Innanzitutto vediamo cosa vogliono abolire questi quesiti e sentiamo, per bocca del comitato referendario, perché sono stati proposti.
I quesiti referendari riguardano:
- Quesito 1: la possibilità di affidare a privati la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di distribuzione dell'acqua).
- Quesito 2: la modalità di affidamento dei servizi idrici.
- Quesito 3: la legittimità della remunerazione del capitale investito nel servizio idrico.
In pratica si cancella la possibilità in principio delle concessioni nonché tutti i meccanismi e i principi che la renderebbero fattibile. In particolare il messaggio che passa con la proposta del quesito 3 mi sembra sia potenzialmente inquietante. Ma diamo la parola al comitato referendario, che ci spiega perché ha voluto questi tre quesiti:
Perché l’acqua è un bene comune e un diritto umano universale. Un bene essenziale che appartiene a tutti. Nessuno può appropriarsene, né farci profitti. L’attuale governo ha invece deciso di consegnarla ai privati e alle grandi multinazionali. Noi tutte e tutti possiamo impedirlo. Mettendo oggi la nostra firma sulla richiesta di referendum e votando SI quando, nella prossima primavera, saremo chiamati a decidere. E’ una battaglia di civiltà. Nessuno si senta escluso.
Perché tre quesiti?
Perché vogliamo eliminare tutte le norme che in questi anni hanno spinto verso la privatizzazione dell’acqua.
Perché vogliamo togliere l’acqua dal mercato e i profitti dall’acqua.
Il comitato infatti vuole:
[...] restituire questo bene essenziale alla gestione collettiva. Per garantirne l’accesso a tutte e tutti. Per tutelarlo come bene comune. Per conservarlo per le future generazioni. Vogliamo una gestione pubblica e partecipativa.
Perché si scrive acqua, ma si legge democrazia.
In sostanza, riepilogando le istanze espresse, troviamo che gli obiettivi di questa consultazione sono:
- tutelare l'acqua;
- conservare l'acqua per le future generazioni;
- togliere l'acqua dal mercato;
- togliere i profitti dall'acqua;
- garantire a tutti l'accesso all'acqua;
- eliminare le norme che hanno spinto verso la privatizzazione dell'acqua;
- restituire l'acqua alla gestione collettiva;
- gestione pubblica e partecipativa dell'acqua.
Questa lista è molto bella e nella presentazione che ne fa il comitato viene anche condita di espressioni di grande effetto ("si scrive acqua ma si legge democrazia") ma sembra che alcune di esse non abbiano senso. Andiamo ad analizzarle.
Va benissimo dire che bisogna "tutelare l'acqua" oppure affermare di volerla conservare per le generazioni future, ma in concreto cosa vuol dire? Un gestore privato di servizi idrici non può compromettere una falda in modo tale che sia compromessa per sempre, o meglio può ma basta un minimo di controllo per assicurarsi che non lo faccia: l'eventualità peggiore è che sfrutti la falda a tal punto da innescare processi di desertificazione che a loro volta potrebbero compromettere l'acquifero; si tratta tuttavia di processi molto lunghi, che richiedono decenni per manifestarsi e consolidarsi. Controlli anche solo semestrali sui livelli della falda dovrebbero essere ampiamente sufficienti a scongiurare questo rischio. La distruzione delle risorse idriche passa per altre vie, più simili alla gestione incosciente dei rifiuti industriali che alla distribuzione privata dell'acqua. Paradossalmente, introducendo interessi privati nel mantenimento della qualità dell'acqua potrebbe addirittura innescarsi un circolo virtuoso di protezione locale delle falde: se io getto degli inquinanti nell'ambiente, oggi i miei più agguerriti contestatori saranno i cittadini del paese accanto che rischierebbero di non potere neanche fare una class action (l'azione collettiva per danno ambientale non è automaticamente ammissibile in quanto è un illecito extracontrattuale non immediatamente riconducibile alle casistiche previste dalla legge - fondamentalmente: prodotti difettosi, pubblicità ingannevole e comportamenti anticoncorrenziali - l'ammissibilità di queste azioni collettive va quindi valutata caso per caso), mentre domani potrei mettermi contro l'ufficio legale di una multinazionale che si troverà costi produttivi più alti per colpa mia, siano essi legati a nuovi depuratori o a multe per mancato rispetto dei parametri dell'acqua erogata. Chi dei due sarà più efficace? In realtà in Italia nessuno dei due: un mio collega, in un contenzioso su questioni legate a infrastrutture ingegneristiche, si è appena visto prospettare un processo lungo 20 (venti!) anni.
Lo stesso vale per il discorso di togliere i profitti dall'acqua: cosa vuol dire? Scelgo di interpretarlo come “non vogliamo che la cosiddetta privatizzazione dell’acqua serva a togliere ricchezza alla collettività per consegnarla ai privati”, che mi sembra abbastanza sensato. Ma siamo sicuri che il meccanismo delle concessioni sia un costo e non un vantaggio, per la collettività? E’ lecito supporre che l’aspettativa dell’operazione sia proprio di ottenere dei vantaggi (per la cittadinanza) maggiori da una gestione privata degli acquedotti rispetto a una gestione pubblica. I vantaggi principali (tutti da dimostrare, ma lecitamente e ragionevolmente cercati) credo si possa concordare che siano fondamentalmente due: maggior efficienza nelle attività ordinarie, traducibile in minor costo di esercizio, e trasferimento degli oneri legati al reperimento e alla remunerazione dei capitali necessari agli investimenti straordinari a un soggetto terzo (il concessionario). Questo vuol dire, per esempio, che posso costruire infrastrutture senza pesare sul bilancio dello Stato, che non sarà costretto a emettere debito per finanziare queste iniziative. Certo, non ci sono pasti gratis, e questo meccanismo appare come uno scenario win/win solo in virtù di due cose:
- vengono sottratte risorse a un mondo che vive nelle pieghe delle inefficienze gestionali dello Stato (se queste inefficienze non ci fossero, per definizione il privato non potrebbe essere più efficiente);
- si trasferisce l’onere del debito per gli investimenti solo a chi ne beneficia e non si espone più tutta la collettività al rischio (anche se qui bisogna fare attenzione: si potrebbe andare contro il principio di sussidiarietà).
Ma, andando a fare i conti, la cittadinanza sarà quindi più ricca o più povera? La Federconsumatori e l'Adusbef hanno stimato un rincaro delle tariffe del 16%, senza però dire come è stato calcolato, ma soprattutto senza dire se le tariffe attuali sono sufficienti già ora a coprire i costi. Infatti anche sotto la gestione pubblica la distribuzione dell'acqua ha dei costi: mica posso evitare di pagare gli operatori, gli ingegneri e tutte le altre persone che rendono possibile il servizio? E, soprattutto, non devo garantire margini sufficienti a pagare gli investimenti iniziali? Verosimilmente, e giustamente, dal momento che non si tratta di spesa corrente, gli investimenti legati alla creazione o al rinnovamento delle infrastrutture ma anche alla creazione della struttura per la gestione saranno stati finanziati con l'emissione di titoli di stato che pagheranno un interesse ai sottoscrittori: avere soldi pubblici non vuol dire averli a costo zero, e comportarsi come se fosse così non elimina il costo del capitale ma sposta solo la voce di spesa.
Immaginiamo un acquedotto con una gestione in attivo: 8.000.000 € di vendita di acqua, un utile netto di 100.000 €, un EBIT di 550.000 € e dei FCFF di 1.000.000 €. Questa gestione è virtuosa o no? Sembrerebbe di sì, se non fosse che gli investimenti iniziali ammontano a 25.000.000 €. Se supponiamo che il capitale pubblico si sconti al 5% (dati di luglio del Dipartimento del Tesoro per BTP trentennali), il valore attuale netto dell’acquedotto su un orizzonte di 30 anni è inferiore a -9.000.000 €. Una perdita netta e discretamente abbondante, che peggiora i miei conti: per andare in pari (ovvero per coprire quei 9.000.000 €, sempre considerando quel 5% come costo del capitale) avrei bisogno di un incremento delle tariffe del 7,5% (nell’ipotesi che il maggior gettito fiscale della società vada a coprire questi oneri). Questo vuol dire che se un privato prende in gestione la struttura, assumendosi anche gli oneri dell’investimento e mi pratica un rincaro solo del 7% la collettività ci sta guadagnando. A questo punto è facile supporre quello che dovrebbe esserci scritto sul bando di gara: si pone una base d’asta per le tariffe pari alla tariffa attuale + il 7,5% e chi riesce ad abbassare di più le tariffe (vuoi per ottimizzazione del servizio, vuoi per migliore gestione finanziaria) vince. E’ lecito pensare che ci siano società in grado di farlo? Se incarico una società privata, questa ha degli azionisti che vorranno vedere remunerato il loro capitale di rischio; ma quanto sarà oneroso questo premio al rischio? A occhio direi sotto la media del mercato, visto che si tratta di business molto consolidati, di consumi poco elastici e di situazioni di monopolio locale (l'azienda con la concessione sarà solo una): da queste caratteristiche deriva appunto un rischio basso e così anche il premio relativo (la pagina di Aswath Damodaran riporta, per le società europee di Water Utility, un beta di 0,66). Non è follia supporre che quello che si perde in maggior costo del capitale lo si guadagni in quella maggiore efficienza del processo produttivo che dovrebbe essere una caratteristica dell’impresa privata. Inoltre, strutturando bene i bandi di gara (clausole che regolamentino gli aumenti tariffari, KPI scelti ad hoc, ecc…), direi che il rischio di oneri aggiuntivi per lo Stato (e, si spera, i cittadini) possa essere scongiurato.
Continuando con la disamina delle istanze del comitato per il referendum: "garantire a tutti l'accesso"? Cosa si intende? Vuol dire portare l'acqua anche all'ultima casetta sperduta in montagna o continuare a erogare anche agli insolventi? Il discorso non è differente da prima: entrambe le cose hanno un costo, e lo hanno già ora. Il fatto che un privato non voglia accollarseli senza una controparte mi sembra il minimo. Per ovviare a questo basta regolare bene i meccanismi di concessione (ad es.: stabilendo che l'amministrazione garantisce per gli insolventi), ma non è che il gestore privato è cattivo a togliere l'acqua a chi non paga: è la collettività che si sta scaricando dal peso di queste persone.
Il discorso sulla "privatizzazione", poi, non regge, dal momento che l'articolo da abrogare nella legge 133/08 dice esplicitamente:
5. Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati.
E' quindi la gestione che viene data ai privati (per un tempo finito). Non la proprietà, né delle infrastrutture né della falda.
Le istanze con un po' più di senso sono quelli relative alla gestione pubblica: se vogliono gestirsela in proprio, lo facciano pure, verrebbe da dire (il fatto che la volontà politica della cittadinanza sia autolesionista non le toglie legittimità). La legge obbliga o permette di privatizzare il servizio? Leggete sopra: "può". Si potrebbe discutere a lungo sui vantaggi o svantaggi della gestione privata, ma, anche se penso che la privatizzazione convenga, si tratta di un'analisi da fare caso per caso con i numeri alla mano: bisogna sapere quanto è il vero valore dell’iniziativa e se questa è in perdita, vedere se ci sono margini di ottimizzazione; nell’esempio fatto prima, le tariffe avrebbero potuto salire del 7,5%, ma ogni caso avrà i suoi valori caratteristici. Non escludo, anche se non mi esprimo sulla probabilità che questo succeda, che ci possano essere acquedotti gestiti bene dal pubblico, non ulteriormente ottimizzabili attraverso una gestione privata. In questo caso mantenere l'azionariato pubblico porterebbe, come si accennava poche righe sopra, a poter scontare i flussi di cassa a un tasso più basso. In sostanza, se la volontà politica di mantenere pubblica l'acqua in una determinata area è forte (e a maggior ragione se ben motivata), non mi sembra che questa legge ponga grandi problemi.
Detto questo, perché tanto successo per questi referendum? Credo che le risposte principali siano un’informazione parziale e una buona dose di sfiducia.
Informazione parziale perché si fa l'esempio di posti dove l'acqua costa di più perché privata, senza ragionare sul perché lì costa di più o sui costi che questa maggiore tariffazione impone (o evita) alla collettività; non lo sapremo mai perché quello che è stato veicolato non è un’informazione, ma una frase a effetto. Come si è visto, tariffe maggiori non solo possono essere pienamente giustificate, ma costituire, a determinate condizioni, addirittura un vantaggio per la cittadinanza. Parlare di tariffe più alte senza approfondire la questione è solo fare leva sulla “pancia” delle persone: l’informazione che fornisco non è falsa, ma è lungi dall’essere completa.
Sfiducia perché il meccanismo della gestione privata funzionerebbe bene a determinate condizioni che presuppongono che il potere politico sia in grado di vigilare su quanto fatto dai gestori privati sia in sede di gara che di gestione, mentre l'idea comune mi pare essere che questo potere troverà un accordo con i privati per rosicchiare margini quasi esclusivamente dal lato degli utenti (che a quel punto si ritroverebbero davvero a essere più poveri). In particolare c'è da dire che gran parte di quanto detto sui vantaggi che una gestione privata potrebbe fornire ha come presupposto che ci si trovi in un contesto competitivo, e ho le mie difficoltà a credere che sarà così. Però un conto è capire perché un sistema sia difficilmente applicabile in Italia e quindi vedere cosa si può fare per porlo in essere, ben altra storia è etichettare un sistema che sfrutta i meccanismi di mercato per creare efficienza (e quindi ricchezza) come "malvagio".
Leggo nell'articolo
Questo vuol dire che se un privato prende in gestione la struttura, assumendosi anche gli oneri dell’investimento
e qui purtroppo ci sia allontana dalla realtà Italiana. Mai le cosiddette privatizzazioni hanno fatto gravare sul privato concessionario gli oneri dell'investimento: vedi Autostrade (mica i benetton hanno pagato la rete autostradale), Telecom (proprietaria della rete pagata dai cittadini con le tasse e acquistata a debito), Alitalia etc.. Quasi sempre l'affidamento ai privati è stato un regalo ad amici e soci in affari di politici: cosa fa pensare che stavolta sia diverso? Facile gestire un bene senza oneri di investimento iniziale, gentilmente prestato dal politico di turno.