Delle possibili critiche avanzate contro la decisione di fissare una soglia di accesso troppo bassa per l'ammissione al parlamento Europeo, ne prenderò in esame due. In realtà i due argomenti non sono del tutto separati. Agli occhi di quanti sostengono che la nuova legge avrà effetti nefasti per i piccoli partiti, impedendo la rappresentanza di questi, quella legge avrà effetti negativi anche sulla qualità della democrazia, per cui la limitazione della rappresentanza politica dei piccoli partiti produrrebbe uno scadimento complessivo della nostra democrazia.
Ecco gli argomenti.
La limitazione di rappresentanza. Stabilire che solo quanti ricevono una certa quota di preferenze hanno diritto di accedere alle istituzioni rappresentative limiterebbe in maniera eccessiva la capacità di quelle istituzioni di rappresentare tutti i cittadini, anche quelli che non costituiscono la maggioranza che in quel momento ha raccolto più voti. Sarebbe un impoverimento troppo grave delle istituzioni lasciare che quanti non godono attualmente di consenso elettorale debbano essere tagliati fuori dai processi decisionali.
La limitazione della democrazia. Questa conseguirebbe dal punto precedente. Se le istituzioni rappresentano solamento i più forti e i più votati, dov'è la democrazia? Quale potere si esprime in quelle istituzioni, se ripulite della presenza dei più piccoli ma comunque significativi partiti?
Andiamo a vedere ciascuno di questi due argomenti. Premettendo una piccola postilla. Benché l'imperante partitocrazia italica, da tempo senescente, ci autorizzi a pensare all'auto-difesa dei piccoli partiti come ad un tentativo di difendersi dallo sgretolamento (con conseguente dissolvimento delle burocrazie e dei rimborsi elettorali), mettiamo da parte queste considerazioni più ciniche e prendiamo per buoni solamente gli argomenti confessati dai segretari dei piccoli partiti. Dei motivi inconfessabili, ognuno giudicherà da se.
Sulla rappresentanza. Se il peso elettorale di un partito è diminuito è certamente vero che c'è un deficit di rappresentanza, anche se questo non pertiene tanto all'istituzione che dovrebbe sobbarcarsi il costo di garantire quella rappresentaza diminuita; piuttosto il problema è (della rappresentanza del partito): se pochissimi lo votano, chi rappresenta? Questo è il vero nodo della rappresentanza. Invece, per i piccoli partiti sembra che il problema sia sempre da “trasmettere” alle istituzioni rappresentative: per pochi che siano gli elettori di un partito, questi dovrebbero essere comunque rappresentati. Ma un'idea simile nasconde una concezione della rappresentanza che è stata definita a “specchio”: le istituzioni dovrebbero rispecchiare la società nel suo complesso, sia essa costituita da forze politiche piccole o grandi. Per quanto assurda, una simile concezione politica è già un passo avanti per coloro che ne propugnano l'attuazione. In tempi non lontani, questa concezione a specchio sarebbe apparsa già sospetta, perchè sospette erano le istituzioni rappresentative: non si trattava tanto di trovare un metodo di rappresentanza più o meno “giusto” o efficace, ma lasciare che tutti i cittadini partecipassero direttamente alla politica (era questa appunto una concezione partecipatoria di democrazia diretta, rispetto a cui anche la concezione attuale “a specchio” sarebbe apparsa una diminuzione). Ora almeno si riconosce che il problema della cittadinanza può essere articolato anche nella forma della rappresentanza politica in istituzioni rappresentative e che queste possono dunque essere difese come democratiche. E' un passo avanti. Detto questo, anche per i più pugnaci assertori della proposta di legge per le elezioni europee, una compagnia di giro che va da Mastella ai leninisti di Rifondazione, non dovrebbe essere difficile riconoscere che esistono differenti livelli e gradi di rappresentanza e che una marginale modifica all'implementazione del meccanismo di rappresentanza non potrebbe da sola giustifcare appelli disperati circa l'eliminazione della rappresentanza tout court.
Sulla democrazia. Benché si senta affermare il contrario, la democrazia non coincide solo con la partecipazione o rappresentanza politica. Partecipazione e rappresentanza costituiscono una parte delle procedure democratiche, ma queste sono l'esito terminale, fra l'altro, dell'esistenza di diritti (quelli fondamentali detti costituzionali, per esempio, che rendono la partecipazione sensata e libera) che non sono disponibili al processo decisionale democratico, o lo sono solamente dopo processi di revisione costituzionale. Questa banalità è così patente che, passata la legge, i piccoli partiti potranno ancora fare propaganda e criticare le maggioranze, senza essere limitati nel loro diritto a fare ciò. Non basta dunque che la rappresentanza sia ostacolata nelle forme della sua realizzazione, per sostenere che legge che pone quell'ostacolo sia anti-democratica: alla minoranza odierna rimangono ancora gli strumenti per modificare in futuro gli assetti oggi così sfavorevoli a loro...appunto servendosi dei diritti fondamentali di cui sopra. Infine, proprio perchè quei diritti fondamentali non sono disponibili alla cangiante rappresentanza politica, la modifica non può essere nemmeno lontamente descritta come una possibile violazione dei diritti delle minoranze da parte delle maggioranze.
Epperò, questa vicenda rivela qualcosa. Solo chi sottoscriva una concezione rigidamente statalista della politica e della rappresentanza potrebbe pensare di essere danneggiato dal fatto di non essere più parte delle istituzioni. Del resto esistono i diritti fondamentali garantiti a tutti, libertà di parola e pensiero, possibilità tecnica di diffondere il proprio pensiero a un costo molto basso rispetto al passato. Cosa temono i piccoli partiti? Di tornare nella mitica società civile? Dal loro punto di vista sarebbe quasi un premio. Inoltre esistono moltissimi gruppi sociali, più o meno organizzati, che riescono a fare lobby pur senza essere nelle istituzioni. Ma quest'ultimi, si dirà, dispongono di risorse materiali che i piccoli partiti non possiedono...ma qui torna a galla il movente inconfessabile, ovvero la rappresentanza politica come mezzo per accedere a risorse materiale di promozione dei propri interessi materiali e ideologici. Se questo tema ritorna, pazienza! L'importante è chiamare le cose col loro nome, e non trincerarsi dietro appelli nobili che chiamano in causa, addirittura, la democrazia, semplicemente per accaparrarsi risorse altrimenti indisponibili.
La bontà o meno della soglia di sbarramento è (secondo me) fortemente dipendente dall'altezza di quella soglia.
Che una soglia sia necessaria sono più o meno tutti d'accordo. Se non altro una soglia esiste implicitamente dato che non è possibile assegnare 3/4 di seggio ad un dato partito. Quindi chiunque non prenda abbastanza voti (ed il computodel numero esatto può non essere banale) da raccattare almeno un seggio è automaticamente fuori.
D'altra parte la solgia non può essere arbitrariamente alta. Altrimenti potrebbe essere tarata per far entrare solo il partito di maggioranza relativa che diverrebbe, come per magia, il partito unico.
Possiamo quindi dire che uno sbarramento allo 0,1% è sicuramente troppo basso ed uno sbarramento al 45% è sicuramente troppo alto. Su quale però sia il valore ottimale però non mi saprei esprimere con sicurezza (e sfido chiunque a farlo) e quindi il dibattito è aperto.
Che i partiti grossi puntino ad alzare l'asticella e quelli piccoli ad abbassarla mi sembra fisiologico. Forse un po' triste ma perfettamente naturale. A me personalmente il 4% pare un filino alto; di gusto mio punterei verso un 2% ma, come già detto non ho certezze incrollabili al riguardo.