Notizie dal fronte (ha voglia FLG a invocare "coraggio")

/ Articolo / Notizie dal fronte (ha voglia FLG a invocare "coraggio")
  • Condividi
La Corte dei Conti boccia il regolamento per lo svolgimento dei concorsi per ricercatori universitari. Così i concorsi da ricercatore, annunciati con tanta enfasi dopo un'attesa dovuta solo alla mancanza del suddetto regolamento, (e su cui ci si è scannati mica poco dentro i dipartimenti e le facoltà) sono di nuovo nel caos. Tanto rumore per nulla.

Mi è arrivata ieri per email la notizia che la Corte dei Conti ha bocciato per la seconda volta il regolamento della riforma Mussi per l'assunzione di nuovi ricercatori nell'Università, riportando in vigore i vecchi (quali? mah? Adesso non lo so proprio più) criteri.

Sulle prime non ci ho creduto, sarebbe la seconda volta che si ricomincia da capo nel giro di due mesi e anche le pezze messe col decreto "mille-pagliacciate" (quello che ha rimesso in auge le chiamate multiple nei concorsi da professori di prima e seconda fascia) non sono servite a sbloccare la situazione! Neanche dei dilettanti allo sbaraglio avrebbero potuto fare più danni.

Poi sono andato sul sito del MIUR ed ho trovato questo articolo che conferma la cosa.

Quello che mi chiedo è: possibile che al Ministero dell'Università, con tutte le facoltà di giurisprudenza che hanno a disposizione, non riescano a trovare un legale in grado di verificare leggi e regolamenti che vengono prodotti e di controllare che non siano porcherie inapplicabili, ma qualcosa che si potrà far valere? La domanda è retorica. Sì e possibile, sotto il regno di Mussi non ne hanno combinata una decente e hanno solo bloccato tutto per la loro incapacità prima di produrre un regolamento per fare svolgere i concorsi in tempi decenti, poi nel produrne uno che non si potrà applicare e che è stato bocciato due volte.

D'altra parte la competenza del sottosegretario Modica su come si svolgono i concorsi nel resto del mondo spiega bene perché non sia riuscito a combinare nulla di buono: l'"anonymous peer review" non è il sistema usato per valutare i candidati alle assunzioni, ma per valutare la correttezza degli articoli da pubblicare sulle riviste scientifiche.

Oppure questa tattica di "fare ammuina" è voluta e serve a rendere assolutamente incomprensibile agli stranieri cosa vogliamo fare in questo paese ormai da operetta, così da metterci al riparo da "invasioni" estere (vedrai che ne vengono dei docenti validi in Italia ad insegnare, in queste condizioni).

Soluzioni non ne ho, ma qui è sempre più dura, ha voglia FLG ad incoraggiarci...

 

Indietro

Commenti

Ci sono 33 commenti

Alcune precisazioni di contorno. La registrazione di un atto del governo puo' essere imposta alla Corte dei Conti da una delibera del consiglio dei ministri. L'articolo su IlSole24ore afferma che era stata superata l'obiezione piu' grave che era procedurale. Non capisco come questo possa essere avvenuto senza ricominciare la procedura da capo. Potrebbe esserci stato un intervento legislativo nel decreto mille proroghe, ma non riesco ad immaginare come. L'obiezione sull'anonimato dei consulenti esterni, invece, non regge, perche' un'attenta lettura della bozza del regolamento rivela che essi rimangono anonimi solo fino alla conclusione del procedimento. Successivamente gli interessati hanno diritto di conoscerne l'identita'. Anche nelle assunzioni e promozioni degli SU si utilizzano consulenti "anonimi", che scrivono le cosiddette "recommendation letters". Modica quindi non ha tutti i torti. Ma anche negli SU da molti anni gli interessati possono avere accesso a tutta la documentazione compresa l'identita' dei consulenti (sulla base del principio costituzionale del "due process"). Chi ha sottoscritto "recommendation letters" in tempi  recenti e' stato informato che l'anonimato non e' piu' assoluto. Il decreto mille proroghe ha stabilito che si applicano le vecchie regole sui concorsi a ricercatore banditi fino all'entrata in vigore della legge di conversione del decreto (secondo Ilsole24ore e'  il 14 marzo, ma non ci credo, credo invece che sia il 29 febbraio). L'emendamento che proponeva di fissare il termine in modo da non creare un vuoto normativo (cioe' lasciare in vigore le vecchie norme fino all'entrata in vigore del nuovo regolamento) e' stato rifiutato. Questo dovrebbe comportare l'impegno della maggioranza ad eliminare il vuoto normativo attraverso una registraione "con riserva" imposta dal Consiglio dei Ministri alla Corte dei Conti. Il regolamento e' complicato e farraginoso e scimmiotta una america immaginaria. Tuttavia e' meglio del vuoto normativo. Pe migliorare l'assurdo sistema di reclutamento, basato sulle "file d'attesa" sarebbe bastato molto poco. Ad esempio la soppressione del "membro interno" della commissione. Ma c'era qualcuno che voleva a tutti costi "fa' l'amerikano".

 

Forse voleva fare l'ammericcano de roma, ma l'amerikano dubito lo volesse/sapesse fare. Per la semplice ragione che qui non si fa proprio così per assumere i colleghi. Il diavolo, come sempre, sta nei dettagli, ma i dettagli contano.

Anzitutto, qualsiasi decisione di assunzione/promozione è FONDAMENTALMENTE responsabilità del consiglio del dipartimento, in cui le persone hanno nomi e cognomi noti. In secondo luogo, la decisione finale formalmente ricade sul Dean e/o un "Tenure and Promotion Committee", anche questo composto di persone con nome e cognome. Le lettere di valutazione si usano, ed alcune sono anonime nel senso che illustro fra un po', ma valgono solo nei casi marginali e solo in dipartimenti che non sanno che pesce pigliare. Nei posti dove ho lavorato, PRIMA decidevamo chi assumere e se ci piaceva, POI cercavamo lettere di valutazione to make a case for the Dean/Provost.

Più dettagliatamente. Per assumere assistant professors le lettere di valutazione sono il contrario di anonime: sono scelte dal candidato che le fa inviare e le richiede. Sono tipicamente suoi professori. Perché mai un professore dovrebbe scrivere che un suo studente è mediocre e non merità niente di più che andare a Wall Street e non in un posto accademico serio? Concorrenza/reputazione: è un gioco ripetuto in cui alla gente interessa vincere. Se mi vendi tonti per un paio di volte poi non ti credo più, anche se davvero hai un genio. Promozioni interne - in particolare, dare il posto fisso (tenure) ai precari (assistant professors): queste sono fondamentalmente decisioni dei membri del consiglio di dipartimento di grado appropriato. Nel caso di forti dubbi ed indecisioni l'opinione dei valutatori esterni può contare, ma in media è un elemento marginale. Questo è ancor più vero per le assunzioni da fuori di persone con posto fisso: il dipartimento si cerca la gente che gradisce, cerca di convincerla a venire, vota l'offerta e POI prepara il caso per Dean/Provost, spesso facendosi aiutare dal candidato stesso sulla scelta delle persone che devono scrivere le lettere. Certamente gli si chiede sempre: X, facci sapere se c'è qualcuno a cui NON vuoi che chiediamo lettere. Questi i fatti.

Insomma, visto così sembra un sistema ultra corrotto e gestito a base di raccomandazioni personali e gruppi chiusi (i dipartimenti) che fanno quello che vogliono: esatto. E più è "di qualità" il posto, più questo aspetto da "club chiuso" è vero. Perché, dunque, un sistema apparentemente corrotto e manipolabile, privo di regolamenti trasparenti, commissioni, classifiche, ed i mille altri bizantinismi italioti, produce ricerca ed insegnamento di una qualità tale che in Italia se la sognano? Semplicissimo: concorrenza, concorrenza, concorrenza. Ogni dipartimento è un team che vuole vincere, ossia acquisire una reputazione superiore a quella degli altri dipartimenti nello stesso campo in altre università ed in campi diversi nella propria università. Perché? Per la fama, individualmente, e per ottenere risorse, ossia il vil denaro! Per quale altra ragione? Gli accademici son esseri umani normali, ed amano le stesse cose che i bancari amano, solo con un tasso di sostituzione marginale differente: una volta raggiunta la composizione "accademica" del paniere denaro-libertà-stimoli mentali, le curve di engel sono più o meno lineari anche per noi. È la selvaggia concorrenza di mercato che muove il sistema universitario e di ricerca USA; la concorrenza per denaro e fama, niente altro. Il sistema funziona perché ci permette di competere ogni giorno senza accoltellarci, ed è organizzato in modo da dare ai dipartimenti ed ai professori gli incentivi giusti.

Dato questo fatto la gente si concentra sul vincere, e per vincere non è buona regola assumere degli incompetenti tonti solo per far favore ad un compariello: che se li assuma lui! Funziona sempre bene? No, non sempre. A volte vi sono dipartimenti che riescono ad ottenere rendite di posizione e si adagiano, oppure che "spariscono" dalla vista ed accettano il degrado, o che convincono i propri amministratori centrali d'essere "buoni" mentre son gli altri che son "cattivi". Il posto dove sono da quasi due anni è un esempio: mai stato un grande posto per fare economia, al contrario di Minnesota dov'ero prima, aveva galleggiato per qualche decennio per poi, nel tempo, decadere ulteriormente, diventando molto "italiano" (aneddoti disponibili, a iosa) ed arrivando probabilmente ad essere numero 60 o giù di lì nelle classifiche nazionali. È durato per un vent'anni, poi l'università s'è accorta del trucco e s'è accorta d'avere a bordo un dipartimento molto sotto gli standards desiderati. Siccome WUStL ha ambizioni alte (che come college ed in alcuni fields, quelli delle scienze della vita ed in medicina in particolare, ha abbondantemente raggiunto) il Dean ed il Chancellor han deciso di ricominciare da capo. Commissione esterna di valutazione (con nomi e cognomi, niente di anonimo) che fa un report esplicito ed ovviamente durissimo; assunzione di un direttore di dipartimento da fuori con poteri quasi dittatoriali - incluso: rendere la vita così difficile a quelli che non fanno niente ed hanno il posto fisso che scelgano di andarsene - e campagna acquisti in cui i baroni del passato non avevano praticamente diritto di parola. Due anni dopo, anche se non siamo ancora fra i primi 20, ci stiamo avvicinando al gruppo di testa ed abbiamo recuperato il diritto di decidere per noi: il Dean ed il Chancellor ora si fidano dei nuovi arrivati. Di sicuro non siamo più numero 63 ...

Ancora una volta: la meritocrazia (di cui tutti in Italia si riempiono la bocca) si implementa solo con la concorrenza ed il mercato, non a colpi di assurdi regolamenti, commissioni, classifiche e punteggi. It's as simple as that.

Anonimato: che i nomi dei valutatori esterni vengano o non vengano rivelati ai candidati (assieme al testo delle loro lettere) dipende dal posto. È vero per quasi tutte le università pubbliche, ma non è vero per la maggioranza delle private, come la mia. In ogni caso, è un diritto ristretto ai casi di promozione interna, in particolare nel passaggio da precario a posto fisso. Negli altri casi, ciccia.

Questi i fatti. Il resto son fantasie nazional-popolari d'origine ministerial-romana.

Infine, il punto del Gibbo mi sembrava essere che, ancora una volta, al ministero dell'Università non sanno quel che fanno: son degli incompetenti, a partire dal signor ministro e scendendo giù, giù, giù sino all'ultimo dei loro esperti o direttori di questo e di quello. Mi sembra Gibbo abbia provato il proprio punto convincentemente: questi incompetenti fanno leggi di riforma che sono illegali secondo la legislazione ed i regolamenti che la loro Casta è venuta elaborando da decenni a questa parte. L'ironia della storia che Gibbo ci racconta va apprezzata: si sono incartati da soli nel loro labirinto dirigista.

Questo persino al di là del giudizio di merito che si può dare delle svariate riforme e riformine che ogni ministro/sottosegretario estrae dal cilindro appena lo nominano, probabilmente per far contenti i 5 o 6 "baroni di riferimento" che lo consigliano. Siccome ogni tre baroni italiani ci sono 5 opinioni su quale labirinto di bizantini regolamenti dovrebbe regolare l'università, il ministro di turno (che di università e ricerca seria non capisce quasi mai nulla perché è solo un politicante molto ignorante) prende i suoi baroni di riferimento, li nomina consiglieri o sottosegretari e questi si sbizarriscono a scrivere i mille incoerenti codicilli della riforma perfetta che hanno sempre sognato. Perché, ovviamente, ogni barone italiano che si rispetti, è convinto che il problema sia quello di riuscire ad introdurre i regolamenti, le procedure, i divieti, i concorsi, le commissioni, le sovracommissioni, le sottocommissioni ed i grandi esperti giusti (i suoi) e tutto si risolve.

A lasciar fare a mercato e concorrenza, quello non viene in mente a nessuno. I baroni italiani sono molto più intelligenti e scaltri della media: si vede dalla qualità della loro ricerca, invidiata nel mondo.

 

 

Quando un italiano usa il termine "l'universita" egli si riferisce al sistema universitario italiano nel suo insieme, considerando implicitamente che le regole, procedure, sistemi debbano essere gli stessi per tutte le sedi universitarie. In Amerika il termine indica invece una precisa istituzione (Stanford, WUSTL, Podunk U.) di cui si sta discutendo, il che sottointende che quanto si applica ad una di esse potrebbe non applicarsi ad un'altra.

E' il concetto di base che e' diverso; secondo me questo rende quasi impossibile introdurre la concorrenza nell'universita italiana, che pure sarebbe la soluzione del problema. La concorrenza e un "brusio dall'Amerika" che non ha senso per chi considera che le universita sono come sportelli Bancomat, tutti equivalenti tra loro per cui conviene andare a quello geograficamente piu vicino.

 

Ancora un'osservazione (che speriamo produca, come le precedenti, una valanga di commenti). L'ufficio legislativo del MIUR si e' rivelato totalmente incapace, con questo e con altri provvedimenti strampalati. Forse e' stato spinto dal personaggio (ben interpetato in un noto film da Alberto Sordi) che voleva fare l'americano, ma certamente ha sbagliato anche nella scelta della procedura e li' l'americano non c'entrava. Non e' la prima volta. Risultano inapplicabili i decreti legislativi emanati dalla Moratti sulla formazione e reclutamento dei professori della scuola secondaria (che l'ultima finanziaria ha abrogato, ripristinando il caos) e il decreto legislativo sui concorsi per professori di prima e seconda fascia, la cui efficacia e' stata sospesa dal decreto milleproroghe. E' un problema generale. I funzionari della camera e del senato, che sono superpagati, e probabilmente anche ben preparati in scienze giuridiche, e forse anche intelligenti, hanno da tempo deliberatamente rinunciato al loro ruolo di consigliare i legislatori nella stesura delle norme di legge, affinche' queste risultino sufficientemente chiare e coerenti. A questo punto potrebbero essere tutti licenziati, senza alcun danno per il funzionamento del parlamento. Basterebbe mantenere in servizio (pagandoli anche bene) i commessi che, invece, sono indispensabili per separare i parlamentari quando si azzuffano. 

Voglio aggiungere una descrizione di come avviene negli SU il reclutamento ordinario piu' importante nella maggior parte delle universita', nei dipartimenti dei quali ho esperienza diretta. Parlo dell'assunzione su un posto che puo' diventare permanente ("tenure track") di un giovane che ha un'esperienza di alcuni anni di postdoc. Nonostante le apparenze, il sistema funziona, principalmente per la fortissima tradizione che scoraggia lo "inbreeding". Il posto viene pubblicizzato sulle Notices of the AMS. Vengono quindi presentate fino a cento domande (complessivamente inviate fino a cento universita' diverse) contenenti curriculum, e, a seconda dei casi, lettere di presentazione (sigillate) o nomi di persone disposte a scriverle. Le domande vengono accumulate su alcuni tavoli. A questo punto partono alcune telefonate a membri della faculty, che raccomandano alcuni candidati. A seguito di queste telefonate alcuni docenti sfilano dalle pile le domande di alcuni candidati (certamente, in tutto, non piu' di cinque o sei per ogni posto). Viene cosi' costituita una "short list" (quella che voleva creare per regolamento anche il nostro "americano"). Sulla "short list" si discute e ci si accapiglia fino a raggiungere una decisione. Qualche volta ci si accorge a posteriori che per un candidato desiderabile non era giunta alcuna telefonata e si cerca di reinserirlo in gioco. Ma si tratta di un evento raro. Il sistema funziona, perche' le universita' sono tante, e sono diventate tante le universita' dove un buon matematico puo' ben sopravvivere scientificamente. Certo funzionava meglio ai miei tempi, quando la lista delle domande era automaticamente una "short list" e quando alla fine di un periodo di "postdoc" di prestigio si veniva interpellati direttamente da ottime universita'. Credo che ora il reclutamento attivo tra i postdoc sia estremamente raro.

La differenza sostanziale che vedo rispetto all'Italia e' che mentre in tutti e due i paesi un "maestro" ha un forte interesse a promuovere i suoi allievi, o la sua scuola, o il suo pensiero, negli SU e' costretto a competere con altri "maestri" che cercano di convincere un giudice terzo che deve decidere chi assumere. Il Italia, invece, il "maestro" dispone, prima o poi, di un "posto" e deve solo decidere a chi darlo tra i suoi allievi. La scelta piu' conveniente e' quella di rispettare l'ordine della fila d'attesa. C'e' naturalmente un altro impalpabile elemento. Negli SU il proprio prestigio e' associato al prestigio dei propri colleghi di dipartimento. (Il mio dipartimento ha tanti professori bravi quindi io sono bravo) In Italia no. Al punto che un professore italiano normalmente dichiara, senza pudore, che i propri colleghi sono tutti somari. In questo momento mi trovo in un dipartimento che per la prima volta nell'ultimo congresso internazionale ha visto un proprio membro (trentunenne) ricevere la medaglia Fields, il premio piu' importante che possa ricevere un matematico, conferito ogni 4 anni a non piu' di quattro persone. Tutti ne parlano con grande orgoglio. Nel mio dipartimento in Italia non se ne parlerebbe affatto o se ne parlerebbe solo per dire che il premio e' immeritato. Ma continuo a credere che il problema principale sia quello delle file d'attesa e della cooptazione individuale.

 

 

Le domande vengono accumulate su alcuni tavoli. A questo punto partono alcune telefonate a membri della faculty, che raccomandano alcuni candidati. A seguito di queste telefonate alcuni docenti sfilano dalle pile le domande di alcuni candidati (certamente, in tutto, non piu' di cinque o sei per ogni posto). Viene cosi' costituita una "short list" ...

 

...voglio sperare che qualcuno si prenda la briga di leggersi i cv rimasti nella pila, almeno distrattamente... altrimenti è una farsa, nonostante il carattere di "guerra fra titani" che descrivi poco sotto...  

 

1) Dal Corriere della Sera:  http://www.corriere.it/cronache/08_marzo_16/aquis_atenei_elite_0e0d80fe-f32a-11dc-a3d7-0003ba99c667.shtml

2) Una considerazione aggiuntiva sul caso degli USA: secondo voi, ha senso pensare che il sistema americano possa reggersi e funzionare bene anche perché è molto grande? Quando si fanno confronti fra sistemi didattici e di ricerca, e soprattutto quando si propone di "importare" modelli e strutture, si parla sempre di finanziamenti ed incentivi, raramente si considerano le differenze come numero di ricercatori, numero di istituzioni, ecc... sono convinto che la questione degli incentivi sia quella più importante, che sia importante mantenere un'impostazione "micro", ma è possibile pensare che il parametro puramente dimensionale non conti nulla? Secondo me alcune cose in un ambiente asfittico come molte realtà italiane rischierebbero di fallire indipendentemente da questioni di mechanism design, per brutali questioni numeriche. Dopo tutto, è la presenza di seconde linee che dà dinamismo al sistema!

 

In UK, dove il sistema ha dimensioni simili a quelle dell'Italia, il meccanismo e' simile a quello descritto da Michele e da Giorgio per US, e nel complesso funziona (anche se ci sono anche qui i dirigenti dei ministeri che vogliono dirigere e dettare regole). Quindi direi, se esiste una soglia al di sotto della quale meccanismi competitivi non possono funzionare, l'Italia e' al di sopra di questa soglia. Con le teste giuste si potrebbe farlo funzionare un sistema universitario in Italia (ad esempio, facendo su scala nazionale quello che Michele racconta e' stato fatto a WUStL).

 

 

Certamente il sistema accademico degli SU (da diversi anni esteso al Canada) è molto piu' grande di quello italiano e questo fatto svolge un ruolo importante. Ma da noi non dovrebbe esistere l'Europa? Ed in effetti almeno in matematica e fisica la Francia svolge un ruolo determinante nel reclutamento dei giovani (italiani). Basterebbe un minimo di reciprocità per dar kuogo ad un sistema sufficientemente gande e articolato (anche se non quanto quello degli SU).

 

Premesso che non sono affatto entusiasta della situazione italiana, della cooptazione ecc., e che non ho soluzioni positive da proporre, mi permetto alcune osservazioni sull'applicabilità del "modello US".

1) Ottima idea la concorrenzialità e il mercato, ed è palese che negli USA funziona. Infatti, buone facoltà assumono dei buoni matematici. Però c'è da dire che è praticamente impossibile fingere di essere un buon matematico, è impossibile imbrogliare: i calcoli non mentono, per così dire. Ma come si fa per le altre facoltà? In alcune campi della scienza si può fingere eccome!

Naturalmente, la soluzione che un matematico (fisico, economista ecc) proporrebbe è: aboliamo la facoltà di lettere (e simili). Ma visto che per ora esistono ancora le facoltà di lettere, filosofia, arte, ecc., chiediamoci come funzionano anche negli USA. La risposta è che in moltissimi casi non sono né eccellenti, né all'avanguardia (quand'anche si considerino tali). Basti dire che in certi campi dei saperi "molli" l'Italia è nell'eccellenza mondiale, anche se non se ne parla sui giornali (ma la Germania, ad esempio, è piena di italiani che eccellono proprio in questi campi, non so se anche in altri). Chiediamoci che effetto produrrebbe il mercato e la concorrenzialità in questo campo. La risposta è: disastro, perdita di un'eredità culturale unica al mondo. Si finirà come in Inghilterra, dove, al grido di "mercato, mercato!", è stata abolita la cattedra di Filologia germanica a Oxford, dove insegnò Tolkien, che contribuì enormemente alla formazione dell'identità nazionale di questo popolo, ma evidentemente non va più di moda, e non è redditizia.

Il motivo è che il mercato, soprattutto se lo intendiamo come masse di neodiplomati che devono scegliere il college, è sostanzialmente stupido: il mercato sa, più o meno, che la fisica e la matematica in qualche modo servono ber il nostro life style, ma non capisce nulla di tutto il resto, e si affida a mode e pensieri unici. Il mercato non sa selezionare i filosofi, i filologi, gli storici ecc (sempre concesso che servano).

Esempio 1 (da prendere come emblematico di una situazione, non come rivendicazione personale): un mio collega superpreparato in un certo campo delle scienze filologiche, con pubblicazioni internazionali ecc., naturalmente nessuna carriera in Italia, viene scartato da una prestigiosa università mi sembra della Florida, e gli viene preferita una giovane candidata solo perché questa, pur con un cv miserabile, si occupa delle questioni di gender, cosa che fa molto politically correct, e quindi va bene al mercato. (il mio amico ora sta a Oxford)

Esempio 2: un certo livello di concorrenzialità esiste anche in Italia, ed è quello tra le diverse facoltà. I neodiplomati devono scegliere quali studi intraprendere, e cosa scelgono in massa? Scienze della comunicazione, naturalmente! Dove non imparano niente, e poi non trovano nessun lavoro, ma in compenso sono disposti a sudare in classi di 1000 (mille, alla "Sapienza" di Roma) persone perché... va di moda.

 

2) In generale, i modelli anglosassoni sono fatti, sospetto, per gli anglosassoni (o gente disposta ad adeguarsi a questa mentalità). Io non ce li vedo i nostri baroni a fare a gara di chi ha più etica calvinista nel lavoro. Semplicemente, a loro non interessa competere, e non gli frega niente di essere idioti con il posto a vita: lo sanno, e non se ne crucciano. Con questa generazione di docenti, quindi, il mercato non è applicabile, semplicemente rimarrebbe tutto come prima. Anche perché tutti sanno che nessuno studente italiano sceglie tra andare alla UCLA o ad Arcavacata (recentemente autoproclamatasi "centro di eccellenza"!!!), quindi è un mercato distorto. 

Non sono tanto sicuro che i migliori studiosi di materie umanistiche stiano in Italia, per esempio (ed invito qualcuno a confermare e/o smentire) uno studioso di storia romana una volta mi disse che i migliori nel campo sono negli Stati Uniti. Giusto per fare un esempio di una disciplina nella quale avremmo un vantaggio comparato non indifferente.

È chiaro che i criteri di assunzione e promozione sono in generale diversi da quelli che ha indicato Michele, che valgono solo per la nostra disciplina, l'economia; ogni disciplina ha usi e costumi diversi, ma il punto è proprio questo: non si può imporre dall'alto di una scrivania ministeriale una regola che valga per tutti. Il principio della concorrenza impone non solo che si competa fra università, ma anche fra discipline. Se una disciplina finisce per adottare criteri che non ne avanzano l'eccellenza della ricerca, finirà nel dimenticatoio, cosa che succederà all'università che ha scartato il tuo collega se davvero usa criteri di assunzione che ignorano l'eccellenza.

 

 

 

Condivido le valutazioni di Michele. L'anonimato (di referees esterni) si può al limite usare per la promozione di "interni", ma non certo per il reclutamento di nuovi ricercatori. La mia impressione però è che dietro la (farraginosa) nuova procedura proposta dal MIUR ci sia il mito dell'Impact Factor, ovvero quello dell'ancor più mitica valutazione oggettiva (?) della ricerca scientifica. Ecco perché l'anonimato dei referees non sembra così rilevante ai fautori della proposta: il mio punteggio IF è infatti più o meno lo stesso a prescindere da chi sia il revisore, anonimo o no, "amico" o "nemico"!

[Sul punto dell'IF varrebbe forse la pena aprire una discussione (e qui ci sarebbero dei veri esperti: vero sandroft? ;-), ma ovviamente ci porterebbe fuori tema rispetto alla questione dei concorsi.]

La mia bottom line è che il disgusto per le procedure aumma aumma tipiche delle università italiane ha portato Modica e c. all'eccesso opposto, ovvero all'inseguimento di un'irraggiungibile & impossibile oggettività. Come se poi, come spiega bene Michele, il problema fosse la cooptazione in sé e non la funzione obiettivo di chi tale cooptazione realizza...    

 

Senza nulla togliere ai limiti di Mussi e Modica (quest'ultimo peraltro, rispetto agli standard italiani, mi ha fatto sempre una buona impressione) bisogna comprendere che riformare il reclutamento dell'Universita' italiana secondo criteri meritocratici anglosassoni e' un'impresa persa in partenza se non si riformano prima pezzi di Costituzione ed un certo imprinting culturale e sociale italiano.

Secondo i paraocchi culturali e sociali italiani, l'universita' deve essere statale. Una quota la piu' modesta possibile di universita' privata e' tollerata, ma deve per legge sottostare a minuziosi e invadenti regolamenti statali che si estendono ovviamente ai criteri di reclutamento. Inoltre, secondo la cultura standard catto-comunista (ma anche fascista ai suoi tempi e diciamo peronista oggi) il buon funzionamento di ogni cosa non puo' derivare dalla concorrenza di agenti privati sottoposti a regole e leggi eque e non distorcenti applicate dallo Stato, ma deve invece derivare da amministrazione statale secondo norme e regole burocratiche minuziose e pervadenti ancora statali, che rispondono a criteri ideali cristallizzati nella Costituzione (ad es. art 97: Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,

salvo i casi stabiliti dalla legge.).

Nell'assetto sociale, culturale e costituzionale italiano semplicemente e' impossibile inserire schemi di reclutamento anglosassoni, che si basano sulla concorrenza di agenti privati, direttamente responsabili delle loro scelte, valutati in un contesto sociale accettabilmente equo e trasparente, ed efficacemente premiati o puniti di conseguenza.

Secondo il mio modesto parere, l'Italia avrebbe molto da guadagnare dall'importazione di diverse pratiche anglosassoni, ma e' purtroppo indispensabile che chiunque voglia riformare l'Italia in quella direzione si renda conto che non si tratta di emanare decreti e regolamenti, si tratta piuttosto di fare modifiche sostanziali ad alcuni principi primi dell'intera societa' italiana. Questo era un compito francamente impossibile per un ministro comunista espressione di una maggioranza catto-comunista, ma non ci si puo' aspettare granche' nemmeno dai peronisti dell'altra sponda, che tanto per fare un esempio avevano "riformato" il sistema dei concorsi locali per il reclutamento non tanto accentuando responsabilita' locali e conseguenze delle scelte fatte, ma abolendo i concorsi locali per sostituirli col classico concorso nazionale dove poi nessuno sara' personalmente responsabile delle scelte fatte.

E anche quando si fossero riformati certi principi primi, sarebbe solo meta' dell'opera, perche' occorre anche comprendere bene e prendere opportune contromisure all'altra meta' del problema, cioe' la sistematica distanza e stravolgimento della pratica in Italia rispetto alle leggi e ai principi ideali e costituzionali, stravolgimento che e' quasi totale come efficacemente documentato per esempio dai lavori di Roberto Perotti che stimano una correlazione statistica nulla tra merito scientifico del candidato come valutato dagli indicatori usati nel contesto internazionale ed esito dei concorsi universitari per ordinario in Economia.

 

 

Alberto, tieni presente che i vincitori dei concorsi in Italia non

sono scelti dal ministero ma da una commissione di accademici. Questo

per dire che il problema qui non e' lo statalismo, ma l'etica dei

selezionatori.

Esistono anche da noi concorsi veri in cui la

commissione sceglie il migliore, tra quelli che fanno domanda, secondo

standard comparabili a quelli internazionali. Il problema e' che non

c'e' massa critica, restano casi isolati, anche all'interno di una

stessa universita'. Questo perche' -- come e' gia' stato

esaurientemente argomentato in altri commenti -- non esistono

meccanismi che incentivino i comportamenti virtuosi e scoraggino gli

abusi. La virtu' non e' un equilibrio nel sistema di reclutamento

accademico in Italia. Esistono deviazioni, ma sono appunto "noise".

Ironicamente, la speranza e' che le risorse diventino

talmente scarse che alla fine i virtuosi, che per definizione generano

altri virtuosi, facciano lobby. Ecco qui un esempio recente.

 

 

http://www.corriere.it/cronache/08_aprile_03/ateneo_bari_arresti_740efa54-014e-11dd-b7e1-00144f486ba6.shtml

 

Pregasi notare anche l'omertà giornalistica: i nomi delle persone accusate del reato non vengono riportarti! Fosse stata la signora Pina che aveva rubato le mutande di pizzo ai grandi magazzini, ci raccontavano anche dove abita.

Chi sarà, dunque, il "docente di matematica"? Fuori i nomi!

 

E' vero, in questi casi (prof, medici, avvocati, ecc.) i nomi non figurano mai. Immagino comunque si tratti della conclusione di questa vecchia inchiesta:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/Economia,%20la%20banda%20degli%20esami/1319087

 E comunque finché ci sarà bisogno del "sigillo regio" per sancire l' "acquisto" di un qualcosa prodotto in condizioni di monopolio legale (leggi: valore legale del titolo di studio), l'incentivo a corrompere l' "autorità preposta" ci sarà sempre.

 

 

Come avevo previsto non risultano lavori scientifici di matematica pubblicati da Pasquale Barile o da Massimo Del Vecchio. La banca dati della American Mathematical Society è molto accurata ed aggiornata almeno al 2007. Inoltre né il Barile né il Del Vecchio risultano attualmente nei ruoli delle università italiane, stando alla banca dati (anch'essa molto accurata) del CINECA. I giornali dicono che il Barile si è dimesso, ma il Del Vecchio? La qualifica di "assistente" con cui Del Vecchio viene indicato dai giornali non esiste più come qualifica ufficiale nelle università italiane dal 1980. Come qualifica non ufficiale può essere applicata a chiunque. E' possibile che fosse solo un portaborse del Barile compensato con i proventi dell'attività illecita. Peccato che non ci sia alcuna connessione con il famoso caso di plagio di cui parlerò un'altra volta.

 

Qui

altri dettagli tragicomici della vicenda… altro che pubblicazioni scientifiche! Strano che il Corriere.it non abbia

ancora fatto un bel titolo a sfondo sessuale.

 

Nemmeno una ricerca sulla banca dati dei docenti universitari di ruolo relativa ad anni precedenti (fino al 2001) ha dato esito positivo per gli indagati Pasquale Barile e Massimo Del Vecchio (l'unico massimo del vecchio che risulta è un professore ordinario di architettura a roma). A questo punto  ci si deve chiedere se le qualifiche generiche (titolare di cattedra e assistente) indicate dai giornali corrispondano alla realtà, o frutto di millantato credito. Per chi vuole documentarsi la banca dati del CINECA è accessibile con

http://cercauniversita.cineca.it/php5/docenti/cerca.php  

 

Io da tempo sostengo che l' universita' italiana ha bisogno di un sistema di ranking, se non ufficiale, almeno ufficioso. Dalla mia esperienza (poca) ci sono dipartimenti che lavorano bene (o almeno ci provano) e altri che sono allo sbando. Eppure una laurea (o un posto di lavoro) nei due posti pesano alla stessa maniera.

Ma so' che e' un utopia in un sistema come il nostro e che non basterebbe a risolvere tutti i miliardi di problemi che affliggono l'universita' italiana, ma credo che sarebbe un bel passo avanti, non impossibile da implementare.

 

Quello della rivista  "Campus" non va bene?