Oramai rientro raramente in Sardegna, e ogni volta tento di rimanerci il meno possibile. Tutte le volte però faccio chiacchierate interessanti. Questa estate in particolare ho chiacchierato con due vecchi amici. Siamo andati a farci una pizza, e poi a bere qualche birra, e si sa, queste situazioni favoriscono le discussioni sui massimi sistemi.
Il primo amico lavora nel settore agricolo. Si è laureato in Scienze Agrarie e poi ha fatto un master di specializzazione in OGM, insomma uno di quelli che potrebbe tranquillamente gestire una moderna azienda agricola seguendo le migliori pratiche mondiali, e magari sperimentando anche nuove idee. Che fa invece il mio amico? Fa il rappresentante di una ditta che vende mangimi per animali. Quindi ogni giorno prende la sua auto e si fa chilometri e chilometri per vendere mangimi agli allevatori della sua zona. La nostra chiacchierata si è soffermata molto sull’arretratezza di questi allevatori, quasi tutti persone anziane e non istruite, che seguono le stesse tecniche d’allevamento dei loro padri e nonni e bisnonni. Mi ha fatto molto ridere anche il fatto che molti di loro considerano il mio amico non come un fornitore che ti porta la merce dietro corrispettivo monetario, ma come una specie di esattore delle tasse che va a “portare via i soldi” alla povera gente. Per farsi pagare, spesso il mio amico ha discussioni furiose con questi allevatori.
Gli chiedo come sia possibile che queste aziende minuscole e gestite con metodi semimedioevali vadano avanti. Eh, la politica agricola europea e le agevolazioni statali: questa gente vive di sussidi. Non solo, probabilmente l’evasione fiscale è abbastanza agile in quel contesto, molti prodotti sono venduti in nero, e così via. Ci sono eccezioni, ma appunto si contano sulle dita di una mano.
Mi spiega che la situazione è molto simile in tutto il settore agricolo: azienducole piccolissime, che producono quantità irrisorie, sopravvivono grazie ai sussidi e al nero, e gestiscono l’azienda come mezzadri dell’Ottocento. A questo punto gli chiedo: ma possibile che a nessuno viene in mente di farci i soldi? Dico, un imprenditore con un po’ di visione che rilevi varie aziende e costruisca una impresa agricola moderna? Mi spiega il mio amico che le condizioni del credito non te lo permettono, le banche non finanzierebbero mai una cosa del genere. Mi spiega anche che molte aziende non venderebbero, perché come diceva mio nonno, mezzadro per una buona metà della sua vita prima di aprire il baretto del paese, “un pezzo di terra serve sempre”. Addirittura mi racconta il mio amico che molti anziani agricoltori, nel testamento, impongono ai figli di non vendere i terreni, sino alla morte dei figli stessi.
A questo punto della chiacchierata, devo dire, sono abbastanza perplesso. Cambiamo argomento, il secondo amico racconta la sua esperienza. Ingegnere ambientale, lavora in uno studio che in generale non se la passa male. Una cosa che mi sorprende è che la maggior parte dei lavori sono commissionati dal settore pubblico. Il mio amico segue svariati progetti, cose come ristrutturazione di impianti di depurazione, ma anche parchi cittadini, e discariche dei rifiuti. In molti casi, il loro intervento serve a risanare una situazione illegale creatasi negli anni: chessò, un impianto di depurazione obsoleto dimenticato da anni che scarica acque nere direttamente a mare, a cento metri da una frequentatissima spiaggia. Situazioni abbastanza frequenti pare: di solito tra stanziare i fondi, progettare gli interventi ed effettuare i lavori passano anni, e quindi anche se una situazione era perfettamente regolare al momento in cui l’amministrazione interessata decide di intervenire, non lo è più quando si iniziano i lavori. Per non parlare di quanto tempo passa prima che lo studio del mio amico veda la parcella saldata.
Il mio amico ha da poco fatto un viaggio a Madrid, ed è rimasto impressionato dall’efficienza dei servizi, e dalla Spagna in generale. Non c’è paragone tra Madrid e Roma, mi raccontava, noi sembriamo fermi a vent’anni fa. Non ho voluto dirgli che non sembriamo: SIAMO fermi.
Ma è quando chiedo come fanno a sopportare questa situazione, che entrambi mi stupiscono: “E cosa ci vuoi fare?”. Sono rassegnati. Assolutamente rassegnati. Le cose non cambiano, non sono mai cambiate e mai cambieranno.
Questa chiacchierata mi ha fatto riflettere parecchio, e infatti ne scrivo dopo oltre due mesi. Elenco le mie riflessioni, e credo che anche se il contesto in cui i miei amici vivono e lavorano è quello della Sardegna, valgano a grandi linee anche per il resto d’Italia:
- il capitale umano vale meno della carta straccia. Guardate il mio primo amico. Ha mille idee e possibilità, ma un sistema creditizio bloccato e una mentalità arretrata gli impediscono di svilupparle. Con laurea e master, fa un mestiere per il quale probabilmente basterebbe aver studiato per l’esame della patente. Se anche facesse l’imprenditore, oltre la metà di quello che guadagnerebbe se ne andrebbe via in tasse e contributi. Beh, ovviamente, a meno di evadere le tasse. Il capitale umano probabilmente paga solo in alcuni settori dove il credito non è importante e la possibilità di evadere è maggiore: dentisti, avvocati, cose del genere.
- Ovviamente in queste situazioni, quelli che restano sono pochi: la gente vota coi piedi. I miei amici hanno deciso di restare principalmente per motivi familiari, ma moltissimi emigrano e cercano lavoro altrove. Prima si emigrava “al Nord”, conosco tanta gente che negli anni Novanta si è trasferita nel bresciano, altri nel vicentino e nel trevigiano, ma parliamo di persone che cercavano un lavoro poco qualificato di solito, non di laureati. Ora molti ragazzi con un buon livello di istruzione vanno via dall’Italia: per svariati anni, atterrando ad Alghero col mio volo da Girona, sul bus che mi riportava al paesello trovavo gente laureata che lavorava a Dublino, a Londra, a Barcellona. Il caso di Barcellona lo conosco molto bene: moltissimi laureati italiani che lavorano per filiali italiane di multinazionali, a Barcellona. Il salario è decente, e soprattutto non ne sparisce più della metà in forma di tasse e contributi. Per l’impresa il costo del lavoro è decisamente minore. È una situazione in cui vincono tutti insomma. Tranne l’Italia.
- Si sa, ma fa bene ribadirlo: in Italia, chi può evade le tasse. Chi paga le tasse sa che i suoi soldi finiranno a finanziare attività inutili, o peggio, a sostenere per esempio un settore agricolo parassitario e da terzo mondo. In un paese così, non ci si può stupire che ci siano una miriade di piccoli esercizi commerciali, solitamente gestiti da persone non laureate per tornare al punto 1), che vanno avanti evadendo. Ricordo ancora quando la Comunità Europea, una quindicina d’anni fa, decise di incentivare la coltivazione della colza nel sud d’Europa. Tutti a piantare colza, anche al mio paesello. Ovviamente, il sussidio lo ricevevi per piantarla, non per coltivarla. Risultato? Tonnellate di colza a marcire nei campi, e la gente col sussidio si comprava la macchina nuova.
- Il settore pubblico è la forza motrice dell’economia del Sud. Anche una professione come quella dell’ingegnere non andrebbe avanti senza il settore pubblico. È una situazione assurda: lo Stato non fa quello che dovrebbe fare (rule of law, riscuotere le tasse, ecc.), ma fa tutta una serie di altre cose che in principio potrebbero fare i privati. Non solo, ma spesso le sue omissioni e i suoi ritardi generano situazioni di illegalità: il primo a infrangere le leggi è lo Stato stesso. Lo Stato tollera l’evasione fiscale, perché sa che una pressione fiscale e contributiva così alta non può essere sopportata da nessun sistema economico, ma non accenna a ridurre tale pressione fiscale né a tagliare le inutili spese e trasferimenti.
- La cosa terrificante è che le persone che definiremmo con un termine d'altri tempi "classe dirigente" (intendo la parte della società civile più istruita, insomma quella che definiremmo l'élite) sono assolutamente rassegnate allo status quo. Per carità, sono coscienti dell’abisso in cui l’Italia sta sprofondando, vedono che il resto d’Europa e il resto del mondo va avanti lasciandoci sprofondare, ma non credono nella possibilità di cambiare le cose. Fanno compromessi nelle loro vite, cercano di sopravvivere. Ma sono rassegnati all’esistente.
L’immagine che questa chiacchierata mi ha dato della Sardegna e dell’Italia più in generale è questa: una società ferma, paralizzata dall’eccesso di Stato che ha bloccato lo sviluppo della parte più sana della società per mantenere in vita la parte corrotta o decadente. Una società che non vede domani, che si accontenta di spartirsi le briciole dell’oggi, sino a che durerà. Ma poi? Come dice il titolo di questo articolo, la sensazione che mi è rimasta è di un forte pessimismo. Ma anche fastidio verso le nostre classi dirigenti: possibile che siate così fatalisti? Possibile che non vi incazziate? Dopo che uno ha visto cosa hanno fatto in Spagna in qualche decennio di democrazia, mi aspetto che torni incazzato nero in Italia. E che cominci a parlare di "rivoluzione". Che cominci a organizzarla, la "rivoluzione".
Invece niente. “E che ci vuoi fare?”. Mah, io niente, io ho già votato coi piedi. Cazzi vostri.
i sussidi li prendono solo i piccoli produttori?
Stai facendo un paragone tra due discorsi diversi, le aziende agricole gestite con tecnologie moderne hanno una produttvità infinitamente superiore ai residui semimedievali in questione e anche se incassano sussidi sono comunque attività produttive, potrebbero tirare avanti anche senza sussidi, la gente in questione è l'esempio dell'utilizzo degli aiuti alle aziende come ammortizzatore sociale.
I miei due cugini che hanno una stalla nella zona a sud di Milano riescono a coltivare il foraggio necessario alle loro 100 mucche , a vendere il latte e i vitelli da macello lavorando 365 giorni all'anno non possono essere paragonati al bifolco che ha un piccolo gregge di pecore e passa il tempo a guardarle brucare....
Insomma tra prendere sussidi e sopravvivere esclusivamente graze ai sussidi c'è una differenza......