Ogni recessione è associata ad un aumento della disoccupazione. La seguente tabella mostra il tasso di disoccupazione nei cinque più grandi paesi dell'Unione Europea riportato da Eurostat per il primo trimestre 2008 e il primo trimestre 2009.
Tabella 1. Tassi di disoccupazione
Trimestre I, 2008 | Trimestre I, 2009 | |
---|---|---|
Francia | 7.6 | 8.6 |
Germania | 7.6 | 7.5 |
Italia | 6.6 | 6.9* |
Spagna | 9.2 | 16.5 |
UK | 5.1 | 6.3* |
* ultimo dato disponibile, Trimestre IV 2008
Simmetricamente, durante ogni ripresa la disoccupazione si riduce. Tuttavia la velocità della ripresa -- cioé la velocità di ritorno al trend -- dipende dalla velocità con la quale i nuovi posti di lavoro vengono creati ed occupati: l'occupazione tornerà a crescere quando, esaurita la possibile capacità inutilizzata, le imprese vorranno di nuovo assumere e troveranno chi assumere.
La durata della disoccupazione è un buon indicatore della velocità di questo processo: se una persona che oggi diventa disoccupata trova un nuovo lavoro entro tre mesi, questo vuol dire che qualcuno ha creato un posto di lavoro che è stato rapidamente occupato. Se tra un anno questa persona è ancora disoccupata, questo vuol dire che i processi di creazione o occupazione (o entrambi) dei posti di lavoro sono lenti.
Un confronto della durata della disoccupazione tra paesi diversi simultaneamente in recessione permette quindi di speculare, sebbene in maniera imprecisa perché ci sono molti altri fattori da considerare, su dove la ripresa sarà più veloce e dove sarà più lenta.
La seguente tabella riporta l'incidenza della disoccupazione per durata negli stessi cinque paesi considerati sopra. Per ogni paese, la tabella indica la percentuale di disoccupati che trova lavoro entro tre mesi (< 3 mesi) dall'inizio della disoccupazione e la percentuale di disoccupati che impiega invece più di anno (> un anno). I dati provengono dalle statistiche OECD sul mercato del lavoro. Nella tabella li riporto ad intervalli di 5 anni dal 1990 al 2005, più l'ultimo anno disponibile.
Tabella 2. Incidenza della disoccupazione per durata
Paese | Durata | 1990 | 1995 | 2000 | 2005 | 2007 |
---|---|---|---|---|---|---|
Francia | < tre mesi | 24.69 | 17.65 | 20.46 | 22.60 | 24.65 |
> un anno | 38.08 | 42.46 | 42.56 | 41.39 | 40.36 | |
Germania | < tre mesi | 18.27 | 18.19 | 17.64 | 15.57 | 16.47 |
> un anno | 46.76 | 48.67 | 51.48 | 54.06 | 56.63 | |
Italia | < tre mesi | 3.91 | 7.29 | 11.10 | 19.07 | 19.78 |
> un anno | 69.82 | 63.56 | 61.30 | 52.16 | 49.91 | |
Spagna | < tre mesi | 16.94 | 14.95 | 19.62 | 35.43 | 40.26 |
> un anno | 54.00 | 57.05 | 47.58 | 32.55 | 27.62 | |
UK | < tre mesi | 66.49 | 67.64 | 63.08 | 49.89 | 43.69 |
> un anno | 15.88 | 17.20 | 15.23 | 15.83 | 16.80 |
La tabella mostra che nel 2007 in Italia solo un quinto dei disoccupati impiegava meno di tre mesi a trovare un lavoro, con la metà del totale che impiegava oltre un anno. Solo in Germania la velocità di uscita dalla disocupazione era più bassa. Naturalmente questi numeri vanno presi con cautela, perché possono cambiare rapidamente con le condizioni economiche e non sappiamo (io almeno non so) quanto la variazione da cinque anni prima rifletta cambiamenti nella struttura del mercato del lavoro o semplicemente il ciclo economico. La mia opinione è che riflettono soprattutto la struttura del mercato del lavoro. Ad esempio, la drastica riduzione dell'incidenza della disoccupazione oltre l'anno in Italia dal 2000 al 2005 (quasi 10 punti percentuali) è probabilmente dovuta alla diffusione dei contratti che vengono comunemente chiamati precari. Questi potrebbero aver ridotto l'incidenza di una particolare forma di precariato, cioé il restare disoccupati per più di un anno. Stessa cosa per l'eccezionale performance della Spagna, dove come in Italia si è creato negli ultimi 10 anni un mercato del lavoro duale (parte dell'occupazione è iper-protetta e parte è altamente flessibile). Qui però, a differenza dell'Italia, una prolungata espansione ha plausibilmente contribuito alla forte riduzione della durata della disoccupazione.
Questi dati suggeriscono quindi la mia prima congettura, basata sull'osservazione che il processo di creazione e occupazione dei posti di lavoro in Italia è più lento che altrove.
Congettura 1. l'Italia non uscirà dalla recessione prima degli altri più popolosi paesi europei, eccetto forse la Germania.
Prima o poi tutti si riprenderanno, naturalmente. Siamo usciti dalla grande depressione degli anni '30, volete che non usciamo da questa? A quel punto tutti si risveglieranno dall'incubo e saranno di nuovo sul trend. Anche l'Italia, con la differenza che noi saremo gli unici ad essere dentro un altro incubo. La figura sotto mostra la stima del trend (per i tecnici: HP su serie annuale Eurostat con smoothing di 6.25) del prodotto interno lordo reale pro-capite negli stessi cinque paesi. Questo può essere ragionevolmente interpretato come un indicatore dell'andamento di lungo periodo del tenore di vita di una popolazione.
Figura 1. Trend del PIL reale pro-capite, scala logaritmica
La traiettoria dell'Italia è davvero sconfortante, perché il trend non dà segnali di vita dall'inizio del decennio. In altre parole, siamo gli unici tra i più popolosi paesi europei ad essere, forse, all'inizio di una stagnazione di lungo periodo: se per dieci anni la crescita reale pro-capite è zero o quasi c'è qualcosa di molto profondo che non va.
Questo suggerisce la mia seconda congettura.
Congettura 2. Dopo che sarà uscita dalla recessione, l'Italia sarà l'unico grande paese europeo ancora in stagnazione e quindi in declino relativo.
In Argentina il trend del PIL reale pro-capite si appiattì alla fine degli anni 60 e ancora non credo si sia ripreso, con un default nel frattempo. Tutto è possibile, e spesso anche probabile. Il problema che un governo serio, quando ne avremo uno, dovrà affrontare è come creare le condizioni per tornare a crescere ed evitare altri dieci anni di encefalogramma piatto.
Scusa Giulio, tu pensi che il problema è sulle "regole" di accesso al mercato del lavoro, e quindi sarebbe necessaria l'ennesima riforma, o è strutturale, ovvero manca sia una qualità nell'offerta di lavoro tale da far crescere quel dato del PIL pro-capite, sia una offerta di lavoratori qualificati ? (pongo alla base della mia domanda il corollario che le imprese espellano, in tempi di crisi, prima i lavoratori meno qualificati o meno produttivi).
O sei proprio pessimista: facciamo talmente pena in tanti settori che il dato sul mercato del lavoro è indice di un paese senza futuro ?
Domanda molto interessante, Marco. La letteratura sulla durata della disoccupazione e' vastissima (vedi google scholar) e sappiamo che sono molte le possibili cause del fenomeno, sia dal lato dell'offerta sia da quello della domanda di lavoro.
Dal lato dell'offerta la teoria (search theory) suggerisce che differenze in variabili come la durata e l'ammontare dei sussidi/assicurazione di disoccupazione sono candidati naturali per spiegare le differenze nella durata della disoccupazione. L'evidenza empirica conferma questa predizione, vedi qui per esempio. In generale, minore e' la differenza tra quello che si puo' guadagnare lavorando e non lavorando maggiore sara' la durata della disoccupazione. Quindi altre variabili potenzialmente importanti sono i livelli di tassazione del lavoro (di cui stiamo discutendo in altro post) e la struttura familiare (posso prendermela comoda se genitori o parenti mi mantengono), ad esempio. Importante e' anche il grado di mobilita' geografica del lavoro e dei posti di lavoro (se i disoccupati sono al sud e i posti di lavoro al nord e nessuno si sposta verso l'altro, la disoccupazione durera' piu' a lungo). Potrebbe anche essere, come suggerisci, che la qualita' di un lavoratore disoccupato si deteriori piu' rapidamente in certi paesi che in altri.
Dal lato della domanda e' indubbiamente importante, come suggerisco nel post, la regolamentazione del rapporto di lavoro. La possibilita' di utilizzare contratti flessibili (cioe' di assumere e licenziare con relativa facilita') favorisce la creazione di posti di lavoro e quindi, a parita' di altre condizioni, riduce la durata della disoccupazione.
E sto sicuramente tralasciando molti altre spiegazioni, inclusa l'efficienza del sistema di intermediazione per l'incontro di domanda e offerta.
A me non sembra che la congettura segua logicamente dai dati che mostri, anzi, si potrebbe argomentare esattamente il contrario. E' evidente che la riforma del mercato del lavoro abbia abbattuto in modo sostanziale la disoccupazione di lungo termine, che e' passata da oltre il 60% del 2000 a meno del 50% del 2007. Bisogna vedere quali sono i posti di lavoro che vengono distrutti al momento, in recessione. Io scommetterei che sono i lavori a contratto, seplicemente perche' e' meno costoso disrtuggerli. Se cio' e' vero allora, nell'ottica di un mercato del lavoro duale, le percentuali del 2008/2009 potrebbero essere anche piu' favorevoli al lavoro a termine, ovvero ci potrebbe essere ancora piu' dinamicita' nel mercato del lavoro. Sarei veramente curioso di vedere questi dati se ci sono. In sostanza, potrebbe essere vero che la parte dell'economia che ora risente di piu' della crisi possa anche essere quella parte "meno regolata" e che quindi potra' aggiustarsi ad una nuova dinamica di ripresa piu' in fretta.
Sono pero' d'accordo sulla visione pessimistica di lungo periodo. E' indubbio che l'Italia abbia avuto una non crescita negli ultimi anni, e non c'e' nulla che ci possa fare pensare che una volta che la ripresa c'e' non si riposizioni su quel trend.