Il PD e i salari

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Commento passo a passo un interessante articolo di Massimo Brutti apparso su L'Unità.

Credo valga la pena di leggere assieme l'articolo di Massimo Brutti, senatore uscente ed esponente di spicco del PD,

poiché è una interessante mistura delle idee che si agitano nel Partito

Democratico, alcune giuste, altre sbagliate, quasi tutte confuse e

ambigue.

L'articolo apre in questo modo

 

Le

proposte avanzate in questi giorni dal Partito democratico sulla

detassazione dei salari pongono al centro della nostra campagna

elettorale una questione cruciale per la sinistra riformista: come può

l’azione politica di governo innalzare i livelli di reddito degli

strati popolari, promuovere l’accesso ai beni della vita, e come può

modificare - perseguendo obiettivi di uguaglianza - le condizioni

materiali nelle quali vivono i lavoratori italiani? La risposta non può

essere congiunturale. Essa ha invece un valore strategico. Mette alla

prova il Partito democratico e riguarda il suo rapporto (costitutivo

della identità che si sta formando) con l’Italia che lavora e che

chiede giustizia sociale.

 

 

OK, almeno la domanda ha senso e Brutti si

accorge che la risposta deve essere di struttura e non congiunturale.

Il "perseguendo obiettivi di uguaglianza" anziché di riduzione della

povertà sic et simpliciter è un non sequitur, ma concediamo un po' di retorica.

 

 

 

Se tracciamo un bilancio delle

esperienze di governo del centrosinistra, vediamo bene che il

risanamento, l’ingresso nell’euro, la messa in ordine dei conti non

sono bastati a cambiare il Paese. Le vite degli italiani sono

pesantemente condizionate dai privilegi, dalle clientele, dalla

insicurezza del lavoro, dal mancato riconoscimento del sapere e dei

meriti nei rapporti sociali, dalla disparità nell’esercizio dei diritti

e dalla debolezza del sistema politico. Quale competitività

dell’economia nazionale possiamo immaginare, quale modernizzazione,

quale mobilità sociale, se i vizi antichi di un’Italia premoderna,

tradizionalmente diretta da corporazioni e consorterie, continuano a

riproporsi oggi nella distribuzione iniqua delle ricchezze e nelle

strutture di potere chiuse che dominano la società civile e la politica?

 

 

Bene, bene, la cosa si fa interessante. L'elenco mischia le cause con gli effetti ed i sintomi con le malattie, ma le parole chiave ci sono tutte.

Privilegi e clientele? Corporazioni e consorterie? Mancato

riconoscimento dei meriti? Tell me more, tell me more.

 

 

Risulta

dai dati Ires-Cgil del 2006 che oltre 14 milioni di lavoratori

guadagnano meno di 1.300 euro al mese e 7,3 milioni meno di 1.000 euro.

Nell’industria il 66,2 per cento dei lavoratori e il 90 per cento delle

lavoratrici non superano i 1.300 euro. Ne deriva una drammatica

limitazione della libertà per un numero elevatissimo di cittadini. A

parte le iniziative del sindacato, troppo poche sono finora le voci

politiche che riconoscono l’urgenza di un intervento riformatore su

questo terreno.

 

 

Ma bene, ci siamo accorti che in Italia i salari

sono bassi. A dire il vero l'aveva già detto Draghi un po' di tempo fa,

e l'avevamo detto noi, economisti di destra, ancora prima, ma va bene lisciarsi un po' la CGIL. Un po' meno bene la lisciata

successiva sulle "iniziative del sindacato". Parla forse

dell'abolizione dello scalone e dell'aumento dei contributi per i

precari? Come intervento riformatore non è stato niente male.

 

 

Non c’è dubbio che durante l’ultimo decennio

le disuguaglianze nella società italiana, invece di diminuire, si sono

accresciute, con una rilevante compressione dei redditi da lavoro, che

investe anche i ceti medi, che indebolisce la domanda interna e che,

per la sua grande estensione, deprime l’insieme della vita sociale,

spingendo vasti settori di opinione pubblica all’insoddisfazione e al

rifiuto della politica.

 

 

La disguaglianza cresce? Verissimo, ed è da più di un decennio, anche se nell'ultimo decennio si è visto più chiaramente. Va beh, dai però, cosa c'entra la disuguaglianza crescente con il rifiuto della

politica? E anche tutto il resto, francamente. Forse che l'una è causata dagli altri, o viceversa? Comunque, anche questo

scusiamolo come artificio retorico e tirem innanz.

 

 

Si è insomma determinato un forte

squilibrio tra i sacrifici richiesti ai lavoratori, specialmente al

lavoro dipendente, e quello che la collettività, attraverso l’azione

dei pubblici poteri, è riuscita a dare in cambio, sul terreno dei

redditi e dei diritti sociali.


Intervenire sui salari e sugli

stipendi per aumentarli, per accrescerne il potere di acquisto diventa

quindi la prima fondamentale riforma di struttura che dobbiamo

perseguire. Andando decisamente al di là delle misure che il Partito

democratico ha finora proposto (ma anch’esse urtano la destra e vengono

complessivamente respinte) circa la riduzione del carico fiscale sugli

straordinari e su quella parte del salario che si determina con la

contrattazione di secondo grado.

 

 

Si', sì,  va bene. Ammesso e non concesso che il concetto di "intervenire sui salari" abbia un qualche significato in un'economia non socialista, in concreto?

 

Tutto ciò significa definire

una serie coerente di progetti e di provvedimenti in direzione

dell’incremento delle retribuzioni reali, del sostegno alla domanda,

dell’abbassamento delle tariffe e di una politica sociale che

restituisca dignità al lavoro, in tutte le sue forme (un esempio: la

previsione di minimi salariali al di sotto dei quali non possono andare

i contratti di collaborazione continuativa). È chiaro che per questa

svolta non basterà l’extragettito guadagnato nell’ultimo anno e mezzo.

I suoi margini sono del resto ancora incerti. Si tratta piuttosto di

modificare sistematicamente il rapporto tra risorse e diritti. Sarà

necessaria una politica di più lungo periodo che sia, ad là dei primi

atti (già annunciati), sorretta da una ispirazione coerente: il

contrario delle oscillazioni e delle continue divaricazioni interne al

governo, proprie della fase che abbiamo alle spalle.

 

 

Il salario minimo stabilito per legge? Questa dunque è la proposta? E perché la metti tra parentesi?

 

 

Dovremo

ancora operare per la crescita, senza la quale non c’è equità né

progresso civile. Ricordo in proposito una frase del vecchio Edward

Bernstein, che appartiene all’abc del pensiero socialista moderno: «Le

prospettive della socialdemocrazia - scriveva nel 1900 - non dipendono

dal regresso, ma dall’accrescimento delle ricchezze sociali».

 

Eh, ce ne siamo accorti. Meglio tardi che mai! Comunque anche questo va bene come artificio retorico, andiamo avanti.

 

Non

basta tuttavia l’attesa dello sviluppo. Dovremo spostare risorse per

dare forza ai redditi da lavoro e sappiamo che ciò significherà ridurre

le rendite e risparmiare sulla spesa pubblica.

 

Ridurre le rendite? Ridurre la spesa pubblica? Yes! Yes! tell me more.

 

Una leva decisiva

per la crescita è la moralizzazione delle istituzioni. Il rispetto

delle regole, un costume nuovo nello Stato, la dedizione dei

funzionari, dei professionisti, delle classi dirigenti ai propri doveri

istituzionali: sono tutti fattori che contribuiscono ad accrescere le

ricchezze sociali. Ecco perché serve un’azione di governo anti-sprechi,

che punti a sanare l’inefficienza della pubblica amministrazione, che

colpisca il dispendio inutile e la neghittosità, che licenzi i

parassiti del pubblico impiego ed insieme metta al bando i politici che

organizzano le clientele e vivono di esse, che tagli drasticamente il

capitalismo pubblico «di ritorno» costituito per iniziativa delle

regioni e degli enti locali, fonte anch’esso di improduttività e

dispersione di risorse.

 

 

Tutto bene ma, accidenti, non puoi essere più

specifico? Di "lotta agli sprechi", di "licenziare i parassiti del

pubblico impiego" è una vita che sentiamo parlare. Ci spiegate un po'

meglio come intendete farlo? Bene, anzi molto bene, la battuta sul

"capitalismo pubblico di ritorno". L'Italia è un paese in cui

"privatizzare" significa che un ente pubblico vende a un altro ente

pubblico, magari locale. Non c'è bisogno di parlarne adesso ma la

prossima volta magari ne parliamo un po' di più di come limitare gli

appetiti dei politici locali, e magari di come si possa farlo in un modo

compatibile con il federalismo.

 

 

Adopero a proposito del salario

l’espressione «riforma di struttura», perché penso che attraverso le

retribuzioni delle attività lavorative passi una gerarchia degli

interessi, un modello di rapporti tra le figure sociali. Una busta paga

più pesante dà coraggio, capacità e fiducia ai lavoratori e alle loro

famiglie e quindi contribuisce in modo rilevante a cambiare i rapporti

di forza nella società, il senso comune, le forme di vita.

 

 

Suvvia Brutti, non ci devi spiegare perché è

bello avere più soldi in busta paga. E no, non è perché contribuisce al

"senso comune". Stay focused, please.

 

Questi

rapporti si cambiano anche agendo su altri diritti dei ceti popolari:

con più scuola e più formazione qualificata, con più diritto alla

salute, con più sicurezza nella vita quotidiana. Ma il salario è il

punto di partenza essenziale. E la politica dell’equità salariale è un

momento di quella scommessa strategica sull’uguaglianza, che

rappresenta l’anima e il destino delle culture politiche di sinistra.

 

 

Mmmm, qua non è più retorica. Stiamo parlano di aumento dei salari o di "equità salariale"? E cosa vuol dire? Mah..

 

 

Chiudo

queste considerazioni con un’ultima domanda. È possibile ed in quale

misura che su questa linea si stringa attorno al Partito democratico e

a sostegno del suo programma, del suo simbolo, fin dai prossimi giorni,

una vasta alleanza di sinistra, un insieme di raggruppamenti e di

culture che intendono ricollegarsi al socialismo europeo, alle idealità

del lavoro e della solidarietà?

 

 

Ma come chiudi? Non mi hai ancora spiegato come

ridurre la spesa. E le rendite come le eliminiamo? E le consorterie?

Lascia perdere il socialismo europeo, che c'è tempo per parlarne, dimmi

cosa vuol fare il PD se va al governo.

 

 

 

 

Io credo che una simile

alleanza sia nelle cose e che essa andrà avanti. Ampi settori di

sinistra scelgono oggi consapevolmente di stare nel Pd per una politica

riformista, per dare concretezza alla volontà di cambiamento, per non

può fermarsi alla testimonianza. Numerose associazioni e gruppi che si

rifanno alla tradizione socialista sono già nel Pd. Inoltre, molti

lavoratori con esperienze sindacali, molti quadri di sindacato hanno

partecipato alle elezioni primarie del 14 ottobre, con le quali il Pd

si è costituito, ed oggi operano con noi. Altri ne stanno arrivando.

Scartano altre esperienze, come quella della «cosa rossa». Scelgono la

nuova identità riformista del Pd. In una forza più radicata e grande

(un tempo si sarebbe detto in un partito di massa), l’impegno politico

conta di più e le idee-guida della sinistra acquistano una maggiore

capacità espansiva.

 

Chiusura retorica con appello pre-elettorale. Fair enough, in campagna elettorale siamo.

Ma,

caro Brutti e cari compagni del PD, non ci siamo proprio. Dopo il

disastroso Prodi II, in cui di riduzione della spesa pubblica non si è

parlato proprio e di aumentare le tasse si è invece parlato e fatto

tanto, siamo tutti, come dire, un pelino diffidenti. La prossima volta,

più concretezza e meno richiami ideali. Diteci come si fa a licenziare

i neghittosi, magari non solo nella publica amministrazione. Diteci

come si taglia la spesa (un suggerimento che ci sta a cuore: vendete la

rai, please). Diteci come si tagliano le rendite. E non illudetevi di

poter risolvere i problemi semplicemente obbligando per legge le

imprese a dare 1000 euro al mese.

 

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Commenti

Ci sono 64 commenti

Ad un appassionato della fantascienza vecchio stile come me, l'articolo di Brutti fa venire in mente un episodio della serie della Fondazione ("Foundation", in Italiano "Cronache dalla galassia" - che traduzione schifosa).

Un pomposo diplomatico della Capitale (il pianeta Trantor) viene a visitare il pianeta della Fondazione, una specia di Sylicon Valley nella periferia della galassia, dove un mucchio di Dorks e Nerds stanno scrivendo l'Enciclopedia Galattica, in un momento di difficolta` del potere centrale. Egli parla, gira, promette, rassicura e parte dopo un paio di giorni.

Alla sua partenza i Dorks studiano le sue affermazioni con la Logica Simbolica (Symbolic logic

boils out the "goo and dribble") e scoprono che il diplomatico non ha detto assolutamente... NIENTE!

Che ha scritto il Brutti? NIENTE.

 

 

Ottimo lavoro di destrutturazione. Ottimo davvero. Per trovare un'alternativa all'impossibilità di licenziare gli asini e sfaticati, e per evitare che il precariato blocchi prestiti bancari, matrimoni etc. non si potrebbe praticare l'assunzione a tempo indeterminato MA con possibilità di licenziamento per necessità di bilancio aziendale, o per cattivo rendimento? Perché non si attua questa soluzione terza ed esclusa?

 

Si, effettivamente la proposta sembra proprio essere quella del salario minimo stabilito per legge, limitato a quel che si capisce ai contratti “atipici”. Ho aspettato di rivedere l’intervento di Veltroni a Porta a Porta su Raiclick per intervenire, perche’ dalle agenzie non sembrava chiaro, ma ha pronunciato proprio queste parole:

La proposta che noi avanzeremo e' quella di dare un compenso minimo legale. Cioe' dire alle imprese "nessuno che abbia un contratto atipico, un contratto di precariato, puo' avere meno di 1000-1100 euro" e poi noi sosterremo quelle aziende che potranno fare dei contratti di piu' lungo periodo, estendendo il periodo di apprendistato attraverso la formazione."


Lo stesso discorso vale per l’insistenza sull’”equita’ salariale” e la “scommessa strategica sull’uguaglianza”, dove il nostro sottolinea che “il 20% ricco della popolazione ha circa 6 volte il reddito che ha il 20% piu’ povero”, concludendo che “e’ chiaro che c’e’ bisogno di un intervento redistributivo”, anche se deve essere fatto – meno male – senza una logica punitiva.

Non mi azzardo a prendere una posizione netta perche’ non sono esperto, ma mi sembrava che il ruolo “allocativo” dei salari, come vale per qualunque altro prezzo, fosse questione pacifica, anche se comprendo i benefits politici di posizioni piu’ morbide. Chi guadagna di piu’ magari ha speso di piu’ in istruzione prima, ha studiato per piu’ tempo, ha rinunciato al reddito che avrebbe potuto avere, e magari voleva differenziare le proprie abilita’ da quelle di altri lavoratori. Mi domando, ammetto un po’ retoricamente, e’ equita’ chiedere a chi ha preferito prolungare i suoi studi alla ricerca di piu’ fortuna di “redistribuire” i suoi guadagni a chi fece nel passato scelte diverse? E nel caso proprio non si resista, e’ equita’ intervenire oggi sulle conseguenze di scelte fatte magari parecchi anni fa? Se un diplomato dieci anni fa avesse saputo che nel 2008 gli avrebbero chiesto di “redistribuire” i suoi guadagni da laureato, si sarebbe iscritto lo stesso all’universita’?

Mi fermerei qui, ho gia’ scritto troppo: al di la’ del fatto che non mi e’ chiaro cosa voglia dire estendere il periodo di apprendistato attraverso la formazione, e perche’ questa estensione dovrebbe eliminare il problema (ma sabato sembra ci saranno piu’ dettagli), mi pare proprio di sfondare una porta aperta, in questo blog, avanzando dubbi sui salari minimi per legge.

Per la verita’ – ed e’ il motivo che mi ha indotto a scrivere – questa presa di posizione mi ha sorpreso un po’, credevo che fosse un cavallo di battaglia di posizioni piu’ a sinistra. Ma tant'e', la campagna e’ solo all’inizio.


 

La Stampa

15/2/2008

Mille euro al mese

TITO BOERI


In una campagna elettorale dominata sin qui solo dalla gara nel promettere tagli alle tasse, senza ovviamente spiegare come verranno finanziati, ha fatto finalmente capolino una proposta a costo zero per le casse dello Stato che può ridurre la povertà fra chi lavora nel nostro paese. Walter Veltroni ha anticipato che il programma elettorale del Partito democratico prevede l'istituzione di un «compenso minimo legale» di almeno 1000 euro «per ogni precario». Non conosciamo ancora i dettagli di questa proposta (contrariamente a quanto riportato da molti giornali, chi scrive non partecipa alla stesura del programma del Partito democratico), né perché Veltroni abbia parlato di «compenso minimo» anziché di «salario minimo», il termine comunemente utilizzato in tutti i paesi in cui questo strumento esiste. Siccome crediamo da tempo che questo istituto andrebbe introdotto anche in Italia, come in molti paesi Ocse, ci permettiamo di offrire qui alcuni suggerimenti su come meglio strutturare questo strumento.


Il salario minimo serve a proteggere le categorie maggiormente a rischio di emarginazione e sfruttamento e non rappresentate dal sindacato, come molti lavoratori con contratti flessibili e immigrati. Il salario minimo riduce il numero di working poor, di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà nonostante abbiano un lavoro, un fenomeno crescente in Italia. Bene stabilirlo in termini di paga oraria (e non mensile) affinché possa coprire anche prestazioni temporanee e part-time. Dovrebbe essere fissato per legge e riguardare tutte le prestazioni lavorative svolte nel nostro paese, inclusi i contratti a progetto. In molti paesi (ad esempio Francia, Olanda e Stati Uniti) il salario minimo viene differenziato per età in modo tale da tenere conto della minore produttività di chi non ha precedente esperienza lavorativa. Da noi forse è più utile differenziarlo per macroregioni, tenendo conto dei forti divari nel costo della vita, sulla base degli indici che l'Istat si appresta finalmente a pubblicare.


Gli effetti del salario minimo sono stati ampiamente sperimentati e studiati in altri paesi. Rimediando a una situazione in cui i datori di lavoro hanno un potere di mercato eccessivo, un salario minimo fissato a un livello non troppo alto può creare più occupazione, come avvenuto ad esempio negli Stati Uniti. L'esperienza dei paesi latino-americani ci dice che non è affatto ovvio che il salario minimo crei lavoro nero; potrebbe avvenire esattamente il contrario. Come avvenuto nel Regno Unito, che lo ha istituito dieci anni fa, bisognerebbe comunque monitorare gli effetti della sua introduzione e tenere conto di queste analisi nell'aggiustarne il livello nel corso del tempo.


Il sindacato si è sin qui opposto in Italia all'introduzione del salario minimo perché teme che tolga rilevanza alla contrattazione collettiva. In realtà il salario minimo è inferiore ai minimi fissati nei contratti collettivi e copre lavoratori tagliati fuori dalla contrattazione collettiva. Semmai il salario minimo riduce l'eccessiva interferenza della giurisprudenza nella libera contrattazione fra le parti a livello di azienda.


Veltroni ha presentato la sua proposta come strumento di contrasto al cosiddetto precariato. Perché davvero il salario minimo ottenga questo risultato è bene che la sua introduzione sia contestuale a interventi che facilitino l'ingresso dei giovani dalla porta principale del mercato del lavoro, come il contratto unico proposto anche su queste colonne con Pietro Garibaldi. Il salario minimo interviene sul livello retributivo. Il contratto unico sulla stabilità del posto di lavoro. Sono, dunque, strumenti complementari. Di dubbia efficacia, invece, gli incentivi fiscali per la conversione dei contratti flessibili in contratti a tempo indeterminato. In Spagna hanno finito per essere un regalo a quei datori di lavoro che avevano già previsto di trasformare alcuni contractos temporales in contratti a tempo indeterminato, senza effetti di rilievo nel facilitare la trasformazione di contratti temporanei in altri più stabili. Andrebbe inoltre spiegato come verrebbero finanziati questi sgravi fiscali. Il vantaggio delle proposte del salario minimo e del contratto unico è che sono a costo zero per i contribuenti. Merce rara, purtroppo, nei programmi elettorali.

 

 

Va beh, dai però, cosa c'entra la disuguaglianza crescente con il rifiuto della

politica?

 

Secondo me su questo Brutti ha un punto. L'ira popolare, chiamiamola cosi', nei confronti della "casta" e il termine stesso "casta" sono fenomeni relativamente recenti, diciamo ultimi 10-15 anni. Io ero un ragazzino, ma De Mita, De Michelis, De Lorenzo e tutti gli altri De Qualcosa molti di voi li ricordano bene. La casta di 20-30 anni fa era ben piu' dannosa di quella attuale. Eppure erano tollerati perche' si trattava di una classe sufficientemente machiavellica da far si che la pagnotta crescesse per tutti (con il conto che e' ancora da pagare, naturalmente).

E' quando abbiamo iniziato a dover stringere la cinghia (emblematica la finanziaria Amato nel 1992) e chiudere i rubinetti pubblici che ci siamo accorti di aver perso dieci anni (allora, e venti oggi) di aumenti di produttivita'. Da allora i redditi reali di una fetta rilevante della popolazione sono sostanzialmente rimasti al palo rispetto al reddito nazionale (guardate lo Statistical Annex 2007 dell'OECD, che ho messo qui per comodita', tabella I a pagina 269: se fate i conti vedete che i salari medi lordi reali in Italia si sono ridotti dello 0,35% dal 1990 al 2005, mentre il PIL reale -- cosi' a naso -- dovrebbe essere cresciuto a un tasso medio dell'1-1,5%). E' quando cominci ad aver fame e vedi un gruppo di privilegiati e la classe politica che continuano a ingrassare che le cose si mettono male per quest'ultima.

Piuttosto e' la premessa di Brutti sul punto in questione che meriterebbe di essere approfondita. Non capisco come faccia ad affermare perentoriamente che

 

Non c’è dubbio che durante l’ultimo decennio

le disuguaglianze nella società italiana, invece di diminuire, si sono

accresciute

 

Nello stesso Statistical Annex, tavola H p. 268 ci sono statistiche sulla dispersione delle remunerazioni, ma l'Italia non c'e', il che interpreto come prova che il nostro paese non produce statistiche sulla disuguaglianza comparabili a quelle degli altri paesi avanzati. Sulla base di cosa Brutti non ha dubbi? [non e' una domanda retorica: qualcuno sa se esistono dati affidabili in proposito?]

 

 

 

 

 

 

La casta di 20-30 anni fa era ben piu' dannosa di quella attuale. [...] E' quando abbiamo iniziato a dover stringere la cinghia (emblematica la

finanziaria Amato nel 1992) e chiudere i rubinetti pubblici che ci

siamo accorti di aver perso dieci anni (allora, e venti oggi) di

aumenti di produttivita'

 

Sono d'accordo ma penso che se oggi le cose vanno un po' meglio, cioe' se sembra che almeno si sia consapevoli dei disastri, e' soprattutto per via di maastricht e la richiesta di rispetto dei parametri. Qui - o sul lavoce? non ricordo - ho letto qualche attacco meramente teorico alla fisima dei rapporti pil/debito che hanno in eu. All'atto pratico penso almeno che senza quei vincoli staremmo ancora facendo la politica DC: almeno adesso siamo consapevoli che la borsetta di mary poppins e' chiusa, la gente inizia ad incazzarsi e da qualche parte si arrivera'. 

 

Nello stesso Statistical Annex, tavola H p. 268 ci sono statistiche

sulla dispersione delle remunerazioni, ma l'Italia non c'e', il che

interpreto come prova che il nostro paese non produce statistiche sulla

disuguaglianza comparabili a quelle degli altri paesi avanzati. Sulla

base di cosa Brutti non ha dubbi? [non e' una domanda retorica:

qualcuno sa se esistono dati affidabili in prosito?]

 

Eurispes circa tre settimane fa ha riportato che negli ultimi anni i salari dei lavoratori autonomi sono aumentati molto piu' dell'inflazione ma non lo sono quelli dei dipendenti. Quando il PD parla di divari intende questo: si scrive "lavoratore autonomo" si legge "coi prezzi delle zucchine al mercato ci fanno quello che vogliono, signora mia". Se in un modo o nell'altro non si risolve questa fobia in italia altro che mercato libero.

Ferdinando:

 

Chi guadagna di piu’ magari ha speso di piu’ in istruzione prima, ha

studiato per piu’ tempo, ha rinunciato al reddito che avrebbe potuto

avere, e magari voleva differenziare le proprie abilita’ da quelle di

altri lavoratori. Mi domando, ammetto un po’ retoricamente, e’ equita’

chiedere a chi ha preferito prolungare i suoi studi alla ricerca di

piu’ fortuna di “redistribuire” i suoi guadagni a chi fece nel passato

scelte diverse?

 

Aspe' ma non stavamo parlando dell'Italia? Chi e' che guadagna di piu? Chi ha studiato? Chi ha studiato cosa? Come inchiappettare il prossimo?

 

 

 

a quello che sembra di capire dalle prime battute di questa campagna elettorale il PD mi sembra pesantemente orientato a proporre una politica economica di tipo keynesiano. a parte l'intervento di WV a porta a porta (in cui ha insistito più volte sulla necessità di "aumentare il reddito disponibile per aumentare i consumi e fare da volano al PIL"), ieri perfino D'Alema (con qualche reticenza) ha usato la parola "politiche keynesiane".

si dirà che parlano anche di liberalizzazioni, ma se uno fa come gli psicostorici della fondazione, si accorge che il focus è su Keynes.

per me non ci siamo proprio. non è di questo che ha bisogno l'Italia. la disoccupazione è a livelli bassi (sotto il 6) e non mi pare ci sia un problema di domanda. il dramma è la scarsa produttività dei fattori e l'assenza di innovazione. servono politiche dell'offerta (quelle della domanda continuiamo a farle da venti anni senza risultati).

OK, non condivido la linea del PD e quindi non li voto. ma almeno questi una bozza di linea sembrano averla (sebbene sempre mischiata al qualunquismo derilante e "tutto-facente"). ma dall'altra parte? qualcuno ha un'idea di che tipo di politiche abbiano in mente? il sogno sarebbe che la destra proponesse delle politiche liberiste e dell'offerta, che si aprisse alle liberalizzazioni serie, che spingesse per l'abolizione del contratto collettivo nazionale e per la diffusione della contrattazione su più livelli (con maggiore peso alla contrattazione su base d'impresa e su base individuale). dove sono queste persone in Parlamento e nell'arena politica?

 

Caro Pietro,

 a me sembra che l'idea di destra che sogni (e sogno) di avere in Italia non esista e soprattutto non si vede neanche all'orizzonte. A parte qualche sparata di SB sulla detassazione (detassare gli straordinari) non vedo una politica dell'offerta tipica di un partito liberale (liberalizzazioni, concorrenza, maggiori produttività, lotta alle rendite). Mi sembra, paradossalmente, che  alcune cose le ha tentate il Governo Prodi, altre le dice Montezemolo. Quindi che fai, voti a sinistra perché la sinistra è più a destra della destra? O anche tu sei stato convinto dal "liberismo è di sinistra"?

 

Alcune perle del pensiero Bertinottiano che presumo saranno al centro del programma elettorale della sinistra arcobaleno: 

"..il rapporto tra il lavoro, l'impresa e la società, in questi ultimi decenni, è stato rovesciato. Il lavoro è diventato la variabile dipendente del sistema economico.

(mi chiedo da ignorante: i salari dovrebbero essere svincolati dalle compatibilità del sistema economico. Dovrebbero essere fissati secondo quale criterio; per legge non saprei) 

La tendenza a ridurlo ad una sola dimensione, quella di merce, e a sussumerlo tutto dentro l'accumulazione, è la base materiale (..) dell'edificazione di un capitalismo totalizzante che si propone la colonizzazione della mente e del corpo come di ogni aspetto della vita. (...) Il conflitto di lavoro, come conflitto di classe,

(qui consiglierei al Subcomandante Fausto la lettura del "Saggio sulle classi sociali" di Sylos Labini (1974) )

fondamento della politica della trasformazione, torna dunque ad occupare la scena della politica. Non ci sono vie di fuga; il toro va afferrato per le corna. La sinistra deve affrontare la sfida del lavoro salariato contemporaneo, sia sul terreno pratico che teorico

(mi chiedo quali innovazioni teoriche dovrebbero venire fuori visto che la sinistra radicale continua ad utilizzare manuali vecchi di almeno 40 anni)

sia sul versante del conflitto

(quì a livello teorico arrivano in soccorso Brancaccio e Realfonzo con il loro "Le ragioni del conflitto")

e della sua organizzazione, che sui rapporti sociali, sia sulle proposte per una nuova legislazione del lavoro e sociale

(continuano ancora a difendere lo Statuto dei lavoratori; mi chiedo quali debbano essere queste innovazioni)

che sui sistemi e contenuti contrattuali, sia sui termini quotidiani della contesa che su quello strategico di società. (...) La riorganizzazione della presenza fisica delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi della decisione politica si pone, allora, non come cooptazione ma come fattore di riforma della politica e della forma di partito.

Trovandomi in casa di un sindacalista della Fiom penso subito di avere tra le mani un inedito bertinottiano vintage '70 ma guardando bene mi accorgo che è stato pubblicato su Liberazione del 10 febbraio scorso

 

PS Ho inserito il pensiero di Bertinotti per mostrare quanta differenza c'e tra due raggruppamenti politici che fino a qualche mese facevano parte dello stesso governo

 

 

 

One issue: chi sono i dipendenti in Italia? I dipendenti del settore pubblico e del settore privato. Entrambi tassati alla fonte. Quanti sono i dipendenti del settore pubblico rispetto al privato? Non so. Ma quelli pubblici sono tanti.

Quindi that's my issue: la politica dei redditi a favore dei dipendenti pubblici IMPLICA una politica che aumenterà la SPESA PUBBLICA senza alcun legame con la produttività?

Al momento non ho trovato nessuno che ha commentato questo aspetto. E anche le sue conseguenze che non commento perché sono trivial. Oppure nessuno le commenta perché sto sbagliando da qualche parte?

P.s. Sono con Montezemolo quando dice: meno pubblico e pagato meglio. Ecco una bella politica. [certo è teoria, però almeno userei questo slogan davanti ai cittadini] 

 

 

P.s. Sono con Montezemolo quando dice: meno pubblico e pagato meglio.

Ecco una bella politica. [certo è teoria, però almeno userei questo

slogan davanti ai cittadini]

 

Dipende da quali sono i cittadini a cui ti rivolgi: se si tratta delle legioni di dipendenti pubblici inutili, che certamente compongono una larga fetta dell'elettorato del PD, l'ultima cosa che vuoi e' spaventarli con lo spettro della perdita del posto...

 

 

 

Sono con Montezemolo quando dice: meno pubblico e pagato meglio. Ecco

una bella politica. [certo è teoria, però almeno userei questo slogan

davanti ai cittadini]

 

Considerato che i dipendenti pubblici sono molti ma molti di piu' di quelli di cui abbiamo bisogno e considerato che la soluzione auspicata dai piu' e' quella di mandarli a casa, qualcuno mi sa spiegare quale sarebbe il costo sociale dell'avere da un giorno all'altro mezzo milione di persone sulla strada? Io posso facilmente capire i vantaggi a lungo termine ma mi sembra che a breve termine il risultato sarebbe passare dalla padella alla brace.

 

 

Il salario minimo, dunque, è per il momento la proposta nuova di questa campagna elettorale. Essendo una vecchia idea di Tito Boeri, lui giustamente la spinge. Spingendola si espone a dire cose improbabili, tipo questa

 

Gli effetti del salario minimo sono stati ampiamente sperimentati e

studiati in altri paesi. Rimediando a una situazione in cui i datori di

lavoro hanno un potere di mercato eccessivo, un salario minimo fissato

a un livello non troppo alto può creare più occupazione, come avvenuto

ad esempio negli Stati Uniti. L'esperienza dei paesi latino-americani

ci dice che non è affatto ovvio che il salario minimo crei lavoro nero;

potrebbe avvenire esattamente il contrario.

 

Tito sa che queste affermazioni sono, per usare un eufemismo, discutibili e discusse. Non dovrebbe, io credo, avanzarle con tanta perentorietà o affermare cose improbabili come quella sull'esperienza dei paesi latino americani ... Comunque, ci ritorneremo sopra con più attenzione.

Un chiarimento per i lettori che non capivano come potesse affermare che è a costo zero per lo stato: ha in mente "efficiency wages" (EW, come li chiamino in italiano non lo so proprio). Ossia: se li paghi di più lavorano di più. Qui occorre fare attenzione ai dettagli: anche se li paghi di più obbligatoriamente, perché la legge lo impone, lavorano di più? E, se davvero così è, perché non generalizzare il salario minimo a tutti, articolandolo per regione, professione, settore? Potremmo avere la moglie piena e la botte ubriaca (ops!): salari alti e surplus fiscale allo stesso tempo. Mi domando proprio perché nessuno proponga di generalizzare tale politica, perché?

L'evidenza empirica a favore di EW è scarnissima ed episodica, ossia limitata a qualche caso micro (impianto, impresa, officina). Quella aggregata mi sembra negativa, e quella relativa ai lavoratori a salari bassi negativa ugualmente o al minimo molto, ma molto controversa. Anche qui, dettagli abbondano e se ho un attimo (ma Andrea e Giorgio credo ne sappiano infinitamente più di me sul tema) andrebbero descritti e chiariti.

 

 

Quello del minimum wage è un tema che genera reazioni piuttosto forti tra  gli economisti. Questo è un brano tratto da un'intervista a David Card del dicembre 2006: " I've subsequently stayed away from the minimum wage literature for a

number of reasons. First, it cost me a lot of friends. People that I

had known for many years, for instance, some of the ones I met at my

first job at the University of Chicago, became very angry or

disappointed. They thought that in publishing our work we were being

traitors to the cause of economics as a whole". (L'intera intervista può essere letta qui.)

 

Temo che uno dei problemi piu' grandi, e al tempo stesso meno evidenti, che affronteremo in queste settimane siano le affermazioni "ex-cathedra" sullo stato di ricerche quanto meno ancora aperte. In "l'arte di ottenere ragione", Arthur Schopenhauer esponeva 38 "stratagemmi" con cui vincere in un dibattito, a prescindere dal contenuto di verita' delle affermazioni di ciascun contendente. Tra tutti, segnalerei "Persuade the audience, not the opponent " e "Appeal to authority rather than reason". Ma ne suggerirei la lettura completa, garantisco che sara' piu' divertente poi seguire i dibattiti.

Ritengo comunque che sia molto difficile poter uscire da questo stato di cose senza una adeguata alfabetizzazione economica della popolazione. Urge demistificazione, gia', e servono orecchie che sappiano ascoltarla. La sensazione che ho e' che l'economia, intesa nel senso di scienza economica, tenda ancora a non essere riconosciuta come un campo di specializzazione scientifico agli occhi della gente: non troveremo un non-medico che pretende di discutere con un medico sul modo di curare le conseguenze di una infezione con la stessa facilita' con cui troviamo un non-economista intenzionato a far valere la sua su questioni altrettanto tecniche. E certo, entrambi ci possono toccare egualmente da vicino.

 

EFFICIENCY WAGES

Quando facevo il revisore, 25 anni fa, le tre fascie retributive per quelli con 2 anni di esperienza erano 12,0 12,5 o 13,0 milioni (di lire, ovviamente) lordi annui.

Per entrare nella fascia alta (che significava avere 30.000 lire nette in più al mese) ci si scannava (e forse davvero aumentava notevolmente la nostra efficienza), ma eravamo giovani laureati in carriera.

Escluderei effetti simili sui salari minimi.

 

 

Molto interessante questo dibattito che state facendo. La proposta di un salario minimo orario di Boeri e' interessante e senza dubbio meno controversa di un salario minimo mensile. Se qualcuno di voi decide di argomentare su questa proposta del salario minimo orario, ci piacerebbe anche postare la vostra analisi su iMille.

 

... dicevano nel settore delle costruzioni quando ci lavoravo (senza salario minimo). Qui, presi dall'euforia, ne stiamo dicendo di tutti i colori e non si capisce più di cosa si stia discutendo. Sembriamo diventati un blog dove uno arriva, dice quello che gli passa per la mente senza aver neanche letto quello che gli altri hanno scritto, fa la battuta e se ne va senza neanche salutare. Questo non è un blog, questo è nFA. Lo chiamiamo "blog", a volte, solo perché siamo dei burloni e vogliamo confondere il popolo :-)

Proviamo a fermarci un pelino, e proviamo a leggere e ragionare prima di scrivere?

Anzitutto, come l'articolo di Sandro evidenzia, per il momento il PD non ha niente da dire, aria fritta a parte, sui salari, su come farli crescere e tutto il resto. Questo sembra acquisito da tutti, quindi andiamo avanti.

In secondo luogo si scopre che in Italia c'è la disuguaglianza. Molto bene, l'avevamo scoperto da un pezzo (ometto le compiacenti autocitazioni) e quindi non ci sorprendiamo. La domanda che nessuno sembra porsi è A COSA SI DEVE la crescita della disuguaglianza economica in Italia? Prima di dare risposte al volo, definiamola per favore. Stiamo parlando di differenze nei salari dei lavoratori dipendenti? Nei redditi totali? Nei redditi medi su periodi lunghi? Una volta definita, cerchiamo le cause. Io ho opinioni precise su cosa stia causando la non crescita del salario reale (e nominale) nel settore privato, ma sul resto non saprei prendere una chiara posizione. Continuo a ripromettermi di fare il post con Pierangelo, e spero di farlo presto. In ogni caso, non sarebbe male che chi discute di rimedi specificasse (1) a quale disuguaglianza si intende rimediare e (2) cosa l'ha causata.

In terzo luogo, non ho capito in che senso il salario minimo sia una soluzione al problema della disuguaglianza salariale. Anzitutto, definiamo quest'ultima: i salari alti crescono nel tempo più dei salari bassi, quindi le misure di dispersione della distribuzione dei salari crescon pure. Bene, allora il salario minimo può ridurre questa disuguaglianza solo se è "binding" e cresce nel tempo più rapidamente dei salari/redditi medio-alti, cosa che ritengo improbabile possa succedere a meno che qualcuno non abbia in mente il socialismo. Dico sul serio, e cerchiamo di capirci quando usiamo le parole: il salario minimo come antidoto alla crescente dispersione nei livelli salariali, o di reddito, è una burla. Scrivetevi due equazioni da quarta elementare e capite al volo perché.

In quarto luogo, non confondiamo il salario minimo con il reddito minimo garantito. Quest'ultimo, grande e durevole contributo di PotOp allo scemenzaio della sinistra confusa, si dà a tutti in base al fatto che esistono e sono residenti, mentre il primo dipende dal trovarsi un lavoro. Mi rendo conto che il titolo mal scelto - Ah, se i redattori legessero gli articoli prima di scegliere i titoli! - dell'articolo di Boeri ("Mille euro al mese") possa indurre in confusione, ma nell'articolo Tito parla d'altro. Del reddito minimo garantito mi rifiuto di discutere, per davvero. Se qualcuno ne ha voglia, faccia pure ma mi sembra tempo perso. Il reddito minimo garantito stile "stato del benessere generalizzato" è una tale corbelleria elettorale che non vedo proprio come qualcuno possa pensare di argomentare che potrebbe servire a tirare l'Italia fuori dalle secche dove sta. Secche causate dall'esistenza di TROPPI redditi garantiti ad uno o due milioni di protetti che fanno finta di lavorare ed in realtà fanno nulla. Ad ogni modo, di questione diversa dal salario minimo si tratta.

In quinto luogo, per quelli che pensano che la diseguaglianza crescente si risolva, in un posto come l'Italia, redistribuendo il reddito prodotto, forse varrebbe la pena di prendere in considerazione la "negative income tax". Una vecchia idea di quel nemico del popolo di Milton Friedman, sulla quale tutti ora concordano che, quando la si implementa intelligentemente, a qualcosa serve. Non fa miracoli, ma quello che vuole cercare di ottenere - dare incentivi ai meno produttivi di lavorare anche loro e trasferire loro un po' di reddito dei più produttivi a condizione che loro (i meno) si siano sforzati di lavorare - sembra ottenerlo. Leggersi il paper indicato, and references therein.

In sesto luogo, io non ho idea di cosa abbia "in mente" Tito Boeri. Son certo che ha in mente tante cose, come per altro noi tutti - dove ho lasciato le chiavi della macchina? A che ora usciamo a cena stasera? Urca, devo fare le tasse che mancano solo due mesi al 15 aprile, eccetera. Ma io non so le cose che ha in mente finché non le scrive. Per cui mi baso su quanto ha scritto. Quanto ha scritto sul salario minimo è internamente coerente solo se si assume, in una maniera o nell'altra, che l'ipotesi degli EW funziona. Altre volte ha scritto altre cose in tema salari, che con il salario minimo nulla hanno a che fare e che mi sembrano più chiare, oltre che più condivisibili. Ma la proposta fatta su La Stampa e riportata sopra richiede EW per essere coerente con quanto TB afferma che ne possa conseguire.

In settimo, Antonio mi dispiace ma il tuo tentativo di razionalizzare l'argomento con cose strane di datori di lavoro monopsonisti non funziona. Per monopsonista che sia il datore di lavoro (ammazzate l'ipotesi debole e realistica: stiamo parlando di piccole aziende, ristoranti, imprese di pulizia ...) e per quanti profitti faccia il monopsonista "sfruttando" gli immigrati che producono 100 ma vengono pagati 10, se lo forzi a pagarli 20 invece che 10 al più mantiene l'occupazione costante, di certo non l'aumenta. Invece, se ci sono gli EW, gli sfruttati una volta che ricevono 20 si attivano e producono 111, ed il monopsonista aumenta l'occupazione. Ma senza EW, ciccia: anzi, nella misura in cui il monopsonista ha qualche altro posto dove investire il suo capitale, visto che ora il rendimento del suo investimento cala (perché calano i profitti da "sfruttamento") se era contento prima d'investire i suoi soldi in quel business, sarà meno contento dopo. Quindi, qualche monopsonista andrà ad investire i propri soldi altrove - a meno che, davvero tu non abbia il mente il modello super-superfisso in cui c'è un imprenditore, un settore, una sola attività produttiva possibile ed una sola maniera di farla! - e quindi vi sarà una diminuzione dell'occupazione nel settore in cui il salario minimo è stato introdotto. Fine della storia.

Insisto, manteniamo alto il livello del dibattito, per cortesia. Oramai lo sappiamo, il paese è piccolo e la gente mormora ...

 

 

Michele, clicca qui e apri il file Minimum wages, vai a pagina 10 e 11 ;-)

 

P.S.:  io non stavo razionalizzando niente, ti stavo dicendo cosa Tito ha in mente. Lo so perche' feci il suo corso di Labour Economics, a suo tempo. 

 

Michele, nessuno ha in mente EW. LO hai citato solo tu. Questo non vuol dire che hai torto ad argomentare che e' l'unico meccanismo che genera aumento dell'occupazione all'aumentare dei salari. Ma ovviamente richiede licenziamento come punizione per chio non lavora e richiede sforzo non osservabile. E' coerente logicamente ma completamente irrilevante nella pratica del mercato del lavoro in Italia e altrove. Su questo ovviamente sei d'accordo. Allora accordiamoci che non e' di questo che si parla. Vediamo se il modellino che ci ha "regalato" antonio funzione, anche se monopsonio dell'impresa sembra assurdo. E anche qui concordiamo.

Concordiamo anche su qualcos'altro? Guarda le cose che ha mandato pippi (grazie!) interessantissime. Io in tutta questa storia leggo una gran confusione. Si spinge al reddito minimo ma si chiede il salario minimo e comunque si fa una gran confusione tra le due cose; un economista preferisce il secondo, un sociologo il primo, ma la differenza tra i due e' di secondo ordine, sembra che si argomenti. Questo e' grave, secondo me. Secondo punto, salario minimo (anche se solo salario non reddito) + contratto unico (questo a me pare e' la proposta di Tito nell'intervista che ci ha mandato pippi) implica un irrigidimento del mercato del lavoro notevolissimo. Uno puo' anche credere che questa sia cosa buona - io credo sia l'opposto di quello che il mercato del lavoro in Italia abbia bisogno - ma sara' meglio che sia chiaro cosi' che chi lo propone si senta in dovere di argomentare. 

 

"Quest'ultimo, grande e durevole contributo di PotOp allo scemenzaio

della sinistra confusa, si dà a tutti in base al fatto che esistono e

sono residenti, mentre il primo dipende dal trovarsi un lavoro."

Nel paper di Moffit, a pagina 3, il segmento AC è il reddito minimo garantito , dove reddito minimo garantito significa che tutti, anche se non "fanno nulla", guadagnano AC.  Anche Friedman, non solo PotOp, era favorevole al reddito minimo garantito, a quanto pare.  

L'idea innovativa della "negative income tax" ( o nella versione moderna, l'EITC) è che questo  trasferimento non diminuisce 1:1 una volta che si inizia a lavorare (cosa che creerebbe disincentivi ad entrare nel mercato del lavoro per tutti quelli che sceglierebbero, se entrassero, un punto sul segmento AD). 

 

E' chiaro che tutto questo niente ha a che fare con i problemi veri dell'Italia. 

 


l'Unità

15 febbraio 2008

«Il salario minimo va bene, ma andrebbe esteso a tutti»

(intervista a Tito Boeri)

 

 

l'Unità

15 febbraio 2008

«Il vero traguardo? Garantire un reddito se non c'è lavoro»

(intervista a Luciano Gallino)


 

Da questa discussione come dalle altre che l'hanno preceduta, emerge l'unicità di nFA che è sfuggita a FM; sembra di essere in un seminario no stop in un'aula universitaria virtuale, dove insieme a persone di ogni ogni estrazione e cultura vi sono studenti alle prime armi, laureandi, dottorandi, ricercatori, Professori e poi persone speciali come Alberto, Michele, Gianluca, Nicola, Enzo, Antonio, Giorgio, Sandro, ... che con pazienza ci mettono a disposizione il loro sapere. Ognuno esprime il proprio punto di vista: c'è chi scantona, chi precisa, chi fornisce un riferimento bibliografico, chi delle evidenze empiriche, chi riporta la discussione sul seminato. A volte il linguaggio diviene colorito ma a chi non è mai scappata una parola fuori posto alzi la mano. 

 

 

Questo è un estratto di un articolo apparso su TIME Europe un paio di settimane fa:

 

But some of Germany's nervousness may be due to the way globalization is presented to them. In the 1990s, the big political parties urged Germans to knuckle under and absorb tough reforms in order to compete better in the global marketplace. Today they're more inclined to tell voters what they want to hear. The SPD, which suffered a series of electoral losses after its then Chancellor Gerhard Schröder introduced economic reforms in the early 2000s, now stresses its socially sensitive side. The centerpiece of the party's recent campaign was the call for a "decent and fair" nationwide minimum wage. Some SPD MPs have qualms about the proposal, but, as one senior SPD parliamentarian conceded — on condition of anonymity — the party had little choice if it wanted to win back core supporters after asking them to endure years of sacrifice. "You can only push the voters so much," he says. One major catalyst for the shift to the left has been the advent in west German politics of the Left Party, or Die Linke. Though it has become home to dissatisfied former Social Democrats like co-chairman Oskar Lafontaine, the party has its deepest roots in the ruling communist party of the old East Germany, and until now its influence has been largely limited to east German states, where it draws up to 28% of the vote. The party advocates a generous welfare state and the redistribution of wealth; it sharply questions the advantages of globalization and opposes German military involvement in "new imperial wars" such as Afghanistan. The Left Party's ascent, analysts say, has pulled the larger SPD away from its more centrist positions.

 

 Il resto è http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1708114-2,00.html .

Che dite? Vi ricorda nulla?

 

Io non ci vedrei chissa' che nell'emergere della Linke facendo paragoni col caso italiano. In Germania, in seguito a parecchi malumori dell'elettorato, sia il SPD che il CDU si sono spostati a sinistra, con la Merkel in modo piuttosto marcato, visto che al congresso ha parlato tra le altre cose di tetti ai salari dei manager e di salario minimo garantito.

Piu' in generale e' una tendenza europea. anche I conservatori e i liberal democrats britannici hanno politiche che si sono spostate a sinistra, con gli ultimi che - oltre a sostenere l'universita' gratis per tutti -proprio oggi hanno salutato con estremo favore la nazionalizzazione del mortgage lender Northern Rock.