Primo articolo: Riporta in maniera piuttosto lineare un breve rapporto dell'OECD (quasi un copia-incolla). L'OECD, in sostanza, dice che le pensioni contributive e di sopravvivenza (ci sono anche quelle d'invalidità ed assistenziali) assorbono un 30% del bilancio dello stato italiano (14% del PIL) rispetto ad una media del 16% dei paesi OECD (ed una relativa quota dimezzata dei vari PIL nazionali). Inoltre, i contributi pensionistici in Italia sono il 33% delle retribuzioni (33% of earnings, nella versione inglese) rispetto ad una media del 21% negli altri paesi OECD.
Insomma, niente di particolarmente nuovo od originale: chiunque si sia anche solo lontanamente occupato di pensioni sa benissimo come le medesime costituiscano, fra le molte, la peggior palla al piede dell'economia italiana. A questi dati andrebbero poi aggiunti quelli relativi alle pensioni d'invalidità ed altre non contributive, ma finiremmo fuori tema e l'argomento si farebbe complesso e lungo. Il tema, questa volta, non sono le pensioni per se. Il tema è un altro.
Secondo articolo: analisi della notizia di cui sopra e del rapporto OECD, a firma di Carlo Clericetti (CC, in ciò che segue). Questo articolo è sia meno banale che, almeno per noi, meno condivisibile, quindi lo descriveremo più attentamente ed a mezzo di citazioni dirette. Anticipiamo ciò che noi abbiamo inteso essere il succo del messaggio: non c'è molto da preoccuparsi ed occorre evitare gli allarmismi sulle pensioni; le differenze così abnormi notate dall'OECD nel suo rapporto sono dovute ad un mix di confusioni statistiche e di numeri male interpretati.
Vediamo dunque il ragionamento di CC, che inizia con
I numeri sono una cosa da maneggiare con cura ...
e finisce con
Nel frattempo, questi numeri prendiamoli per quello che valgono: poco.
Nel mezzo, dopo una lunga prolusione sull'utilizzo distorto e di parte delle statistiche prodotte dalle grandi agenzie internazionali, CC svolge un ragionamento che si compendia in questa sentenza:
Nello stesso rapporto, qualche riga più avanti, risulta che anche la tassazione sulle pensioni in Italia è il doppio della media. In altre parole: lo Stato con una mano dà, ma con l'altra prende.
Anzitutto: noi questa statistica non siamo riusciti a trovarla, né qualche rigo più in là né sul sito dell'OECD dedicato al report 2009. È vero: non ci siamo letti le 280 pagine del rapporto, come probabilmente CC avrà fatto, quindi magari lì (nel librone che è appena uscito ed occorre ordinare) quel dato è accuratamente documentato. Ma ci sembra improbabile perché, mentre è relativamente facile calcolare contributi e spesa pensionistica effettiva, calcolare in modo non arbitrario la tassazione effettiva del reddito da pensioni pubbliche è alquanto più complicato. Ad ogni buon conto, facciamo finta che l'affermazione sia vera, ossia che l'imposta media applicata sul reddito da pensioni sia in Italia il doppio di quella OECD. Notiamo due cose: questo non implica quanto CC vorrebbe che implicasse e, anche se lo implicasse, l'argomento economico che ne segue sarebbe comunque assurdo.
Non implica quanto CC vorrebbe implicasse. Considerate due paesi, uno si chiama Italia, ha un reddito per capita di 100 e spende 14 di esso in pensioni. L'altro si chiama OECD, ha anch'esso un reddito di 100 e spende 7 in pensioni. Questi dati corrispondono a quanto OECD dice essere il caso. Ora, assumiamo che in Italia la tassazione media sulle pensioni sia del 30%, mentre nell'OECD è del 15%, come CC dice essere il caso. Questo implica che di quei 14 euro il "pensionista italiano medio" ne trattiene 9,8, mentre 4,2 li restituisce sotto forma di tassazione sul reddito. Il "pensionista OECD medio", invece, trattiene 5,95 dei suoi 7 euro e ne restituisce 1,05. Al netto, il rapporto fra Italia e OECD non è più di 2 volte, come nel caso del lordo, ma di 1,65 volte! Non male, no? E non è che abbiamo preso numeri che favoriscano la nostra tesi, ma piuttosto abbiamo fatto l'opposto. Se provate ad usare numeri più realistici, tipo 30% versus 20%, vedrete che l'effetto diminuisce rapidamente.
Insomma, da una statistica che non documenta CC "deduce" un'implicazione che comunque non seguirebbe ... Ma andiamo avanti.
Argomento assurdo. L'autore non si rende conto che quanto dice è, comunque, assurdo. Egli assume, come nella peggior macroeconomia da libro di testo per undergraduates, che il lavoratore italiano che paga i contributi pensionistici sia la stessa persona che riceve la pensione e paga le tasse sul reddito pensionistico ed anche la medesima persona che riceve gli stipendi ed i benefici che il governo con tali imposte finanzia! Dice CC: se lo stato eleva contributi doppi per pagare il doppio di pensioni che poi tassa il doppio, che male c'è? È tutta una partita di giro! E spiega:
Siccome i soldi escono ed entrano dalla stessa cassa, basterebbe il buon senso - senza neanche tirare in ballo la razionalità economica - per capire che i conti dovrebbero essere fatti sul saldo. Quanto si spende per le pensioni al netto delle tasse sulle medesime?
Questa affermazione, pubblicata sul quotidiano più letto in Italia, non sta né in cielo né in terra, davvero. CC immagina che la critica a questa sua analisi sia:
Conosciamo già la risposta a questa obiezione: le convenzioni internazionali prevedono che le statistiche si facciano in questo modo e non in un altro.
Il problema non è la metodologia statistica, ma la logica con cui i numeri vengono interpretati. Il fatto che il saldo tra spesa totale per pensioni e tasse totali (ottenute come somma dei contributi pensionistici pagati dai lavoratori più le tasse sul reddito pagate dai pensionati) sia leggermente positivo è un fatto contabile irrilevante. Di nuovo: non è ovvio che sia un fatto perché, per fare questa affermazione, CC cita uno studio di un signore che insegna economia pubblica a Roma, studio che non siamo riusciti a rintracciare in rete e la cui metodologia, da quanto disponibile, non sembra proprio trasparente. Ma fa lo stesso: facciamo comunque finta che sia tutto vero e lo studio in questione sia perfetto.
Immaginate che questo fatto, che tanto impressiona CC, sia così descrivibile nella sua versione estrema. Il reddito nazionale è 100, di cui 90 viene preso via contributi sociali e pagato in pensioni. Sulle medesime cala poi una scure fiscale del 100%, cosicché ai pensionati non rimane una lira. Ignoriamo il tragico destino di questi pensionati: secondo voi, in questo paese, i lavoratori che producono quel 100 di reddito da cui tutto inizia, stanno meglio o stanno peggio di quelli di un altro paese dove il reddito è lo stesso ma i contributi sono 10 e le pensioni, esentasse, analogamente 10? Ovviamente i lavoratori del primo paese sono in condizioni molto peggiori di quelli del secondo. Perché? Dai, davvero occorre spiegarlo?
Ciò che CC non sembra capire è che una buona notizia per i conti dello stato, perché non fanno acqua anche in questo frangente, non è assolutamente una buona notizia dalla prospettiva del cittadino lavoratore. Il fatto che l'Italia spenda il doppio della media per le pensioni e sia costretta a tassare il doppio è una notizia molto triste. Non esiste il cittadino rappresentativo che da una parte viene tassato e dall'altra riceve un contributo finendo pari e patta. Esistono gruppi sociali diversi, con interessi diversi: alcuni pagano, altri ricevono, alcuni mangiano, altri lavorano, alcuni sudano, altri si approfittano. È il mondo reale, non quello dei manuali semplificati per le classi del primo anno, di diploma!
Da una parte ci sono tanti cittadini pensionati che ricevono "poco" (secondo i calcoli di CC e Pizzuti) reddito da pensione. Dall'altra ci sono pochi cittadini lavoratori che sono costretti a pagare "tanto" (secondo i dati OCDE). Questa è la realtà, realtà che si vuole occultare parlando di partite di giro.
La realtà è tale, fondamentalmente, per due ragioni: perchè i contributi della generazione ora in pensione sono stati evidentemente sperperati invece d'essere investiti e perché le persone che ora ricevono una pensione sono troppe rispetto a quelle che la finanziano con i loro contributi e le loro imposte. Ma sia quale che sia la causa storica di questa situazione, il fatto è che questa situazione fa molto danno ad una fetta molto ampia d'italiani: quelli che lavorano e producono reddito in regime di concorrenza.
Quel 33% di contributi sociali fa crescere il costo del lavoro, quindi le imprese cercano di ridurre l'occupazione, renderla occulta, andarsene all'estero. Quel 33% riduce il reddito dei lavoratori peggiorando le loro condizioni di vita, riduce il loro incentivo a lavorare, accresce il loro incentivo ad andare in nero o ad emigrare, o a pensionarsi! Le alte tasse che lo stato estrae dai redditi pensionistici NON vanno a compensare i lavoratori che avevano versato i contributi sociali - ossia: NON è una partita di giro! - ma vanno invece a pagare altre pensioni (tipo quelle d'invalidità) o a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici o a finanziare altri trasferimenti o a pagare i servizi pubblici che i pensionati usano! Non tornano alla fonte da dove venivano, diventano altra spesa pubblica!
Il fatto che l'Italia abbia, come abbiamo visto per l'ennesima volta in questi giorni, una pressione fiscale sul reddito complessivo (sul reddito da lavoro specialmente) fra le più alte (la più alta) della zona Euro mentre AL CONTEMPO spende il doppio di questo gettito in pensioni IMPLICA che rimane MENO per le altre spese, specialmente per quel poco di spesa pubblica produttiva che sarebbe possibile! Quel 30% (percentuale della spesa pubblica che va in pensioni) è un numero da cui non si può sfuggire: al denominatore c'è tutto il gettito fiscale, anche quello che proviene dai redditi pensionistici. Se te ne mangi il doppio degli altri in pensioni, del tuo gettito fiscale, ti rimane (ceteris paribus) meno per il resto!
Come fa CC a non capire tali banalità? Questo è il punto: come è mai possibile che il maggior quotidiano nazionale pubblichi editoriali così?
Questo è, dunque, il tema dell'articolo: secondo voi perché un giornalista che fa parte del Club dell'Economia non riesce ad intendere che, da un lato, quanto ipotizza non implica il "bilanciamento contabile" che lui teorizza e che, dall'altro, anche se il bilanciamento contabile vi fosse sarebbe IRRILEVANTE perché l'argomento economico che egli utilizza è platealmente assurdo?
Questa la domanda. Ai commenti l'ardua risposta.
scalfari aveva una mezza paginetta da riempire, e l'ha affidata al suo miglior commentatore economico, consigliandogli di andarci leggero.
facile.
e desolante, per chi s'illude ancora di un minimo di qualità giornalettaia italiana.