Discutiamo, anzitutto, quelle che ci appaiono più sostanziali fra le questioni sollevate dai lettori che non hanno trovato risposta nei commenti.
Ma è davvero completamente vuota la riforma Obama? Non state esagerando?
Se esageriamo o meno non sta a noi deciderlo. Noi abbiamo riportarto ciò che la riforma contiene. Di tutti quei provvedimenti l'unico sostanziale è, probabilmente, quello che impedisce di negare assicurazione a individui con "condizioni pre-esistenti". [Nota per i fans di Obama: il sito appena linkato, che è finanziato pubblicamente, ci ricorda tanto Brunetta che si fa pubblicità sulle pagine del Ministero o BS che fa lo stesso su quelle della Presidenza del Consiglio. Insomma, neanche BS ha tutti i torti: lui le affinità le aveva notate, per quello gli stava simpatico il guaglione. Il sito in questione, di una obiettività commovente, spiega tutto ciò che è buono nella riforma, ed anche qualche favoletta in più.]
Torniamo al punto: se c'è qualcosa di utile nella riforma è quanto appena menzionato. In cambio di sostanziali sussidi alle compagnie d'assicurazione (inclusa la loro esenzione dalla legislazione anti-trust) a partire dal 2014 queste non potranno più rifiutarsi di assicurare una persona solo perché già ammalata di questo e di quello. Poiché questo fenomeno colpiva, soprattutto, le persone che cambiavano lavoro o che rimanevano disoccupate per periodi molto lunghi (troppo lunghi per le estensioni automatiche d'assicurazione, vedere qui) tale riforma faciliterà di certo la mobilità del lavoro. Questo è positivo, ma occorrerebbe calcolare il "price tag" e confrontarlo al guadagno sociale, cosa che sino ad ora nessuno ha fatto perché è piuttosto complicato. Non lo faremo di certo noi. Ovviamente, avendo deciso di qualificare la riforma in questione come "vuota" nell'articolo precedente, ne consegue che la nostra valutazione "back of the envelope" è che la rilevanza sociale positiva di questa misura sia piuttosto piccola e non giustifichi il can can. Fondamentalmente perché la sospensione per il "pre-esistente" non superava mai i 24 mesi e nella maggioranza dei casi si limitava a 12. Che non sono pochi ma non sono l'eternità.
Ad ogni buon conto, questa è una valutazione soggettiva. Svariati colleghi americani con simpatie obamiane ci hanno spergiurato, nelle ultime settimane, che QUESTO era da sempre ed anzitutto l'obiettivo di Obama e della riforma. Non ridurre i costi, non universalizzare il servizio, non rallentare e possibilmente far scendere la spesa pubblica tendenziale nel settore. Assolutamente no: l'obiettivo di Barack e Nancy era da sempre, dichiaratamente, impedire la discriminazione sulla base di condizioni pre-esistenti. Poiché l'han fatto han vinto, poiché han vinto non importa quanto ci costi il tutto in tasse, sussidi indiretti e prezzi da monopolio: tutto va bene madama la marchesa. Come potete apprezzare, cognitive bias non è un fenomeno ristretto solo a Bersani ed a suoi seguaci più stretti.
I costi maggiori non sono forse dovuti alla litigiosità del sistema USA, che forza i medici a costose assicurazioni contro il rischio di malpractice, e così via?
Molti sembrano certi che lì sia la chiave, noi lo dubitiamo. Non solo perché i casi di pagamenti punitivi che violano il senso comune sono, al di là della sensazionalità, abbastanza rari ma anche perché i redditi dei medici, degli infermieri e tutto il resto sono molto alti al netto dei costi di assicurazione, non solo al lordo. Ma, soprattutto, perché nessuno semra fornire numeri convincenti (per i curiosi, qui un'introduzione al tema). Non v'è dubbio alcuno che il rischio d'essere portati in tribunale e puniti severamente riduca i casi di malpractice, quindi bisognerebbe cominciare prima di tutto da una quantificazione dei benefici di una tale politica: quanti pazienti italiani sono vittime di cattiva pratica medica, rispetto a quelli USA? Quanti ricevono compensi adeguati (i numeri che Sabino riporta suggeriscono che ben pochi vengano adeguamente compensati) e quanti invece sono vittimizzati? Per quanto riguarda i costi, poi, sono veramente difficili da stimare. Quelli diretti arrivano a circa lo 0,50% del costo totale del servizio sanitario: un'inezia. Poiché includono i premi assicurativi pagati da medici ed ospedali, garantiscono che i costi assicurativi non possono spiegare gli alti prezzi dei servizi e gli altissimi redditi degli addetti ai lavori. Ovviamente è possibile che questo effetto sia indiretto: la paura d'essere portati in tribunale, unita al fatto che i pazienti sono in media assicurati a pié di lista, spinge il medico medio ad abusare il sistema, coprendo il paziente di milioni d'esami e visite perfettamente inutili. Questo fa lievitare la domanda talmente tanto da spiegare i prezzi/redditi enormi con cui ci confrontiamo. Teoricamente è una possibilità, ma teoricamente è anche un'impossibilità (se fosse lì la chiave del problema, le imprese, che i costi assicurativi pagano, avrebbero fortissimi incentivi per comprare assicurazioni che bloccassero tale meccanismo perverso). Si tratta di esercizi teorici in entrambi i casi, quindi lasciamo l'onere della prova a chi suggerisce che la soluzione del problema sia così semplice e passi tutta per il sistema giudiziario ...
L'impatto dell'esenzione fiscale sull'assicurazione sanitaria offerta dal datore di lavoro.
Anche questo tema è stato sollevato da svariati commenti, primo di tutti quello di Alberto. Ora, non vi è dubbio alcuno che, almeno in via di principio, tale esenzione crei una distorsione e faccia quindi aumentare la domanda di assicurazione sanitaria oltre i limiti che questa raggiungerebbe se i servizi sanitari venissero tassati come tutto il resto. Non vi è dubbio che questo avvantaggi le persone con alti salari (hence la proposta di Gary Becker che Alberto cita avrebbe migliorato il sistema esistente ed avrebbe evitato il nuovo sussidio aggiuntivo a imprese con meno di 50 dipendenti, già menzionato nell'articolo anteriore). Non v'è dubbio alcuno, infine, che questo "pilastro" del sistema americano, che molti considerano il peccato capitale del medesimo, non venga toccato dalla riforma Obama. Non ci costa molto - :-) -concedere questo punto, visto che è comunque un altro indice del quasi niente che questa riforma riesce a raggiungere: nonostante 3/4 degli economisti sanitari avessero insistito per anni che l'esenzione fiscale era dannosa, Obama l'ha lasciata. Dobbiamo però riconoscere che, anche in questo caso, abbiamo una perplessità di principio sul fatto che sia questa la migliore spiegazione dei costi spropositati del sisstema USA.
Di nuovo, se ci si pensa, questo argomento è analogo a quello dell'assicurazione contro la medical malpractice: fa salire la domanda. In entrambe queste teorie la struttura dell'offerta dei servizi sanitari non conta molto, conta il fatto che, a causa di distorsioni legali, si crea un eccesso di domanda e questo eccesso di domanda fa salire i prezzi. In questo caso salirebbero i prezzi delle assicurazioni sanitarie, che ovviamente porta a chiedersi: perché non ne entrano altre? Perché le assicurazioni sanitarie fanno profitti abnormi grazie a questo eccesso di domanda? Una volta trovata risposta a questo quesito, occorre chiedersi: perché le assicurazioni traferiscono una parte sostanziale del surplus così ottenuto a medici, ospedali e farmaceutiche? In fin dei conti è di assicurazione che c'è eccesso di domanda, non di servizi sanitari per se. Delle assicurazioni sanitarie che sapessero fare il proprio lavoro dovrebbero mantenere questo surplus nelle proprie mani, invece di disperderne la maggior parte a valle, come avviene.
In sostanza, mentre riteniamo che ridurre le distorsioni dal lato della domanda farebbe calare leggermente i costi ed abbastanza la spesa (poiché la riforma fa il contrario, aumenteranno leggermente i prezzi ed abbastanza la spesa ...) dubitiamo che il problema USA sia uno di "eccesso di domanda". Anche perché, se così fosse, gli americani dovrebbero essere sostanzialmente più sani degli europei (se davvero domandano il doppio allora consumano il doppio dei servizi sanitari e qualche maledetto effetto dovrà pur esserci, no?) ed invece non lo sono prorio, son più o meno alla pari (controllando per effetto fast&junk food).
Il dibattito su equità ed efficienza, se ci permettete, lo saltiamo (anche se Michele fa ammenda per averlo stupidamente causato ... comunque ha ragione Palma a cui deleghiamo l'articolazione completa, e senza dubbio alcuno trasparente, del punto di dottrina e di storia della medesima.)
Andiamo avanti. Abbiamo cercato di esseri chiari su un punto: riformare il sistema sanitario è necessario. Un fascia non trascurabile della popolazione non ha accesso a prestazioni sanitarie minime, e cioé è dovuto ai costi elevati della sanità, non alla scasità delle risorse pubbliche messe in campo. La riforma Obama non risolve le inefficienze del sistema e non abbassa i costi della sanità, cioé non fa ciò di cui c'è davvero bisogno.
Qualcuno dice: nel bene o nel male la riforma riesce a coprire qualche decina di milioni di americani in più, senza proprio distruggere il bilancio statale, non vale un premio solo per questo? Noi crediamo che un premio, la riforma, proprio non se lo meriti, e per chiarire il punto smontiamo altri tre "miti" (che si sommano a quelli smontati nel post precedente).
Mito 1.La riforma merita un premio perché ridurrà il numero di bancarotte causate dall'assenza di copertura assicurative. In due studi successivi (nel 2001 e nel 2007) alcuni autori hanno calcolato che nel 62% dei casi di bancarotta c'è alla base un motivo sanitario. Attenzione: questo non vuole dire che il 62% delle bancarotte (dette "bancarotte mediche") sia causato dalla mancanza di assicurazione sanitaria. Per esempio, ben due terzi di queste "bancarotte mediche" (il 40-42% del totale delle bancarotte) sono associate con la perdita di lavoro dovuta a malattia, cosa che nulla ha a che fare con la presenza/assenza di copertura sanitaria. Il fatto che la mancanza di assicurazione sanitaria c'entri poco con le bancarotte mediche è evidente quando consideriamo che nel 75% dei casi gli individui avevano un'assicurazione sanitaria al momento della dichiarazione di "bancarotta medica". E del 25% di non assicurati, solo il 2% non era assicurato a causa di "condizioni pre-esistenti". Insomma, delle 62 bancarotte su 100 dovute a "cause sanitarie" sono 20 circa quelle che hanno una qualche potenziale relazione con l'assenza, scarsità o mediocrità dell'assicurazione sanitaria disponbille. Se prendiamo in considerazione la percentuale di chi l'assicurazione ce l'aveva, arriviamo a numeri ancor più piccoli (considerare attentamente la tabella 2 dello studio del 2007). Ma andiamo avanti. Apprendiamo che non sono primariamente i più poveri ad essere le vittime delle bancarotte mediche: il reddito familiare medio al momento della bancarotta (cioé considerando anche chi aveva già perso il reddito da lavoro) era di 31 mila dollari annui (27 mila dollari il reddito mediano). Infatti, al di sotto di tale cifra è abbastanza improbabile che la "bancarotta medica" sia dovuta all'assenza di assicurazione perché sotto quella cifra si viene assicurati, da decenni, da MedicAid, che funziona più o meno come la sanità pubblica italiana. Notiamo inoltre che gli studi in questione chiariscono che, al momento della bancarotta, la quantità di debito legata a trattamenti medici è lontana dall'essere il fattore determinante. Tutto questo NON implica che l'assenza di assicurazione sanitaria non abbia causato per molti dei danni economici sostanziali - anche se sarebbe qui necessario spiegare come funziona(va) la bancarotta personale negli USA e come essa permetta, di fatto, di disfarsi di quasi tutti i propri debiti personali a costi relativamente molto modesti. Implica semplicemente che occorre evitare di fare propaganda citando studi e numeri a casaccio (62% fa un bell'effetto, non vi pare?) se si vuole discutere seriamente. Se, invece, si vuol solo fare dell'obamismo a buon mercato, allora va bene tutto, incluse le cazzate.
Il punto importante è che l'alto numero di bancarotte mediche è causato dal contemporanea presenza di due elementi: perdita di reddito da lavoro e alte spese mediche non coperte dall'assicurazione sanitaria. Su questi due aspetti la riforma Obama non agisce per nulla, fatto salvo appunto quel 2% citato poc'anzi. Non agisce perché non si occupa né di assicurazione contro la disoccupazione, né dei casi di "sotto-assicurazione" - cioé di quelle assicurazioni che non coprono tutte le malattie o tutti gli acquisti di medicinali. Gli stessi autori della ricerca in questione sostengono che, "in realtà, anche i migliori piani assicurativi disponibili attraverso l'Università di Harvard lasciano i professori a rischio di dover affrontare spese mediche non coperte per ammontari simili a quelli riportati nei casi di bancarotta medica". E concludono dicendo che "anche l'introduzione di una copertura universale potrebbe lasciare molti americani a rischio di bancarotta medica a meno che tale copertura non sia molto più ampia di molte delle politiche attualmente adottate". E rieccoci alla solita conclusione: estendere la copertura sanitaria non risolve il cuore del problema, che è e rimane l'alto costo della sanità da un lato e la impossibile chimera della "universalita'" dall'altro. Su questi due punti, che sono quelli fondo, torniamo dopo.
Mito 2. Obama merita un premio perché è riuscito nell'impresa di assicurare più americani senza far esplodere i costi per il bilancio pubblico. Il mito nasce quando Obama andava dicendo in tv che avrebbe analizzato "linea per linea" il bilancio per tagliare le spese inutili e con questi risparmi avrebbe ridotto il deficit e finanziato la riforma sanitaria (chi si vuole rinfrescare la memoria può guardare qui ai minuti 3.24 e 35.30). Abbiamo già detto nel post precedente come la riforma probabilmente aumenterà il deficit, perché le stime del CBO sono "truccate". Ma anche chiudendo tutti e due gli occhi e prendendo come base i dati CBO, questi tagli "linea per linea" che auto-finanziano la riforma proprio non li vediamo. Alla Tabella 2 troviamo le stime dei maggiori costi ("outlays") e dei maggiori ricavi ("revenues") previsti dalla riforma. Togliendo la parte "Education", i maggiori costi sono pari a 404 miliardi di dollari in 10 anni (appunto, alla faccia dell'auto-finanziarsi!). I maggiori ricavi sono invece pari a 525 miliardi di dollari, e di questi 418 vengono da maggior tasse sui lavoratori e sui datori di lavoro, e 107 (il 20%) viene da tasse su compagnie assicurative e farmaceutiche (le quali come abbiamo notato hanno già provveduto ad alzare il costo dei farmaci, e quindi il costo del sistema). In conclusione, anche nelle migliori e più irrealistiche ipotesi (i tagli a Medicare Advantage e FFS sono tutto tranne che certi...), la riforma Obama costa 404 miliardi di dollari in 10 anni, coperti da maggiori tasse. Più sanità costosa tramite più tasse: ci voleva un grande Presidente per inventarsi una ricetta così innovativa nella gestione delle finanze pubbliche!
Poiché si sta avvicinando il 15 di Aprile (la tradizionale data per presentare la dichiarazione dei redditi) vale la pena ricordare, a chi sempre se lo scorda, che negli USA la metà meno abbiente della popolazione non paga ALCUNA IMPOSTA sul reddito. Avete letto bene: non c'è scritto che la metà meno abbiente paga poche imposte ma che non ne paga ALCUNA! Anzi, dovrebbe essere scritto che il 40% meno abbiente riceve dei trasferimenti netti, grandi o piccoli che siano, all'atto del pagamento delle imposte. Per farvi un esempio, l'allegro Brighella aveva, all'epoca non lontana della graduate school, un reddito netto di 15 mila dollari l'anno, al di sotto della soglia della povertà (pur non avendo mogli o figli a carico e con l'assicurazione pagata dall'università). Per questo motivo, non solo riceveva i rimborsi delle tasse, ma anche un sussidio al pagamento dell'affitto (in totale circa 3 mila dollari). Era proprio "povero" il nostro Brighella, con un reddito da single pari a circa 1100 euro al mese. Il figlio di Michele, invece, ha cominciato a pagare le sue tasse nello stato della CA e nella città di LA (posti ad altissima tassazione) sin dal 2008. Bene, sino ad ora la sua imposta media TOTALE è del ... 3%. Vi possiamo garantire che non vive in povertà, né assoluta né relativa. Questo, ovviamente, sempre per i soloni che ci vengono a spiegare quanto umano, egualitario, giusto e buono sia il sistema europeo-italico e quanto barbaramente la povera gente venga trattata dal sistema pubblico qui negli USA. Insomma, se volete capire i tea parties non mettete solo quella poveretta della Palin nel conto, metteteci anche il fatto che negli USA 10% delle famiglie con i redditi più alti paga già ora il 75% del totale delle tasse e che, forse, rischia di scocciarsi e cominciare a fare come in Italia ... Andiamo avanti, comunque.
Mito 3. Universalità. Svariati commentatori hanno cantato, una volta ancora, il peana dei sistemi pubblici che trattano tutte le patologie ed offrono tutte le cure a tutti, mentre ai poveri ed invidiosi americani non rimane che, appunto, l'invidia per l'universalità (tendenziale, ovviamente, come il socialismo) del sistema pubblico italiano. Se questo mito non fosse così diffuso non meriterebbe un secondo d'attenzione. Lo sanno oramai anche i cavoli che NESSUN sistema tratta TUTTE le patologie con TUTTE le cure possibili per TUTTI! Anche perché l'asserzione precedente non vuol dire nulla: per malattie serie, quale sia o quale non sia la miglior cura è spesso discutibile. Quando non e'discutibile essa cambia nel tempo. E quando non è né discutibile né la miglior cura è cambiata durante l'ultimo anno, frequenti (molto frequenti) sono i casi in cui la "miglior cura" viene fornita solo dall'ospedale X e dalla clinica Y che, guarda caso, non si trovano né a Catanzaro né a Syracuse né a Lyons ma - più frequentemente che no - a Cleveland, St Louis, Baltimore o Houston. Tutto questo è stato dibattuto ed illustrato a iosa, come a iosa è stato dibattuto il fatto che in sistemi come quello USA l'accesso alle "migliori cure" è filtrato, tipicamente, da conoscenze, status, assicurazione sanitaria e ricchezza mentre in sistemi come quello italiano l'accesso alle "migliori cure" è filtrato, tipicamente, da conoscenze, residenza geografica, fortuna, ricchezza. Quale dei due sistemi di selezione sia "moralmente" superiore non sta a noi dire, né sapremmo farlo. A noi basta sottolineare che di due sistemi abbastanza "arbitrari" di razionamento di risorse scarse(issime) si tratta, punto e fine. Invitiamo i suonatori di peana ad astenersi in futuro: leggere certe sviolinate fa un po' tristezza, specialmente quando (come nel caso di entrambi gli autori) si è vissuta direttamente l'esperienza di parenti piuttosto stretti a cui il magnifico sistema sanitario nazionale negava cure possibili perché "non disponibili", con le ovvie e purtroppo nefaste conseguenze. Ma, stabilito che la supposta superiorità pratica e morale dell'opzione "universalità pubblica" è una mitica cretinata in cui si crogiolano (oltre ai politicanti) gli stolti o quelli che non hanno voglia di guardare in faccia il problema, andiamo avanti e tralasciamo le questioni personali, che questa dell'universalità (definita come: a tutti il servizio sanitario migliore possibile su tutte le malattie) è questione cruciale.
Questo problema è stato sollevato da molti, incluso Alessandro Figà Talamanca ed è fondamentalmente irrisolvibile. Paradossalmente, una volta incrociato con quello delle condizioni pre-esistenti e con la natura del progresso tecnologico in medicina (fondamentalmente "gene-driven", ossia intrinsecamente orientato a rivelarci sempre di più chi è predisposto ad una certa malattia e chi non lo è) è stato proprio il tema "universalità" a farci concludere che una forma minima di "stato sanitario" sia inevitabile. Il problema, un maledetto problemaccio, sarà come mantenerlo "minimo", cosa che non è mai riuscita in nessun campo. Ogni volta che si è detto: "facciamoci entrare lo stato, ma solo un po', solo il minimo necessario ..." il risultato è stato l'occupazione dell'intero settore da parte dello stato.
È abbastanza ben documentato che, da un punto di vista contabile, una parte sostanziale dei costi della sanità USA deriva proprio dalla sua (tentata) "universalità terapeutica", nel senso che ai quattro angoli degli USA si trovano ospedali dotati delle migliori e più avanzate tecnologie mediche disponibili (un lettore ha segnalato questo, dal New Yorker, ma l'evidenza sia statistica che anedottica è enorme. Vedasi di nuovo gli studi che trovate qui, tanto per cominciare), tecnologie che servono probabilmente a molto poco ma che permettono nondimeno ai loro offerenti d'estrarre lauti profitti. A nostro avviso, e qui andiamo nello speculativo (per i cattivi) o nella teoria economica (per i buoni), è qui che si crea il triangolo fatale da cui ci sembra impossibile uscire in modo pulito. Tale triangolo è definito dall'interazione fra: (1) la "domanda" universale di servizio che rende la "salute" la "commodity per eccellenza" (un giorno, il 99% del PIL sarà "sanita'"), (2) l'informazione incompleta che caratterizza sia domanda che offerta di servizio sanitario (da cui, selezione avversa nell'acquisto di assicurazione ed il rischio di ricevere "limoni" ogni volta che si acquistano prestazioni mediche), (3) le condizioni di monopolio privato in cui opera l'offerta.
Detto brutalmente (perché qui ci vorrebbe un articolo intero, di quelli con formule e diagrammi): se tutti vogliono tutto, allora si crea un mercato per venditori dell'elisir di lunga vita. Questo si elimina solo con free entry e informazione simmetrica, ma anche se si desse la prima è altamente improbabile che si dia la seconda. Poiché non tutti sono stupidi ed alcuni sanno che certe malattie a loro non verranno, costoro cercheranno assicurazioni/contratti che li proteggano sia dal finire nel pool con gli eccessivamente malati che con i gonzi. In un mercato dove fosse possibile free entry questi due (o più) gruppi finirebbero probabilmente per separarsi, facendo saltare il principio del pooling che regge il meccanismo assicurativo. Questa è storia vecchia, ma sempre più cogente (Joe Stiglitz, qualche volta, ha ancora ragione!) In un mercato, come quello USA, dove free entry è bloccata, questo porta alla situazione anomala attuale che mischia tutti e tre gli elementi in maniere a volte perverse (le assicurazioni che escludono quelli con condizioni pre-esistenti: selezione avversa alla rovescia ...). Il fatto è che, per quanto uno la giri, il cerchio è abbastanza inquadrabile. O si accetta il fatto che gli "sfigati" rimangono senza copertura assicurativa d'alcun tipo o si accetta una qualche forma di redistribuzione dai "fortunati" agli "sfigati". In questo secondo caso, al fine d'evitare il "chocolate para todos", occorre imporre che questa soluzione pubblica sia "minima", limitando quindi il principio assicurativo e riconoscendo (e qui ci vorrebbe un altro paper) che sempre di più l'aspetto dominante del settore sanitario è diventato quello della "commodity like all the other", invece del problema assicurativo classico. Ma questa parte la lasciamo all'intuizione del lettore ... Veniamo alla parte più controversa, lo stato sanitario minimo.
Una forma minima di stato sanitario, fornita attraverso un'assicurazione pubblica, dovrebbe garantire a tutti i residenti una copertura sanitaria minima dalla nascita (anzi "prima", cioe prima che si possa predirre con un minimo di confidenza che X sarà bassetto e soffrirà di colite ma non correrà rischi di cancro ai polmoni, un "prima" che cambia nel tempo dunque...) alla morte. Questa soluzione elimina il problema delle interruzioni di copertura sanitaria a causa della perdita di lavoro o di condizioni pre-esistenti ed elimina i meccanismi di selezione avversa che, piaccia o non piaccia, piagheranno sempre (e sempre più drammaticamente PROPRIO a causa dei progressi scientifici nella capacità di prevedere l'emergere di malattie gravi) le assicurazioni sanitarie di tipo privato/volontario. Il razionamento sarebbe, volenti o nolenti, il modo per contenere i costi di tale assicurazione pubblica minimale (ossia, per proteggerla sia dal moral hazard che dall'adverse selection). L'assicurazione pubblica dovrebbe infatti coprire solo un insieme limitato di interventi: una leucemia, un frattura esposta, un'epatite ... Definire cosa rientra in questa copertura "minima" è complicato, cambia nel tempo e non può non essere affidato al buon senso da un lato ed allo scontro politico dall'altro. Si dovrebbe ovviamente utilizzare un criterio di buon senso per selezionare per quanto possibile solo quegli eventi e patologie il cui trattamento abbia un alto rapporto fra benefici e costi (assicurare contro una frattura esposta è ok, mentre utilizzare costosi trattamenti per prolungare la vita di un novantenne no, e neppure coprire visite specialistiche per una sinusite). Includere nella copertura minima solo le malattie "più gravi" dovebbe mettere al riparo contro i peggiori effetti di azzardo morale, che comunque saranno sempre presenti (la probabilità di avere un tumore è aumentata dalla scelta individuale di fumare, la probabilità di una frattura esposta è aumentata dalla scelta di fare sport pericolosi...). Il problema vero è che, per quanto "senso comune" ci si metta, il meccanismo politico d'acquisizione di voti attraverso il free riding genererà sempre domanda addizionale per questi servizi: le visite specialistiche per la sinusite diventeranno il minimo necessario e la protesi al seno, pure ... Scordiamoci public choice ed il fatto che lo stato minimo diventa sempre massimo, per il momento, e continuiamo a vaneggiare.
E per tutto il resto? Ci sono le assicurazioni private/volontarie. Questo vuol dire che , per motivi di preferenze o di reddito, persone diverse avranno gradi diversi di copertura assicurativa. Chi è più ricco o ipocondriaco sceglierà un'assicurazione che copra la visita medica per l'influenza, per una storta alla caviglia, per la frattura di un dito, o per i brufoli o altri problemi dermatologici non gravi. Un anziano ricco potrà anche permettersi assicurazioni che coprano i trattamenti più costosi per il Parkinson. Come abbiamo detto, ci sembra che la strada "universalista", che prevede "tutta la medicina per tutti", non sia sostenibile per motivi di costo, e probabilmente lo sarà ancora meno in futuro a causa del processo tecnologico che, sebbene da un lato riduca il costo di alcuni trattamenti, dall'altro ne moltiplica abbondantemente il numero. Il razionamento della sanità (o ben per meccanismi di prezzo o ben per meccanismi burocratici) non è solo una realtà di oggi, ma sarà probabilmente inevitabile anche nel futuro.
Infine, la domanda da svariati trillioni di dollari: piuttosto di niente, non è forse sempre meglio piuttosto?
Questa è la massima del "politico puro": piuttosto di ottenere nulla, faccio tutte le contorsioni possibili per ottenere un epsilon. Siccome Obama aveva detto che avrebbe fatto qualche riforma e siccome la pregiudiziale posizione repubblicana rendeva impossibile qualsiasi riforma vera, allora è stato necessario fare questo, che è meglio di niente perché afferma il punto simbolico secondo cui il sistema sanitario è riformabile, non è intoccabile.
Questo punto di vista ha la sua legittimità: sarà la storia ha dire se è corretto o meno. A noi accontenta osservare come NON sia vero, né in teoria né nell'esperienza storica, che piuttosto di niente è sempre meglio piuttosto.
Riformare qualcosa definisce aspettative, inquadra un problema, costruisce precedenti, insomma determina i termini della questione e fissa i parametri con cui la medesima verrà affrontata nel futuro. Così facendo potrebbe essere che crei i presupposti per una vera riforma fra qualche anno ma potrebbe anche essere che crei i presupposti per una degenerazione ulteriore. In parole "semplici": nei processi di riforma c'è "path dependence", per cui non è ovvio che "iniziare" sia sempre meglio dell'alternativa, che consiste nel non far nulla. Quando il destino del mondo dipende dalle condizioni iniziali è bene che tali condizioni vengano scelte accuratamente. Questo banale fatto sfugge (o viene allegramente ignorato) da coloro i quali (in realtà per fregola di potere) sostengono che occorre comunque "fare qualcosa", "adattarsi", "mediare", "fare politica", perché altrimenti non cambia nulla: molte volte è MEGLIO se non cambia nulla, almeno nel lungo periodo.
Senza venire agli abbondanti esempi italici, si prenda il caso di Medicare: una volta stabilito a suo tempo il principio che gli anziani avevano diritto al meglio, qualche hanno fa abbiamo avuto Medicare D (courtesy of GWBush, ma con benedizione bi-partisan). Dati i termini in cui Medicare D definisce la soluzione al problema "fornire medicine agli anziani", la legislazione Obama di cui stiamo parlando che ha fatto nel suo tentativo di ridurre i costi pubblici della sanità? Li ha aumentati chiudendo il famoso "hole" del "doughnut" ...
Così è, politicanti in erba e mediatori realisti d'ogni colore e banda: Obama ha provato che, a volte, niente è meglio di piuttosto ...
Salve. Trovo che ambedue gli articoli sulla riforma Obama sia molto lucidi e ne condivido la gran parte. Vorrei solo spezzare una lancia a favore dei medici USA.
Per diventare uno specialista da quelle parti devi spendere una barca di soldi. Quello che succede nella maggior parte dei casi è che ci si fanno dei mutui che prevedano il rimborso una volta che ci si sia laureati e/o specializzati. Non è difficile ritrovarsi con più di centomila dollari di debiti prima ancora di cominciare a lavorare. E' evidente che nessuno si imbarcherebbe mai in una impresa di questo tipo se non vedesse davanti a sé prospettive di guadagni lauti.
Questo aspetto dei costi per lo studio fa una grande differenza rispetto ad esempio all'Italia. Un italiano può diventare cardiologo o chirurgo senza farsi un euro di debiti, come accade nella maggior parte dei casi.
Sono d'accordo che il problema vero negli USA sono i costi elevatissimi e che su quelli si sarebbe dovuto lavorare, ma ritengo anche che per cercare di risolverli bisognerebbe mettere mano all'intero sistema, a partire dai costi delle università. La vedo veramente difficile.