È utile cercare di capire la posizione dell'Italia rispetto sia agli altri "PIGS" (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) sia rispetto a Francia e Germania. Abbiamo saccheggiato il data base di Eurostat, tempestato di richieste di chiarimento i suoi ricercatori e cucinato i dati in tutte le salse per analizzare, nell'ultimo decennio, il debito pubblico e i parametri fondamentali alla sua sostenibilità. I risultati sono esposti in grafici, ciascuno con il link alla versione "grande" (in basso a sinistra) e al suo data base numerico (a fianco del titolo) e con commenti. Gli altri grafici sono invece stati ripresi dalla rete.
L'economia dei PIIGS (PIGS + Italia) rappresentava, nel 2010, più di un quarto dell'economia dell'UE, ma era minore della somma di quelli dei due paesi virtuosi; l'economia dell'Italia vale circa la somma di quella degli altri PIIGS e poco più di un ottavo dell'economia UE; è inoltre quasi sette volte quella della grecia: avete presente l'apprensione per la crisi greca? Moltiplicatela per sette e capirete l'isteria della settimana appena passata.
Grafici 1 - Pil e popolazione dei PIIGS (dati 2010) (link database)
Nella tabella qui sotto sono riportati alcuni aggregati di contabilità nazionale. Le caselle di ogni aggregato con i risultati migliori e peggiori (assumendo che siamo d'accordo su cosa è meglio e cosa è peggio) sono state colorate di verde (verde chiaro per il secondo migliore) e rosso (rosa per il secondo migliore).
Tabella 1 - Situazione a fine 2010 -link immagine grande
La Germania piena di verde, ma tutt'altro che al verde, appare subito come la prima della classe; Spagna, Francia e Italia sembrano equivalenti; Irlanda e Grecia sicuramente nei banchi degli asini (pardon dei maiali!); non classificabile il Portogallo. Poichè gli indici presi in considerazione non hanno lo stesso peso e sopratutto non si puo esprimere un giudizio sui risultati di un solo anno, in un periodo di forte discontinuità, di seguito analizzeremo l'andamento degli stessi indici nell'ultimo decennio.
Passiamo al dolente dente, il debito pubblico. Fino al 2007 l'Italia aveva un debito alto ma leggermente in discesa; il debito di Francia e Germania era più basso ma in leggera crescita (circa un punto all'anno). Spagna e Irlanda, allora additati ad esempio di paesi virtuosi, avevano un debito bassissimo e in continua rapida discesa. Italia, Francia e Spagna hanno da sempre privilegiato i titoli di di stato quale mezzo principale e stabile di finanziamento del debito (80-85%); la Germania dipendeva pesantemente dai prestiti ma la share dei titoli pubblici aumentatava con continuità (dal 63% del 2001 al 73,7% del 2009); nel 2010 un importante prestito la faceva crollare bruscamente al livello del 2003. Nel 2008 le cose cominciano a cambiare: il rapporto debito/Pil inizia ad aumentare per tutti i paesi osservati; rileviamo che la velocità di crescita del debito italiano è la minore in assoluto -- ma non può che essere così quando si parte da un livello più alto!
Grafici 2 - Debito pubblico (link database)
Non commentiamo i dati sul peso degli interessi rispetto a Pil e debito in quanto rappresentano solo un risultato matematico: l'interesse pagato in un dato anno dipende moltissimo dal mix degli interessi nominali dei titoli in circolazione alla data della loro emissione e non ha alcun chiaro legame con l'anno a cui è riferito (esempio). Per l'interesse sul debito abbiamo riportato per l'anno i-esimo "l'interesse pagato nell'anno i diviso il debito alla fine dell'anno i-1", coerente con il dato usato per estrapolare il debito: per dati annuali esistono altre due definizioni di interesse su debito che a, meno di forti discontinuità, differiscono di poco.
È molto interessante analizzare le ripercussioni dell'andamento del debito sui capitali che lo finanziano. Quando il debito aumenta la sua sostenibilità richiede l'apporto di risorse finanziarie, naturalmente: qualcuno deve prestare denaro al governo. I vari paesi in giro per il mondo sono naturalmente in competizione per accapparrarsi i prestiti di cui hanno bisogno, competizione di solito dura per i paesi in maggiore difficoltà. Questi saranno costretti ad allettare gli investitori con interessi sempre più alti, gli interessi più alti aumenteranno ulteriormente il debito e quindi il bisogno di nuovi capitali. Questi paesi entrano in un circolo vizioso noto come "snow-ball effect (effetto valanga) che, se non interrotto da interventi straordinari esterni, li porterà inevitabilmente al default. La Grecia ne sa qualcosa.
Grafici 3 e Tabella 2 - Debito pubblico e capitali (link data base)
Dal 2001 al 2007 il sistema del debito dell'EU ha in media liberato capitali -- questa tabella contiene tutti i dettagli. Solo Grecia, Francia e Portogallo hanno richiesto nuovi capitali reperiti senza particolari problemi poichè (a) la restante Area euro ha liberato nello stesso periodo capitali circa sei volte maggiori (b) il PIL di questi paesi è cresciuto nello stesso periodo circa sei volte i nuovi capitali richiesti. Da notare che l'Italia ha liberato circa il doppio di capitali (196,9 miliardi) sia della Spagna che della Germania. Nel 2008 la situazione cambia: tranne che per Italia, l'UK e marginalmente la Germania che continuano a liberare capitali gli altri paesi richiedono capitali. I Prodotti interni, tranne quello dell'Irlanda, crescono ancora in misura superiore e non si creano pertanto grandi tensioni. Il 2009 è l'anno di svolta: tutti necessitano di nuovi capitali (l'Italia è il paese che ne richiede meno rispetto al PIL) e tutti i PIL sono in discesa. Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna entrano in fibrillazione. A fine ottobre i CDS (Credit Default Swaps) del loro debito fanno un balzo (circa: Grecia +500 punti, Irlanda e Portogallo +200 , Spagna +100). Per l'Italia ancora nessun problema; a fine novembre nuovo balzo di circa 60 punti a cui è interessata anche l'Italia. Da questo momento i CDS di Italia e Spagna si muoveranno paralleli con quelli italiani più bassi di una settantina di punti. La figura qui sotto mostra lo spread, in punti percentuali, sui CDS della Germania (200 punti sono, ad esempio, due punti percentuali)
Nel 2010 il bisogno di capitali si riduce per tutti con l'eccezione dell'Irlanda, del Portogallo e persino della Germania, per la quale si moltiplica per cinque (tre quarti dell'aumento del debito è riconducibile a poste fuori dal conto economico; salvataggi di banche?). Il Pil nominale riprende a crescere per tutti tranne Grecia e Irlanda. Lo spread rispetto ai bund tedeschi (figura sotto) rispecchia in parte questi nuovi questi fatti nuovi, e in parte quelli vecchi aggravati dai nuovi.
E ora veniamo all'altra dolente (dolentissima, per l'Italia) nota, ovvero la crescita del Pil e, di riflesso, degli investimenti. L'Italia dal 2001 al 2008 è stata il fanalino di coda come crescita reale del Pil/abitante (in realtà scambiandosi più volte con il Portogallo). Ormai anche i sassi dovrebbero sapere -- talmente tanto lo si è ripetuto e mostrato su nFA e altrove -- che il Pil reale pro-capite in Italia nel 2011 sarà inferiore a quello del 2000, caso unico tra i paesi europei. Questo di per sé basterebbe a terminare qui la grigliata, ma andiamo avanti. Nel 2009 la crescita dell'Italia crolla più di quella di tutti gli altri paesi considerati tranne l'Irlanda; nel 2010 la crescita dell'Italia ritorna positiva ma flebile, lasciando alle spalle Spagna, Irlanda e Grecia la cui crescita rimane negativa e raggiungendo la Francia. Nel periodo 2001-2008 gli investimenti lordi (senza considerare il deprezzamento del capitale fisico, cioé) sul Pil sono stati mediamente 3,7 e 1 punto maggiori di quelli di Germania e Francia e sono cresciuti di mezzo punto. Nel 2009, nonostante il crollo dei pil anche gli investimenti su Pil sono diminuiti per tutti: la diminuzione più contenuta è stata quella della Germania e dell'Italia. Nel 2010 gli investimenti lordi su Pil di Italia e Germania sono risaliti attestandosi a solo punto dal livello 2008. Gli investimenti per abitante dell'Italia, sia in euro correnti che euro PPS, sono però inferiori a quelli di Germania, Francia e Spagna. Tutto questo è documentato nella figura qui sotto.
Grafici 4 - Crescita e investimenti (data base)
La crescita anemica dell'Italia (ormai anche questo lo sanno anche i sassi) riflette un ristagno ormai più che decennale della produttività dell'economia italiana. Se consideriamo la produttivita' a prezzi 2000 e a parità di potere d'acquisto vediamo (figura sotto) che nel decennio è appunto rimasta costante, la Spagna, sotto più del 10% a inizio periodo ci ha raggiunto, l'Irlanda, che era al nostro livello nel 2001, ci ha superato di un buon 20%, eravamo sotto del 10% rispetto alla Germania ora il distacco è quasi raddoppiato. Solo Grecia e Portogallo hanno sempre fatto peggio di noi ma anche rispetto a loro il divario si è ridotto. Nel 2010 le nostre ore lavorate per anno e per abitante, stabili nel periodo, erano superiori a quelle di Germania, Francia e Spagna mentre, in termini di popolazione attiva/popolazione totale, eravamo solo meglio della Spagna, anche se prossimi ai livelli di Grecia e Irlanda (sempre figura sotto). Dal 2001 al 2006 questo indice era cresciuto con uniformità per poi tornare nel 2010, con decrescita sempre uniforme, al livello di partenza. Per tutti gli altri paesi, con l'eccezione della Germania per cui l'andamento è stato speculare al nostro seppur con saldo negativo, questo indice è sempre stato in discesa con pendenza molto aumentata dal 2008 per Portogallo, Irlanda e Spagna.
Grafici 5 - Produttività e offerta di lavoro (data base)
Questi dati mostrano che il tasso di attività in Italie è quasi otto punti sotto quello della Germania ma siamo leggermente sopra ai tedeschi come ore lavorate per abitante. Lavoriamo in meno ma gli attivi lavorano mediamente più ore. La conclusione è che la nostra produttività è insoddisfaciente nonostante gli investimenti e l'intensità di lavoro di quelli che lavorano non siano particolarmente scarsi: questo potrebbe essere dovuto allo scarso valore aggiunto delle nostre attività.
Diamo un'occhiata ai consumi, privati e pubblici. I nostri consumi privati sul Pil sono tra i più bassi: visti per abitante (euro a parità di potere d'acquisto, o PPS) ci posizioniamo in coda con la Spagna e precediamo solo il Portogallo. La nostra spesa per le pubbliche amministrazioni (P.P.A.A.) in rapporto al Pil è più bassa solo di quella della Francia. La spesa in euro PPS per abitante sfata un luogo comune: spendiamo come la Spagna ma meno di Germania, Irlanda e Francia e siamo gli unici, con la Grecia, che dal 2008 la sta diminuendo. Questo non ci consola: vuol dire che l'elevata spesa pubblica italiana è determinata soprattutto da trasferimenti alle famiglie (pensioni in primis) e alle imprese.
Grafici 6 - altri fattori del Conto economico delle risorse e degli impieghi. (data base a e b)
I dati relativi al commercio estero, qui sotto, mettono anzitutto in evidenza la peculiarità dell'Irlanda, subcontractor del mondo (diventerà così anche Millano?), lo spettacolare aumento dell'export della Germania, la ripresa della bilancia commerciale della Spagna dopo la caduta dal 2003 al 2007 e il cronico disavanzo commerciale di Portogallo e Grecia; le bilance commerciali di Italia e Francia, in attivo fino al 2004, da allora mostrano un continuo deterioramento. Molto preoccupante che nel primo quadrimestre il nostro saldo con l'estero sia al -3,4% sul pil (-1,8% nel 2010)
Infine statistiche in pillole sulla finanza pubblica, quella dei conti in sicurezza. Da quando Tremonti, dopo i disastri del primo quinqennio di (s)governo, si è convertito al rigore siamo divenuti i campioni in rapporto ai saldi di bilancio: in particolare il nostro saldo primario, tranne il 2009 e 2010 (con -0,7% e -0,1% quando la Germania aveva -0,4% e -0,9% e la Francia -5,1% e -4,5%) è sempre stato positivo; la nostra spesa totale sul Pil (che comprende gli interessi) fa vacillare un altro pregiudizio: è sempre stata minore di quella della Francia; la nostra spesa primaria sul Pil è stata, fino al 2006, minore anche di quella tedesca; contrariamente alla Germania, che è riuscita a mantenerla costante, la nostra è aumentata di 2,6 punti per cui a fine 2010 era più alta di quasi due punti. Dal 2008 il gap si sta per fortuna assotigliando. Il saldo primario è importante ma, ahinoi, gli interessi vanno pagati se sei indebitato, e devi convincere i mercati che pagherai questi e rimborserai il capitale. Quello che può succedere l'abbiamo visto quest'estata. Buon Ferragosto.
Grafici 7 - spesa, entrate e saldi (data base)
La percentuale popolazione attiva / popolazione totale indica il totale degli occupati, oppure il totale degli attivi (occupati piu' in cerca di occupazione)? Lo chiedo perche' mi stupisce il dato spagnolo, piu' basso di quello italiano.
Il declino economico italiano inizia dal 1996, non dal 2001. Piu' o meno dal 1996 l'Italia cresce circa lo 0.8% meno della media di Francia e Germania, ogni anno, in media. A grandi linee la crisi economica italiana parte piu' o meno nel 1975-1980 ma viene mascherata da mostruosa spesa in deficit, poi c'e' il periodo del serpente montetario, sempre con spesa in deficit, con la lira vincolata all'Euro e l'Italia in sofferenza perche' gli sitpendi salgono piu' della produttivita' rispetto all'europa transalpina, quindi disoccupazione in aumento e costante espulsione di dipendenti della grande industria. La crisi strisciante esplode nel 1993 assieme alla prima repubblica, con una svalutazione del ~30% che favorisce una ripresa effimera nel 1994-1995. Poi dal 1996 c'e' solo declino economico congiunto all'impossibilita' di svalutare (che comunque sarebbe una cura insoddiscacente).