Il Popolo delle Carriole è un movimento di partecipazione democratica, nato a L'Aquila, a febbraio del 2010, anche se potremmo dire che parta ancora prima, da gennaio, quando si decise di festeggiare il capodanno tutti insieme davanti la Basilica di Collemaggio, dove tanti aquilani si sono ritrovati insieme, in una notte piovosa, per brindare all'inizio del nuovo anno, tra risate, l'inevitabile commozione del ricordo dei morti nel sisma, e le speranze per il nuovo anno, come quella di vedere un giorno L'Aquila ricostruita; ri-costruita e sottratta alla “protezione” asfissiante di gente che non conosce nulla del territorio, e che con la scusa dell'emergenza, ha posto il suo piede fetente nella nostra realtà e im-posto muscolarmente una soluzione abitativa, come quella del Progetto C.A.S.E., invasiva e incurante della volontà dei cittadini.
Da quel primo momento di socialità, importantissimo dopo mesi e mesi di letargia, indotta dal fisiologico smarrimento dei primi mesi dopo quel maledetto 6 aprile e corroborata dalla dispersione dei cittadini, si comincia a creare un vero e proprio tessuto comunicativo, che ha per base soprattutto la Rete, in particolare Facebook, essendo stati spogliati degli spazi di ritrovo, che si trovavano nel nostro centro storico. Cominciamo a realizzare quello che abbiamo sempre paventato: non c'è alcuna volontà di ri-costruire, ma solo di costruire ex novo, di fare profitto.
Poi la storia delle telefonate dei due sciacalli, Piscicelli e Gagliardi che ridevano la notte del 6 aprile alle 3e32, fregandosi già le mani per i possibili affari che avrebbero fatto nella ricostruzione. Tutto conferma le nostre paure.
“E allora basta! Il 14 febbraio andiamo tutti in centro e dichiariamo il nostro amore per la città!”...
Questo è quello che ci siamo ripetuti! E il tam tam è partito subito, in Rete, fuori, a lavoro...in due, tre giorni intensi. Il 14 febbraio 2010 ci siamo radunati in piazza Duomo, abbiamo percorso un pezzo di corso fino a raggiungere i “Quattro Cantoni”, il centro vero dello “struscio” cittadino, il luogo storico di appuntamenti per tutte le generazioni. Lì c'è uno dei tanti blocchi dell'esercito, blocchi che hanno reso e rendono tuttora il nostro centro storico simile a una periferia mediorientale, una sorta di “striscia di Gaza” (con le dovute proporzioni, certo...), in perenne cattività.
Eravamo 500 cittadini, galvanizzati dal riunirci per la prima volta in centro, e al tempo stesso esasperati di fronte a un blocco inutile, una pressione gratuita su uomini, donne, bambini, colpevoli solo di voler riprendersi la propria casa, la propria città, di rivendicare un'appartenenza.
Abbiamo forzato il blocco, con la forza e l'entusiasmo della disperazione, siamo arrivati a Piazza Palazzo, la piazza del Comune, il centro amministrativo dell'Aquila, e la scena in cui ci imbattiamo è a dir poco desolante: al centro della piazza, proprio ai piedi della statua di Sallustio, un cumulo enorme di macerie, alto tre metri. Siamo rimasti increduli. “Come si può parlare di ricostruzione, quando ci sono da un anno ancora le macerie?”
E dall'incredulità si è passati alla rabbia, e abbiamo finalmente mostrato questo triste spettacolo ai giornalisti presenti, complici del silenzio ammaestrato sulla reale situazione che abbiamo vissuto e viviamo ancora.
Quella domenica abbiamo deciso che la settimana successiva saremmo tornati...
Infatti, il 21 febbraio torniamo in centro, per appendere simbolicamente le chiavi sulle transenne del corso (la Giornata delle Mille chiavi) e per dire così "riprendiamoci la città, si riapra per quanto possibile il centro storico, si comincino i lavori di ricostruzione!". Stavolta non ci accontentiamo di oltrepassare le barricate per raggiungere piazza Palazzo, ma proseguiamo oltre raggiungendo vicoli e vicoletti per quasi un anno interdetti.
Vicolo dopo vicolo, in maniera anche un po' disordinata, a piccoli gruppi, torniamo a riempire di voci, di vita, quegli angoli feriti, quelle traverse dove tutto è abbandonato, porte e finestre ancora spalancate, tutto fermo a un anno prima.
La settimana successiva comincia ufficialmente il “Popolo delle carriole”, espressione affibbiataci dalla stampa, ma che, tutto sommato, non mi dispiace. Armati di pale, secchi e carriole, appunto, entriamo in centro, irremovibili nell'intenzione di voler “ripulire” noi la nostra città, cominciare NOI a sgombrarla dalle macerie. Siamo 6000 persone! Non crediamo ai nostri occhi. Siamo eccitati. Un fiume di cittadini variopinti, eterogenei, che all'inizio è stato anche difficile coordinare, per chi come me tentava di dare un minimo di indicazioni su come creare quella giornata di “lavoro”. Creiamo due cordoni umani, per spostare secchi pieni di macerie. La cosa straordinaria è che la rimozione avviene differenziando; capiamo che le macerie non sono da buttare tout court, ma sono una risorsa, c'è molto materiale riciclabile, tra coppi, ferro, solo il 20% può essere scartato, ma comunque riutilizzabile per tombare cave in disuso, per fondi stradali, ecc...
Insomma, una giornata di festa. Da lì è nato un movimento che, tra alti e bassi, ogni domenica riempie la città di iniziative, che ha creato un Presidio Permanente in Piazza Duomo, dove ogni mercoledì si svolge l'assemblea cittadina, in cui si prendono le decisioni sulle iniziative successive. Nelle assemblee si rende conto anche dei lavori partiti dai tavoli di discussione, dello Spazio Aperto del 21 marzo, in cui i cittadini si sono riuniti in vari tavoli, creati per tematiche, dalla ricostruzione edile, a quella sociale, all'emergenza occupazionale, ecc...e che dimostra come questo non sia solo un movimento di protesta e negativo, come dicono i nostri detrattori, ma un movimento vivo, trasversale, propositivo e ricco di potenzialità.
Grazie a queste giornate, hanno cominciato a togliere le macerie, seppur non con la meticolosa differenziazione che facevamo noi. Hanno riaperto pezzi di città. Hanno riaperto delle attività in centro. Insomma, stanno “riaprendo”...
Il Popolo delle carriole è ancora vivo, continua, si muove, tra difetti e pregi, si muove. E se un giorno L'Aquila rinascerà davvero sarà solo grazie a questo movimento, a chi non si è arreso, a chi non si è accontentato delle briciole gettate dall'alto come fumo negli occhi, a chi ha intenzione di lottare fino all'ultimo, perché ci venga dato quello che ci spetta, nulla di più, nulla di meno, e perché la ricostruzione riparta davvero, in maniera virtuosa, anche dalla creazione di spazi culturali, dove ricreare un'anima, dove ristabilire la socialità. Tutto quello che fa e rende viva una comunità.
Mi fa piacere dell'iniziativa degli aquilani che insoddisfatti, hanno cominciato a far da soli. Credo sia superfluo ricordare che è importante il ruolo dell'informazione seria per far condividere al paese la situazione ed accrescere la pressione sul governo a che nei limiti del possibile la ricostruzione cominci e proceda rapidamente.