Per prima cosa conviene ricapitolare brevemente i punti principali.
A400M. L'A400M è un programma di cooperazione militare attraverso il quale diversi Paesi europei hanno deciso, all'inizio del decennio, di collaborare per sviluppare in maniera congiunta un mezzo aereo per il trasporto strategico a medio raggio. Le due principali aziende coinvolte sono EADS (Francia, Spagna e Germania) e BAe Systems (UK). I Paesi interessati sono Gran Bretagna, Francia, Spagna, Germania, Belgio e Turchia. Inizialmente era prevista anche la partecipazione di Italia e Sud Africa. L'Italia uscì prima dell'inizio della fase di produzione (nel 2001), mentre il Sud Africa è uscito nei mesi scorsi, per via dei ritardi accumulati e dell'esorbitante crescita dei costi.
L'uscita dell'Italia. Come detto, l'uscita dell'Italia avvenne nel 2001. Le ragioni non furono mai del tutto chiare: si potevano solo inferire logicamente o deduttivamente, senza però alcun modo di confermarle in maniera definitiva. Recentemente, per esempio, Oscar Giannino aveva sostenuto la bontà della scelta dell'allora ministro della difesa italiano sulla base dei ritardi e degli incrementi di costi accumulati in questi anni dal programma A400M. Come ho spiegato altrove, questa logica post hocergo propter hoc è poco convincente in quanto giustificherebbe la scelta di Martino sulla base di sviluppi successivi e non prevedibili al momento della scelta medesima.
La parola a Martino. L'intervento su Il Foglio di Antonio Martino serve proprio a fare chiarezza storica su quella decisione. Martino spiega la sua scelta sulla base di diversi elementi:
l'Italia si era già impegnata a comprare i C130J (prodotti dall'americana Lockheed Martin), mezzi in parte complementari all'A400M;
più che servire l'esercito, l'A400M avrebbe servito la politica (europea) o le aziende italiane nel comparto difesa;
l'Aeronautica militare italiana si disse poco interessata al mezzo in quanto, per il trasporto dei suoi mezzi e materiali, questa ricorreva spesso e senza problemi al noleggio dell'Antonov 70, tramite compagnie russe e ucraine;
il trasporto di mezzi e materiali non era una delle priorità della difesa.
In definitiva, il mezzo era ridondante, volto a servire interessi esterni alla difesa, già sostituto e sostituibile, e probabilmente anche inutile. Analizziamo tutti i punti più nel dettaglio.
I C130J. Martino, su questo punto, ha ragione. Difatti, prima della sua lettera, avevo già addotto questa spiegazione (dicembre 2009). L'Italia, in altre parole, aveva già in parte coperto quella necessità operativa. Mancano però due dati. In primo luogo, l'A400M rimane più grande del C130J: quindi i due mezzi non sono sostituti perfetti. In secondo luogo, l'Italia, già allora, era impegnata in un altro programma, il C27J Spartan, il fratello minore del C130J (anche questo solo in parte in grado di soddisfare i nostri requisiti operativi al posto dell'A400M, in quanto molto più piccolo e meno capiente).
Se Martino avesse ancora aggiunto, come motivazione, la difficile situazione di bilancio, allora la sua scelta sarebbe comprensibile: l'Italia aveva già dei mezzi simili, la sua situazione di bilancio era difficile, e la modernizzazione delle sue Forze Armate richiedeva investimenti in altri comparti. Purtroppo l'ex-Ministro è andato oltre, sollevando più di un dubbio sulla logica alla base delle sue azioni.
Prima di procedere, conviene approfondire brevemente il discorso sul C27J Spartan: ci servirà in seguito.
Questo mezzo è stato sviluppato da Lockheed Martin (US) e Alenia (IT) quasi contemporaneamente agli FLA-A400M. Il dato interessante è che il mezzo è stato acquistato in maniera preponderante dall'esercito americano. Nel suo articolo, Martino ricorda più volte quanto la sua azione sia stata guidata dalla volontà di comprare i migliori prodotti per l'esercito, e non invece da logiche industriali o politiche. Ragioniamo insieme: è pensabile che gli Stati Uniti, con le più grosse e sviluppate aziende nel settore, abbiano bisogno di Alenia per soddisfare i bisogni delle loro forze armate, specie in un segmento, quello dell'avio-trasporto tattico, dove hanno una pluralità di aziende (Boeing, Lockheed Martin, Northrop Grumman)? Stando alla logica ricardiana adottata da Martino nel suo articolo, la risposta dovrebbe essere chiaramente negativa. Eppure gli Stati Uniti hanno comprato un bel po' di C27J Spartan (circa il 50% della produzione totale). Come mai? Il prossimo paragrafo cerca di rispondere a questa domanda.
Servire l'industria o servire la Difesa? Il secondo dubbio sollevato da Martino ci porta a ragionare su quanto rilevato nel precedente paragrafo. In sostanza, con le politiche d'armamento Martino dice di aver voluto soddisfare le necessità delle Forze Armate, non quelle dell'industria o dell'Europa (che sarebbero invece state servite con l'acquisto dell'A400M). Per capire come stanno le cose credo serva uno sguardo un po' pragmatico.
Il mercato della difesa è un mercato imperfetto dove oligopolio e monopsonio coesistono. Le economie di scala sono enormi (specie nel segmento aerospaziale), le curve di apprendimento sono ripide e il mercato è limitato politicamente (per esempio con embarghi o con restrizioni all'esport sui mezzi più sofisticati, come l'F-22/Raptor). In definitiva, se la politica è l'unico acquirente e la politica è anche in grado di decidere le dimensioni del mercato stesso, è ovvio che ogni decisione in questo campo non sia influenzata solo da considerazioni di efficienza/efficacia (policy) ma anche da enormi valutazioni politiche (politics), sia a livello internazionale (quali alleati favorire) che interno (quali constituencies premiare: si veda questo articolo di Moravcsik, per esempio).
Se aggiungiamo, poi, che un'industria della difesa, per quanto inefficiente, è fondamentale per fornire il bene “difesa esterna”, il quadro forse si inizia a chiarire.
Spieghiamoci meglio: i Paesi hanno bisogno di armi avanzate per fronteggiare le loro minacce. Ciò suggerirebbe il più alto grado di specializzazione: alcuni Paesi, logicamente, dovrebbero abbandonare la produzione per dedicarsi solo al consumo e così specializzarsi in altri campi. Il problema è che le minacce che i Paesi devono fronteggiare non sono costanti ma variabili. Oggi gli Stati Uniti sono un nostro alleato, domani non lo possiamo sapere. Quindi non possiamo neppure sapere se domani questi vorranno venderci le armi di cui avremo eventualmente bisogno. Affidarsi alla logica della specializzazione è quindi pericoloso: se un Paese finisce per non avere una sua industria della difesa, il rischio è quello di non potersi più difendere autonomamente. O per dirla meglio, di essere soggetto all'influenza esterna qualora debba prendere decisioni in questo campo. Finire come la Francia di Pétain non è mai piacevole.
Alcuni Paesi (San Marino, Bahamas) non hanno molte possibilità. Non hanno di fatto neppure un esercito. Altri Paese ne hanno poche (Taiwan, Corea del Sud): possono solo affidarsi ad un altro Stato per avere armi avanzate (Stati Uniti). Paesi di dimensioni più grandi possono invece scegliere: questi Paesi sono quelli europei, principalmente Italia, Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia e Spagna. Questi possono scegliere se essere indipendenti o se essere dipendenti. L'evidenza dimostra che gli Stati Uniti, in campo di armamenti, operano in maniera molto cinica. In particolare, sfruttano il loro enorme mercato interno per dare qualche briciola agli altri Paesi e così impedire che questi possano diventare indipendenti (individualmente o collettivamente). Non ci sono considerazioni economiche, in questo campo, ma solo politiche: il caso dell'F-35/Lightning II Joint Strike Fighter è forse il più chiaro. Divide et impera.
Alla luce di queste osservazioni, parafrasando lo stesso Martino (ma dando il senso contrario alle sue parole) si vede bene perchè “la produzione di un aereo per altri versi antieconomica dovrebbe giovare alla difesa dell’Europa”. Parimenti è davvero chiaro “perché mai una difesa europea implichi necessariamente la necessità di un’industria europea della difesa, autonoma rispetto a quelle di altri paesi.” D'altronde, se Martino era opposto a questa logica, quali motivazioni lo avrebbero portato a non opporsi a Galileo?
Ma ora facciamo un passo indietro e torniamo al discorso iniziale dei C27J Spartan. Nell'ultimo decennio questo non è stato l'unico colpo messo a segno dalla nostra industria della difesa. Infatti, esso va sommato alla vendita alla Casa Bianca degli elicotteri presidenziali da parte di AgustaWestland (Finmeccanica) e all'acquisto di DRS Technologies (azienda USA) sempre da parte di Finmeccanica (nota: nel comparto difesa, M&A internazionali sono sottoposte all'approvazione del Ministero della Difesa del Paese dell'azienda acquistata).
Se adottassimo la logica di Martino dovremmo pensare che questi successi siano semplicemente da imputare alle capacità della nostra industria. Se invece si sposa la linea esposta in questo paragrafo, si capisce bene che alla loro base vi è anche una forte volontà politica: la volontà di tenere l'Italia più vicina agli Stati Uniti che non all'Europa. "Sorprendentemente", anche BAe Systems (UK) è molto attiva in Nord America a tal punto non solo che questa conta più dipendenti negli Stati Uniti che non in Europa, ma anche che la sua sezione americana è praticamente l'unica che genera profitti.
"Sorprendentemente", Francia e Germania (con un'industria della difesa più avanzata della nostra) hanno avuto molto meno successo dell'Italia negli Stati Uniti. Strano, no?
Per riassumere: se pensiamo che il mercato della difesa operi secondo una pura logica economica, allora i nostri successi negli Stati Uniti non tornano, almeno non del tutto, specie alla luce degli scarsi risultati franco-tedeschi. Se invece pensiamo che la politica giochi un ruolo determinante in questo campo, allora si capisce presto la necessità di un'industria europea della difesa (ovvero il mantenimento di una base industriale necessaria per soddisfare i nostri bisogni militari futuri). A questa soluzione, però, Martino invece si dice contrario.
Le necessità dell'Aeronautica. La terza ragione addotta dall'ex-Ministro è la presunta inutilità del mezzo rispetto alle nostre necessità. Precisamente, una volta contattata, l'Aeroutica militare avrebbe affermato di non aver bisogno dell'A400M. Inoltre, la stessa Aeronautica si sarebbe detta in grado di soddisfare i propri bisogni noleggiando l'Antonov P-70, un aereo di produzione ucraina. Anche in questo caso, il ragionamento non ci torna del tutto.
In primo luogo, Martino sembra ignorare che le burocrazie raramente fanno gli interessi del loro Paese. Nel campo militare, è difficile trovare una spiegazione one-size-fits-for-all. In alcuni casi i servizi militari hanno servito i loro servizi di bottega (Posen, 1984; Brown, 1992), mentre in altri casi hanno realmente contribuito alla sicurezza del loro Paese (Betts, 1985; Rosen, 1991; Price, 2005). Il dato è che le preferenze dei servizi militari non possono essere prese sic et simpliciter come buone ragioni per scegliere o meno un mezzo.
L'argomentazione del noleggio non è meno dubbia. La logica della sicurezza è inversa a quella dell'efficienza. Costruire eserciti è di per sè inefficiente: quei soldi si potrebbero spendere meglio. Si costruiscono eserciti contro la possibilità, non la probabilità, di scontri militari e minacce. Il compito di un Ministro della Difesa è fornire sicurezza nella maniera più efficiente possibile. A questo proposito, come si fa a pensare che basti affidarsi a compagnie straniere per trasportare i nostri mezzi e armamenti? In caso di necessità, ovviamente, si fa virtù. Ma una tale politica, se protratta nel tempo, porta alla dipendenza dall'esterno e quindi ad un possibile punto di debolezza: debolezza che una politica di difesa coerente dovrebbe invece proprio cercare di eliminare. Questo studio della RAND Corporation suffraga ampiamente queste osservazioni. Il punto, in ogni caso, è semplice: l'intervento militare richiede immediatezza ed efficacia. Affidarsi, per la sua esecuzione, a compagnie terze, oltretutto potenzialmente soggette alle restrizioni o pressioni di un Paese non alleato (Russia) e ad uno caratterizzato da forte instabilità politica (Ucraina) sembra davvero azzardato, per usare un eufemismo. Il caso della base di Manas, in Kyrgyzstan, è illuminante a tal proposito.
Inutilità. Infine, Martino afferma che il mezzo avrebbe svolto funzioni tutto sommato secondarie. In particolare, afferma, “[s]apendo che il trasporto di mezzi e materiali militari per missioni all’estero costituiva un’esigenza abbastanza infrequente, l’idea di preferire il noleggio all’acquisto mi sembrava assolutamente sensata.” Anche in questo caso, l'argomentazione fa un po' a pugni con la logica e con la storia. E' vero che la decisione venne presa prevalentemente in estate, ma nel settembre 2001 ci fu l'11 settembre. E da allora fu palmare quanto il trasporto di mezzi e materiali, specie in teatri lontani, fosse essenziale (e dunque quanto un mezzo quale l'A400M fosse potenzialmente necessario). Il quadro diventa più preoccupante, però, se pensiamo che nel vertice di Helsinki del dicembre 1999 (parliamo dunque di due anni prima l'insediamento del Governo Berlusconi 2001-2006), si definirono gli Helsinki Headline Goals, ovvero gli obiettivi operativi per dotare l'Unione European delle capacità necessarie per le sue operazioni militari. Tra questi si sottolineava la necessità di poter dispiegare in tempi brevi dei contingenti militari. A tale scopo era quindi necessario sviluppare le capacità necessarie per fornire un adeguato supporto logistico sia via mare che via cielo. L'A400M rientrava tra queste capacità. Se ciò non bastasse, l'enfasi sulla logistica era in moto fin dalla fine della Guerra fredda, quando l'Europa si rese conto (prima con l'Iraq e poi in Bosnia/Kossovo) della necessità di trasformare i suoi eserciti e il loro paradigma di base: passare cioè dalla difesa territoriale al dispiegamento rapido di forze leggere e flessibili. Dispiegamento rapido che ovviamente richiedeva adeguati mezzi di trasporto (tra i quali rientrava appunto l'A400M, la cui storia iniziò difatti a metà anni Novanta, con il nome di FLA - Future Large Aircraft).
Conclusioni
La risposta di Martino fa chiarezza storica su una scelta complessa e contestata. Se queste, in via definitiva, sono le sue motivazioni, allora obiettivamente mi pare che l'esperienza ministeriale di Martino vada rivista, e in negativo. Dalle sue parole emergono infatti almeno tre elementi preoccupanti. In primo luogo, sembra che questi abbia poca dimestichezza con la logica dominante le relazioni politico-militari tra Stati. In secondo luogo, sembra che Martino abbia anche poca coscienza del ruolo delle burocrazie nel processo di realizzazione di politiche pubbliche. Infine, Martino sembra ignorare le esigenze che le Forze Armate hanno sviluppato dopo la fine della Guerra fredda. Le ignorava allora, stando alle sue parole, e pare ignorarle ancora adesso.
L'A400M è un tassello di un più grande progetto politico. Il progetto politico è quello di dotare l'Europa di capacità militari per poter intervenire autonomamente dove e quando necessario. Tra gli altri tasselli di questo progetto c'è Galileo, c'è il missile BRVAAM Meteor, ci sono le varie cooperazioni in armamenti avviate nel Vecchio Continente. La ragione alla base di questo progetto politico è presto detta: l'irrilevanza politica. A partire dalla fine della Guerra fredda, l'Europa ha visto sempre più insidiata la sua capacità di dialogare con gli Stati Uniti: dalla guerra comune lanciata nel 1991 contro l'Iraq si passò alla guerra in outsourcing in Kossovo, dove gli Europei, più che combattere, complicavano i piani americani. Dall'Afghanistan l'Europa fu proprio esclusa, mentre in Iraq la partecipazione europea servì solo come foglia di fico.
L'A400M non è un prodotto perfetto. E' in ritardo e sta registrando enormi incrementi di costi. Come ho segnalato altrove, però: niente di nuovo sotto il sole del procurement militare. Se dovessimo infatti valutare i programmi d'arma sulla base di queste due variabili, allora non ce ne sarebbe uno che si salva, sia in Europea che in America.
Il dato da cui partire è che gli interessi strategici di Europa e Stati Uniti possono verosimilmente divergere in futuro. E anche se ciò non succedesse, negli anni a venire l'Europa sarà chiamata sempre più ad agire autonomamente nei focolai di crisi che scoppieranno nella sua periferia (Africa centrale e del Nord, Medio Oriente, Caucaso, Balcani). Gli Stati Uniti, invece, o non vorranno o non potranno intervenire. Ai Paesi europei tocca quindi la responsabilità di dotarsi delle capacità necessarie per poter mantenere la stabilità in queste aree. A tal fine, l'Europa deve poter disporre delle capacità per intervenire efficacemente e prontamente. L'A400M vuole contribuire a questo obiettivo.
Fa davvero specie che questo dato sia sfuggito ad un Ministro della Difesa.
ma, e se semplicemente avesse preferito non fare una analisi come quella da lei proposta? o se non avesse ritenuto opportuno scendere troppo nel dettaglio della politica estera italiana? io sono completamente fuori da quest'ambito, ma forse non ha voluto dire che "abbiamo preferito fare affari con gli usa perché ci pareva politicamente più opportuno che farli col resto dell'europa".
la ringrazio comunque per l'interessantissima disamina.