Lo stato delle cose, mentre scrivo, è il seguente: Assange si è consegnato alle autorità inglesi, ossia alla polizia di Scotland Yard, mentre emergono i dettagli della sua incriminazione svedese e si levano grida di giubilo dalle cancellerie internazionali.
Ciò che vi è di noto è riassunto in questo post, per cui non è il caso di dilungarsi: evidentemente, il fatto che più di 170 paesi abbiano emesso un mandato di cattura per un "crimine" del genere (quando pericolosi delinquenti riescono a prolungare la latitanza per lustri, se non decenni) non fa che confermare la pretestuosità dell'accusa. Piercamillo Falasca ha giustamente rilevato come questo crimine sia, in Svezia, punibile con una multa che può arrivare a 550 euro: eppure ad Assange è stata negata la liberazione su cauzione. Spogliando i fatti da formalità alle quali non crede più nessuno, il principio dell'habeas corpus viene messo seriamente in discussione dalla storia di Assange.
Per dirla in modo più chiaro, l'accusa è tanto più evidentemente pretestuosa quanto più si vuole render chiaro il principio per cui i governi possono limitare la libertà individuale in modo arbitrario, usando le leggi come clave per i propri scopi. L'atto è così evidentemente deliberato che la quasi totalità della stampa internazionale ne rimarca le caratteristiche, talvolta con l'ironia di chi sa già dove si vuole andare a parare.
Eppure, lo sdegno popolare sembra indirizzarsi altrove, e gli stessi giornali che denunciano la manipolazione sembrano astenersi dal giudicare nel merito l'intenzione dei governi, in prima fila quello americano, di mettere a tacere questo scomodo divulgatore di notizie riservate.
Tanta timidezza è dovuta al fatto che gli stessi giornali che ieri protestavano contro il bavaglio oggi riconoscono che l'etica professionale del giornalista può richiedere spesso un'autocensura - fino al limite estremo di accettare un atto di forza censorio e richiedere un limite internazionale alla libertà di informare? Non credo.
Anche i giornalisti più sprovveduti sanno che la libertà di stampa non è una cosa che, al netto della diffamazione, è possibile circoscrivere senza avere effetti ben peggiori della piena libertà: se la libertà genera giornalisti parziali, la censura fa diventare l'informazione molto simile alla propaganda. Questo è il motivo per cui la legge non pone, in genere, limiti di merito rispetto alle notizie pubblicabili, posto non siano basate su ricostruzioni tendenziose o informazioni false.
Il principio di Wikileaks, in fondo, è molto banale: in democrazia si suppone che i cittadini siano perfettamente informati al fine effettuare delle scelte politiche - votare, militare, fare campagne sono decisioni che si prendono in base alle informazioni disponibili. Oggi, i governi hanno gli strumenti per prendere moltissime decisioni tenendone all'oscuro gli elettori, e questo non deriva dallo stato della tecnologia ma dalla complessità nella quale siamo immersi, che rende complicabili fino all'incomprensibilità le decisioni più importanti.
Ha a che fare con la tecnologia, invece, il fatto che i cittadini vivano in "case di vetro", totalmente trasparenti agli occhi dell'autorità sovraordinata. La relativa libertà di mezzi e diffusione offerta da Internet permette di rovesciare di un poco i rapporti di forza, senza risolvere il problema della complessità dovuto alla proliferazione di analisi di cui il web è generatore; si tratta di un contributo prezioso, però, perché non vengono diffuse voci di corridoio, analisi su dati disponibili o visioni paranoiche, ma documenti ufficiali, portatori di un messaggio incontrovertibile.
È quindi il caso di chiedersi, ancora una volta, il motivo di una reazione tiepida di fronte al noto stupro (questo sì) di legalità perpetrato dai governi di mezzo mondo per mano delle Corti svedesi. È una conseguenza ovvia a generare una prima perplessità, ossia gli effetti di breve periodo: a fronte di scandali e rivelazioni, è possibile che molti governi democraticamente eletti traballino.
Non si considera la possibilità che in equilibrio anche i governanti tengano conto del maggior controllo esercitato dalla libera stampa? Pare però che valga una congiura del silenzio contro i documenti provenienti da Wikileaks, per cui le opposizioni rinunciano ad approfittarne, evidentemente privilegiando la "ragion di Stato". Quella ragion di Stato che ogni liberale dovrebbe considerare subordinata ai diritti individuali, e qui ancora non è sorprendente osservare come in Italia solo i radicali e i libertari, che sono pochissimi, sembrino voler difendere Assange.
Mi è stata suggerita una possibile causa per questa acquiescenza massiccia all'arbitrio del potere statale ed alla persecuzione della dissidenza, in barba ai principi più elementari dello stato liberale. La propongo perché mi pare abbastanza valida. Essa è figlia della guerra al terrorismo "internazionale" (in gran parte "islamico", ma c'e' anche la Corea del Nord ed altro) che oggi sembra preoccupare in modo totale Occidente ed Oriente, ma sopratutto l'Occidente.
Negli anni immediatamente successivi all'undici Settembre 2001 molti occidentali hanno acconsentito a una limitazione delle libertà individuali spaventosa (si ricordi il Patriot Act) per rispondere alla richiesta di "maggiore sicurezza". Ancora oggi, la paura del terrorismo internazionale sembra essere lo spauracchio utilizzato dai governi nella grande battaglia del ventunesimo secolo: quella che, sullo sfondo dei grandi cambiamenti tecnologici che stiamo vivendo, finirà per costruire o una Big Society orizzontale, veramente democratica e aperta, o un Big Government orwelliano, che potrà avvalersi di strumenti di controllo e repressione mai conosciuti prima, e nel quale nemmeno l'esilio sarà più una soluzione praticabile per i dissidenti.
La terza alternativa è un sistema di legislazione della libertà di stampa che si adegua al potere virale delle nuove tecnologie informative.
Al di la del merito della persecuzione di Assange, che mi pare grottesca, trovo sinceramente assurdo che sia un reato rivendere una macchina rubata, ma non ripubblicare documenti riservati rubati, in nome della libertà di parola. Da un punto di vista di optimal policy, la libertà di parola e di stampa non può essere un valore assoluto, i costi ci sono e sono potenzialmente molto alti. Capisco che la Supreme Court si sia pronunciata con parole forti contro il governo in casi analoghi (mi pare a favore del NYT, in un caso), ma sono passati così tanti anni che non mi stuperei se rivisitando la questione non sollevasse la necessità di mettere dei paletti. Comunque, da un'idea di quanto la libertà di parola sia considerata seriamente dalla costituzione americana (meno dal governo, a quanto pare).
Non funzionerebbe: esistono tecniche di pubblicazione anonima (p.es. gli Anonymous Remailers, che possono anche inviare testi su Usenet via normail mail-to-news gateways) che rendono praticamente impossibile rintracciare il responsabile.
non mi sentirei di equiparare ad un venditore di auto rubate un giornalista o chiunque altro rendesse pubblici i documenti dei vari sifar, sid, etc. relativi al piano solo, a piazza fontana, piazza della loggia, stazione di bologna, italicus, ustica, capaci, via d'amelio e quant'altro ancora non ci è dato sapere, in qualunque modo ne sia venuto in possesso.
in questi casi non si tratta solo della libertà di parola, o di espressione, di chi pubblica, ma anche del diritto di essere informati da parte dei cittadini, e nel caso in questione è proprio questo diritto che si sta cercando di limitare