa, anche nelle aziende con più di 50 dipendenti (questa soluzione elimina la distorsione ma ovviamente non elimina il sussidio, e mi sembra quindi meno preferibile; ma è meglio del regime proposto). Oppure si può inventare qualcos'altro. L'importante è non lasciare nella legislazione un altro ostacolo permanente alla crescita delle imprese.
Supponiamo che io sia un imprenditore con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 100, che produce e commercializza un prodotto o un servizio. Adesso mi dicono che devo dare all'inps i danè del TFR perchè supero la fatidica soglia dei 50 addetti. Sai che faccio per risolvere questo problemuccio? Divido la mia impresa in due: l'azienda A che produce e l'azienda B che commercializza il prodotto (che compra da A, ovviamente). Naturalmente sia A che B avranno meno di 50 dipendenti et voilà!!! Il gioco è fatto.
Diranno che che le loro misure di rilancio hanno fatto nascere un sacco di nuove imprese....
Intanto i primi effetti di questa finanziaria si sentono già: i dati di spesa per consumi in europa di ottobre sono sui massimi degli ultimi mesi con l'indice euro a 52.4 (50 indica crescita sotto 50 contrazione) e l'Italia è l'unica in cui cala a 47. Ecco il rilancio dell'economia italiana... Ma questi signori lo sanno che una società con sede a Madeira non paga tasse fino al 2011? E che la sede a Madeira costa 10.000 euro l'anno?