Nei primi anni dopo l'indipendenza americana ancora non era chiaro che struttura politica la neonata nazione avrebbe adottato, perché sotto la guida del primo presidente George Washington si scontrarono due scuole di pensiero. Da una parte c’era Thomas Jefferson che difendeva l’autonomia dei singoli stati e auspicava il decentramento per poter lasciare più potere vicino ai cittadini, e quindi spingeva per un governo nazionale debole e limitato. Dall’altra c’era Alexander Hamilton che aspirava ad un governo nazionale potente e con autorità sopra le assemblee dei singoli stati dell’unione. L’America indipendente nasceva in un mondo dominato da superpotenze europee bellicose e monarchiche, e le idee di Hamilton ebbero la meglio nel determinare nella politica di George Washington la necessità di avere un governo centrale forte.
Dopo aver finanziato la guerra d’indipendenza gli stati americani si ritrovavano fortemente indebitati. Non solo l’esercito era stato pagato con buoni, ma ogni stato d’America si era anche pesantemente indebitato con cambiali verso fornitori privati per gli armamenti. Hamilton, come primo Segretario del Tesoro americano, si trovò da gestire $54 milioni di debito (il 30% del Pil di allora), di cui $11 milioni verso paesi stranieri, e $27 milioni di debito di ogni singolo stato. Hamilton trovò prima di tutto doveroso ripagare il debito straniero perché per una neo nazione era indispensabile onorare i propri creditori esteri per costruire la credibilità necessaria per futuri prestiti. Per questo vennero introdotte nuove tariffe e un’accisa sui liquori; ironicamente, la popolazione si trovò con più tasse rispetto a quelle britanniche che avevano fatto scatenare la rivoluzione americana. Nel 1794 ci fu anche una ribellione in Pennsylvania contro l'accisa sul whiskey, ma venne repressa da un esercito capitanato da Washington e dallo stesso Hamilton, e finanziato dalle stesse tasse che venivano contestate.
Ma la parte più notevole della politica economica hamiltoniana riguardò il debito dei singoli stati. Hamilton pretese che il governo centrale dovesse assumersi tutto il debito dei 13 stati, emettendo al proprio posto dei nuovi US Bonds, proprio come gli eurobonds proposti in questi giorni dovrebbero sostituire i Btp italiani. Nel processo Hamilton fece fare un mini default parziale sul debito domestico, considerando il valore totale di debito statale di $25 milioni (anziché $27 milioni), e decise che il capitale iniziale non sarebbe stato ripagato, ma solo gli interessi fissati al 4%. Naturalmente le risorse monetarie per ripagare gli interessi venivano raccolte da ulteriori tasse imposte pressapoco sugli stessi cittadini che detenevano le obbligazioni del loro stato. Ma creando un debito nazionale Hamilton si assicurava che gli investitori avessero un interesse finanziario nel vedere sopravvivere e rafforzato il governo centrale, evitando così il rischio di potenziali secessioni in un periodo politicamente ancora molto fragile. Nazionalizzando il debito Hamilton diramava la burocrazia del Tesoro in tutto il paese creando legami diretti tra le elites finanziarie locali e il governo centrale, diminuendo così l’influenza politica delle assemblee di ogni singolo stato dell’unione. Hamilton ebbe la meglio su Jefferson nel formare il profilo degli Stati Uniti, anche se poi morì ancora giovane in un duello. Thomas Jefferson invece diventò presidente e proprio grazie al sistema finanziario di Hamilton trovò prestiti esteri per acquistare i territori della Louisiana che raddoppiarono le dimensioni territoriali della giovane nazione americana.
C’è un parallelo tra la nascita degli US Bonds 220 anni fa e l’auspicare l’arrivo degli eurobonds oggi. È vero che, a differenza degli stati americani, i paesi europei non si sono integrati grazie ad una guerra contro un nemico comune. È comunque da decenni che l’Europa raccoglie i vantaggi di una integrazione economica, che include il commercio, il mercato del lavoro, e i flussi finanziari. Oltre questa integrazione economica, da una decina d’anni parte dell’Europa ha deciso di integrarsi ulteriormente gestendo la più grande unione monetaria tra paesi indipendenti. Per quanto si dica, condividere l’euro non era una scelta inevitabile e necessaria per mantenere l’integrazione economica. Basta osservare che paesi come la Svezia e la Gran Bretagna rimangono tranquillamente parte dell’Unione Europea, ma non dell’Unione Monetaria Europea. Adottare una politica monetaria comune ha avuto comunque i suoi vantaggi, anche se richiedeva un coordinamento della politica fiscale, delineato grossomodo dai parametri di Maastricht, che non sempre è stato atteso. Ma per molti l’avvento dell’euro non serviva solo a facilitare l’integrazione economica tra paesi indipendenti, ma era visto come un passo intermedio verso una integrazione politica per un Europa più forte. Un’Europa hamiltoniana forse, perché auspicare l’eurobond altro non è che voler creare un potere fiscale centrale. Con la scusa di sollevare alcuni stati nazionali dagli interessi elevati sul debito, si finisce per dare il potere di emettere debito pubblico ad un futuro ente europeo, ed eventualmente questo come collaterale non può avere altro che il potere di tassazione al di sopra gli stati.
L’eurobond è il penultimo passo verso un’unione politica europea. L’idea può piacere, a seconda se si ascolta Hamilton nel credere che l’Europa del ventunesimo secolo ha bisogno di essere uno stato unico per poter fronteggiare meglio gli Stati Uniti e le superpotenze emergenti di Cina e India. Oppure non può piacere se si crede nella filosofia di Jefferson che i poteri di uno stato devono essere decentrati e limitati per non interferire troppo sulla vita del singolo cittadino. Di sicuro l’eurobond non è un passo imprescindibile per salvare l’Europa. È vero che convertendo il debito italiano in eurobonds si risparmia in interessi perché l’Europa intera offre più credibilità nel poter ripagare il debito italiano che il governo italiano stesso. Ma questo avviene introducendo un altro costo. Distanziando sempre di più la responsabilità di condurre una politica fiscale assennata, si continua l’incentivo all’indebitamento finché anche l’Europa stessa eventualmente si ritroverà nei panni dell’Italia oggi. Le difficoltà dell’indebitamento pubblico sono un problema intergenerazionale che deve essere risolto ora, responsabilizzando la politica fiscale a livello locale, anche affrontando il rischio di default o di svalutazione. Accorpare il debito creando eurobonds in vista della creazione di un mega stato da 500 milioni di abitanti posticipa soltanto il problema del debito ai nostri figli, proprio come il debito odierno è stato ereditato dalle scelte sventurate della generazione precedente.
Lodovico, ho approvato l'articolo che mi pare interessante. Devo però dire che trovo un certo ''disconnect'' tra il titolo e il contenuto dell'articolo stesso. Per quel poco che so di storia americana mi pare che tu inquadri bene il problema del dibattito Hamilton-Jefferson, compreso il fatto che Jefferson sembrò cambiare idea sui benefici del potere centralizzato una volta raggiunta la presidenza.
Però, mentre l'articolo discute il trade-off tra centralizzazione e decentralizzazione, il titolo prende esplicitamente parte contro la centralizzazione. Questo secondo me va motivato meglio. Dall'articolo non è ovvio, per esempio, che la scelta hamiltoniana sia stata nefasta per gli Stati Uniti. Il trade-off che presenti per l'Europa (che io riassumerei così: gli eurobond possono o germanizzare l'Italia o italianizzare la Germania; sono utili nel primo caso, nefasti nel secondo) mi pare sia corretto, ma per motivare il tuo titolo è necessario spiegare meglio perché si ritiene più probabile che le cose vadano male.
Per quel poco che conta la mia opinione, io argomenterei proprio a partire dall'esperienza italiana dopo l'entrata nell'euro. I benefici per l'Italia (e la Grecia) in termini di riduzione dei tassi di interesse sono stati enormi, ma è chiaro che gli incentivi al mantenimento della disciplina di bilancio sono stati gravemente insuffficienti. In effetti, è ormai abbastanza chiaro che in Italia e altrove il risparmio derivante dai bassi tassi di interesse è stato usato in buona misura per accrescere la spesa primaria. L'emissione degli eurobond rischia di replicare questa esperienza su scala ancora più grande.
linko un articolo uscito qualche tempo fa che mi sembra ci azzecchi col tema : trade-off tra centralizzazione/decentralizzazione o anche tassipiùbassi/incentivi. Non mi sembra fosse saltato fuori in post precedenti sul tema, ma magari son io che non l'ho visto.
Ma è presumibile che nessuno stato avrebbe carta bianca nell'emissione di eurobond, e si potrebbe quindi ipotizzare un più occhiuto controllo comunitario sui singoli membri.
E' vero, c'è un disconnect perché la parte sugli eurobonds non è argomentata a fondo.
Partiamo dall'euro, che altro non è l'avere una politica monetaria in comune, che però richiede un certo coordinamento fiscale. I parametri di Maastricht sono stati ultimamente ridicolizzati perché scelti un po' arbitrariamente, però il punto di fondo era che la situazione fiscale dei paesi dell'euro doveva avere una certa sintonia. Partecipare ad una unione monetaria con deficit o debito completamente al di fuori della media era voler farsi del male. Ciampi nel '98 aveva previsto/promesso un rientro sotto il tetto del 60% di debito/pil per il 2010. Le sue simulazioni si basavano su una crescita sostenuta del 3-4% all'anno (probabilmente basandosi sulla crescita artificiale di metà anni '90 causata dalla forte svalutazione della lira). In questi 12 anni bisognava intervenire con una politica pro crescita per far ridimensionare il debito, ma invece si è iniziato a dire che Maastricht non contava più finché non è arrivato il macro shock. In conclusione, l'euro è servito all'Italia per risparmiare sugli interessi senza costi sugli altri membri dell'EMU, ma ciò non toglie che sia rimasta più vulnerabile di altri ad uno shock macro. Lo stato italiano ha avuto tutto il tempo che voleva per far tesoro di questo risparmio sugli interessi, e ridimensionare i suoi numeri (primo di tutti la crescita del Pil, e di conseguenza migliorare anche il rapporto debito/pil). Quindi, io ero e sono favorevole all'euro, ma se uno stato non si assume le sue responsabilità sono affari suoi.
Veniamo all'eurobond, che per me è ben diverso. Anche qui il vantaggio per l'Italia sta nel risparmio sugli interessi. Ora che i numeri sono sull'orlo dell'insostenibilità si può dire agli investitori: "don't worry, perché se gli italiani non ce la fanno a ripagare il proprio debito ora c'abbiamo anche i finlandesi che ce lo garantiscono". Diventa un po' come un'assicurazione, lo spread si abbassa a livelli sostenibili, lo stato italiano risparmia e quindi riesce a pagare, e i finlandesi tutto sommato non devono sborsare nulla. Il problema però è che stai dando ad un tossicodipendente l'ennesima opportunità. In cambio degli eurobonds gli italiani faranno quattro capriole come hanno fatto con Prodi per entrare nell'euro, ci saranno dei sacrifici, delle tirate di cinghia, delle patrimoniali, proprio come nel 1998. Poi, una volta fregati i cugini europei, e una volta istituzionalizzato questi eurobonds chi ce lo fa fare di metterci a dieta quando alla fin fine paga pantalone? Perché una volta che hai l'eurobond hai passato la patata bollente ad un ente europeo che viene garantito da tutta l'Europa. Io mi indebito, e poi paghiamo tutti assieme.
Il parallelo con Hamilton finisce qua perché non è che ha detto agli stati di indebitarsi pure, che dopo garantisce lui con gli US Bonds. La sua mossa era basata sul rafforzare il governo centrale creando quel legame finanziario che ho descritto (un po' come i pensionati si sentono legati allo stato perché pensano che in una cassaforte dell'INPS ci siano dentro 30 anni dei loro contributi in ostaggio...). Poi se gli stati si indebitavano per conto loro non veniva il governo centrale in soccorso, ma si arrangiavano con i loro creditori. Perlomeno mi pare sia così oggi, forse mi sbaglio e magari ci sono stati casi contrari. Il punto è che la mossa di Hamilton mirava a rafforzare una unità politica e non di salvare degli stati indebitati. Allo stesso modo, a lungo andare gli eurobonds non salvano per niente dai vizii italiani, ma li vedo solo come una scusa per continuare un accentramento politico in Europa. A qualcuno puo' piacere e auspica degli Stati Uniti d'Europa. Ok, ognuno ha i suoi gusti, ma non venitemi a dire che serve per risolvere i problemi dell'indebitamento. Forse darà un sollievo temporaneo, ma alla fine è un disincentivo.