In un suo editoriale su FTfm di oggi, il nostro ci rivela che "è tempo di buttare tutti i modelli economici", e come da manuale inizia col solito straw man sull'Ipotesi dei Mercati Efficienti. Siccome ho già detto che ne penso, sorvolo. Heaney quindi allunga il tiro e decide che "il primo passo è quello di accettare la futilità di tentar di descrivere le interazioni umane con modelli matematici, particolarmente con quelli che ritornano automaticamente a uno stato d'equilibrio". Boh, vabbé, ma chi ha mai detto che questo sia lo scopo della modellizzazione economica o finanziaria? Quello che uno cerca di fare è di scoprire patterns ripetitivi su base statistica nelle fluttuazioni dei prezzi di mercato, e di fornire stime probabilistiche della loro evoluzione.
Ma il bello viene adesso: secondo Heaney, "L'economia un tempo era una disciplina descrittiva - il lavoro originale di Keynes non era un trattato matematico - e trarrebbe beneficio dal diventare descrittiva nuovamente". Un tempo quando, esattamente? Avendo vinto un "premio Adam Smith", il Nostro dovrebbe sapere che l'amico e maestro di Smith, il filosofo empirista David Hume, scrisse nel 1748:
Se prendiamo in mano qualunque volume di religione o metafisica scolastica, ad esempio, chiediamoci: contiene alcun alcun ragionamento astratto che concerne quantità o numero? No. Contiene alcun ragionamento sperimentale concernente questioni di fatto ed esistenza? No. Consegnamolo dunque alle fiamme, poiché non contiene altro che sofismi e illusione.
E che dire del misterioso "lavoro originale di Keynes"? Parliamo della "General Theory" del 1934-36? O dell'(ancora monetarista) "A Tract on Monetary Reform" del 1924? E che dire dell'alquanto geeky "Treatise on Probability" del 1921, dove Keynes discute con competenza di inferenza statistica e di principio di ragione insufficiente, e anticipa la scuola neo-bayesiana delle probablità soggettive (alla Jaynes/De Finetti), con un capitolo XXVI dedicato alle "applicazioni delle probabilità alle decisioni"? E soprattutto, se c'è una cosa su cui Keynes e i suoi discepoli insistevano (fino all'eccesso, specialmente perché riferita ad aggregati macro di dubbia esistenza) era proprio quella dei modelli matematici, rimproverando alla scuola austriaca un approccio non sufficientemente quantitativo!
Nessun articolo di un neo-sciamanista è completo senza un riferimento a Nassim Taleb, e Heaney non fa eccezione. Ora, le mie opinioni su Taleb io le ho espresse da tempo, ma la rappresentazione che Heaney dà di lui è grottesca: gli fa dire che "gli eventi estremi non possono essere predetti o modellizzati" e bisogna rimpiazzare ogni modello matematico con "l'esperienza affilata dal buonsenso" (chi ha bisogno di economisti quando si può chiedere alla nonna?). In realtà, Taleb sostiene semplicemente che le distribuzioni dei ritorni di assets finanziari hanno code statistiche paretiane, e che il trascurare questo fatto conduce a drammatiche sottovalutazioni del rischio; cosa che a suo avviso è frutto di un complotto nel mondo accademico, mentre secondo me (e molti altri) riflette gli interessi degli operatori finanziari. In ogni caso, Taleb non rigetta affatto l'uso della matematica: a parte il fatto che ha insegnato in corsi di Finanza Quantitativa, è ben noto che usa reagire in modo piuttosto energico verso chi dubita della solidità matematica delle sue argomentazioni.
Oh, la chicca finale: la "superiore performance finanziaria di Goldman Sachs rispetto ad altre banche d'investimento è testimonianza della forza dell'esperienza e senso comune sulla supina aderenza a modelli matematici". A parte il fatto che Goldman Sachs si è sempre dotata dei migliori matematici finanziari sul mercato, soprattutto nel periodo in cui Fisher Black guidava la sua divisione nei primi anni '90, davvero qualcuno pensa che "esperienza e senso comune" abbiano contato di più che le connessioni con Hank Paulson, Tim Geithner, Robert Rubin e praticamente chiunque abbia contato qualcosa negli ultimi vent'anni?
Credo occorra distinguere tra modelli di rappresentazione dei mercati finanziari (pricing e misurazione del rischio) e modelli che invece intendono spiegare i mercati finanziari (equilibrio). I primi possono essere giudicati semplicemente in termini di sofisticazione matematico-finanziara. I secondi no: questi per vantare un valore scientifico devono essere sperimentati. Pratica che bisogna ammettere manca a tutta o quasi la letteratura in quest'ambito.
(Esempio banale: la quasi totalità dei modelli di asset pricing assume che l'agente rappresentativo (o i gli agenti eterogenei) del mercato siano sempre marginali, questo non ha nulla a che fare con la realtà. Inoltre, finchè la nozione di equilibrio che si assume è solo nella testa dei ricercatori, se le variabili esogene sono Gaussiane o Lévy conta davvero poco: il modello rimane sbagliato; risulta invece decisivo se si vuole (semplicemente) prezzare un'opzione...)
Qui il testo di uno dei migliori professori che abbia avuto.
Intendi dire che per determinare la funzione di utilita' degli agenti del mercato si assume un'avversione al rischio assoluta anziche' relativa? Certo, c'e' una gran quantita' di modi di migliorare i modelli, e questi costituiranno comunque sempre una rappresentazione molto approssimata della realta', da prendere con estrema cautela. Questo non e' mai stato negato dagli addetti ai lavori: nel capitolo che chiude "My Life as a Quant", Derman cautela i lettori contro eccessive aspettative dai modelli finanziari, e mette bene in chiaro che il loro potere descrittivo e' immensamente piu' limitato che nelle scienze fisiche. Il libro e' stato pubblicato nel 2004, ben prima della recente crisi finanziaria, e non e' quindi considerabile una misura ex post facto di limitazione dei danni.