Un pensiero profondo profondo sui dico

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La Chiesa sta prendendo molto a cuore la questione delle unioni omosessuali e degli annessi e connessi. Alcune riflessioni dal punto di vista di chi non crede che le ragioni della Chiesa siano tali perche' rivelate. Possiamo essere favorevoli a lasciare alla Chiesa il governo del sistema di valori del paese?

Monsignor Bagnasco, arcivescovo di Genova e

presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI) ha recentemente preso una posizione sulla

proposta di legge sui diritti e la famiglia agli omosessuali che a me par

logica e coerente:

 

«Quando si perde la concezione corretta autotrascendente

della persona umana, non vi è più un criterio per valutare il bene e il male. Quando

il criterio dominante è l'opinione pubblica o le maggioranze vestite di

democrazia - che possono diventare antidemocratiche o violente - allora è

difficile dire dei "no.»

 

E poi

continua:

 

«Perché quindi dire no a varie forme di convivenza stabile

giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure

alternative alla famiglia?», si domanda il prelato riferendosi ai Dico. «Perché dire di no all'incesto, come in

Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si

vogliono bene?. Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà

che si incontrano? Bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso

comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali. Oggi ci scandalizziamo,

ma se viene a cadere il criterio dell'etica che riguarda la natura umana, che è

anzitutto un dato di natura e non di cultura, è difficile dire no. Se il

criterio sommo del bene e del male è la libertà di ciascuno, come

autodeterminazione, come scelta, allora se uno, due o più sono consenzienti,

fanno quello che vogliono perché non esiste più un criterio oggettivo sul piano

morale e questo criterio riguarda non più l'uomo nella sua libertà di scelta,

ma nel suo dato di natura».

 

Io leggo la logica di queste

frasi cosi'. Premessa: Questioni etiche importanti non possono essere discusse

frequentemente e da tutti. Implicazione

logica: Per questo ci sono figure di grande statura morale che sono preposte a

governare i processi di modificazione dei valori e a frenarli quando si

dia il caso. Considerazione fattuale: In Italia la figura di grande statura morale di riferimento e' la Chiesa Cattolica, e il Papa che la rappresenta.

(Leggo nella frase di Mons. Bagnasco anche una

profonda sfiducia nella natura umana in quel "quando si perde la concezione

corretta autotrascendente della persona umana"

e nel giudizio incidentale sui processi democratici, in quel "le

maggioranze vestite di democrazia - che possono diventare antidemocratiche o

violente" - peraltro completamente fuori-tema e arbitrario. Ma lasciamo

perdere.)

Sono d'accordo

completamente con la premessa. I sistemi etici di valori di una societa' sono

oggetti delicati: i) si formano in modo complesso, dipendente da natura,

cultura, ideologia, interazione sociale, e ii) possono stare alla base

della decadenza - la decadenza di

civilta' e societa' intendo (non la decadenza morale personale), quella

decadenza di cui parlano J. Diamond o Putnam; hanno forse, chissa', contribuito alla caduta

dell'impero romano e dell'impero ottomano. Il riferimento di Mons. Bagnasco

alla pedofilia mi par appropriato: i sistemi di valori possono cambiare,

comportamenti che a noi paiono orribili (la pedofilia) possono diventare

facilmente accettabili, cosi'come comportamenti che apparivano orribili ai

nostri nonni e a i nosti padri (l'omosessualita') a noi paiono acettabili. La

connessione tra omosessulaita' e pedofilia nel ragionamento logico del Mons.

Bagnasco sta tutto qui, e non fa una piega. (La cagnara generata da queste

affermazioni, di cui si parla in questi giorni sui giornali, e' appunto questo, una cagnara.

Certo, se invece di pedofilia si fosse parlato di cannibalismo sarebbe forse stato

meglio; in modo da evitare la possibile velata indicazione che omosessualita' e

pedofilia siano comportamenti in qualche modo legati, correlati).

Sono anche

d'accordo con l'implicazione logica. Figure di grande statura morale hanno la

funzione di governare il processo di modificazione dei valori. In generale

tendono a rallentarlo. E anche questo e' bene. E' bene perche' in generale i valori si trasformano

in principi morali che costa seguire, costa molto; e quindi i processi di modificazione dei valori spesso

corrispondono ad annacquamento dei valori stesso, e questo porta alla decadenza delle

civilta' di cui parlavamo. Ogni tanto pero' non e'cosi', e la modificazione dei valori e' per il

meglio, e questo e' quello che le figure di grande statura morale stanno a fare,

distinguire il grano dal loglio, le modificazioni buone da quelle cattive. Noi

poveri mortali non lo possiamo fare, che sono i nostri i valori che stanno

cambiando e non abbiamo un sistema di valori per giudicare i valori.

Ma e' sulla

considerazione fattuale che casca l'asino. O almeno in parte. Non c'e' dubbio

che una larga parte della popolazione italiana veda nella Chiesa Cattolica la

figura morale di cui stiamo parlando. Ma questo avviene sempre meno. Molti

cattolici rifiutano i comportamenti richiesti dalla Chiesa come manifestazione

dell'accettazione dei principi morali cattolici: dal sesso prima del

matrimonio, all'uso del preservativo,

all'omosessualita'.

Ma dal mio punto di

vista la questione e' un'altra. Pur non essendo religioso, io sono disposto in

principio e per tradizione culturale a considerare la Chiesa come figura morale

di riferimento. Ma non essendo religioso, non posso esimermi dal guardare

razionalmente alla questione: Posso essere favorevole a lasciare alla Chiesa il

governo del sistema di valori del paese? Come fare questa analisi in modo razionale? Provo ad abbozzare delle considerazioni il

piu' possibile sistematiche.

Prima di tutto

occorre guardare alle Scritture. Nelle Scritture sono depositati i principi

morali fondamentali cui la Chiesa si attiene da 20 secoli. Poi occorre guardare

alla struttura organizzativa della

Chiesa che determina l'interpretazione delle Scritture, qualora interpretazione sia necessaria. E infine occorre guardare alla serie storica

delle posizioni morali assunte dalla Chiesa nei secoli; stando attenti a non

giudicarle troppo con valori morali correnti.

Vado per ordine. Senza

voler essere blasfemo e neanche irrispettoso, e soprattutto senza vantare una conoscenza delle Scritture superiore a quella del comune catechismo da Prima Comunione, a me pare che esse

contengano essenzialmente tutto e il contrario di tutto, nel senso che i

pricipi morali che contengono possono essere interpretati in modi liberamente

opposti in molti casi. La storia

della Chiesa mi pare la storia di

posizioni dottrinali delle gerarchie ecclesiastiche basate sulle Scritture, cui minoranze

religiose hanno opposto "il vero Cristo:" dalla canonizzazione dei Vangeli al

Protestantesimo. Beh, forse dire che le Scritture contengono "tutto e il contrario di tutto" e' ingeneroso, ma

credo che anche un cattolico ammettera' almeno che "tutto" e' stato giustificato in

nome delle Scritture.

La struttura

organizzativa della Chiesa diventa quindi fondamentale. Essa determina quali

interpretazioni delle Scritture sono utilizzate per governare le modificazioni

dei valori e i principi morali fondamentali. Non ci ho pensato molto, ma a me

pare che la struttura della Chiesa sia disegnata molto efficientemente come un

meccanismo di aggregazione delle preferenze e dei valori, a partire dalla Confessione. Attraverso il sacramento della

Confessione la Chiesa ha il polso di cosa pensano e di come si comportano i

cattolici, in tempo reale. (Avevo letto un libro interessantissimo di storia su

un tentativo di archiviazione e catalogazione dei peccati esposti in Confessione nella Milano medievale; purtroppo non

riesco a trovarlo e quindi a citarlo). La struttura gerarchica centrale della

Chiesa, come tutte le strutture organizzative di grandi dimensioni, ha pero' il difetto di avere tendenze ad autoperpetuare

i propri privilegi; dai begli affreschi alle pareti allo status giuridico e fiscale all'interno della Repubblica Italiana.

Nulla di grave, nell'ottica dei grandi movimenti morali in cui ci stiamo

ponendo, ma e' interessante capire se queste tendenze abbiano avuto

storicamente un effetto negativo sulle posizioni morali via via sostenute dalla

gerarchia.

Ed eccoci quindi alle

serie storica delle posizioni morali della Chiesa. Io qui, onestamente, vedo una serie di posizioni insostenibili. Sempre

dalla parte dei ricchi e dei potenti, nessuna comprensione dei grandi movimenti

epocali, dalla Rivoluzione Industriale a quella Francese, dalla rivoluzione

scientifica al protestantesimo. Nessuna comprensione dei movimenti di massa, negli ultimi due secoli come precedentemente.

Vedo non solo tentativi di frenare l'evoluzione morale ma anche posizione conservatrici in politica,

economica, e in ogni questione sociale, sulla base di

principi morali superati e insostenibili. Principi che poi la Chiesa

stessa ha lasciato cadere per garantire

la propria sopravvivenza, dal prestito ad interesse alla centralita' della

terra nel sistema solare, alla inferiorita' della donna.

Guardiamo

all'ultimo secolo. La Chiesa ha capito prima di altri il fallimento del

Comunismo. Indiscutibile! E ha addirittura contribuito intelligentemente alla

sua caduta. Ma a me pare che questa fosse posizione politica facile oltre che

posizione di guida morale: l'ideologia comunista, in teoria e in pratica, attacca la religione a

testa bassa; la Chiesa non ha avuto altra posizione possibile che non quella di

contrastare il comunismo con la propria forza politica e morale. Se Stalin

avesse cercato un compromesso politico con la Chiesa, che risposta avrebbe

avuto?

Non lo so, che risposta avrebbe avuto Stalin; ma

so che risposta la Chiesa ha dato all'implicito

compromesso richiesto dai Nazisti.

Questo per me e' l'elemento determinante nell'analisi della Chiesa come figura

morale. Papa Pio XII, come e' noto, non ha mai preso posizione contro il regime

nazista. (Secondo alcuni lo ha favorito, per anti-semitismo, per

anti-comunismo, e per interesse personale - della Chiesa stessa intendo. Ma

prendiamo posizione cauta qui, lasciamo perdere queste "illazioni".) Oggi si

dice, lo ha detto lo stesso Papa Giovanni Paolo II, che la posizione di Pio XII

e' stata motivata dal desiderio di non mettere in pericolo la vita dei cattolici in Germania e altrove nello

spazio di controllo del regime nazista. Questa e' una posizione politicamente

forse anche saggia, ma non e' questo la funzione della massima autorita' morale

dell'occidente. Dalla Chiesa, massima autorita' morale dell'occidente, ci saremmo dovuti aspettare alte posizioni

morali, non sagge posizioni politiche. Gli americani e i russi, per quanto

anch'essi motivati da interessi politici, hanno assunto posizioni etiche molto

piu' elevate di quelle della Chiesa. (Mi ha sempre fatto effetto la

giustificazione squisitamente politica e non etica di Giovanni Paolo II; mi

pare un enorme autogoal).

Qui sta il punto

secondo me. Detto semplicimente: niente posizione contro i Nazisti, nessun

credito alle posizioni morali della Chiesa contro i Dico e/o il matrimonio

omosessuale (e nemmeno contro la pedofilia) o quant'altro. Per me, gli strilli

del Papa e di Mons. Bagnasco sui Dico sono acqua fresca; sono irrilevanti perche' provengono da un pulpito

senza alcuna reputazione morale.

Papa Giovanni Paolo II ha chiesto scusa, da parte della Chiesa, per

molti dei suoi errori, dalla Santa Inquisizione a Galileo. Ma non si e' mai

chiesto (a quanto mi e' dato sapere) il perche' tali errori. Forse la struttura

organizzativa, nonostante la grande funzione della Confessione, non e' cosi'

efficiente dopo tutto. La reputazione si riforma, dopo tutto abbiamo in mente

tempi lunghi. Tra mille anni vedremo, per ora nessun credito morale a questa

Chiesa da parte mia almeno.

 

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Commenti

Ci sono 19 commenti

Mi rendo conto che, probabilmente, si arriva alle stesse conclusioni, però la tua interpretazione del discorso in questione mi lascia perplesso.

A me sembra che la logica del signor Bagnasco sia la seguente.

1) Esiste un'etica naturale che precede e deve fondare qualsiasi etica razionale.

2) L'etica naturale è quella giusta, si rivela in natura ed è il prodotto dell'entità superiore che tutto ha creato secondo i suoi disegni.

3) La chiesa cattolica romana è l'interprete ufficiale di tale entità superiore, il capo della medesima chiesa essendo infatti il vicario in terra del "figlio/componente di 1/3" dell'entità superiore ed i vescovi come me [Bagnasco] i suoi rappresentanti. Cosa quindi sia o non sia la morale naturale noi lo sappiamo, gli altri non necessariamente e probabilmente no.

4) Quindi, fedele gregge di fedeli, zitti e mosca: fate su questioni etiche quello che diciamo noi che la verità naturale ce l'abbiamo in tasca perchè fa parte del nostro contratto di lavoro. Come ce l'aveva in tasca, la corretta interpretazione della morale naturale, il signor Alejandro Borjas un po' di secoli fa: infatti d'incesti e pedofilia alquanto s'intendeva.

 

 

Beh, qualunque cosa dica un vescovo puo' sempre essere interpretata nel senso di "ho ragione perche' io parlo in nome di (mi e' stato rivelato da)  chi ha sempre ragione per definizione," sono d'accordo con te. La mia interpretazione/lettura delle parole di Mons. Bagnasco e' volutamente piu' favorevole, a costo di fargli forza. Dopo tutto ha provato a giustificare le sue argomentazioni, con il riferimento, un po' sfortunato alla pedofilia e all'incesto. E' stato questo riferimento che mi ha intrigato  perche' mi pare che suggerisca che ci ha provato davvero a evitare l'argomento "ragione per rivelazione".

 

 

La Chiesa ha capito prima di altri il fallimento del

Comunismo. Indiscutibile!

 

Mah, non lo so. La Chiesa, in realta', ha contrastato fin dall'inizio i partiti comunisti perche' li vedeva come concorrenti che avevano adottato il suo stesso business model: oligarchie cooptative armate di un proclamato monopolio sulla distinzione tra bene e male. Se i secondi sono finiti nella pattumiera della storia e la Chiesa e' ancora pimpante dipende essenzialmente dalla diversa falsificabilita' (in senso popperiano) delle rispettive escatologie: l'aldila' ha una cortina di ferro assai impenetrabile, dalla quale ancora nessuno e' tornato a riferire...

D'altra parte, la Chiesa rimane vulnerabile alla disintermediazione (e lo e' stata almeno dal periodo in cui Gutenberg ha reso possibili canali alternativi di distribuzione delle Sacre Scritture), e da qui i continui attacchi alla "morale fai-da-te". Per fortuna, non ha a piu' disposizione la forza della legge dello stato: altri intermediari oligopolisti meglio ammanicati si sono fatti varare leggisu

misura nel tentativo di salvarsi dall'estinzione.

Pero' devo dire che la cosa che mi irrita non sono tanto i pronunciamenti della Chiesa, che dopotutto esercita il suo sacrosanto diritto alla liberta' di parola (e come giustamente dice Penn Jillette, "if you are offended by coarse language, get away from it"), quanto lo spazio che ad essi danno media che si dichiarano laici. Ma e' mai possibile che in Italia ogni esternazione ecclesiale debba sempre risultare in titoli a nove colonne? Ma a chi interessa 'sta roba? Sicuramente non alla vasta maggioranza dei cattolici, visto che essi sembrano abbastanza maturi da ignorare le minacce di fuoco eterno in materie come controllo delle nascite o referendum su divorzio e aborto. Non sara' invece che in certi quartieri ancora persiste il sogno del Compromesso Storico, e una sana ortogonalita' tra politica e religione e' vista come ostacolo al famoso "dialogo con i cattolici" di berlingueriana memoria?

 

Scusate la lunghezza ma, a proposito di "criterio dell'etica che riguarda la natura umana" che, per Bagnasco, "è anzitutto un dato di natura e non di cultura", a me pare assai piu' convincente il ragionamento di Gustavo Zagrebelsky ("la Repubblica", 4 aprile 2007) che innanzitutto si chiede "che cosa è la "natura" alla quale ci appelliamo?" dimostrando che "Il diritto naturale non è affatto il terreno del consenso che abbraccia l´umanità intera in nome di una giustizia universalmente riconosciuta. Al contrario, è il terreno dei più radicali conflitti":

Forse, la struttura mentale originaria, che condiziona il rapporto tra noi e il mondo, è la contrapposizione tra ciò che è naturale e sta fuori di noi, e ciò che è artificiale e procede da dentro di noi. La filosofia, con la sua presunzione, ha distrutto la possibilità di ragionare così semplicemente. Ma più della filosofia, è il tempo attuale, il tempo in cui perfino la "natura" dell´essere umano può essere il prodotto del suo "artificio" - potenza della genetica - ; il tempo in cui il dentro e il fuori di noi, il soggetto e l´oggetto che siamo diventati si confondono, a rendere vana quella distinzione. Ciò non di meno, continuiamo a ragionare così: anzi, ci aggrappiamo ancor di più a quella distinzione, come a un´assicurazione. Forse, ne abbiamo un bisogno "naturale", per non cadere preda della vertigine di un soggetto che, al tempo stesso, è oggetto di sé stesso; un soggetto avvolto e sprofondato così in un circolo vizioso esistenziale. Il pensiero religioso vede in ciò la bestemmia dell´uomo che vuole farsi Dio, cioè imitare l´unico che, secondo un´interpretazione del libro dell´Esodo (3, 1-6), può dire di "essere colui che è" in forza solo della sua potenza.


Non stupisce dunque affatto che proprio quando è diventato insostenibile, il binomio natura-artificio sia stato riscoperto, per trovare in esso la norma delle azioni umane, una norma che assegna al naturale il primato sull´artificiale, sinonimo di inganno, abuso, adulterazione.


Nel campo della giustizia, la contrapposizione si traduce nella tensione tra diritto di natura e diritto positivo, cioè legislazione. La giustizia nella polis è di due specie – diceva già Aristotele –, quella naturale e quella legale; la giustizia naturale vale dovunque allo stesso modo e non dipende dal fatto che sia riconosciuta o no. La giustizia legale, invece, è quella che riguarda ciò che, in origine, è indifferente e può variare secondo i luoghi e i tempi.


La storia del "diritto naturale" è fatta di corsi e ricorsi. Per lunghi periodi può essere dato per morto. Nei decenni passati, quasi nessuno ci pensava più. Ma questo è un momento di rinascita: quando la legge fatta dagli uomini secondo le loro mutevoli convenzioni appare ingiusta, le si contrappone la legge obbiettiva della natura, che nessuno può alterare.


Così si fa da parte della Chiesa cattolica, per opporsi ai cambiamenti in tema di unioni tra persone, eutanasia, sperimentazione scientifica, genetica, ecc.; e per ritornare all´antico, in tema di famiglia, contraccezione, aborto, ecc. In questo modo, essa viene a proporsi come grande rassicuratrice che dispensa certezze etiche, in un mondo – si dice – moralmente sfibrato dal famigerato "relativismo", sinonimo di puro edonismo, scetticismo antirazionalista, nascosto sotto i panni accattivanti della tolleranza.


Il diritto naturale è indubbiamente una risorsa che appaga il bisogno di sicurezza. Di fronte a veri o presunti arbitrii e, perfino, ai veri e propri delitti compiuti con l´avallo della legge fatta dagli uomini, che cosa è più rassicurante di una legge obbiettiva, sempre uguale e valida per tutti, la legge della natura appunto, che gli uomini non possono alterare e corrompere a loro piacimento?


Sennonché, qui incominciano le difficoltà. Il diritto naturale non è affatto il terreno del consenso che abbraccia l´umanità intera in nome di una giustizia universalmente riconosciuta. Al contrario, è il terreno dei più radicali conflitti. Innanzitutto, che cosa è la "natura" alla quale ci appelliamo? Se ci volgiamo al passato, vediamo una grande confusione. Per qualcuno, i cristiani ad esempio, è opera di Dio; ma per altri, gli gnostici, è opera del demonio. I primi ameranno la natura, come Dio ha amato il creato (Gen 1, 31: "E Dio vide che era cosa buona, molto") e trarranno la convinzione di dover rispettarla così com´è; i secondi la odieranno come cosa corrotta e faranno di tutto per non farsi prendere dalla sua bassezza. Indipendentemente da Dio e dal demonio, poi, per alcuni la natura è madre benefica e per altri, matrigna malefica. La visione dell´illuminismo protoromantico era quella dell´armonia della vita naturale, guastata dalla civiltà, ma Giacomo Leopardi nutriva ogni genere di disperazione verso quella che "per costume e per istinto è carnefice impassibile e indifferente della sua propria famiglia, de´ suoi figliuoli e, per così dire, del suo sangue". "È funesto a chi nasce il dì natale", canta alla luna il pastore errante dell´Asia: e chi, nella sua vita, non ha mai pensato così?


Che cosa, poi, vediamo dentro il diritto naturale? Alcuni, come gli stoici, il regno dell´uguaglianza e della dignità umana. I Padri della Chiesa svilupparono questa visione nell´idea di uguaglianza e fratellanza dei figli di Dio (non senza limitarla, però, ai soli credenti in Cristo). D´altra parte, Aristotele considerava la schiavitù conforme alla natura. Per i sofisti Gorgia e Trasimaco, secondo Platone, "la natura vuole padroni e servi", la giustizia naturale essendo "l´utile del più forte". Spencer, il filosofo del cosiddetto darwinismo sociale, era sulla stessa linea, quando affermava che solo la natura assicura i necessari ricambi. Se lo Stato interviene a favore dei bisognosi e degli ignoranti, con ospedali e scuole, fa solo sopravvivere – a danno della collettività che li deve poi mantenere – i soggetti più deboli della razza umana", i "parassiti". Questa idea, applicata non agli uomini ma alle razze, ha permesso perfino di affermare che i razzisti sono i veri difensori del diritto naturale.


Sono esempi raccolti a caso. Mostrano con evidenza che non esiste una natura da tutti riconoscibile. Si può parlare di natura, e quindi di legge naturale, solo dall´interno di un sistema di pensiero, di una visione del mondo, ma i sistemi e le visioni appartengono alle culture, non alla natura. Possono perciò essere differenti, spesso antitetici. Si discute, in questi tempi, di eutanasia. Il papa Benedetto XVI ripete instancabilmente la sua convinzione: "Nessuna legge può sovvertire la norma del Creatore senza rendere precario il futuro della società con leggi in netto contrasto col diritto naturale. Dalla natura derivano principi che regolano il giudizio etico rispetto alla vita da rispettare dal momento del concepimento alla sua fine naturale"´ (12. 2. 2007). La "Esortazione apostolica" Sacramentum Caritatis del 15 marzo, ribadendo la "Nota" della Cei del 28 marzo, richiama ulteriormente il valore vincolante della "natura umana": insomma, un martellamento. Ma, leggiamo che cosa diceva un opuscolo nazista del 1940, dal titolo Du und dein Volk ("Tu e il tuo popolo"), in tema di "eliminazione dei malriusciti" e delle "razze decadenti": «Dovunque la natura sia rispettata, le creature che non possono competere con i più forti sono eliminate dal flusso della vita. Nella lotta per l´esistenza questi individui sono distrutti e non possono riprodursi. Questa è chiamata selezione naturale […] Nel caso degli esseri umani, il completo rifiuto della selezione ha condotto a risultati indesiderabili ed inaspettati. Un chiaro esempio è l´incremento delle malattie genetiche. In Germania, nel 1930, c´erano circa 150.000 persone in istituti psichiatrici e circa 70.000 criminali in carceri e prigioni. Essi erano, tuttavia, solo una piccola parte del numero reale di handicappati. Il loro numero è stimato in oltre mezzo milione. Essi richiedono un´enorme spesa da parte della società», che si traduce in danno per la parte sana, tanto più perché li si lascia liberi di riprodursi. "La carità diventa una piaga", concludeva quel testo, ispirato alla natura.


Noi leggiamo con orrore queste parole, ma non in nome della natura tradita; in nome invece della cultura, della civiltà, dell´umanità o della religione: tutte cose che non hanno a che vedere con la natura, intesa nella sua dura realtà; appartengono al campo della libertà, non a quello della necessità. Che sia così, che la natura possa essere apprezzata solo dal punto di vista di qualche visione del mondo e non dal punto di vista di una pretesa essenza meramente esistenziale dell´essere umano, è riconosciuto nella relazione che il teologo della Casa pontificia, Wojciech Giertych, ha recentemente tenuto (12 febbraio di quest´anno) al Congresso internazionale sul diritto naturale promosso dall´Università del Papa, l´Università lateranense. In un passo finale, si riconosce che la natura umana non è un concetto biologico o sociologico bensì, con Tommaso d´Aquino, teologico. Che cosa è l´essere umano dovrebbe comprendersi considerando il suo rapporto con Dio. I precetti fondamentali del diritto naturale sarebbero percepibili solo per mezzo di un´intuizione metafisica delle finalità dell´esistenza, un´intuizione di fede : "La realizzazione pratica dell´ethos del diritto naturale non è possibile senza la vita della grazia". Fides et gratia, dunque, come presupposto per il discorso cristiano sulla natura: che cosa c´è di più "innaturale" di questa visione della natura, dal punto di vista di chi – legittimamente, si presume ancora – non è credente?


Ecco, come la natura può diventare una maschera della sopraffazione: chi è privo di fede e grazia sarà considerato un errante, un reprobo, un contro-natura o, nella migliore delle ipotesi, uno da convertire con l´aiuto di Dio misericordioso; in ogni caso, non uno al quale si possa riconoscere un valore da prendere in considerazione. Al più, povero lui, per il suo bene gli si potrà proporre, cieco com´è di fronte all´autentica natura umana, la peregrina e umiliante idea di fidarsi, di essere e agire (secondo le parole del papa Benedetto XVI) veluti si Deus daretur, come se Dio esistesse, cioè, più precisamente, secondo ciò che la Chiesa stessa dice di Dio. Senza però – lo si è visto – che ne sia davvero capace, privo come è di grazia e fede.


Non c´è nulla di meno produttivo e di più pericoloso che collocare così i drammatici problemi dell´esistenza nel nostro tempo sul terreno della natura. Un grande giurista del secolo scorso, cattolico per giunta, ha scritto che evocare il diritto naturale nelle nostre società, dove convivono valori, concezioni della vita e del bene comune diverse, significa lanciare un grido di guerra civile. Aveva ragione. Non siamo a questo, ma non ci siamo molto distanti quando, come di recente, si incita a disobbedire alle leggi non solo i cittadini, non solo categorie di esercenti funzioni pubbliche (medici, paramedici, farmacisti) ma addirittura i giudici, cioè proprio i garanti della convivenza civile sotto il diritto. Questo incitamento, per quanto nobili a taluno possano sembrarne le motivazioni, è sovversivo; è espressione della pretesa di chi ha l´ardire di porsi unilateralmente al di sopra delle leggi e della Costituzione. La democrazia è sempre aperta alla ridefinizione delle regole della convivenza, ma concede questo potere a tutti, e quindi a nessuno in particolare e unilateralmente.


La rinascita del diritto naturale corrisponde a un´esigenza sulla quale molti, credenti e non credenti, possono concordare con facilità: che non tutto ciò che è materialmente possibile sia anche moralmente lecito. La tecnologia, alimentata da economia e concorrenza, è come travolta dalla sua stessa potenza, e questa potenza pare diventare il fine supremo. A sua volta, ciò che noi chiamiamo globalizzazione, cioè quella superficie tutta liscia su cui tecnologia ed economia scorrono senza incontrare ostacoli, ha bisogno di assopimento delle coscienze, di nichilismo e conformismo, affinché la sola logica del mercato possa affermarsi. Ma non è la natura, l´ancora di salvezza di cui abbiamo bisogno. Essa è una risposta falsa, ingannatrice e aggressiva al tempo stesso, che divide pretestuosamente il campo degli uomini di buona volontà, che avrebbero invece molto da ragionare insieme nella ricerca di ciò che è buono e giusto. Proprio in questa ricerca, se mai, consiste la natura umana. La legge naturale che ne deriva è che gli esseri umani non possono sfuggire al dovere di agire nel mondo con responsabilità e secondo la libertà che è loro propria: una legge dalla quale la Chiesa sembra allontanarsi vistosamente, quando ripropone vecchie visioni della natura che sollevano sì dalla responsabilità, ma accentuano il potere a scapito della libertà.


 

 

Una delle caratteristiche bizzarre delle discussioni sui matrimoni omosessuali e' la perturbante ignoranza, mostrata sia dalla masse che dai predicatori dei pulpiti.

La legge di natura, invocata dai gerarchi ecclesiastici non e' una legge di natura.

Si puo' infrangerla in ogni momento, non e' universale, etc. etc. etc.

E' il *nome* di una dottrina etica il cui contenuto e' oscuro (in prima approssimazione corrisponde alle leggi noachide) e non si sa bene ad esempio se sia "naturale" in questo bizzarro senso del termine essere monarchici o repubblicani, pacifisti o interventisti, etc. etc. etc.

 

Dal punto di vista della morale sessuale, se tale esiste (molti sostengono di no, si veda ad esempio la serie interessante di lavori di R. Ogien) il contenuto normativo e' affatto non determinato dai vaghi pronunciamenti.

Si consideri, se il matrimonio ha come "scopo" di produrre figli vanno esclusi dal diritto a sposarsi

i castrati in incidenti stradali,

gli eunuchi per scelta o per variazioni ormonali

gli ermafroditi

gli sterili di tutti i tipi

??

Non sto a produrre casi di ingegneria genetica, anche se si potrebbe...

A mio avviso l'unica interpretazione possibile dei comportamenti della chiesa dei cattolici e' la seguente.

Essi hanno nessun interesse a produrre degli incentivi a persone che hanno intenzione di unirsi a scopi ludici. Vale a dire sono persone che vogliono stare assieme, persino con la "reversibilita' della pensione di vedova" per il puro fatto che si divertono ad andare a letto, al cinema, o a guardare la televisione, assieme.

Hanno nulla da spartire con l'idea che le famiglie siano dei nuclei gerarchici di riproduzione della cultura cattolica. Questo irrita le organizzazioni gerarchiche (meno i credenti da quel che si capisce) perche'

1. perdono dei denari - i matrimoni sono pagati alle chiese in competizione con i municipi

2. perdono una leva per ottenere piu' fedeli

3. perdono del prestigio

Dovrebbero preoccuparsene poco. I Dico saranno, quando approvati, come la legalizzazione del divorzio. Poche persone ne faranno uso e i gerarchi continueranno ad annunciare misure di esclusione (dall'eucarestia o dalla sepoltura in terra consacrata dai loro riti) che avranno pochissimo effetto.

Ho a volte l'impressione che la chiesa cattolica in Italia sia il peggior nemico di se stesso. Avete una idea di quanto utile sarebbe come effetto di "propaganda fide" se tutti gli insegnati di religiione restituissero i loro stipendi da statali facendone un fondo di donazione, che so, per i malati di tubercolosi o di Aids, e continuassero a lavorare a titolo volontario?

Ma chi ha le idee di marketing della chiesa? O davvero dipendono dai 16000 stipendi pagati dai contirbuenti?

 

 

Anche se non so bene a quale legge di natura si riferiscano i Sig.ri Bagnasco, Ratzinger, Poletti, Biffi, etc. risulta che, forse, non sono responsabili dell'errore logico tradizionale di inferir il "dover [far x]" dall' "essere [statisticamente prevalente un fatto che] gli umani X'".

Traduzione: se si scopre che i rapporti sessuali orali, anali, omosessuali, zoofili, coprofili, etc. sono praticati da una minoranza di umani, se ne *deduce* che e' normativamente proibito aver rapporti sessuali con altre bocche umane od animali, con ani propri od altrui, animali o umani, con escrementi propri od altrui, etc.

L'errore spero non necesiti di elucidazioni (se tutti rubano in Italia, non se ne deduce che sia permesso il furto, ma che appunto essi sono ladri -- si veda il dibattito famigliare piu' sopra.)

 

In ogni caso, scopro che la versione attuale della legge naturale in etica ha nulla a che fare con tutto questo. E' ricostruibile nelle opere di Grismez-Finnis ed ha il rappresentante piu' illustre nel dipartimento di politica (di Princeton University): Robert P. George.

La scuola attuale di "legge naturale" ritiene che vi siano leggi naturali in questo particolare senso che non dipendono dalla natura degli umani.

 

 

Alberto, mi trovo d'accordo con molte delle tue considerazioni. Voglio aggiungere un semplice pensiero, da un'ottica completamente diversa, quella del credente. Nel Credo, noi cattolici recitiamo "Credo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica... ". A mio modo di vedere, in quel "Santa" sta la rassegnazione al semplice fatto che il non riuscire a razionalizzare un'azione o interpretazione della Chiesa, non implica che tale azione o interpretazione siano contrarie al volere di Dio. Questo, perche' noi crediamo che la Chiesa sia guidata ed ispirata dallo Spirito. Seguendo la tua logica, la conclusione e' che il Signore stesso, permettendo genocidi in serie durante la storia umana, non si sia comportato in maniera etica. Non mi sento a mio agio quando penso al comportamento di Pio XII. Pero', se mi definisco fedele, non posso categorizzare il suo comportamento come eticamente insostenibile.

 

 

Capisco Gianluca. Io ho cercato di fare una operazione opposta: da non credente, io sarei felice di poter delegare decisioni importanti come questa a una qualche figura morale, ma concludo che della Chiesa non mi fido. Non mi rimane molto altro, purtroppo.

 

Gianluca,

da non credente ammiro la tua onesta' intellettuale nel riconoscere questo punto, che pero' mi sembra meritevole di un po' piu' di analisi.

Il fideista (che non uso in termine peggiorativo) antepone la fede

alla ragione, almeno per riconciliare con il suo credo cose che sembrano

contrapporvisi. Da questo punto di vista guadagna, secondo me, in coerenza intellettuale.

C'e' un costo pero'. Se il far ricorso alla fede e' una mossa valida per te, allora lo e' per tutti. Pensa al kamikaze fondamentalista che stermina gli infedeli, ispirato, sostiene, dal suo Dio. L'obiezione al kamikaze non puo' essere che la sua azione e' immorale nel senso che non puoi sterminare qualcuno solo perche' ha una fede diversa dalla tua. Al kamikaze puoi solo dire che, secondo te, lui ha una fede sbagliata, obiezione che non mi sembra molto potente. (Dubito che coi kamikaze si possa intavolare questa discussione, ma con quelli che sono al margine e con la societa' che in qualche modo li supporta e giustifica, si'; per questo l'esempio ha una sua rilevanza pratica).  

Insomma, il fideismo ti priva di alcune armi, come quella di appellarti, davanti al fideista di fede opposta, a posizioni morali che non facciano appello ad una fede diversa dalla sua. Vorrei che chi sposa il fideismo riconoscesse questo e non facesse ricorso, quando gli fa comodo, ad argomenti laici (nel senso di non facenti appello ad un senso morale non necessariamente religioso) per controbattere altri fideisti.

P.S.: non mi piace andare a dire alla gente quello in cui, nella loro vita privata, dovrebbero fare o pensare. Non intendo in questo modo il mio post. Piuttosto, in questi temi, la fede si intreccia alla vita pubblica. Tu hai onestamente espresso le tue idee che, se condivise da molti, hanno rilevanza politica. Per questo mi sono permesso di mettermi ad analizzare le tue credenze religiose.

 

La chiesa, diceva Agostino d'Ippona (aka S. Agostino) e' santa e prostituta. Allora c'era una sola chiesa.

Da

credente, mi pare che sui dico e su molto altro la chiesa cattolica sia

prostituta, nel senso che questa battaglia -- come molte altre del

resto -- ha ben poco a che vedere con la ragione d'essere della chiesa

stessa: qual e' il fondamento biblico della nota della CEI? Nessuno, e infatti si citano solo documenti ecclesiastici.

La

chiesa cattolica, avendo capito che il cristianesimo non e' piu' cosa

di massa, cerca di salvarsi facendosi riferimento morale, di fatto

laico, per la parte dalla quale puo' ancora derivare sostegno (anche e

soprattutto economico) e consenso, cioe' il pensiero conservatore. Ma

questa e' appunto prostituzione. In questo senso ha ragione Alberto: la

chiesa cattolica non puo' essere un riferimento morale credibile.

Si

tratta di una strategia che, oltre ad essere perdente, irrita chi non

crede e umilia chi crede. Gesu' non ha preposto la chiesa alla cura

dell'ordine morale della societa', ne' l'ha costituita guida etica.

Questa tentazione e' stata pervasiva per due millenni, perche' e' fonte

di potere. In maniera simile, la teologia cristiana delle origini ha

rovesciato il primato della tradizione sulla scrittura. Eppure, come

sempre, il potere religioso ha bisogno di stabilire il primato della

tradizione, perche' e' la fonte della propria legittimazione e permette

di dire quello che non si puo' dire sulla base della scrittura (vedi la

nota CEI sopra).

In questo modo la chiesa cattolica diventa una lobby come un'altra. Da credente me ne rattristo.

 

 

Giulio, intervento molto interessante. Solo un paio di considerazioni.

1) Scritture Vs Tradizione. La differenza non e' tanto netta quanto si possa credere. Dopotutto, i 4 vangeli sono stati scelti tra un insieme ben piu' vasto dalla Chiesa primordiale, nei primi tre secoli del primo millennio dopo Cristo. Molti altri vangeli, detti anche apocrifi, sono stati "scartati". In questo senso, e' la Chiesa che ha deciso quali libri i cattolici di ogni epoca sono tenuti a ritenere sacri. Per colui che crede che l'azione della Chiesa sia ispirata dallo Spirito, questo non e' un problema. Per tutti gli altri, mi rendo conto che lo possa essere.

2) Dio nella storia dell'uomo. Mi pare che il tuo ragionamento implichi che negli ultimi 2000 anni Dio non si sia mai manifestato all'uomo. E, in particolare, che Dio non si manifesti attraverso la sua Chiesa. Questi punti di vista sono in netta contradizione con principi teologici di base quali quelli che esprimiamo nel Credo ogni Domenica. Ribadisco quanto detto in un intervento precedente. Il fatto che non riusciamo a razionalizzare l'operato della Chiesa in un determinato frangente non ci puo' portare a concludere che la Chiesa necessariamente sbaglia. Questa e' l'ottica del laico. Noi credenti dobbiamo considerare la possibilita' che le nostre scarse risorse non ci permettano di comprendere il movente e le conseguenze di quanto i Vescovi, guide della Chiesa, ci propongono. Cio' non implica che dobbiamo pedissequamente eseguire quanto ci viene determinato. Il libero arbitrio ce l'abbiamo per questo motivo. Pero' dobbiamo concedere loro il beneficio del dubbio.