Il neo-sciamanista e la nonnina

/ Articolo / Il neo-sciamanista e la nonnina
  • Condividi

Dicevo giorni fa:

A proposito del quale: che diceva proprio il soggetto della venerazione di Skidelsky a proposito di pazzi che sentono le voci di accademici morti da tempo? Io ho veramente perso la pazienza con questi personaggi che ripetono che l'ipotesi dei mercati efficienti sostiene che "le azioni hanno sempre il prezzo giusto".

Oh, eccone qua un altro: Vince Heaney, che, come imparo da una soffiata di Zoominfo, "is markets editor FTMarketWatch in London. He is a former City of London trader. He studied economics at Cambridge, winning the Adam Smith prize before embarking on a career as a City proprietary trader". Quindi, secondo la classificazione formalizzata nel mio messaggio precedente, è uno dellla categoria 1 (ossia ''Actively managed fund managers, che devono giustificare le proprie tariffe convincendo i polli che loro (i fund managers medesimi) sono in grado di battere il benchmark in modo ripetitivo e consistente''), contrariamente a Sidelski che sta fermamente nella categoria 2 (ossia ''Docenti in Behavioural Economics o altre discipline a basso contenuto matematico, che spesso neppure capiscono ciò che stanno criticando'').

In un suo editoriale su FTfm di oggi, il nostro ci rivela che "è tempo di buttare tutti i modelli economici", e come da manuale inizia col solito straw man sull'Ipotesi dei Mercati Efficienti. Siccome ho già detto che ne penso, sorvolo. Heaney quindi allunga il tiro e decide che "il primo passo è quello di accettare la futilità di tentar di descrivere le interazioni umane con modelli matematici, particolarmente con quelli che ritornano automaticamente a uno stato d'equilibrio". Boh, vabbé, ma chi ha mai detto che questo sia lo scopo della modellizzazione economica o finanziaria? Quello che uno cerca di fare è di scoprire patterns ripetitivi su base statistica nelle fluttuazioni dei prezzi di mercato, e di fornire stime probabilistiche della loro evoluzione.

Ma il bello viene adesso: secondo Heaney, "L'economia un tempo era una disciplina descrittiva - il lavoro originale di Keynes non era un trattato matematico - e trarrebbe beneficio dal diventare descrittiva nuovamente". Un tempo quando, esattamente? Avendo vinto un "premio Adam Smith", il Nostro dovrebbe sapere che l'amico e maestro di Smith, il filosofo empirista David Hume, scrisse nel 1748:

 

Se prendiamo in mano qualunque volume di religione o metafisica scolastica, ad esempio, chiediamoci: contiene alcun alcun ragionamento astratto che concerne quantità o numero? No. Contiene alcun ragionamento sperimentale concernente questioni di fatto ed esistenza? No. Consegnamolo dunque alle fiamme, poiché non contiene altro che sofismi e illusione.

 

E che dire del misterioso "lavoro originale di Keynes"? Parliamo della "General Theory" del 1934-36? O dell'(ancora monetarista) "A Tract on Monetary Reform" del 1924? E che dire dell'alquanto geeky "Treatise on Probability" del 1921, dove Keynes discute con competenza di inferenza statistica e di principio di ragione insufficiente, e anticipa la scuola neo-bayesiana delle probablità soggettive (alla Jaynes/De Finetti), con un capitolo XXVI dedicato alle "applicazioni delle probabilità alle decisioni"? E soprattutto, se c'è una cosa su cui Keynes e i suoi discepoli insistevano (fino all'eccesso, specialmente perché riferita ad aggregati macro di dubbia esistenza) era proprio quella dei modelli matematici, rimproverando alla scuola austriaca un approccio non sufficientemente quantitativo!

Nessun articolo di un neo-sciamanista è completo senza un riferimento a Nassim Taleb, e Heaney non fa eccezione. Ora, le mie opinioni su Taleb io le ho espresse da tempo, ma la rappresentazione che Heaney dà di lui è grottesca: gli fa dire che "gli eventi estremi non possono essere predetti o modellizzati" e bisogna rimpiazzare ogni modello matematico con "l'esperienza affilata dal buonsenso" (chi ha bisogno di economisti quando si può chiedere alla nonna?). In realtà, Taleb sostiene semplicemente che le distribuzioni dei ritorni di assets finanziari hanno code statistiche paretiane, e che il trascurare questo fatto conduce a drammatiche sottovalutazioni del rischio; cosa che a suo avviso è frutto di un complotto nel mondo accademico, mentre secondo me (e molti altri) riflette gli interessi degli operatori finanziari. In ogni caso, Taleb non rigetta affatto l'uso della matematica: a parte il fatto che ha insegnato in corsi di Finanza Quantitativa, è ben noto che usa reagire in modo piuttosto energico verso chi dubita della solidità matematica delle sue argomentazioni.

Oh, la chicca finale: la "superiore performance finanziaria di Goldman Sachs rispetto ad altre banche d'investimento è testimonianza della forza dell'esperienza e senso comune sulla supina aderenza a modelli matematici". A parte il fatto che Goldman Sachs si è sempre dotata dei migliori matematici finanziari sul mercato, soprattutto nel periodo in cui Fisher Black guidava la sua divisione nei primi anni '90, davvero qualcuno pensa che "esperienza e senso comune" abbiano contato di più che le connessioni con Hank Paulson, Tim Geithner, Robert Rubin e praticamente chiunque abbia contato qualcosa negli ultimi vent'anni?

Indietro

Commenti

Ci sono 31 commenti

Credo occorra distinguere tra modelli di rappresentazione dei mercati finanziari (pricing e misurazione del rischio) e modelli che invece intendono spiegare i mercati finanziari (equilibrio). I primi possono essere giudicati semplicemente in termini di sofisticazione matematico-finanziara. I secondi no: questi per vantare un valore scientifico devono essere sperimentati. Pratica che bisogna ammettere manca a tutta o quasi la letteratura in quest'ambito.

(Esempio banale: la quasi totalità dei modelli di asset pricing assume che l'agente rappresentativo (o i gli agenti eterogenei) del mercato siano sempre marginali, questo non ha nulla a che fare con la realtà. Inoltre, finchè la nozione di equilibrio che si assume è solo nella testa dei ricercatori, se le variabili esogene sono Gaussiane o Lévy conta davvero poco: il modello rimane sbagliato; risulta invece decisivo se si vuole (semplicemente) prezzare un'opzione...)

Qui il testo di uno dei migliori professori che abbia avuto.

 

Esempio banale: la quasi totalità dei modelli di asset pricing assume che l'agente rappresentativo (o i gli agenti eterogenei) del mercato siano sempre marginali, questo non ha nulla a che fare con la realtà.

 

Intendi dire che per determinare la funzione di utilita' degli agenti del mercato si assume un'avversione al rischio assoluta anziche' relativa? Certo, c'e' una gran quantita' di modi di migliorare i modelli, e questi costituiranno comunque sempre una rappresentazione molto approssimata della realta', da prendere con estrema cautela. Questo non e' mai stato negato dagli addetti ai lavori: nel capitolo che chiude "My Life as a Quant", Derman cautela i lettori contro eccessive aspettative dai modelli finanziari, e mette bene in chiaro che il loro potere descrittivo e' immensamente piu' limitato che nelle scienze fisiche. Il libro e' stato pubblicato nel 2004, ben prima della recente crisi finanziaria, e non e' quindi considerabile una misura ex post facto di limitazione dei danni.

Mi pare, con tutto il rispetto, che si stia rispondendo ad uno straw man con un altro straw man: i critici dell'EMH sarebbero solo gestori o behavioural economists che non capiscono di cosa si parla?

Non potrebbe essere che, sui numeri, nella realtà dei fatti, l'applicazione di quella teoria si sia dimostrata dannosa? o che non vi siano dimostrazioni che l'EMH funzioni o sia la migliore teoria di cui si dispone? criticare l'EMH poi, non significa criticare tutti i modelli quant.

Il mio pto di vista l'ho espresso l'altro giorno: http://www.noisefromamerika.org/index.php/articoli/I%27ll_stick_my_neck_out

E non sono behavioural economists; sono sì stato un gestore per anni, ma credo di poter pensare ugualmente in maniera oggettiva. D'altronde, se si invertono i ruoli, i sostenitori delle teorie affermate (come l'EMH) sono spesso accademici che difendono strenuamente ciò che insegnano e indugiano a voltare pagina.

ora scappo, devo scegliere dei titoli per un portafoglio e non trovo il pendolino ...

 

i critici dell'EMH sarebbero solo gestori o behavioural economists che non capiscono di cosa si parla?

 

se l'economia è una scienza sociale allora:

1) la parola behavioural è puramente accessoria.

2) le teorie devono essere supportate da esperimenti, altrimenti non è una scienza sociale ma un romanzetto: la quasi totalità dei modelli di equilibrium asset pricing non è supportata da esperimenti, le nozioni di equilibrio in genere usate nascono e muoiono nella testa dei ricercatori.

a me sembra che molto spesso ci si intestardisca sulla definizione di Fama di mercati efficienti e sulla relativa validità empirica, nonché sulla gaussianità dei rendimenti; l'idea diffusa è che il modello di "equilibrio generale" che dovrebbe catturare queste regolarità è un CAPM in media varianza. Quando cade una di queste "gambe", la gente se la sente di dire che l'EMH è fuffa; un tempo la cosa era circoscritta all'ambito di qualche professore (sedicente) dissidente propugnatore di psicologia spicciola nelle scelte di portafoglio per veri drittoni; ora arriva sul financial times. Il fatto che a me sembra piuttosto banale (ma che, mi pare di capire, viene ignorato) è che il CAPM in media-varianza è un caso (molto) "limite" del più basilare modello di asset pricing della terra, in cui il "dannato" agente rappresentativo sceglie almeno se consumare oggi o risparmiare per consumare domani. In questo modellino banalissimo si coglie almeno che il rendimento/rischio atteso dipende in qualche modo da come l'agente preferisce distribuire il suo consumo tra oggi e domani, e dunque aiuta ad avvicinarsi all'idea che il rendimento/rischio è una roba in qualche modo endogenamente definita rispetto alla domanda di risparmio. Un po' di tempo fa è apparso qui su NFA questo contributo divulgativo, basato su un modello di asset pricing ed econometrie varie conseguenti, che dice che forse oggi non sarebbe male per i 48enni comprare un po' di azioni per ingrassare un po' la pensione tra 20 anni: tutta roba (solidamente) basata anche su EMH, che riproduce bene i pattern dell'azionario senza bisogno di ricorrere a panico, paura, cabala, irrazionalità, bolle e bollette, o gaussianità dei rendimenti. Asset pricing non è letteratura di nicchia o da fisici nucleari mancati (ao, a qualche capitolo de questo ce so arrivato pure io...); è tempo che anche chi fa finanza (soprattutto chi non scrive modelli quantitativi) accolga l'idea che mercati efficienti e questa sono due cose che non necessariamente vanno a braccetto...altrimenti stiamo sempre a raccontarci le stesse cose.

 

Mi pare, con tutto il rispetto, che si stia rispondendo ad uno straw man con un altro straw man: i critici dell'EMH sarebbero solo gestori o behavioural economists che non capiscono di cosa si parla?

 

No: ma al momento (facci caso) i critici piu' vocali dell'EMH sono o costoro, o chi cerca di accreditare l'idea che sia possibile far meglio del mercato. Questo secondo gruppo si compone di due sottoinsiemi:

- fautori della "mano visibile" dello stato, generalmente keynesiani che sperano che il mondo si sia dimenticato della stagflazione degli anni '70 (ma se "daddy knows better", com'e' che i governi si fanno regolarmente prendere di contropiede dalle crisi?);

- fund managers attivi che vendono a caro prezzo il loro presunto alpha, e sono sempre piu' orripilati dall'emorragia di clienti verso investimenti passivi in prodotti di "cheap beta" (fondi indice, e soprattutto ETF).

 

Non potrebbe essere che, sui numeri, nella realtà dei fatti, l'applicazione di quella teoria si sia dimostrata dannosa? o che non vi siano dimostrazioni che l'EMH funzioni o sia la migliore teoria di cui si dispone? criticare l'EMH poi, non significa criticare tutti i modelli quant.

 

Certo, ma io devo ancora trovare qualcuno che sia in grado di battere consistentemente il benchmark (ovviamente senza insider information). A un critico del genere, se esistesse, darei volentieri ascolto.

 

Ogni tanto do un'occhiata al sito, anche se non ho tempo per scrivere qualcosa. Volevo segnalare che con Vista+Explorer della Microsoft ci sono problemi (almeno nel mio unico computer Vista-dipendente). Sparisce dalla Home tutto l'elenco di sinistra degli interventi.

Approfitto per dire qualcosa sull'argomento trattato. Non ho letto tutto quello che qui si riporta. Pero' un po' di esperienza ce l'ho, d'insegnamento (soprattutto post-laurea) e gestione di patrimoni.

Per questo tipo di esperienze fui anche chiamato a tenere, per tre anni, corsi in un'univ.ta' italiana. Cercavo di insegnare a dei giovani (troppo) ignari di tutto come si gestisce il fattore tempo in termini di scelte operative sui mercati finanziari. In realta' alla fine si trattava di pattern. Poca matematica, ma modelli si'. Fermo restando l'obiettivo, le lezioni erano una specie di racconto intriso di riferimenti alla teoria (Keynes, e compagnia, per cominciare) ma soprattutto alla storia e alla cronaca. Mi divertivo, ci si divertiva, l'aula era sempre piu' piena, anche di gente che non c'entrava niente con l'esame finale. Mi pagavano tutto sommato poco pero' avrei continuato volentieri (anche perche' mentre facevo lezione mi venivano piu' idee che dai libri) se non fosse arrivato lo stop. Perche' non c'erano piu' soldi fu detto. Ma anche perche', ho saputo per vie traverse, nelle mie lezioni c'era poca matematica.

Alla fine del 2007 (presto ci scrivero' un articolo con nomi e cognomi) mi trovo a parlare con un imprenditore. Di rilievo nel suo settore. Alla fine della chiaccherata mi dice che voleva quotarsi al Nasdaq. Io gli dico di rimando "Non lo faccia, presto arrivera' la bufera e lei rischia grosso mettendo in mano ai mercati in questo momento il valore della sua azienda". Lo aveva convinto al passo la merchant bank di una banca italiana dell'Italia centrale che aveva anche acquisito quote della societa'. Conclusione: nel corso del primi mesi del 2008 l'imprenditore rileva le quote date alla merchant e rinuncia alla quotazione perche' -dichiara ora con orgoglio alla stampa- avevo visto che le cose in borsa non si stavano mettendo bene.

Dunque all'universita' non sei troppo gradito se nell'analisi dei mercati fai poco uso della matematica, per contro gli allievi non potranno mai dire al loro datore di lavoro (sia esso un'impresa o l'ufficio studi di una societa' di gestione) quello che io ho detto a quell'imprenditore, probabilmente salvato da una quasi certa crisi finanziaria da eccesso di svalutazione delle quote.

Luciano Priori F.

Credo sia corretto, in questo concordo con Heaney, premettere che l’economia è diventata con il tempo troppo specialistica. Ma non tanto per la gente comune, perché in questo caso lo è sempre stata, ma anche per tanti economisti no-mathematicians. In aggiunta a quanto da me detto sopra  cerco di rispondere alle domande che si pone Michelangeli:

1) Heaney dice che un tempo l’economia era una disciplina descrittiva e che neppure Keynes usava troppa matematica. Michelangeli contesta l’affermazione sia riguardo al tempo (quando l’economia era descrittiva?), sia riguardo a JMK.

a) Ebbene ogni economista sa, deve sapere, che l’economia si matematizza con la seconda meta’ dell’800 ad opera di Walras, un ingegnere francese che si appassiono’ all’economia. Insegnò a Losanna e il suo allievo Pareto gli successe nella cattedra di Economia politica. Non cito per sfoggio di cultura spicciola queste notizie. Lo dico solo per sottolineare che gli economisti dell’equilibrio generale degli ultimi decenni sono walrasiani. Ma Heaney probabilmente, o soprattutto, ha in mente anche gli ultra-matematizzati che vivono in un mondo tutto loro e scrivono cose che nessuno, giustamente,  leggera’ mai.

b) È vero, come dice Michelangeli, che Keynes studia la probabilità, ecc. Ed è vero anche che tentò di formalizzare in formule matematiche quello che pensava. Ma rimase scottato con la sua "formula fondamentale", che e' sbagliata algebricamente e [questo che sto per dire credo (non ho mai letto un'affermazione simile) sia un contributo del tutto originale (citare please)] probabilmente, anzi azzardo sicuramente, fu questa la ragione di qualche uscita del tipo –cito a memoria– "altri si occuperanno di rendere in forma matematica il mio pensiero, ecc."
Insomma sostengo che la stesura della General Theory cosi come la conosciamo –dov’è la matematica?- è frutto di un errore matematico precedente. Keynes era insomma terrorizzato dall’idea di sbagliare ancora qualche formula.

2) Michelangeli credo sbagli poi, anzi ne sono sicuro, quando demonizza i fund managers, ecc. I piu’ bravi sono quelli –ne ho la certezza– che telefonano ai managers delle grandi istituzioni bancarie, allevati in batteria nelle facoltà universitarie Usa (non tutte,eh?), e gli vendono qualsiasi porcheria (come si fa con le figurine, lo scambio) perché grazie ai loro modellini comprano di tutto in un’ottica di "diversificazione". Questi fund managers battono agevolmente il benchmark, ammesso che ne abbiano uno. Per gli altri è piu’ difficile perché ci sono le spese di gestione, ecc. e quindi anche una semplice replica è gia’ di per se’ perdente, almeno di uno/due punti percentuali, rispetto allo strumento di riferimento. Ma è forse meglio il far da se’? La discussione e’ aperta.

3) Il linguaggio di Michelangeli è poi del tutto fuorviante quando parla di "polli", di Paulson, ecc. Vorrei ricordargli che ai massimi livelli in America c’e’ gente seria e preparata. Bernanke e’ uno di questi. Lo era anche Greenspan e tanti altri. Sparare a zero, invece di cercare di capire, entrare nel merito, di approfondire, a che serve? A una contrapposizione di bandiera economisti/resto del mondo? Francamente non capisco.

4) Michelangeli credo sbagli ancora quando deride l’esperienza (la nonna). Questa in ambito finanziario è (quasi) tutto. Chi non ha passato una grande crisi dietro a un monitor, vivendola momento per momento (l’87, il ‘91-’92, il 2001-2003,…), non ha idea, per quanti studi abbia fatto, di cosa sia davvero una crisi. E gli insegnamenti che se ne traggono sono qualcosa di non matematizzabile, su questo non ci piove. Se poi si ha un buon intuito il gioco e’ fatto. Facile a dirsi. In questa crisi ho dovuto tranquillizzare un grande ‘speculatore’, uno che lavorava a Londra al momento dell’affossamento (benedetto!)  della lira (primi anni Novanta). Quando nell’autunno 2008 ha iniziato a grandinare era convinto che si dovesse andare tutti, a breve, a lavorare nei campi. Aveva perso completamente ogni riferimento, ogni certezza, e lo scriveva (perche’ scrive anche sui media). Era allo sbando. Lo conosco, gli ho mandato un email dicendogli “ma che c…o scrivi. Si aggiusta tutto, non ti preoccupare. La facciamo o no un po’ di pulizia?”.

5) Possiamo essere d’accordo, forse, su un punto: l’esperienza da sola non basta. Ma dire che l'esperienza e' fondamentale di norma non è tipico di uno che ci marcia o necessarimente di interesse privato. E' la realta'.

In conclusione, per fare bene nel campo finanziario ci vuole esperienza, molto intuito e poi gli studi giusti. L'intuito uno ce lo ha o no, e c'e' poco da fare. L'esperienza si fa. Quanto agli studi, nelle universita’ si fanno gli studi giusti, visto che se non c’e’ di mezzo la matematica non sono considerati Studi? Invece si puo creare qualche buon modello interpretativo, impossibile a farsi per via matematica, e senza scrivere una formula. Parola.
Questo delle universita' e' un problema serio.

Luciano Priori F.

[contributo uscito come articolo anche nella testata giornalistica borsaplus.com]

 

 

2) Michelangeli credo sbagli poi, anzi ne sono sicuro, quando demonizza i fund managers, ecc. I piu’ bravi sono quelli –ne ho la certezza– che telefonano ai managers delle grandi istituzioni bancarie, allevati in batteria nelle facoltà universitarie Usa (non tutte,eh?), e gli vendono qualsiasi porcheria (come si fa con le figurine, lo scambio) perché grazie ai loro modellini comprano di tutto in un’ottica di "diversificazione". Questi fund managers battono agevolmente il benchmark, ammesso che ne abbiano uno. Per gli altri è piu’ difficile perché ci sono le spese di gestione, ecc. e quindi anche una semplice replica è gia’ di per se’ perdente, almeno di uno/due punti percentuali, rispetto allo strumento di riferimento. Ma è forse meglio il far da se’? La discussione e’ aperta.

3) Il linguaggio di Michelangeli è poi del tutto fuorviante quando parla di "polli",

 

Scusa eh, ma quei "managers delle grandi istituzioni bancarie, allevati in batteria nelle facoltà universitarie Usa" che si comprano "qualsiasi porcheria (come si fa con le figurine, lo scambio)", come li chiami tu, se non "polli"? (Certo, in termini comparativi sono meno polli degli azionisti di quelle banche e dei contribuenti, perche' quando arriva il botto i loro bonus non li restituiscono, mentre gli azionisti vedono la loro equity spazzata via e i contribuenti vedono le loro tasse usate per ripagare i debiti.) E poi, secondo te i fund managers che appioppano "porcherie" non vanno "demonizzati" ma definiti "bravi"? Questa mi pare un'attitudine da Charles Ponzi Business School!

Etica a parte, la verita' e' che la vasta maggioranza dei fondi con gestione attiva ha prestazioni peggiori di strumenti che tracciano un indice (siano essi fondi mutui o ETF); in Italia e' pure peggio che negli Stati Uniti. Sara' almeno in parte per i costi di gestione, ma gli investitori non sono enti di beneficenza per fund managers bisognosi di stipendio.

 

 di Paulson, ecc. Vorrei ricordargli che ai massimi livelli in America c’e’ gente seria e preparata. Bernanke e’ uno di questi. Lo era anche Greenspan e tanti altri.

 

Fatto sta che, come ormai universalmente riconosciuto (anche da Greenspan stesso), la FED ha mantenuto una politica monetaria eccessivamente espansiva assumendo che le bolle sugli assets siano un fatto della vita, e l'unica cosa da fare sia limitare i danni quando scoppiano (con un'ulteriore espansione del credito). Anzi, per il buon Ben nel 2005 non c'era nessuna bolla immobiliare. Cosi' da una bolla scoppiata all'altra siamo arrivati alla piu' recente, che viene ancora curata con una (ancora piu' gigantesca) iniezione di liquidita', piu', per buon peso, gigantesco deficit spending. Come notava due giorni fa Stephen Roach, da un "serio e preparato" studioso della Grande Depressione uno si sarebbe aspettato che sapesse riconoscere i segni premonitori (particolarmente l'aumento di leverage e il sovrainvestmento, tipico dei "Roaring Twenties").

 

Intanto grazie per aver risposto alle mie osservazioni (le ho rilette, mi scuso per lo stile). Io pero' mi sarei aspettato che tu anche dicessi qualcosa anche sulle mie affermazioni riguardo a Keynes e al resto. In tutta sincerita', se in un mio sito di analisi economica arrivasse qualcuno e mi dicesse, con ragionevole aspettativa che potrebbe anche essere vero, che ha trovato la soluzione -e in parte la rivelasse- all'enigma "perche' cosi' poca matematica nella General Theory" di JMK, beh!, stapperei come minimo una bottiglia di champagne e sarei felice di essermi messo nell'avventura di aprire un Blog. Poi vorrei approfondire la cosa. Ma il 'padrone' del Blog non sono io e quindi non insisto oltre, e mi fermo qui.

 


Scusa eh, ma quei "managers delle grandi istituzioni bancarie, allevati in batteria nelle facoltà universitarie Usa" che si comprano "qualsiasi porcheria (come si fa con le figurine, lo scambio)", come li chiami tu, se non "polli"? (Certo, in termini comparativi sono meno polli degli azionisti di quelle banche e dei contribuenti, perche' quando arriva il botto i loro bonus non li restituiscono, mentre gli azionisti vedono la loro equity spazzata via e i contribuenti vedono le loro tasse usate per ripagare i debiti.) E poi, secondo te i fund managers che appioppano "porcherie" non vanno "demonizzati" ma definiti "bravi"? Questa mi pare un'attitudine da Charles Ponzi Business School!

 

Credo che qui ci sia un fraintendimento, o meglio una mancanza di informazione. In quelle che erano le banche d’affari a comprare non erano (e non sono per le istituzioni esistenti) i grandi manager. Stai scherzando? A comprare sono poco piu’ che ragazzotti cui si mette a disposizione una linea di credito e gli si dice, adesso guadagna! Mai sentito parlare di Kerviel? Un caso che conosco bene, ci ho scritto piu’ di un articolo. La banca francese (con una societa’ a latere, perche’ in Europa non si puo’…) ci va quasi a picco perche’ quello si mette a speculare contro il mercato. Ma tu cosa leggi sulla stampa? “SocGen: chi è Jerome Kerviel, il trader che ha rubato 5 mld €”. Rubato? Li ha persi tradando. L’unico problema sarebbe se lo ha fatto all’insaputa… Ti pare un dilemma serio?

I grandi manager fanno strategie (sono “strategist” come si dice), fusioni, aprono mercati. Insomma fanno il loro mestiere. E se sbagliano chiudono, come Lehman Brothers. Questa investment bank era sulla piazza dal 1850. Supero’ anche la crisi del ’29. Questa volta non ce l’ha fatta. Stop, addio. Evviva Darwin. Cosa dobbiamo dire “e perche’ quella si e quell’altra no?”. Oppure Diciamolo, approfondiamo, basta sapere quello che si dice.

E poi che c’entra il sistema Ponzi? Quando questo si materializza (Madoff, un ebreo che truffa soprattutto ebrei, si era mai sentito?) in America lo prendono oggi, lo processano dopo qualche mese per condannarlo in via definitiva a 150 anni. Questo bisogna sottolineare, non che è tutto un casino.

 

Etica a parte, la verita' e' che la vasta maggioranza dei fondi con gestione attiva ha prestazioni peggiori di strumenti che tracciano un indice (siano essi fondi mutui o ETF); in Italia e' pure peggio che negli Stati Uniti. Sara' almeno in parte per i costi di gestione, ma gli investitori non sono enti di beneficenza per fund managers bisognosi di stipendio.

 

Non capisco cosa tu voglia dire con “etica a parte”. Di quale etica parliamo? L’unica etica che deve avere un ‘fund manager’ è, se vuole oltretutto tenersi i clienti, fare meglio della concorrenza. È qui ribadisco che le università non formano (o non formano bene) questo tipo di figura professionale. Nella pratica se ci spostiamo nella gestione di portafoglio ad alto livello abbiamo le tecniche le piu’ varie. Anche questo è un mondo in cui trovi di tutto. È impossibile generalizzare. Per andare agli estremi. C’è Buffett che compra quello che compra in borsa sua moglie al mercato (Microsoft, non so oggi, ma fino a qualche anno fa per lui era una pischelletta su cui era prematuro puntare), e ci sono i matematici pratici (professori di finanza) che gestiscono gli hedge fund con sistemi automatici (che lavorano a leva e che se non ci sono imprevisti di peso, di tipo geo-politico ad es.,  è praticamente impossibile che non guadagnino).

 

Fatto sta che, come ormai universalmente riconosciuto (anche da Greenspan stesso), la FED ha mantenuto una politica monetaria eccessivamente espansiva... il buon Ben...

 

Qui non ci siamo proprio. Io ho battagliato a lungo, con discussioni accanite (di cui da qualche parte dovrebbero esserci anche i PDF) con alcuni ‘austriaci’ di casa nostra. Io sostengo che loro sono la causa principale della confusione che regna attualmente in ambito macro-economico. Sono dei rivoluzionari mancati, saccenti e petulanti. Ad applicare le loro ricette si andrebbe davvero tutti a seminare e raccogliere patate.  Sono particolarmente presenti in Italia, paese notoriamente incline ad ascoltare la piccola borghesia casinara. Una delle cause principali della crisi degli anni trenta furono le loro ricette. Questa volta fortunatamente nessuno se li e' filati. Cio' non vuol dire che avesse ragione Keynes. Certamente non loro. E non vuol dire neppure che qualche errore non ci sia stato, ma all'interno di una politica che, credo, avesse poche alternative.

Se si pensa che non e' cosi' bisogna approfondire. Non si puo' liquidare la questione con poche battute polemiche.

Luciano Priori F.