Ora zitti che straparlo io!

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Tremonti ha invitato "gli economisti" a stare zitti per un anno o due. Ma non è questo che voglio commentare (basta il commento di Michele). E neppure il patetico "io l'avevo previsto nel 1995".

Ciò che merita un commento è quello che Tremonti dice dopo aver invitato gli altri a tacere:

Se ci fosse un avviso comune sulla compartecipazione all'utile delle imprese, per concretizzare lo stare insieme nella stessa azienda, più di prima uniti e insieme, lavoratori e imprenditori, credo che sarebbe uno dei modi per uscire dalla crisi

Questa idea, che Tremonti farcisce con le note di Tony Dallara, si chiama "profit sharing" ed ha una lunghissima tradizione in teoria economica. Lui non lo sa perché, afferma

io non sono un economista e a volte questo mi aiuta.

Non in questo caso. L'idea è molto semplice: si tratta di pagare i lavoratori un salario che ha una componente fissa e una variabile legata agli utili. Questo fa si che il salario si riduca automaticamente durante i tempi cattivi, col risultato che le imprese licenziano meno di quanto avrebbero fatto altrimenti. Martin Weitzman, tra gli altri, aveva illustrato questo punto in maniera molto chiara.

Ora, c'è un motivo fondamentale (il che non esclude che ce ne siano altri) per cui il lavoratore dipendente sceglie di fare il lavoratore dipendente e l'imprenditore sceglie di fare l'imprenditore: la diversa propensione ad assumere rischio. Gli utili possono anche essere negativi, nel qual caso si chiamano perdite: compartecipazione all'utile implica compartecipazione alle perdite. Tremonti forse pensa che ci possa essere compartecipazione agli utili senza compartecipazione alla perdite perché è così, non dimentichiamolo, che hanno sistemato la faccenda Alitalia: i primi agli amici, le seconde al popolo.

Questo rischio dovrebbe essere compensato, per cui in un regime di profit sharing le imprese dovrebbero, presumibilmente, pagare salari mediamente più elevati; in particolare, dovrebbero pagare salari parecchio più elevati di quanto facciano ora nei periodi buoni. Dubito che la cosa possa piacere agli imprenditori, a meno che l'imprenditore non sia appunto motivato dalla lirica di Tony Dallara. In alternativa, si devono rendere in qualche modo i lavoratori compartecipi della gestione oltre che dei risultati economici. Questa era la "terza via" suggerita da James Meade. Dubito che anche questo possa piacere agli imprenditori, e in fondo i lavoratori che vogliono assumersi rischio d'impresa possono farlo anche adesso.

Ma, in ultima analisi, in che senso questo sarebbe, usando le parole di Tremonti, un modo per uscire dalla crisi? Visto che lui non l'ha spiegato rompo il silenzio e azzardo una previsione: in nessun senso. La compartecipazione ha l'effetto di ridurre il costo del lavoro durante una recessione: se ho 10 dipedenti e le cose vanno così male che posso solo pagarne 5, non fa differenza (ai fini della sopravvivenza dell'impresa e del mantenimento del potere d'acquisto) se ne licenzio 5 o se li tengo tutti e dieci e li pago la metà. Non vi pare? Ma questi son ragionamenti da "economisti" e Tremonti, che non lo è, queste assurdità non le capisce ...

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Commenti

Ci sono 28 commenti

piuttosto da dove vengono i soldi per cassa integrazione e mobilità?

 

La compartecipazione ha l'effetto di ridurre il costo del lavoro durante una recessione: se ho 10 dipedenti e le cose vanno così male che posso solo pagarne 5, non fa differenza (ai fini della sopravvivenza dell'impresa e del mantenimento del potere d'acquisto) se ne licenzio 5 o se li tengo tutti e dieci e li pago la metà. Non vi pare?

 

Quindi la compartecipazione agli utili (ed alle perdite) in caso di crisi non cambia il fatto che ci sia una compressione delle vendite e dei consumi, che un settore come quell' dell'auto (indotto compreso) assista ad un crolllo pauroso delle vendite e quindi del fatturatto. Ci sarebbero meno disoccupati (quindi forse lo stato del welfare risparmierebbe sui sussidi di disoccupazionee) ma non cambierebbe nulla sul calo del PIL, sulla deflazione, sul fallimento delle banche e delle imprese.

Tra l'altro la condivisione del rischio (perdite comprese) dovrebbe essere un'opzione facoltativa, dato che non tutti i lavoratori potrebbero essere d'accordo. Se si trattasse solo di condividere gli utili non ci sarebbero problemi.
Se fosse adottata immagino che il maggiore reddito nei momenti buoni potrebbe indurre elevati consumi (e quindi generare inflazione) oppure anche indurre i piu' prudenti al risparmio (per i momenti meno buoni). Durante questi ultimi ci sarebbe quindi l'effetto opposto e quindi una diminuzione ancora piu' drastica dei consumi, salvo per chi ha messo da parte qualche cosa. Il risparmiatore pero' durante le crisi vede anche assotigliarsi il valore degli invenstimenti (assets) fatti e quindi è poco propenso a spendere con leggerezza quanto tenuto da parte. Userà i risparmi solo per le spese essenziali. Nessun effetto benenefico maggiore di quello che puo' essere dato da un normale sussidio di disooccupazione (come "normale" dico "europeo").

Una discussione potrebbe vertere sull'idea che eventualmente la compartecipazione agli utili potrebbe generare un sistema in cui ci sono meno crisi, come se invece di essere solo un modo diverso di ridistribuire i redditi fosse anche un sistema economico completamente differente, in grado di azzerare il concetto di rischio e di crisi. Non credo. L'essenza dell'impresa è l'investimento ed ogni investimento (chiunque lo decida) comporta rischi. Ogni rischio comporta perdite. Un raccolto puo' andare male, una nave puo' affondare, con il suo carico, frutto di un anno di lavoro. Puo' capitare che si fabbica una macchina (la Duna) che nessuno vuole. O che il valore degli investimenti fatti in precedenza crolli a causa dell'innovazione tecnologica improvvisa ed imprevedibile. O che il valore di qualsiasi cosa (come le abitazioni) cambi per ragioni di mercato. In pratica ritengo che anzi, con la compartecipazione agli utili avremmo una maggiore deviazione standard, com momenti di crescita ancora piu' forti seguiti da crolli ancora piu' rovinosi.

Francesco

Quando i padroni del vapore parlano di partecipazione agli utili intendono partecipazione alle perdite. Le piccole e piccolissime aziende si sà, sono gestite da poveracci che fanno la fame. Le grandi aziende sono costantemente in crisi. Quelle che invece tirano non cederanno mai il malloppo. Pare che comunque ci sia già, in alcuni casi, la possibilità di farlo.

Art. 2102 Partecipazione agli utili
Se (le norme corporative o) la convenzione non dispongono diversamente, la partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro(2554) e determinata in base agli utili netti dell'impresa, e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio (2423, 2435, 2464, 2491, 2516), in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato (2433 e seguenti).
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Cos'è l'utile netto per la legge italiana?

 

Dato che l'utile netto è calcolato sottraendo gli oneri finianziari dall' utile operativo è ben probabile che una azienda privata gestita razionalmente tenda ad azzerarlo, se c'è un utile operativo significativo è abbastanza logico utilizzarlo per pagare il leasing di nuovi macchinari piuttosto che farselo mangiare dal fisco.

Per questo dove il sindacato riesce ad ottenere premi di partecipazione sta ben attento a fare riferimanto al margine operativo lordo, il che è  più logico.

Dato che questi premi poi fanno parte delle aspettative di reddito dei lavoratori, se nei momenti di csrisi si azzerano rapresentano una effettiva diminuizione del reddito, mentre nei momenti buoni fanno abbastanza comodo.

 

 

Per questo dove il sindacato riesce ad ottenere premi di partecipazione sta ben attento a fare riferimanto al margine operativo lordo, il che è  più logico.

 

 

Anche ancorando i premi al MOL non si impedisce un elevato margine di manovra per l'imprenditore, ed esiste pure una questione di moral hazard.

Esempio sempliciotto: imprenditore costituisce due distinte società A e B con soci differenti, nella prima conferisce macchinari e altri assets patrimoniali, nella seconda stipula i contratti e assegna marchi, ditta e funzioni amministrative varie. La società A fornisce a B gli impianti ed i macchinari ad un canone di locazione più alto di quanto segnalato come valore "normale" dal mercato, giustificando tale canone in quanto somma di locazione pura più servizi accessori vari. In tal modo, non solo il MOL viene impropriamente ad essere calcolato al netto degli ammortamenti (incorporati nel valore del canone), ma parte del margine può essere sottratto al premio di partecipazione spettante ai lavoratori gonfiando opportunamente il prezzo corrisposto da B ad A per i servizi accessori.

Insomma, oltre alle giuste osservazioni di Giulio Zanella, esiste anche un'oggettiva difficoltà nel gestire e regolamentare accordi di compartecipazione del genere discusso.

 

ma esistono casi concreti in italia? io non ne ho mai sentito parlare. intendo di una parte variabile dello stipendio legata davvero agli utili, non a obiettivi concordati in precedenza.

Più ascolto Tremonti (o meglio, leggo) più mi vien voglia di cambiare paese. Analizzo l'ennesima Tremontata riportata da GZ dal mio punto di vista: quello del piccolo (minuscolo) imprenditore.

 

Se ci fosse un avviso comune sulla compartecipazione all'utile

 

E perchè ci dovrebbe essere un'opinione comune fra me e i miei lavoratori ? Io ci ho messo i soldi, risparmiati quando facevo il dipendente, io rischio la mia casa, che nessuno mi ha regalato, ma ho comprato pagandola senza dormire la notte, io ci metto le mie capacità al massimo e poi divido ?

Tremonti divideva i compensi del suo studio di consulenza tributaria ?

Siamo alle solite: fate come vi dico io, ma non fate quello che faccio io. Il sole d'Agosto doveva picchiare davvero forte in Valtellina..

mi farebbe piacere sapere quanti dei nostri imprenditori -- e parlo di imprenditori, non di dipendenti costretti a passare alla partita IVA dai loro datori di lavoro, nè di disoccupati potenziali che si inventano imprenditori -- hanno ereditato l'occupazione di imprenditore con la fabbrichetta paterna.

Uno dei modi più comuni per avere soldi è ereditarli, qui e altrove.

In quanto al rischio poi: i dati sull'evasione fiscale e sui capitali italiani accantonati all'estero, mi pare che giustifichino qualche dubbio sull'effettiva propensione dei nostri imprenditori al rischio. L'impressione è che vuoi la cassa integrazione prima, vuoi il gruzzoletto all'estero poi, le cose peggiorando, consentono ai nostri imprenditori un buon grado di serenità -- cosa di cui non godono i lavoratori..

 

Io non ho ereditato niente: mio padre era ingegnere edile, e non mi ha lasciato nessuna "fabbrichetta".

Confondi i piccoli imprenditori (la stragrande maggioranza) con i soliti noti (molto pochi, ma molto collusi con la casta). Io sono sereno perchè ho costruito un'azienda solida, non perchè ho il gruzzoletto all'estero. La tua mi sembra facile damagogia. Ora vado a continuare il mio lavoro, da solo, di sabato ad Agosto.

Io, al contrario di Marco, ho invece proseguito l'attività paterna (pur essendo, guarda un po', ingegnere edile .....): a tuo parere - peraltro non motivato, ma fa lo stesso - mi sono dunque macchiato del peccato originale di averla ereditata.

Tu non attribuisci alcuna importanza, naturalmente, all'intensità del mio impegno né alla qualità del mio operato: tutto è immutabile (superfisso, again?), la "fabbrichetta" è garanzia di "soldi" tout court ...... Solo per mera cronaca, ti vorrei far notare che l'azienda - piccola ed efficiente, tipica del nord-est - ne ha tratto giovamento in termini di solidità e prestigio sul mercato, quindi di prospettive (anche oggi, nel corso di una crisi che non ci tocca .....), ma anche per quanto riguarda i rapporti con i collaboratori, che posso orgogliosamente definire di grande fiducia nei miei confronti.

A te non importa che - come nel mio caso - moltissimi piccoli imprenditori privilegino l'azienda lasciando ed impiegando in essa risorse, anziché prelevarne per scopi personali, e rinuncino ai lauti compensi comuni, invece, ad alti funzionari pubblici ed a professionisti.

Non ti curi del fatto che quest'attività sia totalizzante, cioè che non siano pensabili né lunghi periodi di ferie e neppure il totale oblio nei giorni da essa distolti: serve passione ed entusiasmo, per affrontare e risolvere una quantità di problemi non delegabili ad alcun altro, senza che ciò rappresenti un peso ma, anzi, traendone piacere e soddisfazione.

Non capisci che la propensione al rischio - insieme con la capacità di guardare lontano, la voglia di mettersi in gioco e misurarsi, l'aspirazione a primeggiare - è proprio la base di questo bellissimo mestiere, e che un gran numero di persone non ce l'ha, esattamente come una quantità d'individui altrettanto significativa non ha attitudine artistica (io per primo) o doti di qualunque altro tipo. Il tutto, se non ti fosse chiaro, si chiama individualità.

Del resto - lo diceva già Einaudi - senza queste spinte non ne vale la pena: meglio investire in titoli pubblici senza rischiare. Ma anche senza produrre benessere per l'ambiente circostante ......

Le tue parole - lasciatelo dire perchè sono, ormai, veramente scocciato di leggere ovunque simili corbellerie e voglio lasciare uscire quella rabbia che mi provocano - denotano solo ignoranza dei fatti e quella maledetta malattia nota con il nome di invidia sociale. Brutta bestia, ed assai diffusa .......

Chiudo, e non ci ritorno. Non ne vale la pena.

mi farebbe piacere sapere quanti dei nostri imprenditori -- e parlo di imprenditori, non di dipendenti costretti a passare alla partita IVA dai loro datori di lavoro, nè di disoccupati potenziali che si inventano imprenditori -- hanno ereditato l'occupazione di imprenditore con la fabbrichetta paterna.

Puoi ereditare un'impresa ma non l'occupazione di imprenditore: anche se erediti la prima devi comunque scegliere la seconda. E lo farai se hai capacita' manageriali e disponibilita' ad assumere rischio (cose che sono solo in parte ereditabili). Altrimenti erediti e liquidi, come sicuramente fanno in tanti. In questi casi ereditare un'impresa e' come ereditare BOT.

Da che mondo è mondo, le aziende più ricche pagano di più. Inoltre la contrattazione sindacale di "secondo livello" (quella aziendale) prevede quasi dapperttutto premi, bonus, incentivi ai lavoratori legati alle performance dell'azienda. Ne ho avuto diretta esperienza, come impiegato e come dirigente, in tutta la mia vita lavorativa, in società quotate e non, sia nel settore privato che pubblico. Mi pare che la proposta di GT serva più che altro a spiegare al popolo quanto lui stia dalla parte dei lavoratori e che invece il sistema pluto-giudaico-bancario-massonico lo ostacola.

Il merito delle parole dell'insigne ministro che hanno originato il post, non merita secondo me altre parole oltre a quelle egrege di Zanella. Mi colpisce invece l'atteggiamento del desso il quale pontifica senza spiegare nulla e tutti si bevono tutto, anche la più nefanda sciocchezza manco fosse un calice di champagne. E senza infierire riferendosi alla legislatura 2001-2006 dall'inizio della crisi straparla e sminuisce negando l'evidenza, non presenta una previsione accurata che sia una in un documento di finanza pubblica, alla fine deve prendere atto di quelle elaborate da OCSE, BankItalia, FMI, Centro Studi di Confindustria ed altre, tutte concordanti e di nuovo tutti a bersi il fiele come nettare ed in silenzio. Terrificantre questo filmato, forse già visto su youtube nel quale il genio parla delle metodologie statistiche dell'ISTAT.Filmato tratto dal TG1 del quale si ascolta la presentazione. Roba da osteria.

luigi zoppoli

mi si mettono in bocca parole che non ho detto.

Non ho detto che ereditare una ditta sia un peccato originale.

Non ho detto che gli imprenditori siano poco impegnati a far fruttare i loro investimenti.

Non ho detto che l'imprenditoria non sia una dote importante per lo sviluppo di un paese.

Le corbellerie dunque le dice lei DoktorFranz e mi attendo le sue scuse.

In un momento di delirio personale sono andato a vedere cosa fa Tremonti di lavoro, e ho scoperto che fa il Ministro dell'Economia del mio paese. Nulla di insano in sè: è un contabile, quindi un minimo di competenza a fare 2+2 ce l'ha. Scopro ancora che l'atto di "indirizzo" del Ministro è una cosa "monstre" di 282 pagine chiamata "Relazione Unificata", che ha sostituito una cosa chiamata "trimestrale di cassa", un pò come faccio io in azienda ogni fine mese, che guardo fatturato e costi, e poi vedo entrate (incerte) e uscite (certe) e mi faccio i vari scenari (X paga sicuro, Y forse, c'è da pagare Z..).

Quindi, nel mio piccolo, io faccio previsioni , il Ministro lo fa nel suo grande. Se sbaglio io sono fatti miei, se sbagliano gli economisti sono fatti pubblici, difatti Tremonti gli rinfaccia (agli economisti) di fare riunioni esoteriche e di non chiedere mai scusa se Othelma sbaglia. Ma lui ? Fa previsioni ? Certo, tutta la Relazione Unificata è una previsione, addirittura con paragoni internazionali, e tagli alla spesa pubblica , nero su bianco (pag 160 e segg. per chi vuole leggere).

Poi, preso dal delirio di fine mese, vedo se queste previsioni (quelle di Tremonti) erano giuste, e trovo una interessante audizione alla VI commissione Finanze della Camera, in cui la Direttrice Centrale (Tremonti sarà stato impegnato a fustigare Harry Potter) del Ministero dell'Economia dice (pag.6) con tutta tranquillità che alla data del 25 Giugno (due mesi dopo la presentazione...) l'errore stimato rispetto alla Relazione Unificata è di circa 33 miliardi di euro, solo sulle entrate. Niente male, rispetto al tempo trascorso dalla presentazione. Quindi cerco le scuse di Tremonti rispetto a un suo errore di previsione, un errorino niente male per un contabile. Niente. Qualcuno le ha viste ? Oppure avete visto i 33 miliardi di euro ?

Un approfondimento storico sul tema qui