Gene Fama fa parte, assieme a Bob Lucas, Tom Sargent, Ed Prescott, di quel gruppo di economisti che negli anni settanta ha rivoluzionato la teoria e la pratica della disciplina introducendo le aspettative degli agenti economici riguardo al futuro come un elemento fondamentale dell’analisi economica. Fama, il meno incline all’analisi teorica tra questi, applicò queste teorie all’analisi dei prezzi delle attività finanziarie. È ora facile capire il successo della sua analisi: nessuno oggi immaginerebbe di poter comprendere l’andamento dei prezzi sul mercato azionario senza cercare prima di comprendere cosa gli investitori si aspettino riguardo all’andamento dei prezzi futuri. Fama chiamò la sua analisi "ipotesi dei mercati efficienti". Mai nome fu scelto peggio: in effetti essa ha nulla a che fare con il concetto di efficienza nel senso comune del termine, ma ha anche poco a che fare con il concetto di efficienza nel significato gergale che gli economisti vi attribuiscono (che pure è molto minimale: ovvero una situazione in cui un qualche obiettivo è massimizzato, oppure i costi sono minimizzati, date le risorse disponibili). Ma i nomi rimangono e Fama è ridicolizzato a ogni crisi finanziaria dai molti che parlano di economia senza sapere di cosa parlano. Resta il padre riconosciuto della finanza moderna.
Le analisi di Fama sono state poi formalizzate in modelli teorici parecchio sofisticati e questi modelli sono stati verificati empiricamente sulla base di analisi statistiche dei dati altrettanto sofisticate. È qui che entrano in gioco Lars Hansen e Robert Shiller. Hansen ha sviluppato metodi statistici di grandissima utilità (fra cui il più noto è sicuramente il Metodo Generalizzato dei Momenti, o GMM) per studiare le equazioni di prezzo delle attività finanziarie. Oggi i suoi metodi sono applicati a ogni aspetto dell’analisi empirica in economia, dalla finanza alla geografia economica, dalla macroeconomia allo studio delle interazioni sociali e della trasmissione di tratti culturali: per questo è considerato un vero e assoluto gigante della statistica economica.
L’uso di questi metodi portò Hansen a inizio anni 80 (in una serie di celebri articoli con vari coautori, John Singleton, Ravi Jagannathan e altri) a mettere in dubbio l’accuratezza delle equazioni di prezzo delle attività finanziarie. Da allora sono stati proposti diversi e più sofisticati modelli teorici, più coerenti con l'evidenza empirica. Ultimamente, con Tom Sargent, ha ottenuto risultati interessantissimi lavorando con modelli di agenti a razionalità limitata, di "robust control" e di ambiguità. Dei tre Lars è certamente il più sofisticato da un punto di vista matematico, scrive articoli che risultano di difficile comprensione anche per gli economisti che non lavorano su questi temi, ma dimostra anche un’enorme curiosità intellettuale che lo porta ad interessarsi di problemi fondamentali per l’analisi economica.
[Aggiungiamo qui una nota personale: Lars è stato nostro professore a Chicago e membro del comitato di tesi di Giorgio. È non solo un brillante economista, con interessi che spaziano in campi diversissimi fra loro, ma anche una persona squisita, di enorme umiltà e rigore intellettuale. Ha formato generazioni di studenti che ora insegnano o lavorano nei migliori dipartimenti e centri di ricerca del mondo, con enorme pazienza ma al tempo stesso spingendo i suoi studenti a mantenere i più alti standard di rigore e onestà intellettuale.]
Robert Shiller, come Hansen ma con metodi più intuitivi che statisticamente sofisticati, ha compreso tra i primi a inizio anni 80 che la finanza moderna non era in grado di spiegare alcuni aspetti del comportamento dei prezzi delle attività finanziarie. Ha anche compreso che alcuni di questi aspetti erano (e sono) di importanza fondamentale: in sostanza che il premio al rischio sul mercato azionario non riflette accuratamente il “rischio reale” delle azioni, che i prezzi delle azioni erano (allora) troppo bassi rispetto al loro rischio storico, che gli investitori appaiono manifestare una avversione al rischio che appare eccessiva rispetto all'evidenza empirica che abbiamo in altri campi. Ovviamente il problema ha due aspetti e soluzioni: o si sbagliano gli investitori oppure gli economisti e i loro modelli teorici ed empirici non catturano accuratamente una grossa parte del rischio effettivamente presente nei mercati finanziari. Messo in altri termini: o sono gli investitori a essere ''irrazionalmente esuberanti (o depressi, a seconda dei casi)'' o sono i modelli teorici ed empirici a non includere (o a sottovalutare/sopravvalutare il peso di) fattori che sono in realtà importanti nelle scelte di portafoglio degli agenti economici.
A trent’anni da queste prime esplorazioni oggi naturalmente sappiamo che entrambi gli aspetti le soluzioni del puzzle fanno la loro parte anche se non abbiamo raggiunto un consenso su quanto esse siano importanti in termini relativi. Shiller ha avuto varie altre intuizioni fondamentali nel corso della sua carriera. Una per tutte: comprendere prima di chiunque altro quanto il rischio dei prezzi sul mercato immobiliare fosse fondamentale per famiglie e imprese, al punto di costruire un indice dei prezzi oggi di larghissimo utilizzo (noto come Case-Shiller) su cui sviluppare sofisticati derivati finanziari che possano essere utilizzati come meccanismi di assicurazione contro questi rischi. Shiller è certamente il più eterodosso dei tre economisti cui è stato assegnato il Nobel, per quanto naturalmente lavori ben all’interno della disciplina. È certo quello che più ha saputo portare il proprio lavoro accademico fuori dalla torre d’avorio, nel mondo della finanza così come essa è praticata a Wall Street, ma sempre come una voce un po’ contraria ed intelligente.
In buona sostanza, davvero un ottimo premio. Complimenti!
Pur propenso a condividere - per quello che ne capisco - la positiva valutazione contenuta nell'articolo, vi segnalo la diversa opinione espressa da Michele Boldrin su FB. Attendo scintille!