Di particolare interesse giornalistico, per esempio, il dato che nel "2001-2 i salari medi orari erano fra il 30 ed il 40 per cento inferiori a quelli di Francia, Germania e Regno Unito". Particolarmente penalizzati da questo confronto risulterebbero i giovani. Assumono rilievo particolare perciò i grafici indicanti i profili per età delle retribuzioni, che riporto qui sotto. Il grafico di sinistra si riferisce a tutti i lavoratori, quello di destra ai lavoratori in occupazioni manuali.
Manca nella relazione una approfondita analisi delle cause di queste evidenti disparità salariali. Il governatore accenna brevemente a differenze nei livelli di educazione (che farebbero abbassare le curve dell'Italia in particolare nella parte destra dei grafici) e, più in generale, nella produttività dei lavoratori (che farebbero abbassare le curve dell'Italia ad ogni livello di età).
Il tema mi sta particolarmente a cuore. Lungi dal pretendere di poter offrire un'analisi approfondita e completa, vorrei proporre alcune riflessioni e proposte di approfondimento (non si sa mai, magari ci legge qualche laureando o dottorando in cerca di idee).
- La relazione non dice se si tratta di salari al lordo o al netto delle imposte. Una veloce consultazione del sito dell'Eurostat, da cui provengono i dati, mostra che l'Eurostat
pubblica i salari lordi sia annuali che orari, ma solo quelli annuali netti. Ho confrontato i dati, e questi sono salari lordi. Se combiniamo queste differenze con il fatto che la partecipazione lavorativa italiana è sostanzialmente minore di, per esempio, quella inglese (sia in termini di occupati sulla popolazione, sia di ore lavorate per occupato) allora delle tre l'una: o il reddito per-capita italiano e' al 60% di quello inglese, o la quota del capitale sul reddito nazionale è in Italia enormemente alta, o il reddito dei lavoratori autonomi italiani e' molto più alto di quello inglese.
Non ho, al momento, il tempo per indagare approfonditamente ma sottolineo i dubbi che le figure precedenti, e gli altri dati Eurostat che sto osservando sollevano (dati che confermano e forse persino aggravano quelle immagini). - L'impatto delle differenze nei livelli di educazione non dovrebbe essere difficile da calcolare. Basterebbe ricalcolare le curve per ogni livello educativo. Il grafico di destra rivela però che le differenze sono marcate anche nelle occupazioni manuali, per le quali presumibilmente i livelli educativi dei lavoratori sono simili fra i diversi paesi. Da notare, nello stesso grafico, le grandi differenze fra i redditi orari dei giovani italiani e i coetanei degli altri paesi: a occhio e croce gli italiani percepiscono un buon 20% in meno. Fra questi, azzardo, le differenze di educazione sono probabilmente meno marcate.
- In parte, le differenze potrebbero essere dovute alla composizione settoriale del lavoro: i settori "classici" della manifattura italiana (tessile, etc...) producono meno valore aggiunto dei settori su cui si concentrano le imprese straniere. Su questa possibilità non mi soffermo, non avendo molti dati a disposizione; noto peraltro che, oramai, in Italia come altrove, il settore manifatturiero comincia ad essere una percentuale piccola dell'occupazione privata.
- Avanzo invece la seguente ipotesi: parte delle bassi livelli retributivi in Italia è dovuta dalla minore flessibilità del mercato del lavoro. In altre parole, il lavoratore italiano paga la sicurezza del posto in moneta sonante, attraverso salari più bassi. E mi chiedo: quanto costa, in termini salariali, al lavoratore medio, la certezza del posto? Ecco, questo sarebbe davvero un bel tema di ricerca.
- D'altro canto, ad una maggiore flessibilità non corrispondono più alte retribuzioni. Il governatore riporta che i salari dei giovani in Italia, in termini di potere d'acquisto, sono pari a quelli di chi entrava nel mondo del lavoro nei primi anni Ottanta, ed inferiori ai salari dei loro pari nei primi anni Novanta (cfr. lo studio di Rosolia e Torrini di Bankitalia che riporta per il 2004 una diminuzione dei salari dei meno istruiti del 12 per cento rispetto al picco del 1992). Ed indubbiamente la cosiddetta precarietà è aumentata fra i giovani nello stesso periodo.
- Appare piuttosto netta la differenza fra i profili per età dei salari orari degli italiani e quelli tedeschi e britannici. L'ha evidenziata anche Draghi: mentre le curve per gli anglosassoni scendono in corrispondenza delle età più avanzate, i salari degli italiani continuano a crescere con l'età. Si noti anche che, essendo la curva degli italiani più piatta nel grafico di destra (occupazioni manuali) che nel grafico di sinistra (totale), la curva dei lavoratori nel settore dei servizi, non riportata, deve essere per forza molto ripida. Sembra naturale assumere che la produttività di un lavoratore scenda dopo una certa età. Assumendo che i salari britannici e tedeschi riflettano la produttività relativa dei rispettivi lavoratori (ipotesi ragionevole ma da verificare), la figura indurrebbe a pensare che i giovani lavoratori italiani stiano trasferendo risorse ai lavoratori più anziani, a colpi di contratti collettivi che impongono rigidi aumenti salariali in base alla sola anzianità. Questo spiegherebbe non solo le differenze nella pendenza delle curve, ma anche nel loro livello medio. Sono infatti ovvie le implicazioni di un simile "accordo intergenerazionale" (le virgolette sono d'obbligo) sugli incentivi a produrre: a che vale sudare se l'aumento è garantito? Questa teoria darebbe un po' di contenuto all'ipotesi di Draghi sulla minore produttività degli italiani: gli italiani non sono scansafatiche, ma nemmeno scemi.
- La sicurezza del lavoro non va sempre a detrimento della produttività: chi fa lo stesso lavoro per trent'anni impara a farlo benissimo. Questo potrebbe in parte spiegare i più alti salari per i lavoratori anziani in Italia. Di quanto? Credo non molto: il senso comune suggerisce che dopo cinque o dieci anni al più i miglioramenti son finiti, ma non si sa mai ...
Aggiungo un'ulteriore considerazione riguardante le differenze per età. Se il profilo per età è così ripido, e se i giovani vengono pagati meno di quanto producono, perchè in Italia non si sciolgono imprese che impiegano anziani per creare imprese che assumono giovani? Non è detto che questo non stia accadendo, in particolare se pensiamo al settore dei servizi, che sta facendo ampio uso delle forme contrattuali comunemente etichettate come precarie. Si noti anche che l'eccessiva rigidità normativa che vieta in molti casi la ripetizione di questo tipo di contratti impedisce a lavoratori ed imprenditori di sfruttare i benefici derivanti dalla continuità del lavoro indicati nel punto 5, il ché contribuisce a deprimere ulteriormente i salari dei lavoratori più giovani.
Di fatto e' quello che succede di regola nella grande impresa privata, che da sempre si applica a scaricare i lavoratori ultra-50enni per assumere giovani. Un vero (cattivo) maestro in questo era Carlo De Benedetti, che in genere riusciva anche a scaricare tutti i costi sullo Stato tra mobilita' lunga e prepensionamenti. La stessa Fiat, che oggi si vanta di anticipare aumenti contrattuali ai suoi dipendenti (30 Euro al mese), ha appena prepensionato 1000 dipendenti a carico dei contribuenti grazie a Prodi nel febbraio di quest'anno (vedi Espresso del 20/2/2007 "Concessa la mobilità lunga per mille addetti di Mirafiori - Fiat, buone notizie da Palazzo Chigi").
Riguardo ai bassi salari, per me dipendono da due fattori: la bassa produttivita' e gli aumenti per anzianita' dei contratti collettivi nazionali che non solo danneggiano i giovani, ma disincentivano al lavoro e mettono gli anziani dipendenti privati a serio rischio di perdere il posto.