Sarà di Levanto o di Ventimiglia? Oppure di Genova? O magari di Diano Marina? Della Riviera di Levante o di quella di Ponente? O magari dell'interno? No, non stiamo parlando di una concorrente del Grande Fratello 10. Ma dell'unica famiglia ligure che ha fatto una segnalazione al prefetto della sua provincia.
Ricapitoliamo. Nel quadro dei provvedimenti anticrisi, nel gennaio scorso il ministro Tremonti istituisce gli Osservatori provinciali del credito al fine di monitorare il flusso di crediti erogato dalle banche a imprese e famiglie. Tale misura accompagna l'istituzione dei cosiddetti Tremonti-bonds, strumenti finanziari volti a ricapitalizzare le banche dopo la crisi finanziaria globale. La paura del ministro è che i fondi pubblici vadano alle banche e lì restino, lasciando nei guai imprese e famiglie. Come risolvere il problema? Mediante l'istituzione di Osservatori (strano non li abbiano chiamati ''Tavoli'', un termine che sembra andare di moda), alla cui guida vengono messi i prefetti. Il ruolo di questi osservatori è quello di far da cassetta di ricezione per la segnalazione di abusi effettuati dalle banche ai danni di famiglie e imprese.
L'impianto teorico di questo intervento sembra inserirsi fermamente nella gloriosa tradizione di pensiero che si richiama al modello superfisso. Più o meno l'idea, se così vogliamo chiamarla, sembra essere la seguente.
Problema. Le imprese e le famiglie hanno bisogno di credito, e lo chiedono alle banche. Le banche non danno credito.
Analisi del problema. Se le banche non danno credito dev'essere perché non hanno soldi.
Soluzione. Il governo fornisce i soldi alle banche, in modo che queste li diano alle famiglie e alle imprese.
Cosa può incepparsi in tale mirabolante soluzione? Può accadere che le banche, che sono brutte e cattive, i soldi se li tengano in cassaforte anziché prestarli. Non si capisce bene perché dovrebbero farlo, ma lo fanno. Magari i banchieri amano fare come zio Paperone, riempiono di bigliettoni il deposito e poi ci fanno il bagno. Ben si capisce che per soddisfare tali esigenze occorre tagliare il credito a chi consuma e produce. Che fare allora? Nessun problema. Basta usare la:
Soluzione bis: si incaricano le strutture amministrative dello Stato di verificare l'uso che le banche fanno dei soldi. Tanto per non farsi mancar nulla, anziché usare la Banca d'Italia, che ha un ovvio vantaggio di conoscenza in materia, si usano i prefetti.
In particolare l'assegnazione della guida di tali organismi ai prefetti aveva fatto sorgere più di una perplessità. Che competenze specifiche hanno i prefetti in materia di credito? Ci si domandava se il gesto del ministro Tremonti non fosse in realtà una scortesia verso la Banca d'Italia. La quale Banca, peraltro, una qualche insofferenza verso l'iniziativa del ministro l'aveva segnalata; per esempio, il governatore Draghi era intervenuto per limitare i dati bancari cui gli osservatori potevano avere accesso. Oggi, come dice l'articolo del Corriere "l'ufficio reclami è praticamente deserto". Eppure i prefetti sostengono di essersi impegnati con zelo, fornendo le informazioni necessarie, parlando con piccole imprese, artigiani e commercianti. Per avere una segnalazione da una famiglia in Liguria! Eppure i liguri hanno fama di essere attaccati al denaro. Una sola segnalazione anche in Abruzzo e in Trentino, 2 in Sardegna e nessuna in Calabria. Le famiglie laziali sono quelle che hanno "intasato" maggiormente le caselle dei loro prefetti con ben 32 segnalazioni. Più attive sono state le imprese: 8 in Liguria, 36 in Emilia-Romagna e 116 in Lombardia. Certo, si tratta di numeri parziali, ma anche se essi raddoppiassero, la conclusione non cambia: i prefetti sono rimasti disoccupati. Perché?
Una possibile risposta è che il meccanismo ha funzionato bene. Forse le banche italiane, al contrario di quello che ci si attendeva, rifuggono in ogni caso da abusi verso famiglie e imprese e male ha fatto Tremonti a dubitare della loro buona fede e disponibilità a venire incontro ai lori clienti. O forse, anche se naturalmente inclini a una buffa sorta di ritenzione anale in tema di credito, le banche si sono fatte spaventare dalla possibile denuncia ai prefetti e hanno immediatamente iniziato ad aprire i cordoni della borsa. Difficile dire in base ai dati attuali, ma questa risposta ci pare poco plausibile. Tutto sommato le sanzioni previste per gli istituti di credito non paiono tali da indurre drastici cambiamenti di comportamento. Secondo quanto riporta il Corriere:
...le norme non assegnano poteri coercitivi. Il rappresentante del governo, una volta ricevuta «l’istanza» di protesta da parte dell’imprenditore, può solo girarla alla banca chiedendo di riesaminare il dossier entro 30 giorni. Tutto qui. Un semplice esercizio di «moral suasion».
L'idea che le banche abbiano modificato il proprio comportamente in assenza di denunce e in assenza di un qualunque potere coercitivo che possa far seguito alle denunce ci pare un po' campata per aria.
L'altra possibilità è che le famiglie e le imprese, pur in presenza di abusi, abbiano preferito non denunciarli. Magari si sono rese perfettamente conto che fare una segnalazione ai prefetti era inutile e pertanto hanno preferito risparmiare tempo. Come chi subisce il furto di una bici a Milano, hanno imprecato in silenzio ma si sono ben guardate dal fare denunce e reclami. Oppure sta succedendo qualcosa di più sinistro. Il Corriere riporta le dichiarazioni di Roberto Castellucci, dirigente degli artigiani associati a Cna Toscana, il quale afferma che i suoi associati non fanno denunce per paura di ritorsioni da parte del sistema bancario.
La cosa che si omette di osservare è che questo tipo di comportamenti possono essere possibili solo in un clima di forte collusione e limitazione della concorrenza. Ed è lì, nella struttura del mercato, che bisognerebbe guardare per cercare soluzioni al problema della scarsa disponibilità del credito. I prefetti servono a ben poco.
[RI-EDITATO!]
Tutto chiarissimo, tranne la fine:
Approfitto dll'articolo fresco fresco per provare a capire qualcosa di questioni su cui non sono mai riuscito a vederci chiaro. Premetto: siamo a livello di quite basic economics.
Ok, mi par di capire tutto sommato abbastanza bene perchè un contesto di collusione potrebbe rendere possibili atteggiamenti diffusi di "ritorsione": se la banca X mi tratta di m***a, inutile che mi rivolga alla banca Y, tanto sono compari di cartello e hanno deciso insieme come trattarmi. Capisco un po' meno in che modo la collusione possa portare a chiudere i rubinetti del credito. In realtà, (nonostante se ne sia già parlato su nFA), più in generale, non capisco benissimo neanche perchè le banche non fanno prestito e, anzi, chiedono ai loro crienti di rientrare rapidamente - nonostante si vada dicendo che il sistema bancario italiano nel complesso ha retto benino, nonostante "si intraveda l'uscita dalla crisi" e nonostante il buon Tremonti metta a loro disposizione i celebrati bond omonimi. Provo ad azzardare un po' di ipotesi sfuse per far sì che gli autori possano farmi a fette con maggiore comodità.
1. Le banche si accordano per non fare prestiti. Quindi l'offerta di credito si riduce e il prezzo aumenta. Tuttavia, un prezzo più alto di quello "di mercato concorrenziale" implica, per le banche, rinunciare a investimenti teoricamente profitevoli. Perchè non deviare dall'accordo? Ok, ogni banca ha un fitto scambio di asset con i propri concorrenti e immagino che ciò possa permettere azioni punitive. Dunque il meccanismo collusione+stretta del credito serve perchè finanziando pochi progetti sicuramente molto profittevoli a tassi più elevati genera profitti maggiori che finanziare più progetti a tassi più ridotti. E' così che funziona? Quante boiate ho detto?
2. Un'altra possibilità è che il big issue - almeno per l'economia italiana - non sia nel mercato del credito, ma nel fatto che la domanda cala (non solo per un meccanismo endogeno all'economia italica: la domanda cala in parte perchè le imprese soffrono e quindi gli imprenditori guadagnano meno e gli operai perdono il lavoro ecc.; ma anche perchè è cala la domanda mondiale, il che non dipende certo dal comportamento della finanza italiana). Se così è, le banche non prestano alle stesse condizioni di prima perchè gli investimenti delle imprese hanno, on average, minore rendimento atteso. E' chiaro che il meccanismo potrebbe essere rinforzato dalla solità storiella dei limoni che qui però, al contrario della sua applicazione ai toxic asset americani di boldriniana memoria, è meno banale da spiegare. Perchè l'asimmetria informativa non discenderebbe tanto dalla natura dei beni da scambiare (lì, scommesse su scommesse su scommesse) quanto dall'incapacità delle banche italiane di fare il loro mestiere: valutare correttamente il valore degli investimenti proposti. Qui però la collusione tra le banche c'entra poco. O no?
3. Ulteriore aspetto da considerare (non alternativo ai primi due) è che le banche non prestano non ceerto perchè they love "sitting on pile of cash", ma perchè hanno debiti da cui rientrare, la quale cosa ha, per loro, un ritorno più alto di quello atteso dai progetti delle SME (Michele ha ora una nuova occasione per spiegarmi che non ho capito un tubo dei suoi argomenti...). O, comunque, le banche preferiscono investire i loro soldini in altre attività più redditizie... tipo? Beh, i BOT!!? :D. Whatever, anche qui non vedo ruolo per la collusione.
Resta, poi, una domanda - davvero naive anche questa - più nel merito dell'articolo: quali sono gli "abusi" che banche e famiglie dovrebbero segnalare ai prefetti? Cioè, se io chiedo un prestito a una banca che ha approfittato dei tremonti bond e la banca mi risponde picche, come dimostrare che di abuso si tratta?
(E se i commenti li faceste pagare "a riga"? o "a domanda posta"? o metteste una extra-fee sulle cazzate sparate? Think about that)!
Grazie
Marco, non sei l'unico che non si raccapezza bene in tutta questa storia. La verità è che la faccenda è confusa, i dati sfuggenti e gli argomenti degli attori principali spesso incoerenti. Comunque, iniziamo dal fondo. Tu poni la seguente importante domanda.
Che è si naive ma è anche una domanda che quelli che hanno messo in piedi gli osservatori del credito non sembrano essersi posti. Un ''abuso'' dovrebbe essere la negazione di un prestito a un soggetto con caratteristiche di rischio ragionevoli. Chiaro che il giudizio sulla rischiosità del cliente è esattamente il valore aggiunto dell'intermediazione bancaria. Se il cliente è in disaccordo con la valutazione della banca, ci dice la legge, può rivolgersi al prefetto. E il prefetto che ne sa di valutazione dei crediti? Nulla ovviamente, che è la ragione per cui la legge è così assurda. Questi sono ragionamenti elementari, ma a quanto pare dalle parti del Tesoro non ci arrivano.
Diverte inoltre osservare, giusto per dare la misura della cialtroneria di chi ci governa, che mentre si mettevano in piedi improbabili meccanismi per constringere le banche a dare i soldi alle imprese, lo Stato ha tranquillamente deciso che lui i suoi conti aspettava a pagarli. Una mossa che significa obbligare le imprese a finanziare a tasso zero lo Stato.
Ma lasciamo pure perdere le bischerate sui soldi che il governo da alle banche e i prefetti che controllano come li usano, e veniamo al problema più serio. C'è un problema di restrizione del credito in Italia? Se si, da cosa è causato? Qualunque soluzione seria al problema deve partire da qui, da una analisi delle condizioni del mercato del credito.
Non ho le idee molto chiare in proposito, dovrei passare un po' più di tempo a studiare questo mercato. Credo però che vadano distinti aspetti strutturali e aspetti congiunturali. Se esiste un problema di collusione e mancanza di concorrenza, questo è un problema strutturale e a dir la verità non c'è ragione di pensare che si sia particolarmente aggravato durante la crisi recente. Va affrontato, ma è una cosa di lungo periodo e ha poco a che fare con l'emergenza credito di cui si parla in questi mesi.
Quello che a naso sembra essere successo, non solo in Italia, è che le banche si sono trovate di fronte a un aumento della rischiosità del proprio portafoglio che le ha indotte a ribilanciare i propri assets verso impieghi meno rischiosi. Da qui la minore propensione a prestare alle imprese. È giusto o sbagliato? Le banche stanno facendo danni oppure stanno semplicemente ristrutturando i propri portafogli in modo da assicurarsi una mnaggiore stabilità finanziaria? Domande difficili a cui non ho risposte. Credo che gli imprenditori abbiano ragione a lamentarsi di alcuni meccanismi istituzionali (Basilea II) che spingono le banche a essere eccessivamente prudenti soprattutto in periodi di ciclo negativo. Ma quantificare esattamente quanta parte del peggioramento delle condizioni del credito sia dovuto a fattori evitabili e quanta parte sia invece la ragionevole conseguenza di un tentativo delle banche di ridurre il rischio dei propri assets è assai più complicato.