L'indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia viene svolta ogni due anni e raccoglie dati importanti che risultano altrimenti assai difficile da misurare. Tra le altre cose è di gran lunga la fonte migliore che abbiamo in Italia (e tra le fonti migliori a livello internazionale) sull'andamento dei redditi netti, della ricchezza e della distribuzione di queste variabili nella popolazione.
Colpevolmente, non l'abbiamo commentata quando è uscita l'ultima volta, nel febbraio 2010. Il Corriere titolò sull'aumento delle famiglie indebitate (in realtà assai modesto) mentre Repubblica segnalò nel titolo il calo del 4% del reddito netto delle famiglie rispetto alla precedente indagine di due anni prima. In entrambi i casi si tratta poco più di un taglia e cuci dalla pagina 7 della relazione, che riassume i risultati principali.
Mentre l'attenzione si è concentrata sull'effetto della congiuntura, in particolare gli effetti della crisi economico-finanziaria che nel 2008 aveva iniziato a manifestare i suoi effetti (vedi Nota in fondo al post), le lezioni più interessanti dell'indagine sono a nostro avviso quelle che si riferiscono alle dinamiche di più lungo periodo. In questo post ci concentriamo su queste e in particolare sulla disparità nella dinamica dei redditi tra la parte più giovane e la parte più anziana della popolazione.
La figura che abbiamo messo nel sommario (fonte: indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia) e che riproduciamo qua sotto è abbastanza chiara. C'è sicuramente un dato congiunturale: se guardiamo alle medie la crisi sembra aver colpito esclusivamente i cittadini di età inferiore a 55 anni, e in modo particolarmente duro quelli con meno di 45 anni.
La congiuntura però è solo parte della storia, e forse nemmeno la più interessante. In periodo recessivo è normale attendersi che la popolazione attiva veda una riduzione del proprio reddito maggiore della parte di popolazione che vive di trasferimenti. In particolare, a meno di interventi legislativi per ridurre il livello delle pensioni, è normale che i redditi dei pensionati non soffrano della crisi, che finisce invece per colpire la popolazione attiva mediante riduzione del numero di occupati e calo dei redditi di chi conserva un impiego. Dato che la popolazione attiva è mediamente più giovane dei pensionati, la differente dinamica dei redditi per classi di età nel periodo 2006-2008 appare comprensibile. Questa interpretazione è confermata da un articolo di Montella, Mostacci e Pugliese apparso su La Voce lo scorso aprile. I tre ricercatori, partendo dall'indagine di Banca d'Italia, hanno analizzato la variazione percentuale del reddito nel periodo 2006-2008 in base alla condizione professionale del capofamiglia. Il risultato è nella figura qui sotto.
Si noti che, a parte i pensionati, l'unica altra categoria che è riuscita ad aumentare il proprio reddito reale (seppur di una percentuale miserrima) è quella dei dirigenti-direttivi. Si tratta anche in questo caso di lavoratori mediamente più anziani.
Come abbiamo detto però la congiuntura non è la parte più interessante, o preoccupante, della storia. La cosa invece preoccupante è la tendenza di più lungo periodo, visibile nei dati a partire dal 1993. Potete osservare nella prima figura sopra che il reddito equivalente delle classi più anziane (55-64 e oltre 65) è cresciuto in media più di quello delle classi più giovani nell'intero arco dei 15 anni rappresentati. Non è quindi solo un problema di migliore protezione dei redditi da trasferimento in periodo di recessione. Cosa è successo?
È francamente difficile credere che, a causa dell'innovazione tecnologica, i giovani siano diventati meno produttivi dei vecchi. Non solo le nuove leve entrate nel mercato del lavoro durante questo periodo godevano di un grado di istruzione medio più alto delle coorti precedenti, ma la natura dell'innovazione tecnologica sembrava particolarmente atta a favorire le nuove generazioni, sicuramente più a proprio agio tra le tecnologie informatiche. Non è successo niente di tutto questo, ed è successo invece l'esatto contraro.
In assenza di una spiegazione tecnologica (che forse esiste, ma che non siamo stati capaci di trovare) occorre guardare alle variabili istituzionali. Due ipotesi si presentano in modo abbastanza naturale. Da un lato lo sviluppo di un mercato duale del lavoro, con la dicotomia tra insiders protetti e outsiders non protetti, può aver penalizzato le giovani generazioni, meno rappresentate tra gli insiders. Dall'altro si è verificata una espropriazione fiscale a favore dei vecchi, che attraverso i vari governi hanno tassato i giovani per pagarsi pensioni che i giovani attuali non riusciranno mai a permettersi.
Ci concentriamo qui su questo secondo aspetto. Cominciamo da questa figura (fonte: indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia)
Le persone ''in condizione non professionale'' sono principalmente i pensionati. Ponendo pari a 100 il reddito equivalente medio, osserviamo che per questa categoria c'è un aumento del 14% nell'arco dei 15 anni. Per i lavoratori dipendenti invece l'aumento è stato solo del 4%. Ulteriori utili informazioni si ricavano guardando alla percentuale dei redditi delle famiglie che derivano da trasferimenti, riportata nelle seguente figura (fonte: come sopra)
La figura mostra l'espansione della categoria dei trasferimenti, principalmente costituita dalle pensioni. In realtà qui è utile guardare ai numeri su un periodo di tempo ancora più lungo. Abbiamo guardato varie annate della indagine sui bilanci delle famiglie e abbiamo costruito la seguente tabella, che mostra l'evoluzione nel tempo della quota di reddito netto delle famiglie italiane proveniente da trasferimenti.
1969 | 1975 | 1980 | 1989 | 1991 | 1993 | 1995 | 2000 | 2006 | 2008 |
16,4 | 15,8 | 17,3 | 17,3 | 20,2 | 22,1 | 24,8 | 23,2 | 23,5 | 25,1 |
La quota resta sostanzialmente stabile tra il 1969 e il 1989 e si impenna subito dopo. La crescita si ferma dopo il 1995, anno in cui viene passata la riforma Dini; la crescita del 2008 è la conseguenza dell'inizio della recessione che ha provocato una caduta degli altri redditi.
Il forte aumento della spesa per pensioni che si è verificato alla fine degli anni 80 può anche essere visto guardando ai dati di contabilità nazionale. La seguente figura descrive l'andamento della spesa pensionistica in rapporto al PIL (fonte: rapporto del nucleo di valutazione della spesa previdenziale).
Anche se fattori demografici (riduzione del tasso di natalità e aumento dell'età media che portano ad un invecchiamento della popolazione) sono all'opera, il forte aumento della spesa pensionistica è indubbiamente indotto da provvedimenti legislativi che hanno avuto luogo negli anni Ottanta. Attribuire tutto questo ad un inevitabile "cambio demografico" è ipocrita: l'invecchiamento della popolazione conduce a un aumento della spesa pensionistica solo se la legislazione non cambia; la spesa può essere tenuta sotto controllo mediante aumento dell'età di pensionamento oppure riduzione dell'importo medio della pensione. Questi cambiamenti sono stati solo molto parzialmente introdotti nel tempo, ma chiaramente non in misura sufficiente e avendo sempre cura di preservare i diritti acquisiti delle leve più anziane. La spesa pensionistica è quindi rimasta agli alti livelli raggiunti all'inizio degli anni Novanta. È probabile che, quando i dati del 2009-2011 verrano resi noti, l'effetto della crisi in corso sarà del tutto evidente (nel 2008 era solo all'inizio) e la percentuale di redditi attribuibile ai trasferimenti sarà ancor maggiore del 25,1% rilevato nel 2008.
È abbastanza chiaro che rovesciare questa tendenza, ripristinando un minimo di equità intergenerazionale, richiederebbe provvedimenti di riforma ben più decisi e immediati di quanto finora si è visto. Chiunque segua con un minimo di attenzione il dibattito politico sa che tali provvedimenti sono estremamente improbabili, tanto nell'immediato come nel futuro prossimo. Questo paese non è, e non sarà per molto tempo, un paese per giovani. Chi decide di restare è bene lo sappia.
Nota: l'ultimo punto nella Figura 9 riprodotta nel sommario si riferisce a dati raccolti nella prima meta' del 2009 sulle esperienze delle famiglie durante il 2008. Dati dell'Istat indicano che il PIL ha cominciato a scendere in Italia a partire dal secondo trimestre del 2008.
Immagino che studi simili vengano fatti anche in altri paesi. Sarebbe possibile avere un sommario confronto con altre realtà?
Firmato un giovane che ha deciso di restare ;)
Trend simile negli USA, parrebbe.