Provero' ad argomentare, con dati
vari che ho visto recentemente ma senza particolari pretese di esaustivita', le seguenti affermazioni riguardanti
l'universita' italiana.
1) Produce ricerca poco e male.
2) E' possibile che non produca
nemmeno buona istruzione. Pochi i dati al riguardo che io conosca.
3) Non costa affatto
poco. Ma i soldi sono spesi male.
4) Mentre in Italia non ci sono
piu' soldi per l'educazione, i costi dell'educazione superiore (intendo
educazione post-laurea, che e' strettamente collegata alla ricerca accademica)
nel mondo stanno crescendo rapidissimamente. A breve anche le migliori
universita' italiane appariranno universita' del terzo mondo ripetto a quelle
americane e inglesi.
5) I rettori, il ministro
dell'istruzione Mussi, i suoi collaboratori (abbiamo parlato varie
volte di Modica, ma anche tal Giovanni Ragoni merita menzione) non hanno capito nulla. Hanno
obiettivi controproducenti, confusi o insostenibili, e sono completamente e assolutamente
ignoranti di quali siano i bisogni e i costi dell'educazione superiore e quindi
della ricerca accademica.
Ed ecco le argomentazioni, punto
per punto.
1) La ricerca. L'amico Roberto
Perotti ha raccolto una mole di dati notevolissima sull'educazione superiore e
la ricerca in Italia. Ha inoltre vari articoli in cui discute e analizza i
dati, sempre con acume e serieta'. Rimando al suo website sull'argomento. Riprendo alcuni dati
a mo' di illustrazione, per il lettore pigro, in particolare da questo articolo di
Roberto Perotti e con Stefano Gagliarducci, Andrea Ichino e Giovanni Peri:
- Le citazioni per-capita dei ricercatori universitari (la misura classica della qualita' e quantita' della loro ricerca) sono:
Italia |
USA |
Francia |
Germania |
Olanda |
Danimarca |
39 |
58 |
27 |
33 |
60 |
52 |
- La percentuale di studenti di dottorato provenienti dal'estero (una misura della capacita' del sistema accademico di competere per studenti) e':
Italia |
USA |
Regno Unito |
Spagna |
2% |
26% |
35% |
11% |
- Le pagine pubblicate per docente nei migliori 30 giornali accademici sono:
Italia |
USA |
Francia |
Israele |
Olanda |
1 |
11 |
4 |
7 |
6 |
2) L'istruzione.
Non so bene come valutare la qualita' dell'universita' italiana in termini di
istruzione. Se qualcuno ha idee o dati sono curioso di sapere. Da Repubblica ricavo la seguente tabella riguardante lo European
Human Capital Index:
|
Index |
|
Index |
Svezia |
8 |
Francia |
30 |
Danimarca |
14 |
Belgio |
31 |
Regno Unito |
19 |
Germania |
36 |
Olanda |
21 |
Portogallo |
37 |
Austria |
23 |
Spagna |
38 |
Finlandia |
29 |
Italia |
48 |
Irlanda |
30 |
|
|
Fonte: "Innovation at Work: The European
Human Capital Index", ottobre 2006. l'indice e' attribuito a ogni paese sulla base di
parametri come investimenti in istruzione e formazione, partecipazione della
popolazione complessiva, produttività, etc. Il miglior punteggio possibile è 4,
il peggiore è 52. D'altro lato, che stiamo peggio che la Spagna a nessun economista sorprende: la Spagna e' piena di studenti italiani che vanno li' a specializzarsi, ed anche di giovani italiani bravi che vi fanno i professori.
Questi indici sono sempre un po' nebbiosi quindi la classifica vale quel che
vale, ma ultimi in Europa!?
E distaccati di dieci unita' (qualunque
cosa siano queste unita')!
3) I costi. La media dei salari degli insegnanti
universitari in Italia non e' drammaticamente piu' bassa di quella degli Stati
Uniti (in dollari):
Italia |
|
|
USA |
|
|
Ordinari |
Associati |
Ricercatori |
Full |
Associate |
Assistant |
77242 |
57020 |
42415 |
91529 |
62400 |
53251 |
Si noti che per gli USA i dati
riportati sono relativi ad universita' con corsi graduate, le migliori. Per
le universita' senza corsi graduate, in cui si insegna solo (come nella maggior
parte delle universita' italiane), i
full professors fanno in media 65293 dollari, gli associate 50392, e gli
assistant fanno 41901; cioe' meno dei professori italiani (al lordo delle tasse ... al netto, nota bene, fanno ovviamente di piu').
Il problema e', i) che la distribuzione in
Italia e' piu' concentrata: mentre negli
Stati Uniti c'e' una piccola percentuale di professori che guadagna 2, 3 volte la media, in Italia al massimo
c'e' chi guadagna 30/40% in piu' della media, ii) che i salari in Italia
dipendono in modo rilevante solo dall'anzianita', mentre negli Stati Uniti i
salari sono correlati alla produttivita' in termini di ricerca (cosi' come
valutata dal mercato). Non e' che non si spendono soldi; e' che si spendono
malissimo, in professori scarsamente produttivi e senza dare incentivi basati sul successo nella ricerca. iii) Non si vede da questi dati, ma tutti sanno che le universita' italiane sono piene di bidelli, segratari, amministratori di tutti i tipi, con salari simili o superiori a quelli di ricercatori ed associati. Strutture burocratiche costose, e di cui un'universita' seria puo' fare tranquillamente a meno, come tutti sappiamo.
4) I costi dell'educazione superiore nel mondo.
Non ci sono soldi per l'universita' in Italia. Questo non e' sorprendente
visto che, dati i livelli di spesa, non ci sono piu' soldi per nulla. Il
ministro Mussi ha minacciato le dimissioni per avere noccioline in consiglio
dei ministri. Ma i costi dell'educazione superiore crescono nel mondo a ritmi
elevatissimi, almeno per quelle universita' che hanno ambizioni di produrre
ricerca a livelli elevati. Alcuni esempi: Stanford ha lanciato una campagna di
raccolta fondi per 4.3 miliardi di dollari in 5 anni. (Naturalmente la raccolta
avviene presso privati anche se il fisco non tassa le donazioni e quindi in effetti contribuisce
essenzialmente per un terzo delle donazioni stesse.) Columbia ha in corso una
campagna per 4 miliardi di dollari; Yale per 3 miliardi, NYU per 2.5 miliardi,
Chicago per 2. Piu' di 25 universita' negli Stati Uniti hanno campagne in corso per oltre un miliardo di dollari (i dati vengono dal
Chronicle of Higher Education e sono stati riportati anche dal NYTimes il 21
Ottobre). L'altro giorno parlavo al Dean di Arts and Sciences di Pittsburgh: ha
deciso di avere bisogno di nuove cattedre nelle scienze sociali per competere e
in 3 mesi ha messo in piedi una campagna
di 1 miliardo di dollari per finanziarle. Si e' dato 5 anni di tempo, ma stima
di mettercene 2. (Infatti le campagne di raccolta fondi sono studiate
attentamente, e quando una campagna e' annunciata non succede mai che il
risultato non sia raggiunto, anzi e' di solito raggiunto in meta' del tempo
stabilito).
Come e' possibile
competere con le noccioline nel portafoglio di Mussi? Non si puo' far finta di
nulla. O si abdica alla ricerca negli istituti di educazione superiore, oppure
si compete. Basterebbe che Mussi e i suoi collaboratori parlassero con un
qualunque presidente di una universita' seria americana, ma non molto, 10
minuti sarebbero sufficienti a capire. Ma loro ascoltano i rettori della
Conferenza dei Rettori che chiedono soldi, e minacciano la crisi di governo per
darglieli, naturalmente senza chiedere nulla in cambio, o almeno nulla di
dichiarabile apertamente.
Non e' solo il
sistema di mercato statunitense a investire nell'universita'. Seppure con molti
maggiori vincoli e in modo minore, il governo tedesco ad esempio sta
muovendosi. Un comitato governativo tedesco ha deciso in questi giorni di
sussidiare le tre migliori universita' tedesche (Karlsruhe, Munich, Technical
University) con 100 milioni di Euro l'una per 5 anni. E qui viene il problema
fondamentale.
5) Quali obiettivi per l'universita'? Il ministro Mussi e i
suoi collaboratori apparentemente aborriscono l'universita' privata. Lo hanno
dichiarato apertamente in varie occasioni (e si sono premurati di chiuderne
una, come ha notato gianluca, giusto per far vedere che possono e che hanno una visione dirigistica
dell'universita' come di qualunque altra cosa.) Ma perche' almeno non provano a
fare come i tedeschi? Scegliere un paio di universita' e dar loro i mezzi se non per competere almeno
per non scivolare nel terzo mondo dell'educazione superiore. Dopotutto non
tutte le universita' americane sono in grado di raccogliere tutti quei soldi.
Molte, moltissime, anche alcune note e prestigiose come quelle della citta' di
New York (CUNY) fanno fatica a sopravvivere.
Ma nemmeno questo
naturalmente vogliono fare perche' cosi' facendo parrebbe loro di supportare il
concetto di universita' di elite che anche cozza contro tutti i loro principi. Cosi' fanno infilare in finanziaria, articolo 70, un piano straordinario per l'assunzione di ... ricercatori! Ovvero di personale sottopagato, a cui viene promesso, ancora una volta, il posto fisso in cambio del far niente e di quattro soldi miserabili per sempre. Come se il problema dell'universita' italiana fosse che manca il personale (tutto l'opposto: ce n'e' troppo ed e' pessimo) Mussi ha strappato a Padoa-Schioppa una specie di piano "keynesiano" di occupazione per laureati e dottorati che non sanno che fare, che non hanno imparato nulla, e che nel mercato internazionale del lavoro, quello competitivo dove ti assumono perche' sai qualcosa di utile ed hai voglia di lavorare, non troverebbero un lavoro accademico neanche in Turchia. Per che ragione? Con che finalita'? Con che prospettive di cambiamento? Perche' un piano "straordinario" di reclutamento, invece di lasciare le universita' libere di autogestirsi ed assumere se e solo se lo vogliono?
Ma, allora, quale progetto ha il governo, per l'universita? Meglio, che progetto ha in
verita' il paese per il suo sistema universitario? Nuove idee? Beh, una
chicca interessante a questo proposito si trova in un articolo apparso su Il
Riformista a firma di Giovanni Ragone. Lui delle idee le deve avere perche'
apparentemente (dice chi sa) e' uno dei consiglieri piu' ascoltati di Mussi (un altro e' Luciano Modica, di cui gia' sapete tutto). Giovanni Ragone insegna Teoria dei Media,
Pubblicità e Letteratura e Comunicazione all'Università di Urbino "Carlo Bo".
Cito dall'articolo:
Non e' necessario
per questo importare modelli aziendalistici: la missione di ogni struttura va
condivisa e negoziata con il mondo, contrastando con la liberta' e la
curiosita' della ricerca il "monoculturalismo"
e l'autoreferenzialita'.
E ancora:
Gia' oggi la vera
scommessa e' nell'oscillazione, nel conflitto e ibridazione fra gli schemi di
accumulo e rigenerazione della conoscenza ancora post-gutenberghiani e quelli
in arrivo, e questo riguarda il pensiero unamistico e quello scientifico.
Cosa dire. Pare Derrida. No, pare de-risa ... Ci abbiamo (non si
dice, lo so) voglia noi qui di dare i numeri, di fare i calcoli ed i confronti: Ragone, lui si' che sa ... e il monoculturalismo, l'autoreferenzialita', e soprattutto gli
schemi di accumulo post-gutenberghiani dove li mettiamo?
Sono
queste le idee? Io non capisco, ma forse Mussi si' ... studio' in Normale, dicono i biografi. Speriamo qualcuno ci
spieghi.
42 mila dollari per un ricercatore???
dov'e' che devo firmare? rientro subito in Italia! Anzi, proprio subito no, pero'....
A parte gli scherzi, Alberto credo che il dato sui salari (almeno dei ricercartori...) mi sembra un po' troppo. Scommetterei sulla meta', almeno per quanto riguarda il salario di ingresso. Nota che in italia si puo' essere ricecatori a vita (non c'e' up or out), quindi forse quel dato riportato sopra raccoglie di tutto...e non puo' essere confrontato con gli assistant professor americani.
a meno che non si intenda al lordo di contributi e cose varie...
Per il resto concordo su tutto e rido del tizio di Urbino.....
Dai Nicola... mi sembri mia madre... Gagliarducci, Ichino, Peri, Perotti (2005) riportano i salari ad ogni grado di anzianita'. Per i ricercatori si parte da circa 20mila, per salire a 55mila con 40 anni di anzianita'. Senza dati sulla age distribution dei ricercatori non si puo' calcolare la media della popolazione. Il dato che riporta Alberto e' la media delle retribuzioni tabellari (o, se vuoi, la media della popolazione assumendo che la age distribution e' uniforme).