La questione è molto semplice. Consiste nella mancata concessione di un luogo storico cittadino - il teatro romano, abitualmente utilizzato a fini simili - per una performance musicale del signor Marco Castoldi, in arte Morgan.
A prescindere dal giudizio in merito alla qualità artistica del reietto - chi scrive ne ha opinione poco lusinghiera e non sarebbe interessato a dedicare due ore del suo tempo ad uno spettacolo di cotanto musicista - leggere la motivazione del rifiuto induce una gran tristezza. Nemmeno un'uggiosa serata di pioggia autunnale, trascorsa ascoltando le pagine piú tormentate di Chopin poche ore dopo il decesso dell'amato gatto di casa (si fa per dire, naturalmente) potrebbe generare tanto sconforto.
Si dichiara con sicumera, infatti, che sia necessario impedire alle menti dei giovani virgulti locali di essere condizionate dal cattivo esempio di un (losco?) individuo reo confesso del consumo di droghe.
Ah, be', certamente, ci deve pensare un novello e nostalgico simulacro di Madre Superiora, alla quale - recita la filastrocca infantil-goliardica - tutti si vuole tanto bene perché ci guida, ci consola e la cacca ci fa far: non sia mai che centinaia d'individui, per definizione totalmente incapaci d'intendere e di volere e perciò bisognosi di amorevole e morigerata cura, possano essere condotti sul lato selvaggio della strada, come direbbe il "maledetto" Lou Reed.
E però non è possibile non chiedersi - conoscendo un minimo di storia della musica - quale sarebbe stata la risposta di amministratori così giudiziosi e moralmente attenti se una simile richiesta fosse pervenuta da un qualunque gigante della musica, ormai non piú tra noi, segnato dall'insana passione per gli "aiuti dei propri amici". Per esempio da un Chet Baker, da una Billie Holiday, da un Charlie Parker. Ed avrebbe il sindaco Tosi - ma pure un suo pari di differente colore e di simile slancio etico - vietato un concerto ai Beatles, di "Strawberry Fields Forever", oppure agli Stones inneggianti ad un chiaramente identificabile "Brown Sugar", magari dopo aver professato una blasfema "Simpathy for the Devil"? Ed un chitarrista considerato pietra miliare del rock-blues - Eric Clapton - potrebbe mai eseguire in pubblico quello straordinario e così riprovevole brano di J.J. Cale dal titolo "Cocaine"?
Mah, forse il futuro degli spettacoli musicali ci riserverà solo l'Ave Maria di Schubert e - si parva licet - i canti degli alpini, sempre ammesso che i colti censori non siano al corrente della passione notturna per il sesso mercenario en travesti del compositore austriaco e siano clementi nei confronti delle colossali bevute indotte dal freddo delle montagne e dalla paura.
Oppure - sia concessa una nota di speranza - un bel giorno costoro saranno seppelliti dalle risate.
Propendo -e spero- per il seppellimento dalle risate, ma temo che oramai ci sia in giro ancora poca gente che sia in grado di riderci su.
In buona sostanza, stiamo perdendo il senso del ridicolo.