Di primo acchito, se non si chiariscono bene le ipotesi alla base, (tipicamente prodotto effettivo di molto inferiore al prodotto potenziale, nessuno effetto sul tasso di interesse e nessun vincolo stringente di bilancio pubblico) gli studenti rimangono sbalorditi come nel paese dei balocchi: ecco la cornucopia, la biblica giara della vedova che non si svuota mai!
Un meccanismo di infinito benessere sembra essere alla portata di tutti.
Di questi tempi, davanti alla recessione che stiamo attraversando, il rimedio invocato da molti, soprattutto dalla sinistra più estrema, Vendola, Landini, Cofferati solo pochi giorni fa, e che si dice fermamente keynesiana è uno solo: investimenti pubblici!
Finanziati come? Con lotta all’evasione (sigh!), una patrimoniale, o a debito (convincendo la Merkel a non rompere sul deficit) e magari con gli eurobond (convincendo la Merkel a metterci del suo).
Insomma, gli investimenti pubblici aumentano nel breve il reddito facendoci uscire dalla recessione e nel lungo periodo aumentano la produttività delle imprese private e quindi la domanda di lavoro grazie all’aumento del capitale infrastrutturale: strade, ponti, ferrovie, telecomunicazioni, etc.
Facile no ? Come è possibile che non si attui una politica così ovvia?
Perché, in realtà, non si vi è un riscontro univoco di una relazione positiva tra investimenti pubblici e crescita, né nel breve né nel lungo periodo.
In un articolo della Banca Centrale a cura di Afonso, A. e M. Aubyn, ( 2008) gli autori trovano che per alcuni paesi l’effetto complessivo è positivo per altri negativo.
Questo perché nel breve periodo l’investimento pubblico può deprimere quello privato vanificando l’intervento. E' qui che l'ipotesi di prodotto effettivo di molto inferiore al prodotto potenziale e' cruciale. Se gli investimenti pubblici in qualche modo si traducono in un effetto sul tasso di interesse allora si posso creare problemi al meccanismo del moltiplicatore. Ma il punto fondamentale e' quello del finanziamento: spesa pubblica oggi significa tasse domani e quindi effetti depressivi domani e forse anche oggi, nella misura in cui famiglie e imprese anticipano le tasse future e risparmiano oggi per pagarle. L'ipotesi del modello IS-LM che tutto sia statico, che si guarda all'oggi e tanto domani non esiste e' cruciale e tremendamente nefasta in generale.
Insomma e' possibile che questo fenomeno di spiazzamento (crowding-out) via tasso di interesse diminuisca l’investimento privato e ridimensioni gli effetti positivi dell’investimento pubblico. Lo stesso potrebbe fare l'anticipazione di tasse future. Se poi invece di finanziare le opere a debito o dall’Europa si immagina di finanziarle con le tasse vi lascio immaginare l’impatto sui consumi. Ma di questo “piccolo” problema del finanziamento nel modello keynesiano base non si fa menzione.
Però, si dirà, nel lungo periodo, le infrastrutture aumentano la produttività delle imprese. Le cose sono un po’ più complicate e, purtroppo, non necessariamente così. Nel bel libro sulla crescita di Barro e Sala-I-Martin (1995) possiamo trovarne la spiegazione. Il capitale pubblico non è di per sé produttivo nel lungo periodo. Anzi, le autostrade possono essere usate anche solo per emigrare più velocemente all’estero! Il punto fondamentale è che, come le autostrade, tutte le varie infrastrutture sono produttive solo se sono al servizio delle famiglie o delle imprese! E’ quindi un armonioso rapporto tra capitale pubblico e privato che genera la crescita. Se il rapporto è squilibrato, perche' le imprese pubbliche servono gli interessi politici e ad essi fanno riferimento, anche nel caso di carenza di infrastrutture per un gran numero di imprese, la crescita latita. Il Nord con un capitale infrastrutturale congestionato ne è un esempio. La spesa pubblica non ha saputo decongestionarlo, essendo stat in larga parte improduttiva appunto. D’altro canto, se anche ci sono le infrastrutture ma mancano le imprese a causa della mancanza delle altre condizioni per l’insediamento, gli investimenti pubblici sono soldi buttati al vento, come è il caso di molte infrastrutture nel Mezzogiorno.
Non deve quindi stupire che le analisi empiriche di lungo periodo non diano risposte univoche in un campione di paesi che differiscono per struttura economica e condizioni di finanza pubblica. Ma vi sono altre considerazioni, altri caveat da aggiungere che ridimensionano ancor più l’effetto positivo anche sul piano occupazionale, in particolare, nel caso italiano:
a) Gli investimenti infrastrutturali importanti non sono più ad alta intensità di lavoro come nel New Deal degli anni ‘30, ma ad alta intensità di capitale. Il rapporto macchine-lavoro è andato aumentando sempre più, così che l’impatto occupazionale è veramente piccolo.
b) La manodopera che viene utilizzata per questa tipologia di investimenti è sempre più manodopera straniera. Quindi l’impatto occupazionale nazionale viene ulteriormente ridimensionato. Inoltre questi lavoratori stranieri inviano spesso gran parte dei redditi alle loro famiglie all’estero non attivando quel ciclo reddito-consumi così auspicato dai nostri Landini e Vendola.
c) I costi delle opere in Italia sono molto più alti che nel resto d’Europa. Ci sono ovvi motivi (la corruzione) e meno ovvi ( l’inefficienza della pubblica amministrazione). La corruzione rampante potrebbe giustificare molti di questi extra costi. Il motivo è che la corruzione esclude, per meccanismi noti, le imprese migliori e quelle che vincono le gare scaricano il costo della corruzione con procedure di revisione di costo e contenziosi. Ma anche le amministrazioni hanno una bella fetta di responsabilità. Le amministrazioni, infatti, cercano di non decidere ma tendono a distribuire la responsabilità delle scelte tra i vari uffici cercando di limitarsi al solo controllo formale. Alla fine i tempi delle opere si allungano e i costi lievitano, perché tener fermi operai e mezzi per mesi ha un impatto terribile sui bilanci. Tutto ciò, corruzione e inefficienze della Pubblica Amministrazione, mette in dubbio la capacità di trasformare, diciamo 100 euro di nostre tasse in 100 euro di infrastrutture reali. Un lavoro molto bello su questo tema è quello di Golden e Picci (2005) che stimano che se tutto il flusso di investimenti, ad esempio, in Calabria, si fosse effettivamente trasformato realmente in infrastrutture la Calabria avrebbe dotazioni per il 28% superiori alla media italiana. Ne ha invece il 35% in meno. Sono numeri semplicemente spaventosi.
d) La distanza temporale tra il momento della decisione politica del fare l’opera e il suo inizio, per i motivi di cui sopra, tende ad essere così incerta e lontana che spesso gli investimenti reali sono prociclici, cioè hanno luogo in fasi di boom anziché di recessione, vanificando la capacità di stimolo sull’economia ma anzi spingendo in alto l’inflazione.
E’ per tutti questi motivi che, quando si cercano prove empiriche dell’impatto positivo delle infrastrutture pubbliche sulla crescita di lungo periodo per l’Italia esse sono ambigue e spesso nulle (La Ferrara, Marcellino M. ,2000; Afonso, A., and M. Aubyn, 2008). Personalmente ho stimato, con un collega, relazioni statistiche tra crescita ed investimenti pubblici infrastrutturali per le regioni italiane non registrando nessun effetto di crescita (Carmeci e Mauro, 2005).
E’ triste questo realismo, me ne rendo conto, è triste non avere la cornucopia keynesiana o la bacchetta di Harry Potter. Tuttavia, forse è anche il tempo di diventare adulti e smettere di leggere, ma soprattutto recitare, favole per bambini.
*N.B.: Gli investimenti pubblici sono nell’aggregato Goverment Outlays (G) nel sistema dei conti US e nell’aggregato Investimenti Fissi Lordi in quello Europeo. Forse gli anglosassoni sono più smaliziati e hanno capito tutto da tempo?
Bibliografia:
Afonso, A., and M. Aubyn, 2008, “Macroeconomic Rates of Return of Public and Private Investment: Crowing-In and Crowding-Out Effects,” ECB Working Paper No. 864.
Barro, R. J. (1990) “Government Spending in a simple model of Endogenous Growth”, Journal of Political Economy, 98, 103-25.
Barro R.J. and Sala-i-Martin X. 1995 “Economic Growth” Mac Grow-Hill
Carmeci G. - Mauro L. (2004), A positive effect of investment on Italian regional
growth, in International Review of Economics and Business (RISEC), 51 (3), pp. 423-445
La Ferrara, Marcellino M. (2000) “TFP, Costs, and Public Infrastructure: an Equivocal Relationship” Mimeo
Golden Miriam A. & Picci, Lucio 2005. "Proposal For A New Measure Of Corruption, Illustrated With Italian Data," Economics and Politics, Wiley Blackwell, vol. 17, pages 37-75, 03.
La lezione che puntualmente non viene imparata è che, come giustamente viene ricordato nell'articolo, le ipotesi di base di un modello sono fondamentali per capire il modello stesso.
Il modello keynesiano di base ci permette di dire poco altro rispetto al fatto (fondamentale e sacrosanto) che l'economia è fatta di aspettative. Tutt'al più la spesa pubblica (in disavanzo, con buona pace di chi ama le tasse) può avere un effetto anticiclico, ma di qui al moltiplicatore la strada è lunga.
E' curioso in ogni caso vedere a cosa porta il modello IS-LM se sono applicate certe condizioni al contorno, ad esempio la libera circolazione di merci e capitali e un'economia "piccola" rispetto al contesto. Ebbene, se la memoria non mi tradisce, l'effetto di una politica fiscale in queste condizioni è... zero! Insomma, se non cambiano i fondamentali dell'economia non serve a nulla dotarsi di politiche fiscali espansive, e questo rimanendo all'interno di un modello keynesiano.