Il no all'arbitrato: solo un pregiudizio ideologico?

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Per il contenzioso in materia di lavoro, l'arbitrato già esiste in altri Paesi e pare funzioni. Eppure, in quei luoghi i tempi della giustizia ordinaria non sono certo quelli ai quali siamo abituati in Italia, dove bisogna aspettare mediamente quasi 800 giorni per avere il primo grado di giudizio, con punte che incredibilmente sfiorano i 1300. Decisioni così tardive difficilmente possono essere considerate accettabili e si può discutere sul fatto che “l'incertezza del diritto” che ne deriva abbia qualcosa a che vedere con l'equità. Allora, perchè qualcuno si oppone ad un strada alternativa, o ne vuole ridurre ai minimi termini il campo d'azione?

 

È opportuna una premessa: la “concertazione” tra le cosiddette “parti sociali” sembra essere una modalità operativa che incontra un consenso alquanto diffuso, nei gangli vitali del Paese così come presso il mitico “uomo della strada” - a Milano come a Palermo - nella convinzione che la rappresentatività di alcune organizzazioni conferisca automaticamente ruoli di così ampio supporto al lavoro del potere legislativo. Eppure questa non parrebbe la via maestra.

È da considerarsi del tutto legittima ogni azione di lobby, nei modi rispettosi della legge, da parte di gruppi organizzati di persone che difendano specifici interessi. Peraltro, il compito di legiferare – meglio sarebbe, in Italia: delegiferare … - non spetta a soggetti ad esso non legittimati dalla volontà popolare: governo e parlamento sono liberi di consultare i latori di differenti opinioni, ma pare curioso che si deleghi ad altri il raggiungimento di accordi da trasferire in norma cogente erga omnes. Non è questo l'argomento qui trattato – e se ne potrebbe discutere in altra occasione – ma il cappello era doveroso per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti in merito all'eventuale apprezzamento del metodo. Infatti, purtroppo, anche in quest'occasione ci si trova in una situazione di quel tipo.

È successo - com'è noto - che il governo abbia presentato il Ddl collegato sul lavoro, già approvato dalle camere epperò ad esse rimandato dal presidente Napolitano che non ne ritiene alcune parti - in particolare quelle che definiscono l'utilizzo dell'arbitrato - compatibili con il quadro normativo di riferimento in materia di diritti. Non s'intende -hic et nunc - discutere l'intero provvedimento, bensì prendere spunto dal motivo centrale del contendere per suggerire alcune considerazioni di tipo motivazionale. A partire dal fatto che una trentina di associazioni imprenditoriali e sindacali, dichiarando di condividere l'utilità dello strumento, si sono accordate per studiare insieme proprio le modalità di applicazione dell'istituto sul quale si è scatenata la bagarre. Ciò perché il disegno di legge prevede, allo scopo, una delega di 12 mesi entro i quali raggiungere un'opinione comune, onde evitare l'intervento del legislatore.

La strada non è priva di ostacoli, ad esempio per quanto riguarda l'introduzione dell'arbitrato secondo equità: da parte sindacale - e di Tiziano Treu, tra gli altri - non si gradisce la possibilità di una decisione che deroghi dalla rigida osservanza delle norme, per risolvere singoli casi valutandone le circostanze specifiche e riferendosi a principi più ampi di giustizia. Ovviamente, con l'esclusione di un successivo ricorso al giudice che – ça va sans dire - renderebbe inutile il nuovo percorso tornando ad allungare i tempi. Motivi di opportunità (rectius: ipersensibilità?) politica hanno suggerito anche di escludere il licenziamento dalle materie assoggettabili ad arbitrato: l'articolo 18 costituisce ancora un taboo - come tutto l'ormai troppo datato e di concezione vetero-sindacale “Statuto dei lavoratori”, del resto – e questo è un altro importante limite. Di quest'ultimo argomento, peraltro, si discute da più parti con l'intento di superare l'ostacolo, come si può ben leggere anche nella condivisibile analisi di Andrea Moro relativa alla proposta di “contratto unico” di Pietro Ichino, tutt'altro che risolutiva a causa della consueta pretesa di normare tutto rigidamente.

Non ostante le limitazioni al testo governativo preannunciate dai futuri protagonisti dell'accordo interconfederale, la CGIL ha fatto mancare la firma, e la cosa non stupisce se si pensa che lo stesso avvenne lo scorso anno per il nuovo quadro di riferimento degli assetti contrattuali. Va detto che quell'accordo ha, comunque, costituito il punto di partenza per i contratti collettivi firmati successivamente - che pur rimangono quell'anomalia già più volte citata, a prescindere dalle modalità di scrittura - e, nondimeno, Epifani e soci non hanno ritenuto di recedere dall'indisponibilità alla revisione dello status quo, confermata nell'attuale frangente. Collateralmente, si è notata pure la contrarietà di alcuni magistrati, forse motivata - quando non da posizioni ideologiche individuali - dal timore di perdere una fettina di potere, ed è quasi scontato che la sinistra politica si sia stracciata le vesti, gridando all'attentato contro i diritti dei lavoratori.

Si direbbe, dunque, soprattutto un problema culturale. Di quella cultura che concede fiducia alla sola mano pubblica per qualunque aspetto della vita, a dispetto delle millanta prove di scarsa qualità d'azione di cui ciascuno è stato testimone, non rinunciando al preconcetto nei confronti di tutto quanto abbia profumo di privato. Di quella cultura che vorrebbe normare qualunque cosa nei minimi dettagli, che non ama lasciare agli individui la libertà di accordarsi relativamente ad alcunché, che pretende di sapere sempre che cosa sia giusto per la collettività e che da tale convinzione muove ogni passo. In una parola, di quella cultura che solitamente vien definita “socialista” ma che - ahimé - non appartiene ad uno solo degli schieramenti in campo nello Stivale, come potrebbe essere normale, ma che invece tutti li accomuna.

Anche nel caso specifico, infatti, non si dimostra perché la giustizia che si otterrebbe con un arbitrato dovrebbe essere inferiore a quella fornibile da un giudice. Ci si limita a paventare le consuete disparità di “potere” tra parti ipotizzate più forti e parti definite a priori più deboli, come se le prime potessero agevolmente disporre a piacere di un contratto firmato. E, naturalmente, come se le condizioni fossero immutabili: modelli superfissi a go-go, con posti di lavoro che non possono che rimanere gli stessi in saecula saeculorum, sia per quanto riguarda il numero che le caratteristiche ... Si dimentica, anche, che il decisore concordato si deve limitare a verificare come l'oggetto del contendere sia trattato negli accordi posti in essere al momento dell'inizio di un rapporto di lavoro, i quali - particolare che non parrebbe trascurabile ... - mai possono essere in contrasto con la normativa vigente.

Non è detto, però, che tutto dipenda dall'impostazione ideologica. Una mente sospettosa, ad esempio, potrebbe anche essere indotta a ritenere che ad essa si affianchi una banale questione di visibilità presso i lavoratori, che qualcuno vorrebbe mantenere e possibilmente accrescere mostrando il proprio fattivo supporto. Il fine di avvantaggiarsene in termini d'iscrizioni - e dunque di potere contrattuale, anche in vista delle consuete spartizioni di poltrone - non pare, allora, da escludersi a priori. Anche perché l'intransigenza sembra pagare, almeno a giudicare dall'andamento del numero di tessere sottoscritte.

Quindi ecco, pian piano, che un dubbio s'insinua, a partire dalla constatazione che i tribunali del lavoro hanno comune nomea di pronunciarsi mediamente in modo gradito ai sindacati: non è che, magari, non pochi oppositori dell'arbitrato apprezzino proprio i tempi lunghi della giustizia ordinaria? Già, perché ciò conferisce evidentemente un potere di ricatto che consente di massimizzare il risultato economico: l'atmosfera dell'ambiente di lavoro risente di protratti contenziosi, dunque l'impresa potrebbe cedere più di quanto farebbe se i tempi si accorciassero, per evitare l'incancrenirsi di situazioni che avrebbero nefasta influenza su tutto lo staff. E, ancora una volta, ciò conferisce alla parte sindacale un'aura di efficacia nella difesa degli interessi dei propri iscritti, siano essi ragionevoli o meno. Il pallottoliere registra così altre iscrizioni, queste conferiscono forza rappresentativa ed i relativi vantaggi .....

Solo malizia?

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Commenti

Ci sono 55 commenti

Franco, secondo me, c'è un solo motivo (oltre a quelli da te già elencati delle tessere e del potere) per cui c'è un pregiudizio verso l'arbitrato: è tutto nebuloso, volutamente.

1)I costi: attualmente se si va in giudizio io azienda pago l'avvocato, e se perdo, pago le spese di giudizio, il lavoratore ha diritto al patrocinio iniziale gratuito di un avvocato (inizialmente il lavoratore non anticipa alcunchè all'avvocato), con l'arbitrato io pago: l'avvocato, il mio arbitro, più la metà del terzo arbitro, ma questo lo dovrebbe fare anche il lavoratore, per un'azienda non ci sono problemi, più difficile per un lavoratore neoassunto.

2)Poichè il terzo arbitro dovrebbe essere nominato dal Presidente del Tribunale e/o d'accordo fra le parti, nessuno mi dice che i tempi (visto che c'è di mezzo il Tribunale) siano più veloci, nè che continui la triste sequela per cui il lavoratore vince in primo grado e perde in appello (almeno a Napoli..).

3) E' francamente una presa in giro per tutti: l'azienda che non ha alcuna certezza, anche con l'arbitrato, il lavoratore che diventa ancora più debole e dovrà cacciare un sacco di soldi che oggi non caccia, il tutto a favore della nobile casta degli avvocati, non per niente la casta meglio rappresentata in Parlamento.

Personalmente rimango a favore della risoluzione del contratto di lavoro tramite penali, è chiaro, semplice, immediato e trasparente, il resto rimangono solo carte, che vanno diminuite, non aumentate.

Marco, tu poni corrette questioni relative alle modalità operative, sulle quali si può discutere al fine di ottimizzare lo strumento. Solo a titolo d'esempio, l'arbitro potrebbe essere unico - i costi scendono - e deciso dalle parti di comune accordo - i tempi si accorciano - con la nomina da parte del tribunale solo in caso d'insanabile contrasto anche sul suo nome, irrisolvibile anche tramite confronto tra i rappresentanti "sindacali" delle parti. Si potrebbe pure introdurre il principio della temerarietà di lite, per disincentivare conflitti pretestuosi che perderebbero convenienza: naturalmente della cosa andrebbero studiate le possibili conseguenze economiche e si potrebbe pensare anche in termini di "potere di spesa". And so on.

Però, pur se rimango anch'io favorevole alle soluzioni più semplici possibili (è sempre meglio avere poche norme chiare, facilmente applicabili e verificabili), qui non m'interessava valutare il provvedimento governativo in sé, quanto piuttosto porre l'accento sopra un aspetto della questione che non ho visto rilevare: siamo sicuri che dietro a posizioni espresse in nome di principi non si celino interessi di bottega?

a proposito del punto 3 riguardante la casta degli avvocati... oggi angelino alfano si è lanciato in una sequela di barocchismi & nonsense, degni di un corso di micro impartito dall'università di lorenzago!

 

Anche ammettendo che ci sia un pregiudizio ideologico contro l'arbitrato, secondo me questo non e' esattamente il punto rilevante.

Nelle controversie sul licenziamento va accertato se il lavoratore e' stato licenziato per giusta causa (o se altri suoi diritti sono stati violati). Questo accertamento dovrebbe avvenire in modo rapido ed efficiente: questo e' il vero nocciolo della questione.

Se i tempi si dilatano fino a raggiungere svariati anni, per l'azienda il rischio e' di dover pagare compensazioni esorbitanti e per il lavoratore di dover fare fronte a spese processuali insostenibili (soprattutto da disoccupato).

Quindi secondo me le domande chiave sono queste:

1) L'arbitrato velocizza la procedura? (In un paese civile una decisione definitiva dovrebbe essere presa in un paio di mesi al massimo)

2) I costi sono minori per entrambe le parti, o almeno per quella piu' debole? (Idealmente, un operaio o un co.co.pro. con moglie e tre figli dovrebbe pagare una cifra minima per verificare se i suoi diritti sono stati violati).

3) I criteri che gli arbitri possono seguire sono chiari, trasparenti e condivisi? (mi pare di capire, dagli articoli di giornale, che gli arbitri posso prendere decisioni anche in deroga al diritto vigente seguendo criteri di "equita'"; di che si tratta esattamente?).

4) Invece di soluzioni extragiudiziali, non sarebbe meglio rendere le procedure piu' efficienti (con notificazioni via e-mail ed udienze in teleconferenza) come suggerisce Capaneo in basso, e come ci si dovrebbe aspettare da un "governo del fare"?

5) Se poi si ritiene che il diritto del lavoro e lo Statuto dei Lavoratori in particolare e' un istituto antiquato non sarebbe piu' onesto dirlo a chiare lettere e riformarlo di conseguenza? Cento voti di scarto in Parlamento non sono sufficienti per fare riforme strutturali?  

 

 

Sul punto relativo al fatto che dietro alle posizioni dei sindacati e della sinistra e dei magistrati ci siano probabilmente interessi di bottega: direi che la risposta è un banale sì, così come ci sono interessi di bottega dietro alla posizione di chi invece vuole farla approvare questa norma. A rimanere a fare il processo alle intenzioni non se ne esce fuori, secondo me.

 

Più interessante invece sarebbe capire se il provvedimento in oggetto è utile o meno. Se fosse scritto bene, e chiaro, e palesemente capace di semplificare la vita a tutti, allora si potrebbe pure convincere qualcuno della parte avversa. Ma, spiace dirlo, dai punti sollevati da Marco Esposito sembra che possa rivelarsi molto penalizzante per i lavoratori, che sono parte debole nel contenzioso, almeno quanto a capacità economica.

 

Un po', mi si permetta, come con il nucleare. È inutile far notare che anche in USA stanno tornando a incentivare i reattori, che forse sarebbe utile ritornare nel giro, eccetera, se poi il governo propone di costruire centrali di seconda generazione. O come con le sempre abortite riforme della giustizia, che non sono mai andate a toccare i nodi cruciali del sistema.

 

Insomma, alle solite: preconcetti ideologici dannosi da una parte, che però servono da far scudo a riforme pessime che vengono dall'altra. Ne riparliamo quando arriveranno idee serie sul tavolo.

 

il lavoratore ha diritto al patrocinio iniziale gratuito di un avvocato

 

A me risulta che la disciplina del gratuito patrocinio non distingua in base allo status (lavoratore o non lavoratore) della parte, ma semplicemente in base al reddito. Attualmente il limite è di 10mila euro circa l'anno. Se guadagni di più, sia tu un lavoratore, un libero professionista o altro, non hai diritto al gratuito patrocinio.

 

casta degli avvocati, non per niente la casta meglio rappresentata in Parlamento

 

In Parlamento ci sono tanti avvocati, per il semplice motivo che nella società ci sono tanti avvocati.

Suppongo abbia poco senso stabilire quanto una certa categoria professionale sia rappresentata in Parlamento guardando al numero assoluto di parlametari che svolgono quella professione. Bisogna, infatti, mettere quel numero assoluto in rapporto al numero di cittadini che nel paese svolgono quella professione.

Al seguente indirizzo è presente una tabella che riporta i mestieri dei parlamentari:

www.ilpolitico.it

Ora, in totale gli avvocati sono 132 (46 al senato e 86 alla camera). Nella società civile ci sono circa 213.000 avvocati ( www.ccbe.org/fileadmin/user_upload/NTCdocument/Table_of_Lawyers_in_1_1241426399.pdf ).

213000/132 = 1613

Ergo: un avvocato ogni 1613 è parlamentare.

Guardiamo i magistrati. In parlamento ce ne sono 17 (7 alla camera e 10 al senato).

Nella società civile ci sono circa 9.000 magistrati (vedi il rapporto cepej, il cui link non ho a portata di mano ma è facilmente reperibile).

9000/17 = 529

Ergo, un magistrato ogni 529 è parlamentare.

In percentuale: lo 0.06% degli avvocati è parlamentare, mentre lo 0.18% dei magistrati è parlamentare.

In relazione ai 60 milioni di cittadini: gli avvocati sono lo 0,35% della popolazione, ed il 13.9% del parlamento, mentre i magistrati sono il 0,01% della popolazione ed il 1,79% del parlamento

se i cittadini italiani fossero 945 (il numero dei parlamentari) allora:

9000:60000000 = 0.14 : 945 ci dovrebbero essere in tutto 0.14 magistrati

213000:60000000= 3,35 : 945 ci dovrebbero essere in tutto 3.35 avvocati

 

Siccome, invece, di avvocati ce ne sono 132 e di magistrati 17

17/0.14 = 121

132/3.35 = 39

In parlamento ci sono 121 volte più magistrati che nella società, mentre gli avvocati sono "solo" 39 volte di più di quello che dovrebbero essere... i magistrati sono rappresentati più che tre volte gli avvocati... però i cattivi sono sempre gli avvocati! Mistero!

Non sono economista nè ingegnere e se ricordo bene ho fatto il classico, quindi certamente ho sbagliato l'impostazione dei calcoli, ma credo che il concetto sia incontrovertibile.

Non ho il tempo nè la voglia di fare lo stesso esperimento per le altre categorie. E' probabile che ingegneri, architetti ed operai siano meno rappresentati di magistrati ed avvocati, ma, udite udite, io non ci vedo nulla di strano. Trovo prevedibile che chi studia la legge finisca più spesso a scrivere le leggi di quanto non accada a chi studia la fisica...

 

Errata: i deputati sono 945 e non 930. Il risultato non cambia...

 

 

Trovo prevedibile che chi studia la legge finisca più spesso a scrivere le leggi di quanto non accada a chi studia la fisica...

 

Osservazione corretta, ma fuori bersaglio: nel commento al quale rispondi - pur senza utilizzare il tasto apposito, il che renderebbe tutto più leggibile ..... -  Marco Esposito non pone l'accento sul numero di parlamentari avvocati tout court, bensì sul fatto che tale rilevanza numerica produce norme distorsive in favore della categoria. Si potrà dire che sia scorretto ma prevedibile, non certo giustificare la cosa in base al calcolo di percentuali a piacere .....

Trovo prevedibile che chi studia la legge finisca più spesso a scrivere le leggi di quanto non accada a chi studia la fisica...

What? Ha senso che l'avvocato Pinco Pallino, che non capisce una cippa di economia, si metta scrivere leggi che regolamentano i mercati? Non avrebbe piu' senso lasciare l'attivita' di regolamentazione a tecnici che se ne intendono e affiancare a questi degli azzeccagarbugli che stendano i testi in legalese?

Guardiamo i magistrati. In parlamento ce ne sono 17 (7 alla camera e 10 al senato).

Giusto per curiosita': i 17 sono ex-magistrati (alla Di Pietro per intenderci), in aspettativa, oppure prima si fanno le leggi in parlamento e poi vanno in tribunale ad applicarle?

 

Alessandro

L'analisi della posizione del sindacato mi sembra corretta e condivisibile.

L'ipotesi della riduzione e scelta d'accordo tra le parti per la scelta dell'arbitro penso possa funzionare in una situazione in cui tutte le parti siano ben informate e facciano limitato uso di questo istituto (penso piccole imprese).

Nel caso di grosse imprese che fanno largo uso dell'arbitrato penso che la scelta dell'arbitro potrebbe essere un problema. Questi infatti essendo scelto e pagato dagli interessati potrebbe avere un interesse a favorire la parte che lo fa lavorare di piu (l'azienda) a discapito dell'altra (il lavoratore).

C'è poi il caso di informazione imperfetta percui una parte (l'azienda) abbia piu informazioni dell'altra (il lavoratore magari non qualificato).

Dati gli usi e costumi italiani vedo anche probabile l'instaursi della pratica per cui l'arbitro è stabilito a priori (chi si pone il problema dell'arbitro alla firma del contratto) e il papocchio sarebbe fatto.

Magari per farlo lavorare servono solo degli accorgementi procedurali e non legislativi, ma prima di fare una legge andrebbero trovati anche questi se non si lascia una materia non regolarizzata in pieno e non è una bella cosa in Italia.

 

 

L'arbitrato è uno strumento condivisibilissimo senza se e senza ma. Sarebbe meglio se non fosse affogato da linguaggio e contesto normativo che fanno assomigliare la norma ad un labirinto verbale. Ma la stravaganza c'è nell'art. 30 che consente ad un giudice di essere interprete unico dell'interesse oggettivo dell'impresa. Iosif Guzmin direttore del Gosplan nei primi anni 60 sarebbe felicissimo e soddisfatto

 

prometto che entro oggi esporrò la mia idea

 

 

 

Che fare? Abolire l'art. 82 del regio decreto n. 37/1934 ....

 

Ma non è stato "bruciato" da Calderoli insieme a 375'000 leggi inutili alcuni giorni prima delle elezioni?

Non ditemi che una simile legge, meritoria di quella pira, si è salvata impunemente!

Francesco

 

 

Mi sembra che il discorso di Capaneo sia molto interessante.

Mi permetto di osservare in aggiunta che forse una strada agevole per rendere le cose più semplici sia evitare di andarci in tribunale mettendosi d'accordo fuori.

Ad es questa roba qua va nella direzione giusta? (non è una domanda retorica)

Di lavoro so niente.

Ma ho davanti agli occhi le continue malefatte compiute dai vari collegi arbitrali in materia di opere pubbliche. Malefatte che si concretizzano in una sorta di giurisprudenza demenziale dove gli interessi privati (contrapposto agli interessi pubblici) la fanno ampiamente da padrone.

Certo, poi si può anche sospettare che dietro a tutto questo ci siano le corporazioni degli avvocati che anche loro sono portatori di interessi mica tanto sani oppure i giochini sindacali di resa di posizione. E dunque? 

Ma ve lo immaginate un sistema arbitrale non in Danimarca, ma qua, nella patria del diritto dove il sistema di "tutela" è sicuramente sbilanciato a vantaggio delle categorie più forti?  E mettere questa materia nelle mani di chi se non di quegli stessi avvocati che diventano parte e giudice nello stesso tempo e dove il compromesso si sposta dal tema conteso al valore della parcella?

 

 

 

 

Ma ho davanti agli occhi le continue malefatte compiute dai vari collegi arbitrali in materia di opere pubbliche. Malefatte che si concretizzano in una sorta di giurisprudenza demenziale dove gli interessi privati (contrapposto agli interessi pubblici) la fanno ampiamente da padrone.

 

Potresti portare un esempio concreto, così lo analizziamo per beninino, con norme e giurisprudenza alla mano?

 

 E mettere questa materia nelle mani di chi se non di quegli stessi avvocati che diventano parte e giudice nello stesso tempo e dove il compromesso si sposta dal tema conteso al valore della parcella?

 

Potresti spiegare come e perchè, un avvocato possa diventare parte e giudice contemporaneamente se fosse approvata la norma sull'arbitrato e come e perchè il compromesso (?!) possa spostarsi dal tema conteso al valore della parcella?

 

 

Allora, mi sono preso la briga di leggere il disegno di legge di cui si parla e di confrontarlo con la situazione attuale. Il risultato è quello che segue.

Fonti legislative:

1) La proposta di riforma

2) Le norme sull'arbitrato

3) Gli art. 412ter e ss del c.p.c.

Come si legge nei miei precedenti interventi, anch'io davo per scontato che la proposta di legge estendesse le ipotesi di arbitrato in materia di lavoro. Sbagliavo, perchè partivo dal presupposto, in pratica, che ad oggi non fosse possibile fare oggetto di giudizio arbitrale il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, in quanto diritto indisponibile (e quindi non arbitrabile). Al contrario, tale diritto è considerato dalla recente giurisprudenza (cassazione 22105/2009) perfettamente disponibile e quindi, passi o non passi questa legge, si potrà comunque chiedere una decisione arbitrale anche in relazione al diritto di reintegrazione nel posto di lavoro. A prescindere, quindi, da ciò che si pensa di questa proposta di riforma in particolare, la principale ragione di opposizione ad essa da parte di sindacati e forze di opposizione viene meno.

Cosa cambierebbe, in concreto, allora se questa norma passasse?

Prima di tutto vediamo cosa succede ora, ma prima è necessaria una premessa.

Già tutti conoscete la distinzione tra arbitrato secondo diritto ed arbitrato secondo equità. Tuttavia c'è una ulteriore distinzione che è importante tenere presente. L'arbitrato rituale e quello irrituale.

Arbitrato rituale significa che la decisione degli arbitri è una sentenza vera e propria.

Arbitrato irrituale significa che la decisione degli arbitri ha il valore di un accordo contrattuale tra le parti.

In pratica: se a seguito di arbitrato rituale devo dare 100 euro a Caio, è come se Caio avesse in mano una sentenza ove è scritto che debbo dargli 100 euro. Se, invece, l'arbitrato fosse stato irrituale è come se io e Caio avessimo stipulato un contratto con il quale mi sono obbligato a dargli 100 euro. La distinzione è importantissima, perchè, nel secondo caso, Caio prima di potere ottenere materialmente le 100 euro deve fare una ulteriore causa e, comunque, la decisione arbitrale/contratto segue la disciplina propria dei contratti, in particolare per quanto concerne la nullità e l'annullabilità.

L'arbitrato può essere, quindi:

1) Rituale secondo equità;

2) Rituale secondo diritto;

3) Irrituale secondo equità;

4) Irrituale secondo diritto.

In materia di lavoro, per quanto riguarda l'arbitrato, la norma di riferimeno è l'art. 806 c.p.c II comma. che dice:

"Le controversie di cui all'articolo 409 possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro."

(questo articolo è il risultato di una riforma del 2006... prima il ricorso all'arbitrato era ancora più ristretto, perchè non solo doveva essere previsto dai contratti collettivi ma era vietato l'arbitrato secondo equità).

Questa disciplina si applica tanto all'arbitrato irrituale quanto a quello rituale (per l'irrituale c'è un'altra norma (del '73) che ha lo stesso identico testo).

Quindi, salvo che la legge disponga altrimenti, ad oggi se il lavoratore può o non può utilizzare lo strumento dell'arbitrato (rituale o non rituale, con o senza equità - non ho trovato nessuna norma in particolare che attualmente vieti il ricorso all'equità in materia di arbitrato di lavoro) lo decidono i sindacati. Penso, inoltre, che la proposta di cui parliamo sia il primo esempio di legge che dispone "altrimenti" (vedi infra) e per questo sia così osteggiata dai sindacati.

Sull'arbitrato rituale, la legge, oggi, non dice nulla di più specifico, quindi ci sono solo queste norme generali che ho appena citato e cioè: si può fare solo se lo decidono i sindacati o è espressamente previsto dalla legge (ma non mi risulta siano mai state emanate leggi che prevedono l'arbitrato rituale... la proposta di cui parliamo prevede quello irrituale). Può essere tanto secondo equità che secondo diritto e può avere ad oggetto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

L'arbitrato irrituale, invece, è più intensamente disciplinato.

In particolare, è l'art. 412ter c.p.c. che dà la possibilità alle parti di ricorrere ad una particolare figura di arbitrato irrituale in materia di lavoro ad alcune condizioni:

- non deve essere riuscito il tentativo di conciliazione o devono essere spirati i termini per l'espletamento;

- l'arbitrato deve essere previsto dai contratti collettivi, che devono indicare in maniera dettagliata tutta la procedura.

L'arbitrato irrituale di cui all'art. 412ter c.p.c. è previsto come una possibilità e non ho trovato alcuna norma che vieti il ricorso all'arbitrato irrituale diciamo "ordinario".

Quindi, per quanto riguarda l'arbitrato irrituale, abbiamo una norma generale che dice che si può fare solo ed esclusivamente se previsto dai sindacati o dalla legge. E poi appunto una legge che ne prevede un caso particolare e cioè quello dell'art. 412ter c.p.c., che è praticamente un arbitrato irrituale che si innesta in una conciliazione fallita e deve comunque essere previsto nei minimi dettagli dai contratti collettivi. Anche l'arbitrato irrituale può essere tanto secondo equità che secondo diritto (non ho trovato alcuna norma che impedisca quello secondo equità).

Non esiste alcuna norma che impogna di ricorrere all'arbitrato anche a chi voglia ricorrere all'autorità giudiziaria.

Vediamo adesso cosa modifica la proposta di legge di cui stiamo discutendo.

Innanzitutto è abolito il tentativo obbligatorio di conciliazione, che da anni ormai, costituiva una condizione di procedibilità per chi volesse iniziare una causa di lavoro.

Se la riforma passasse, questa conciliazione sarebbe facoltativa.

In sede di (facoltativa) conciliazione, la riforma prevede una particolare forma di arbitrato.

Cioè le parti possono dare mandato allo stesso organo che sta tentando la conciliazione di risolvere la controversia con una decisione arbitrale. Si tratta quindi di un istituto che sarebbe molto simile a quello (oggi esistente) che ho già descritto all'art. 412ter.

Infatti, anche questo nuovo istituto sarebbe legato ad un tentativo di conciliazione.

Le differenze tra i due istituti sono queste: quello esistente si svolge presso organismi diversi dalla commissione che sta tentando la conciliazione (si svolge presso gli organi indicati dai sindacati nel contratto collettivo), mentre quello proposto si svolgerebbe proprio dinanzi a tale commissione; quello esistente è regolato nei minimi dettagli dal contratto collettivo (quindi dai sindacati), mentre quello proposto sarebbe regolato dalle parti.

Quindi questo tipo di arbitrato proposto, di fatto, non cambia la sostanza dell'istituto, ma solo ed esclusivamente il soggetto che ha il potere di sceglierlo... oggi è il sindacato, domani potrebbero essere le parti singole. Tutto il resto, compreso il possibile oggetto dell'arbitrato (licenziamento e diritto al reintegro) resta immutato. E' un arbitrato irrituale.

Dopo avere previsto questo tipo di arbitrato, la proposta di legge fa salva comunque la possibilità generale (quindi a prescindere dalla conciliazione in corso) di prevedere forme di arbitrato nei contratti collettivi.

Subito dopo avere fatto salva questa possibilità il legislatore propone lui una formula di arbitrato irrituale generale (cioè che prescinde dalla conciliazione eventualmente in corso) già "preimpostata" che, se vogliono, le parti possono utilizzare.

Cioè lo stato dice, se vuoi ti do io uno schema (cioè tutta una serie di regole processuali) da utilizzare.  Si svolge dinanzi le commissioni per la conciliazione (ripeto, anche se comunque non c'è conciliazione in corso).

Quindi, ricapitolando, se questa legge passasse questa sarebbe la situazione:

1) Un arbitrato irrituale da esperire a scelta delle singole partidurante un tentativo di conciliazione e che si svolge dinanzi lo stesso organo che sta tentando la conciliazione. Può essere secondo diritto o secondo equità a scelta della parte;

2) Un arbitrato (rituale, irrituale secondo equità o secondo diritto) previsto dai contratti collettivi;

3) Un arbitrato irrituale da potere attivare a scelta delle singole parti a prescindere da un tentativo di conciliazione in corso. Si svolge presso le commissioni di conciliazione e può essere con o senza equità.

Per l'arbitrato rituale resterebbe l'obbligo di prevederlo nel contratto collettivo (non mi pare si proponga l'abrogazione della relativa norma).

In conclusione, l'unico effetto pratico che questa legge avrebbe (la si consideri una buona o una cattiva legge), sarebbe quello di permettere alle singole parti di scegliere di avvalersi di un arbitrato irrituale, mentre attualmente tale possibilità di scelta è di competenza esclusiva dei sindacati.

Nulla cambierebbe per l'arbitrato rituale e nulla cambierebbe, in genere, in relazione a ciò che può formare oggetto di arbitrato. In nessun modo si stabilisce che il lavoratore è costretto a ricorrere all'arbitrato, quando invece preferisca ricorrere alla giustizia ordinaria. Tutto qui...

 

 

(per semplicità, cito qui per entrambi i tuoi commenti)

 

L'arbitrato è una possibilità non un obbligo...

...

Le prime parole dell'articolo che introduce la figura di arbitrato (previsto ex ante) e svincolato dal controllo sindacale sono: "Ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l’autorità giudiziaria...".

...

Nulla cambierebbe per l'arbitrato rituale e nulla cambierebbe, in genere, in relazione a ciò che può formare oggetto di arbitrato. In nessun modo si stabilisce che il lavoratore è costretto a ricorrere all'arbitrato, quando invece preferisca ricorrere alla giustizia ordinaria. Tutto qui...

 

Scusami, ma tutto questo è vero se e solo se non sia stata pattuita la clausola compromissoria (esplicitamente permessa dal testo della proposta di riforma); altrimenti, che senso avrebbe pattuire tale clausola?

Grazie dell'approfondimento, dal quale si evince che un provvedimento impostato in questo modo non sarebbe particolarmente significativo.

Si evidenzia anche, peraltro, la carenza di motivazioni tecniche per l'opposizione ad esso: a prescindere dal giudizio di merito, che mai viene espresso, la contrarietà è infatti di tipo ideologico - come mi pare quella di Fabio, che ne fa una questione di principio e si mette sempre nei panni del lavoratore, foss'anche il peggior delinquente  ..... - oppure strumentale. Quest'ultima è quella che io suggerivo in conclusione, e che mi interessava sottolineare: c'è chi difende con i denti fettine di potere e le prebende che ne derivano, opponendosi a qualunque modifica legislativa che sia potenzialmente in grado d'intaccarle, anche - nel caso specifico - cercando di mantenere attivo lo spauracchio dei tempi lunghi per garantirsi la visibilità della propria azione presso la platea dei tesserabili ....

Tutto molto giusto, salvo il non trascurabile particolare che la clausola arbitrale (non più volontà dei sindacati e/o del lavoratore al momento del sorgere della controversia) sarebbe prevista, sulla base del comma 9 art. 31, anche come clausola compromissoria al momento della stipula di un nuovo contratto di lavoro.

Mi immagino la scena:

Datore di lavoro: "firmi il contratto su modulo pre-stampato e mi raccomando la doppia firma sulle clausole compromissorie, quelle scritte in corpo 4".

Neoassumendo: "ma io, in verità.."

Datore di lavoro : "firmi, non mi faccia perdere tempo , ce ne sono altri mille come lei fuori la porta"

Neoassumendo: "ma c'è quella clausola sull'arbitrato, che vedo con la lente di ingrandimento.."

Datore di lavoro: e lei pensa che io faccio una seduta di Cda per cambiare una clausola del nostro modulo pre-stampato, già approvato dai nostri legali, per lei ? Firmi che ho perso già abbastanza tempo!"

E' questo anche il motivo per cui GN non ha firmato, ripeto il problema è lo Statuto dei Lavoratori, ma cercare di aggirarlo con le ghedinate o le sacconate dà fastidio, oltre che introdurre costi certi per la parte debole. Si affrontino i problemi, aggirarli è un non senso tutto italiano e neoborbonico.

Dal mio punto di vista ritorno sempre a quello che penso: massima licenziabilità, ma costose, con indenizzi tali da consentire a chi perde il lavoro di avere un orizzonte temporale scevro di problemi per trovarsi un altro lavoro. Meno pane per gli avvocati, meno costi per le aziende, meno costi per la collettività, certezze per tutti.

Fantasia personale, e letterina tipo di licenziamento:
"Egr. Sig. XXYY, allegata alla presente c'è la ricevuta del bonifico a suo nome per un importo pari a 18 mensilità nette del suo salario, oltre al 30% di oneri fiscali non dovuti (lo stato anzichè pagare mobilità potrebbe rinunciare a 18 mesi di tasse..), lei, a partire da domattina è licenziato.

In bocca al lupo".

Facile (troppo?), semplice ed efficace.

Riunisco qui alcune risposte, per evitare complicazioni di lettura.

@ marco esposito

 

massima licenziabilità, ma costose, con indenizzi tali da consentire a chi perde il lavoro di avere un orizzonte temporale scevro di problemi per trovarsi un altro lavoro. Meno pane per gli avvocati, meno costi per le aziende, meno costi per la collettività, certezze per tutti.

Fantasia personale, e letterina tipo di licenziamento:
"Egr. Sig. XXYY, allegata alla presente c'è la ricevuta del bonifico a suo nome per un importo pari a 18 mensilità nette del suo salario, oltre al 30% di oneri fiscali non dovuti (lo stato anzichè pagare mobilità potrebbe rinunciare a 18 mesi di tasse..), lei, a partire da domattina è licenziato.

In bocca al lupo".

 

Premetto che i commenti continuano ad occuparsi di un unico aspetto - il licenziamento -  che è rilevante ma non l'unico da prendere in esame. Aggiungo che sono assolutamente d'accordo sul fatto che le criticità dello Statuto dei lavoratori non possano essere risolte aggirandone le norme. In realtà, io considero la legge Giugni - che mi pare sbagliata proprio come approccio culturale al tema del lavoro - non adatta ai nostri tempi perché frutto di un'epoca molto diversa. Tant'è vero che è in corso un ampio dibattito mirato a riscrivere la legislazione in materia, pur se nessuna delle ipotesi presentate mi sembra al momento convincente.

Comunque, tu certamente descrivi un sistema molto semplice. Mi permetto di dubitare, però, che sia interamente auspicabile, in particolare perchè i termini che tu proponi sarebbero costosissimi per l'azienda costretta a liberarsi di personale in esubero, cosa che - per lo più, anche se non solo - avviene in condizioni di mercato non favorevoli. Non sto dicendo che sia giusto o sbagliato: affermo semplicemente che la spada di Damocle costituita da costi di quel tipo non ridurrebbe significativamente la riluttanza ad assumere, e quindi a crescere, che la moltitudine di piccole aziende italiane mostra di avere - a ciò spinta dall'attuale normativa - e dunque bisogna pensare a qualcosa di alternativo.

@ fabio scacciavillani

 

Solo una precisazione, che mi sembrava di aver gia' sottolineato, ma evidentemente non con abbastanza enfasi.

Non mi metto sempre dalla parte del lavoratore (ladrone o santo che sia). Infatti le esigenze di rapidita' e certezza del diritto valgono allo stesso modo (se non di piu') per il datore di lavoro (ladrone o santo che sia). Se un'impresa deve reintegrare un lavoratore in base ad una sentenza pronunciata dopo 4 o 5 anni si trova a dover pagare 4 o 5 anni di stipendi arretrati (con gli interessi).

Inoltre ritengo che la legge e soprattutto la giurisprudenza sia iper-protettiva nei confronti dei lavoratori delle grandi aziende (per non parlare del pubblico impiego dove vengono reintegrati anche gli impiegati condannati per concussione). Quindi non mi oppongo a qualsiasi modifica legislativa.

 

Trovo molto opportuna la precisazione, dal momento che io non riesco a leggere tale posizione nei tuoi interventi precedenti. Colpa mia, senza dubbio.

 

Ma l'estensione del ricorso all'arbitrato (me ne sono convinto ancora di piu' dopo aver letto l'analisi davvero esaustiva di Capaneo) non mi sembra che risolva alcun problema.

 

Ottimo. L'analisi di Capaneo mi ha indotto alla medesima valutazione, che ho espresso più sopra. Da quelle note si evince che nemmeno possano nascere particolari problematiche, a condizione di ben determinare l'eventuale costo della procedura, che oggi non è ancora possibile giudicare: aria fritta, insomma, as usual.

A maggior ragione - insisto - non si comprendono levate di scudi come quelle registratesi nell'occasione, a meno che non si tratti di contrarietà "di principio" (se l'uso del termine "ideologiche" non piaccia a qualcuno) o strumentali, come ho suggerito. Questo era il tema che ho proposto.

 

Vorrei aggiungere un commento sulla Confindustria, di nuovo senza intento polemico ma per offrire una prospettiva "storica".

 

Queste valutazioni mi interessano poco, hic et nunc. Non perché siano affatto errate - c'è molto di vero in esse, pur con qualche imprecisione ed eccessiva semplificazione, ed io sono il primo a non voler essere il difensore d'ufficio della mia associazione, che spesso critico anche all'interno - ma semplicemente perché non mi sembra utile introdurre una discussione di questo tipo, che porterebbe molto lontano dal tema iniziale. Mi limito ad osservare di aver dichiarato - nel testo - la mia contrarietà al metodo della concertazione, e di aver risposto alla tua prima sollecitazione auspicando opportune conseguenze di quell'atteggiamento di fermezza che parrebbe aver sostituito l'apertura di credito sin qui concessa al governo, forse inevitabilmente.

Ah, e voglio spezzare una lancia in favore di Luca Paolazzi, che - sarà senz'altro solo un'impressione sbagliata - mi pare bersaglio di una freccetta avvelenata da parte tua. Prima di dirigere il centro studi di Confindustria, è stato certamente giornalista, ma il suo ruolo era di commentatore ed analista di temi economici al Sole 24 Ore, dal momento che è laureato in economia poltica alla Bocconi. E, quel che più conta, a me sembra stia facendo un buon lavoro, anche avvalendosi di studiosi di qualità: questo dovrebbe essere il metro di valutazione, non altro ......

@ Massimo Famularo

 

Se poi hanno dato fastidio le osservazioni sulle piccole imprese allora bisognerebbe rispondere a quelle.

 

Non produrti, ti prego, in un processo alle intenzioni. Almeno nel mio caso, sei molto lontano dalla verità. Come ho scritto poco sopra, ho semplicemente cercato di rimanere in tema, senza affrontare argomenti che non giudico utili alla discussione in corso. Se mi conoscessi un po' meglio, lo sapresti da te.

Just for the record, comunque, sono io il primo a sostenere - da sempre - che le piccole imprese, in Confindustria, abbiano sempre avuto un peso ed una qualità d'azione troppo esigui. Dunque non posso certo offendermi se altri dicono la stessa cosa (esagerazioni a parte, che lo stesso Fabio ammette quale espediente dialettico, mi pare). Devo, però, aggiungere che attualmente pare le cose stiano migliorando, pur tra mille contrasti: auguriamoci che non sia una bolla di sapone.

 

 

Non era mi intenzione produrmi in processi alle intenzioni. Se ho dato questa impressione non è un problema scusarmi.Probabilmente ho letto frettolosamente le due righe in cui si diceva che "Fabio si mette sempre dal lato del lavoratore" e non comprendendo il riferimento ho immaginato che c'entrasse qualcosa il fatto che lui parlava anche della confindustria.

La risposta più dettgliata chiarisce tutto.

 

 

Franco, la levata di scudi del sindacato (ideologica, concordo, ma si poteva evitare tutto 'sto casino applicando un minimo il cervello..) è stata soprattutto sulla norma sull'arbitrato relativo al licenziamento, ergo il mio commento parla di quello, ma premetto sempre che è da buttare a mare lo Statuto dei Lavoratori, non il solo art. 18.

Ovviamente anche il mio sogno non si riferisce alle situazioni di crisi: come può un'azienda in coma pagare 18, o anche uno solo, mesi di retribuzione ? No, io parlo dela vita normale di un'azienda, anche nelle piccole e piccolissime imprese (cui non si applica lo Statuto) alle volte ci troviamo di frone a situazioni in cui un dipendente, peraltro in gamba, non è più funzionale agli "equilibri aziendali", per cui l'unica strada è licenziarlo, ecco proprio perchè noi abbiamo un potere quasi divino (quasi, calmi..) dobbiamo avere anche un qualche contrappeso che sia a favore del lavoratore. Così, giusto per giustizia ed equilibrio.

E comunque il mercato ha bisogno, per funzionare, di regole certe, non di andare in tribunale ogni tanto, per questo buttavo lì la mia idea (altamente impopolare anche fra i miei amici imprenditori, vi risparmio i commenti, al punto che le bad company mi sono sembrate cose tenere..).

 Cancellato e riscritto come risposta.