Sia ben chiaro, Francesco Sylos Labini non ha semplicemente pisciato fuori dalla tazza, ma fuori dalla finestra. Forse non meritava nemmeno una replica, ma non si può sempre tacere.
Confesso anche che il buon Sandro Brusco, cui avevo fatto vedere il post preventivamente, mi aveva avvertito che si sarebbe come minimo rischiato di far passare la questione come una diatriba fra studiosi che fanno cose diverse. Molto probabilmente invece, avrei fatto la figura dell'arrogante che pretende di comandare agli altri di non parlare della propria disciplina. E aveva ragione.
Purtroppo però non ci può non essere arroganza in campo scientifico: c'è chi le cose le sa, e chi le deve imparare. FSL, di economia, purtroppo deve impararne, e molta, quindi non può mettersi a parlare di Nobel. Quindi il post l'ho messo e i commenti sono arrivati, copiosi più che mai. Senza pretendere che si tratti di un campione rappresentativo di lettori, posso comunque cercare di esprimere qualche considerazione:
1) Una buona parte del pubblico del fatto sembra non avere granché idea di cosa significhi studiare l'economia. C'è un sentimento diffuso di attribuzione di responsabilità diretta agli economisti per la grave situazione economico-finanziaria mondiale. Qualcuno non sa far distinzione fra "studioso di economia", e "persona che fa soldi", o speculatore.
2) C'è chi fa un passaggio ulteriore: è responsabilità degli economisti se tanti imprenditori e finanzieri (e politici magari) sono spinti da avarizia più che dal perseguimento del bene comune. Insomma gli economisti, duemila persone si e no, propongono uno stile di vita e tutti via a seguirlo, a milioni.
3) Sembra assodato per qualcuno che la categoria degli economisti sia direttamente al soldo delle elites finanziarie (chissà perché nessuna di quest'ultime ha ancora trovato il mio numero).
4) Non esiste una minima consapevolezza dei risultati concreti ottenuti dall'economia che migliorano concretamente la vita di tutti.
Potrei continuare con la lista. Le lezioni da trarre?
a) l'ignoranza di una buona fetta di lettori di un giornale peraltro ragionevole è stupefacente. Figuriamoci chi non legge il giornale! Purtroppo qui sto estrapolando troppo dal campione, che non può essere rappresentativo. Però io sono sempre dell'idea che dietro ad ogni commento ci sono centinaia di lettori che la pensano similmente. Anche se non rappresentativo, il campione fornisce un segnale.
b) occorre intraprendere un serio lavoro di educazione sul ruolo della scienza economica, cosa può fare, cosa non può fare e cosa ha fatto di buono. Un lavoro ingrato se si pensa alle grosse fette di prosciutto che certi lettori del fatto si trovano davanti agli occhi.
c) evitare di scendere al livello della bassa polemica. L'arroganza fa perdere credibilità, e di questo mi dispiaccio.
d) per quanto si possa essere cauti, ci sarà sempre chi prende una frase o un esempio estraendola dal contesto per rivelare una supposta incoerenza logica, o imprecisione. Tant'è: con questa gente non c'è speranza.
e) Il blog del Fatto, così come Facebook, Twitter, e tanti altri luoghi online, non sono posti dove si possa avere una discussione seria. Per due motivi; uno è che "logisticamente" non sono strutturati a questo scopo. Il secondo è che l'equilibrio dell'area commenti, quella che a me piace chiamare la norma sociale, non è quella di postare la propria opinione per cercare un confronto. Al contrario, si posta per pura soddisfazione personale, la soddisfazione dell'insulto gratuito.
La cosa strana è che il mio post abbia risvegliato tanti sentimenti contro gli economisti. Ma davvero, cosa abbiamo fatto di male? Ve lo assicuro lettori del Fatto, siamo delle brave persone :-)
22 ottobre 2011 alle 01:19