Processo alla Meritocrazia

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Del dilemma della sinistra tra libertà e uguaglianza ha già detto Aldo nella sua "lettera a un giovane della sinistra". Espressione di questo dilemma è stato il "processo alla meritocrazia" che si è svolto venerdì 1 ottobre alla scuola di politica del PD a Cortona. Ho partecipato a difesa dell'imputata e vi racconto com'è andata. Mi pare che la conclusione del processo (quasi comica, e dovete arrivare in fondo al post per scoprirla :-)), lasci ben sperare: i giovani della sinistra, evidentemente, devono aver già ricevuto la lettera di Aldo.

Il processo potete riascoltarlo integralmente qui. Oppure potete continuare a leggere.

L'imputata, la meritocrazia cioè, si era seduta al suo banco immaginario con un'aura di retorica truffatrice. Non perché alcuno pensi che si debba premiare chi non merita, naturalmente. Piuttosto per la presunzione che "meritocrazia" sia un trucco retorico per giustificare le posizioni acquisite e le disuguaglianze tra individui che ne derivano. ll presidente della giuria, Massimo Adinolfi, si è chiesto come si forma il merito:

Se il merito si forma socialmente non si capisce perché debba essere premiato individualmente. Se invece deriva da un talento individuale innato non si capisce quale merito ci sarebbe nel possederlo.

Questa è anche la sostanza dell'intervento di Lorenzo Sacconi, al quale è stata affidata l'accusa e che ha ben illustrato questa posizione dal punto di vista della filosofia liberal di John Rawls. Nel mio intervento ho cercato di spiegare perché è una buona idea premiare il merito comunque questo si formi, purché si riesca ad osservare il risultato ottenuto da un individuo o da un gruppo di individui.

Iniziamo a definire di cosa stiamo parlando. Per me la meritocrazia ha due facce. Primo, si tratta di una regola organizzativa: le responsabilità vanno distribuite secondo abilità e talento. Secondo, si tratta di una regola distributiva: il reddito va distribuito secondo l'abilità, il talento, e l'impegno che l'hanno prodotto (qui e in quello che segue uso implicitamente una delle identità fondamentali della contabilità nazionale: il reddito è identicamente uguale al prodotto). Naturalmente si tratta di facce della stessa medaglia: se in un sistema meritocratico uno ha abilità e talento per accedere alle posizioni di maggiore responsabilità nell'organizzazione sociale ed economica di una comunità, normalmente avrà anche un reddito maggiore.

Abilità, talento e impegno sono inosservabili. Quello che noi osserviamo, di solito, è solo l'interazione tra queste e altre cose, ossia il risultato ottenuto da un individuo. Immaginiamo, per semplicità, che quella che chiamo abilità sia innata, e che il risultato si determini così:

risultato = abililità x impegno x altro,

dove "altro" contiene misure di cose come l'istruzione ricevuta, la salute, i contatti sociali, il background familiare, eccetera. Quindi, ad esempio, se sei molto abile ma ti impegni poco ottieni un risultato basso. E se sei molto poco abile oppure provieni da una famiglia o un ambiente sociale svantaggiato e discriminato, otterrai un risultato basso anche se ti impegni molto.

Non potendo osservare, in particolare, abilità e impegno separatamente (gli econometrici chiamano questo un "problema di identificazione") meritocrazia vuol dire che uno è premiato il base al risultato. Prima di chiederci se questo è giusto, chiediamoci se ha una ratio economica. La ratio è semplice: mentra abilità e "altro" sono in gran parte date (e possono dipendere in buona parte dalla fortuna), l'impegno è qualcosa che un individuo sceglie e dipende da quanta parte del risultato l'individuo può tenere per sé. Se sai che verrai espropriato dei frutti del tuo impegno, perché impegnarsi? D'altra parte se sai che hai un diritto di proprietà pieno sui frutti del tuo impegno allora ti impegnerai molto. Chiaro, no?

Quello che ho descritto è un semplice sistema di incentivi: la meritocrazia (premiare il risultato) è l'incentivo a impegnarsi, facendo così funzionare abilità e talenti innati. In questo semplice mondo che ho descritto il reddito aggregato (la somma dei risultati determinati come sopra) è massimo quando vige la meritocrazia.

Questo primo aspetto del problema riguarda, quindi, l'efficienza. Una volta che sappiamo come raggiungere l'efficienza possiamo porre la questione della giustizia, cioè chiederci se quello che ne deriva è giusto oppure no. Dico "possiamo" perché per qualcuno la domanda non si pone neppure: o non la trova interessante (ad esempio perché la trova adatta a pura speculazione filosofica e inadatta a organizzare la società), o la trova vuota. Io la trovo interessante quantomeno per curiosità intellettuale, per cui procedo.

Meritocrazia implica, ovviamente, disuguaglianza. Molti considerano la meritocrazia ingiusta solo per questo. È una posizione legittima (meglio uguali a Pyongyang che disuguali a Roma, Londra, o New York, dice essenzialmente questa posizione) ma che tolgo subito di mezzo se no non c'è più nulla di cui discutere. Condannare la meritocrazia perché ci rende disuguali è come condannare la democrazia perché c'è una minoranza che perde.

Partiamo allora da due casi polari, che aiutano a fissare le idee.

Caso 1: solo impegno. Immaginate che il risultato dipenda solo dall'impegno:

risultato = impegno

In questo caso tutti (credo io) giudichiamo la meritocrazia giusta. Poiché basta impegnarsi per ottenere un buon risultato (e assumendo che l'impegno sia ugualmente esercitabile da tutti) nessuno ha scuse: se hai prodotto poco è perché ti sei impegnato poco. In questo caso, che rappresenta la chimera delle uguali posizioni di partenza, la regola "chi non lavora non mangia" suona sacrosanta.

Caso 2: solo fortuna. Immaginate ora che il risultato dipenda solo dall'abilità, che abbiamo ipotizzato innata e quindi prodotto di una "lotteria della natura", come la chiamava Rawls:

risultato = abilità

In questo caso la meritocrazia produce un risultato che potremmo percepire come ingiusto: se tutti sanno che una certa distribuzione del reddito è prodotta dal puro caso, da una lotteria in cui a ciascuno è distribuito gratuitamente un biglietto, quelli che perdono non ci stanno e giudicheranno il risultato ingiusto. Anche i vincenti intellettualmente onesti riconosceranno, probabilmente, di non aver meritato alcunché.

La verità sta in mezzo a questi due casi: il risultato è determinato da una combinazione di abilità innate, impegno, e le "altre cose" descritte sopra. [Apro una parentesi. L'effetto di queste "altre cose" è mitigato in molte società orientate al welfare: sanità pubblica, istruzione pubblica, e leggi anti-discriminazione, per citare solo tre esempi, sono istituzioni che servono a ridurre il legame tra disparità alla nascita e disparità dei risultati individuali. Ne deriva che le società orientate al welfare dovrebbero essere, condizionatamente all'esistenza di queste istituzioni, più propense a considerare la meritocrazia giusta. Non mi pare sia così e mi sto chiedendo ancora perché. Chiusa la parentesi.]

In questo caso è molto più difficile giudicare cosa è giusto e sorgono due domande:

  1. Come decidiamo se una distribuzione meritocratica è giusta?
  2. Cosa facciamo se decidiamo che non lo è, sapendo che se espropriamo gli individui del loro prodotto avremo meno prodotto perché distorciamo l'impegno?

Un criterio è quello che ha descritto Aldo nel suo post e al quale rimando per i dettagli: il velo di ignoranza. Riprendo il caso descritto di Aldo: ci sono due persone al mondo, tu e un'altra; quale distribuzione del reddito preferisci non sapendo cosa ti toccherà in sorte? Ad esempio:

(2,8) oppure (5,5)?

In questo caso tutti o quasi scegliamo (5,5) perché siamo tutti o quasi avversi al rischio: in questo caso non ci piace l'idea di finire con 2 quando possiamo ottenere 5 con certezza. Se la distribuzione (2,8) riflette differenze di abilità, impegno e il resto, stiamo dicendo che con questi payoffs non ci piace, dietro il velo, un sistema meritocratico.

Bene, che si fa allora in un mondo dove la distribuzione è (2,8)? Se utilizziamo questo criterio dovremmo redistribuire per arrivare a (5,5): togliere 3 al secondo e darlo al primo. Chi ha 8 non lo farà mai volontariamente (per questo per molti il velo è uno strumento inutile: una volta che hai eseguito l'esperimento mentale e hai sollevato il velo non c'è modo di convincere gli individui a implementare il risultato) quindi ci vuole qualcuno da fuori (chiamiamolo lo stato) che tassa e redistribuisce. Questo ha due effetti. Primo, disincentiva l'impegno di chi otterrebbe 8, perché questo viene espropriato di 3. Secondo, lo stato costa e assorbe risorse che non vengono redistribuite. Prende una commissione, insomma. Immaginiamo che questi due effetti rendano la scelta vera la seguente:

(2,8) oppure (3,3)?

Cioé la distorsione degli incentivi e il costo dello stato fanno perdere 4 unità di prodotto. Cosa scegliete in questo caso? Quelli che "meglio uguali a Pyongyang che disuguali a Roma, Londra, o New York" di cui sopra continuano a scegliere la distribuzione egualitaria, (3,3). La maggioranza (credo io) sceglie invece (2,8) riconoscendo che un sistema meritocratico potrebbere essere ingiusto (cosa che non possiamo stabilire con sufficiente grado di fiducia finché osserviamo solo il risultato e non l'abilità, l'impegno, e il resto al netto di tutto ciò che determina le disparità di quest'ultimo) ma è preferibile a un sistema egualitario che riduce eccessivamente il reddito aggregato.

Ho chiesto quindi di assolvere la meritocrazia sulla base di una possibilità e di un fatto. La possibilità è quella che ho appena descritto: che se non ti piace (2,8) l'alternativa potrebbe essere (3,3). Il fatto è che la meritocrazia favorisce la mobilità sociale. Se qualcuno, a questa affermazione, è saltato sulla sedia si rimetta comodo. La prova è semplicissima. Immaginate un sistema non meritocratico: non si distribuisce in base al risultato ma in base, ad esempio, al background familiare. Allora i figli dei medici diventano medici anche se sono degli asini, i figli degli avvocati diventano avvocati anche se non capiscono niente di diritto, e i figli dei professori diventano professori anche se sono analfabeti. Ora introduciamo un po' di merito. Allora lo studioso figlio del contadino batterà il figlio asino del medico all'esame di ammissione e si iscriverà lui a medicina. Il brillante figlio del pescatore avrà pubblicato più dell'analfabeta figlio del professore e vincerà lui la borsa di studio e poi il concorso. Eccetera. Fine della dimostrazione: la meritocrazia, se la si fa funzionare, crea mobilità sociale.

Com'è finito il processo? A cena c'ho scherzato con Massimo Adinolfi, che se non se l'è avuta a male lì non se ne avrà a male adesso (spero) :-).

Lui voleva prima proporre una sentenza salomonica (assoluzione per insufficienza di prove), poi forse non volendo contribuire all'immobilismo del PD ha optato per una

condanna dell'uso ideologico e interessato del concetto di merito.

Aggiungendo:

A voi il giudizio finale, magari con un applauso.

È seguito un applauso e qui finisce l'audio che potete sentire nella registrazione. Si', perché la registrazione resa disponibile finisce lì ... ma non è finita così. Alla fine di questa approvazione via applausometro un giovanotto sulla ventina si è levato un po' incazzato dalle prime file dicendo più o meno: "Ma che applauso e applauso, oh! Votiamo!". Non si poteva non votare a quel punto e il presidente ha fatto alzare le mani. Contrari. Favorevoli.

Sorpresa, sopresa, l'applausometro della sentenza bulgara non aveva funzionato bene. Infatti nella sala ancora piuttosto gremita quelli che volevano assolvere l'imputata battevano (si poteva giudicare a occhio e infatti non si sono contate le mani) quelli che la volevano condannare in proporzione 2:1 (cioé erano i due terzi) o giù di lì. Al che il presidente chiude la serata, più o meno così:

Vabbé, vince la meritocrazia ma con una significativa fetta di contrari.

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Commenti

Ci sono 93 commenti

Giulio, ho ascoltato il discorso e il dibattito. Sebbene io sia ovviamente dalla parte della difesa, non capisco l'impostazione che hai dato al tuo discorso. Dal tuo discorso si evince che il trade off è tra impegno e prospective abilities, in pratica Gattuso contro Cassano.

Io penso che meritocrazia significhi far vincere chi mette sia impegno sia abilità (consentitemi, Miccoli...) su due tipi di persone:

- Il buono a nulla figlio del potente (ricordate il figlio di Gheddafi nel Perugia?)

- Il furbetto che vince eludendo le regole del gioco (ahimè, chi se la scorda la mano di Maradona?)...

 

non capisco l'impostazione che hai dato al tuo discorso. Dal tuo discorso si evince che il trade off è tra impegno e prospective abilities

No, non e' questo. L'impostazione e' quella che dici tu. Meritocrazia e' premiare il risultato, che dipende (nella rappresentazione semplificata e in quella con welfare che ho descritto nella [parentesi]) da impegno e abilita'. Chiaro quindi che vince chi mette sia impegno sia abilita', come dici tu: le due cose sono complementari.

Questo e' efficiente. La domanda successiva, per chi e' interessato, e' se e' giusto secondo qualche criterio.

Anche se giudicassimo che non lo e', imporre la giustizia potrebbe essere non solo impossibile politicamente ma anche non conveniente economicamente.

Chi poi ama la giustizia piu' di ogni altra cosa e vuole realizzarla puo' farlo (tutto il mondo del volontariato e' esattamente redistribuzione egualitaria), qui ci stiamo chiedendo se devono farlo i governi.

ma gliel'hai proposto (6,3)?

Buon punto, Luigi. Io, chiaramente, ho utilizzato dei casi abbastanza estremi per rendere chiaro il punto che esistono dei tradeoffs. Se l'alternativa a (8,2) fosse (6,3), cioe' se perdessimo "solo" un'unita' di prodotto per trasferirne una al piu' povero molti potrebbero preferire questa soluzione piu' egualitaria.

Probabilmente, come mi ha fatto notare un collega nei giorni scorsi, la perdita di 4 da (8,2) a (3,3) e' eccessiva rispetto al vero costo della redistribuzione in termini di distorsione degli incentivi e di mantenimento di un apparato pubblico padichermico. Io non lo so se e' realistico o no. Fatto sta che esistono tradeoffs, puo' piacerci l'uguaglianza ma non la otteniamo gratis, e questa e' l'idea che all'economista preme far passare.

Viva la meritocrazia ma...

vedendo tante carriere di dirigenti (molti incompetenti ma con tanti agganci) mi chiedo, quando penso ai loro stipendi, quanto puo` valere un uomo piu` di un altro? Forse se ci fosse davvero meritocrazia ci sarebbe piu` uguaglianza perche` quello furbo e con gli agganci non potrebbe arrivare tanto in alto, non potrebbe scaricare i fallimenti sugli altri e appropriarsi di meriti altrui... insomma nessuno brillerebbe piu` del dovuto...

ci devo pensare ancora un po' ma penso che una vera meritocrazia aiuterebbe a rimettere i valori tra uomini nella giusta prospettiva e, in un certo senso, a portare anche piu` uguaglianza...

che ne dite?

 

Giusto, Enrico: in un sistema meritocratico dove ci siano valutazione (questa apre un'altra serie di questioni, ma affrontiamo una cosa alla volta) e concorrenza (Michele ha scritto un bell'articolo sul Fatto Quotidiano su meritocrazia e concorrenza e forse avra' qualcosa in piu' da dire) vengono eliminate le rendite e c'e' piu' mobilita' sociale. A parita' di altre condizioni (sempre per affrontare una cosa alla volta...) queste due cose favoriscono l'uguaglianza.

C'ero a Cortona, però devo dire che chi ha parlato prima di te ha fatto scappare dalla noia e dallo sconforto (sembrava un dibattito pseudofilosofico da convegno) molta molta gente.

Perche' non ti sei presentato? :-)

Sacconi mi ha detto a cena che ha apprezzato "il candore" con cui ho affrontato il tema. Secondo me intendeva questo: se avessi parlato con tanta nonchalance di queste cose trent'anni fa, diciamo nel 1978, non l'avrei passata liscia. Io lo prendo come un complimento, e riconosco che riflette almeno in parte un puro fatto generazionale.  La sua generazione approccia questo tema con una certa gravitas che rende l'oratore difficile da seguire -- anche se per me il suo intervento e' stato abbastanza chiaro e ben fatto. Quella generazione ha fatto per anni battaglie culturali su queste cose.  La differenza e' che la mia e' una generazione post-ideologica e quindi possiamo discutere di queste cose in maniera piu' rilassata, senza per questo banalizzare il tema.

risultato = abilità

Forse il termine abilità è inadeguato. L'abilità è una cosa che migliora con l'esercizio. Quindi non solamente innata. Dipende da come la coltivi.
Io piu' che "abilità" direi "talento". In effetti in altri luoghi in cui si discute di meritocrazia è saltata fuori l'equazione "Merito = talento + impegno".

Ma è saltata anche fuori la parabola dei talenti, che porrebbe Gesu' non piu' come il primo comunista della storia ma come il primo liberista.


 

Matteo, 25,14 ha scritto: Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.

Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

 

 

 

Gesù è "meritocratico", nella parabola dei talenti, ma anche "egalitarista" nella parabola della vigna...

 

Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi.

 

concordo

l'impegno può alimentare l'abilità e l'abilità può poi determinare l'impegno necessario per raggiungere un obiettivo.

insomma ognuno ha dei talenti che con l'impegno per esempio nello studio evolvono in una abilità maggiore che può poi ridurre l'impegno richiesto

l'impegno quindi sembra un bene che può essere "capitalizzato" nel senso di essere esercitato prima per essere usato in seguito.

 

O.T. quando una i invece di una e è molto importante! ( il tuo cognome )

 

Giusto un piccolo appunto semi-inutile. Suppongo che in una "funzione di merito" il talento e impegno vadano a moltiplicarsi tra loro, non aggiungersi. Sicché ognuno dei due funge da collo di bottiglia per l'altro.

Viva la meritocrazia...

Anche se se la meritocrazia avulsa dal mercato in alcuni casi puo' essere un problema.

Il merito premiato dalla promozione, per esempio, mi fa venire in mente il recente IgNobel portato a casa dai ricercatori di Catania.

Segnalo un libro uscito qualche anno or sono sull'argomento:

http://www.bol.it/libri/demeriti-merito.-critica/Pierluigi-Barrotta/ea978887284786/

Il concetto di meritocrazia, a mio avviso, nasconde un pericolo.

Per quanto mi sembri giusto che chi ha delle capacita` debba essere libero di esprimerle, temo che questo ci rinchiuda in una societa` di bravi pronti a discriminare chi non ha mai avuto possibilita` di fare crescere le proprie potenzialita` o chi abbia capacita` che in un dato contesto storico/sociale vengono ritenute inutili.

Si rischia di creare una societa` dove chi ha abilita` coerenti con gli standard della suo contesto culturale venga premiato eccessivamente, e chi non corrisponde ai canoni correnti penalizzato eccessivamente.

Non dubito che ogni concetto possa nascondere pericoli, visto che siamo "geneticamente programmati" a vederne dietro ogni angolo.

Tuttavia visto che nel mondo del lavoro (pubblico impiego compreso) una "crazia" è comunque d'obbligo, mi chiedo quale altra crazia sarebbe preferibile.
Oggi in Italia, che non è per nulla meritocratica, dominano i favoritismi, le clientele, le raccomandazioni di parenti ed amici, il "tengo famiglia", nepotismi (pensiamo alle baronie universitarie).
Domina il familismo amorale di cui tanto si discute.

Considerando, come ci ricordava Machiavelli, «E però in ogni nostra diliberazione si debbe considerare dove sono meno inconvenienti, e pigliare quello per miglior partito: perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truova mai», direi proprio che per ora la meritocrazia è la migliore opzione.

Francesco

 

Per quanto mi sembri giusto che chi ha delle capacita` debba essere libero di esprimerle, temo che questo ci rinchiuda in una societa` di bravi pronti a discriminare chi non ha mai avuto possibilita` di fare crescere le proprie potenzialita` o chi abbia capacita` che in un dato contesto storico/sociale vengono ritenute inutili.

Be', no: abbiamo cose come l'istruzione pubblica e la sanita' pubblica esattamente per dare a tutti la possibilita' di sviluppare il proprio potenziale. E non vedo quali capacita' innate possano essere specifiche a un certo contesto storico e sociale.

Il problema si può complicare ulteriormente dato che le opportunità non necessariamente sono date tutte con la nascita ma possono essere conseguenza di scelte politiche. E' più giusto e opportuno investire risorse pubbliche sul talento (p.es. test di ingresso in scuole e uni), in un ottica di efficienza allocativa, o dare (meno) opportunità a tutti, indiscriminatemente?

 

                       IL.COMPLOTTO CONTRO L’ ECONOMIA ITALIANA

 

 

Negli anni ’60 l’ economia italiana inizio’ un fiorente sviluppo, era fra le più competitive in Europa. Tanto da allarmare le maggiori economie industriali del continente.

 

Gli imprenditori dei Paesi a Nord della Alpi, ben organizzati e attenti alle strategie di sviluppo, misero sotto osservazione lo Stivale e le caratteristiche dell’ economia italiana. Capirono che essa aveva alcune marce in più: la creatività, l’ iniziativa, tipiche degli imprenditori italici. Per limitare la concorrenza italiana, gli imprenditori tedeschi, francesi, nordici, sembra anche belgi, iniziarono una riflessione strategica. Conclusero che le capacità di assorbimento del mercato europeo erano limitate, che le capacità creative degli Italiani avrebbero, nei decenni successivi, tarpato le ali allo sviluppo delle economie europee. Decisero quindi di partire, con una buona strategia, all’ attacco dell’ economia italiana. Fu decisa la missione “Tagliare la gambe”, iniziata in gran segreto.

 

Il Complotto

 

Furono create squadre di sobillatori ed un  programma serio e lungimirante.  L’ obiettivo era chiaro: diminuire la competitività italiana. Fu strutturata un ‘organizzazione adeguata per lavorare nell’ ombra. Furono arruolati guastatori capaci di rompere, creare una quinta colonna, sovvertire il tessuto sociale. Finanziamenti furono stanziati per una lunga missione, mirata alle fondamenta dell’ economia italiana. Furono stabiliti contatti adeguati in Italia.

 

La missione ando’ avanti pressapoco cosi. Furono contattati quadri italiani di basso e medio livello, nei contesti chiave dell’ economia (sindacati, imprenditori, ministeri economici). Con argomentazioni fasulle e metodi convincenti, si stabili’ la diffusione continuata in Italia, per un paio di decenni, delle seguenti idee chiave:

 

1        la responsabilità dei funzionari pubblici, dei politici, degli operatori dell’ economia e del sociale é un concetto superato, che crea ansie e conflitti;

2        il merito, fino ad allora usato per la selezione del personale, rischia di rovinare il lavoro di gruppo;

3        il ritmo di lavoro intenso e continuo, la determinazione, sono ostacoli al miglioramento della razza;

4        la puntualità,  il rigore, la precisione, sono qualità da ragionieri o da topi di laboratorio, e sono in contrasto colla mentalità commerciale;

5        l’ organizzazione é uno strumento in mano ai capi per fiaccare la pazienza dei lavoratori e spadroneggiarli. Inoltre essa uccide la fantasia.

6        il mondo moderno é in evoluzione e richiede l’ uso di qualità nuove, come la furberia, il doppio gioco, il doppio linguaggio, i piedi in due staffe;

7        la dedizione e lo spirito di sacrificio sono contrari alla mentalità corporativa, la quale rischia di essere schiacciata.

 

Tutte queste idee furono ben cucinate e diffuse fra quei quadri dell’ economia che brillavano per superficialità, poco interesse per il lavoro serio e coerente.  La facilità all’uso di adeguati compensi aiuto’ a formare una quinta colonna di guastatori italiani. Come previsto, la flessibiltà sempre presente, la superficialità frequente e il diffuso disinteresse per il bene del Paese, facilitarono il lavoro. L’ opera di disfattismo inizio’ a diffondersi, con l’ aiuto della demagogia diffusa da loschi politici ben pagati, interessati ai propri affari , più che ai meccanismi dello stato, sentito come lontano e pretenzioso. 

 

 I guastatori stranieri erano ben nascosti in piccoli uffici qualunque, lontani dai grandi palazzi dell’ economia. I guastatori italiani da loro assoldati assoldati lavoravano abbastanza bene, ma andavano molto sorvegliati e organizzati a causa della loro poca affidabilità.

 

I risultati del complotto, andato avanti per parecchi lustri, sono sotto gli occhi di tutti. Il tessuto sociale italiano é ormai notevolmente deviato, lontano dalle società europee avanzate. Oggi ci sono in  Europa due tipi di comportamenti. I comportamenti europei sono diffusi in quasi tutta la U.E., ma non in Italia, ove sono spariti. Essi sono riassunti in Allegato 1.

 

I comportamenti che la società italiana ha attivato, sono fondati sulle seguenti nuove sensibilità:

- le regole non contano, i padrini si;

- il posto di lavoro deve essere garantito e non soggetto allo stress o ad alee come il merito;

- la confusione e il caos sono valori di tutto rispetto, in quanto permettono ad ognuno di fare le correzioni necessarie ai propri interessi.

 

Queste nuove sensibilità, diffuse senza molte difficoltà dalla missione “Tagliare le gambe”, hanno portato a fine secolo il tessuto sociale italiano allo scenario seguente:

 

1              riusciamo a fare male (o diciamo di voler fare, ma poi ...), noi i più creativi europei, cose che gli altri Paesi della U.E. sanno fare bene;

2              ci muoviamo, in alcune città e regioni o settori, in un pantano di imprevisti o scenari grigi;

3              qualche imprenditore considera l’interesse di trasferire la propria attività al di fuori delle nostre frontiere;

4              a fronte di numerosi problemi sociali, ben conosciuti da tempo, non si propongono soluzioni. Anzi, meglio non parlare dei vecchi problemi, tanto siamo rassegnati  !

5              la conquista dei palazzi del potere da parte di politicanti, avvezzi a negoziare, impadronirsi, negoziare, scambiare, condizionare;

6              la diffusione di abitudini paternalistiche, una volta confinate nel mezzogiorno, nei palazzi del potere;

7      col tempo si diffonde nel milieu politico, poi in quello pubblico, l’idea che la carica pubblica o l’elezione non comporta necessariamente un impegno né grandi obblighi inerenti al proprio ruolo.

 

 Fra i Paesi della U.E., l’Italia si distingue oggi  per alcuni fattori particolari del suo quadro sociale, che hanno un impatto negativo sulla competitività.  Eccoli:

 

- l’assenza di volontà e capacità organizzative, la diffusione dell’improvvisazione  (causa ed effetto della confusione in aumento), in un mercato sempre più complesso,  creano difficoltà agli imprenditori.

- la difficoltà frequente di realizzare i programmi pubblici che sono stati decisi (anche per la rarità di metodi di lavoro efficienti) rende incerto il quadro economico e  quello pubblico. Si vive nel nuovo secolo sempre di più alla giornata, i programmi  pubblici divengono solo indicativi. Le promesse non si possono mantenere. Gli obbiettivi dichiarati si dimenticano.

- diviene troppo raro il valore “responsabilità del proprio operato”. Si diffonde a macchia d’olio il vecchio (ma una volta nascosto) uso di selezionare la classe dirigente per allacci personali. Il merito e l’esperienza, formalmente in auge, divengono in pratica valori dimenticati. L’unica cosa che conta ormai a inizio secolo: conoscere un VIP potente.

             - mentre qualche Paese africano ed asiatico inizia a combattere la corruzione, in Italia nessuno ne parla, considerandola una normalità.

La confusione politica non é la sola  causa dei problemi nazionali. Ma la più chiara espressione di una deriva di società. Qualcosa di simile fu scritto da TIME alla scoperta di tangentopoli.

 

I Risultati

 

Dopo alcuni decenni di diffusione dei nuovi metodi di gestione del potere, si puo’ osservare  frequentemente (é la specificità italiana nella U.E.):

 

8         servizi e opere pubbliche sono troppo spesso gestiti senza impegno né motivazione, visto che la carriera dipende sempre più dagli allacci personali;

9        la crescente distanza fra gli obiettivi politici dichiarati prima delle elezioni e i progressi realmente realizzati.

 

Nei servizi resi al cittadino la qualità si degrada. Poco male, l’Italiano é flessibile, si abitua a tutto, anche al peggio.  La sempre più larga diffusione di metodi approssimativi e fumosi fa apparire (alle persone attente, ma esse non sono molte) nel  grigiore sociale incoerenze,  promesse dimenticate,  obiettivi mancati.

 

Decenni di espansione di inefficienze e fallimenti, accettati, hanno fatto si che nessuno se ne lamenta più. Rassegnazione balcanica. La diffusione della incertezza e inaffidabilità nel tessuto sociale degrada molti settori e appesantisce molte attività economiche. Le quali cominciano a  divenire meno competitive, senza che ci sia una gran colpa degli imprenditori.

 

Le diminuite qualità, affidabilità di merci e servizi sono state in molti settori accompagante da un altro tipo di degrado: l’insufficienza di organizzazione, sicurezza, rigore, serietà poteva talvolta essere accettata senza contraccolpi dalla società quando esistevano frontiere e dogane (prima degli anni ’90). Coll’istituzione del mercato europeo la competitività, che é  divenuta un must, perde colpi in alcuni settori, soffre delle inefficienze e insufficienze. Maggiori le difficoltà di alcuni imprenditori di affrontare il mercato globale, essendo ormai troppo intralciati da un  sistema sociale fuori dei tempi. Ove invece i loro competitori al di là delle frontiere basano la loro competitività anche su serietà, rigore e capacità organizzative di alto livello.

 

L’inchiesta effettuata

 

Sulla missione”Tagliare le gambe” ho potuto indagare, nonostante la riservatezza delle materia. Durante i miei continui viaggi in Europa per la mia attività (legata alla gestione di satelliti) ho dialogato con molti europei. Avendo intuito che c’ era qualcosa di losco, ho cercato informazioni  su possibili complotti contro l' Italia.

 

Con un po' di pazienza, ne ho parlato con  parecchi europei.  Facendo qualche buona bevuta. Per me buoni vini, per loro hard drinks. I popoli nordici sono generalmente abbottonati. Ma whisky, rum e gin sciolgono molte lingue legate. 

 

Ho poi scoperto che la missione "Tagliare le gambe" era in realtà frutto di sogni, durante i miei viaggi di lavoro in Europa.  Ho avuto percio' dei dubbi sulla realtà dell' inchiesta fatta. Ma i dubbi sono stati poi fugati dall’ evidenza del disastro sociale odierno, che conferma quindi che un qualche complotto, conscio o inconscio, deve proprio esserci stato.

 

 

Antonio Greco   ANGREMA@wanadoo.fr

 

Allegato:

 

                            

 

                       COMPORTAMENTI DIFFUSI NEGLI ALTRI PAESI DELL’U.E

 

 

                                         ( LE SOCIETA DELLA FIDUCIA )

 

 

 

 

Nell’Unione Europea sono diffusissimi, e giudicati normali, i seguenti comportamenti (1):

 

-   estrema chiarezza nell’espressione scritta ed orale

-   estrema chiarezza dei proprii diritti in ambito sociale, i quali sono normalmente     

    realizzati,  in pratica, dall’apparato statale, nei riguardi di tutti

-   forte determinazione, individuale e collettiva, nel portare a termine le azioni di cui si é   

    responsabile

-   onestà estrema, nei principi e nell’applicazione pratica, nei rapporti con la società

-   imperativo di non profittare della propria carica/ruolo sociale nel proprio interesse          

    personale

-   esigenza, da parte di ogni cittadino, che i servizi resi dallo stato siano di ottimo livello, o    

    almeno soddisfacenti

-   la  responsabilità legata alle proprie funzioni comporta:

      - l’obbligo di esercitarle con impegno ed onestà

      - la necessità di rendere conto sia di errori che di omissioni e la consapevolezza che gli    

        errori possono essere puniti o determinare una marginalizzazione dell’interessato

-   onestà e correttezza nel rapportare in pubblico o in privato fatti in cui si é coinvolti

-   rispetto dei diritti altrui e consapevolezza dei limiti dei proprii diritti (generalmente ben   

    conosciuti, senza l’aiuto di « esperti »).

 

 

Un tratto molto comune nel tessuto sociale dei Paesi dell’U.E. é la selezione per merito, e non per allacci personali, in tutti gli ambiti sociali, incluso il pubblico. La qual cosa determina l’interesse ad essere corretti ed efficienti, per migliorare il proprio ruolo/introiti da lavoro.

 

                                                                                                          A. Greco

______________________________________________

(1) Queste osservazioni riguardano  tutti  gli altri Paesi della ex U.E. (dei quindici), eccetto la Grecia e la Spagna, che  non conosco abbastanza

 

 

 

 

                                               LA LAPIDE

 

Leggo un quotidiano italiano. Nausea abbondante.

 

Decido di scrivere una lettera al giornale, per listare le CAUSE apparenti di tante emergenze, di tanta melma fangosa, che ostacola il cammino di tanti Italiani.

 

Mia moglie: “Lascia perdere, il giornale non te la pubblica”.

“Perché ?”

“Perché tu dici la verità ! Il giornale non te la pubblica la verità”. E tutte le verità non sono buone a dirsi !

“Lascio perdere ?”.

“Prova con una filastrocca”, lei mi dice.

 

Ci provo, sui VALORI.  Quelli che sono, fra l’ altro, necessari per far girare le ruote di un Paese, di un’ economia.   

                                    

                                               LA FILASTROCCA

 

Un emigrato legge il giornale: -“Solo valori negativi ! Dove stanno quelli positivi ?”.

- “Positivi ? gli Italiani non amano costruire !”

- Come costruire, se manca la chiarezza ?

- Come reinserire la chiarezza, se manca la coerenza ?

- Come diffondere la coerenza, se si é diffuso il doppio linguaggio ?

- Come eliminare il doppio linguaggio, se lo scopo dei politicanti non é costruire, ma guadagnare....... potere ?

- Come togliere il potere ai politicanti ? Ci vorrebbero i tecnici, i professionisti, quelli che non vendono chiacchiere......... ?

- Dove trovare i professionisti, se le persone che hanno una buona posizione, che hanno fatto esperienza ad alto livello, sono state scelte col comparaggio e l’ omertà ?

 

- Come eliminare il comparaggio e l’ omertà, senza una proposta seria per poterlo fare ?

- Come preparare una proposta solida e seria, se non si conosce più, nello Stivale, la chiarezza, la coerenza, l’ efficienza, l’ onestà, la dirittura, il rigore, la responsabilità, il realismo, il valore, il merito che genera impegno ?

 

- Ritrovare i VALORI , le forze positive? ....... Ma bisogna andare a comprarli in U.E. ?

- Andare a comprare i VALORI in U.E. ? .... Forse, ...ma é proprio quello che fanno gli espatriati  !

Solo che, una volta imparati i VALORI, questi ultimi ci restano, nei Paesi europei. Gli conviene................................,  anziché rientrare nella melma fangosa.

 

- Ho capito, ordino una lapide al marmista dietro l’ angolo.

- “Che ci scrivi ?”, chiede la moglie.

- Ci scrivo sopra: “Qui giacciono : chiarezza, coerenza, efficienza, onestà, dirittura, rigore,  responsabilità,  realismo, valore, merito e impegno”.  Poi la fisso in un cimitero italiano. Qualsiasi.

 

L’ espatriato

 

Antonio Greco

ANGREMA@wanadoo.fr

(disponibile per presentare le CAUSE dei guai italici)

Caro Giulio, ovviamente non me la prendo affatto: ci mancherebbe altro. Spero di avere tempo di scrivere anch'io qualcosa a margine della serata, e di tornare sul tuo argomento, perché nel merito (!) non ho detto nulla. Qui però devo dire che, ovviamente, non ho alcuna responsabilità nella diffusione della registrazione (che non ho ancora sentito), e che la tua cronaca sul voto finale è imprecisa solo per un particolare: l'applauso non era bulgaro, e nemmeno polacco, era solo un modo per concludere, senza nessun altro significato (credo anche da parte dei plaudenti). E l'immobilismo del Pd ovviamente non c'entra nulla (però apprezzo lo scherzo), perché anzi sono stati gli organizzatori a farmi segno che forse era giusto che si sentenziasse, avendo creato noi un'aspettativa in tal senso. Se poi vuoi la mia opinione sul voto  espresso (non sul dibattito o sugli argomenti) ti dirò che avrei scommesso e ancora scommetterei sul fatto che, nella testa dei partecipanti, stesse soprattutto (se non soltanto) l'idea che è giusto premiare il merito, il che a me stesso pare abbastanza inoppugnabile. Ma le sentenze non si interpretano, si applicano, sicché, pace: sarem tutti meritevoli (d'accordo con la Costituzione).

Ci vediamo in appello.

Grazie per aver colto lo spirito, Massimo, :-) e per esserti inserito nella discussione.

Se hai tempo sarebbe davvero utile scivere un commento "nel merito del merito": il ruolo che ti avevano affidato ti ha limitato in questo ma la tua prospettiva puo' essere un utile contributo alla discussione.

Innanzitutto, complimenti per il bel post.  A quanto pare, nonostante il dibattimento, le arringhe e la sentenza, la questione "meritocrazia sì" Vs "meritocrazia no" resta sostanzialmente insoluta. Giulio dice:

un sistema meritocratico potrebbere essere ingiusto (...) ma è preferibile a un sistema egualitario che riduce eccessivamente il reddito aggregato. 

Per come sta procedendo la discussione, l'avverbio "eccessivamente" fa la differenza tra "meritocrazia sì" e "meritocrazia no". Questa è un'osservazione equivalente a quella di un utente precedente, che si chiedeva cosa sarebbe successo qualora al posto dell'allocazione (3,3) ce ne fosse stata una (6,3)..

Un altro punto vorrei sottolineare, per capire cosa ne pensate: cosa succede se un sistema meritocratico è inserito in un contesto con diverse generazioni?

Mi aspetterei che i risultati dei padri ($) non siano attribuiti solo ai figli (ad es., attraverso una tassazione  di successione che ridistribuisca in maniera egualitaria i redditi della generazione che scompare), altrimenti, di che meritocrazia parliamo?

Ma in tal caso qual è l'incentivo che la generazione vecchia ha ad ottenere risultati (i.e. a lavorare)? Poco/nessuno.

Quindi un sistema meritocratico, oltre che probabilmente ingiusto sarà inefficiente, esattamente come quello egualitario.

O sbaglio?

Per come sta procedendo la discussione, l'avverbio "eccessivamente" fa la differenza tra "meritocrazia sì" e "meritocrazia no". 

Esattamente: dipende tutto dal tradeoff tra costi e benefici. Gia' partire da questo secondo me fa fare un enorme passo avanti al dibattito.

Mi aspetterei che i risultati dei padri ($) non siano attribuiti solo ai figli (ad es., attraverso una tassazione  di successione che ridistribuisca in maniera egualitaria i redditi della generazione che scompare), altrimenti, di che meritocrazia parliamo? Ma in tal caso qual è l'incentivo che la generazione vecchia ha ad ottenere risultati (i.e. a lavorare)? Poco/nessuno

Esattamente anche qui: per molti quello che ho chiamato impegno e' motivato da considerazioni intergenerazionali, voglio lavorare tanto per lasciare alla mia discendenza. Se li espropri al momento della realizzazione di questo desiderio (per uguagliare i patrimoni iniziali) e loro lo anticipano, l'impegno e' disincentivato.

MI pare ovvio che in una società come quella italiana attuale l'intodruzione della maritocrazia non debba e non possa avvenire da un giorno  all'altro, ma debba essere un processo che richiede tempo, a partire dalla scuola sia dal punto di vista teorico (dei principi) sia dal punto di vista pratico (lo studente che si impegna di più -oltre al talento- riceve una valutazione più alta, i professori che ottengono risulatati migliori avranno gli incentivi, la scuola con risultati migliori avrà maggiori finanziamenti -quì si introduce l'autonomia della scuola nell'assumere i professori e nel gestire le risorse).

Esistono già indici (come tutti sapete) a livello europeo e mondiale per misurare tali performance

Sono convinto che la maggioranza degli italiani arebbe favorevole alla meritocrazia laddove la medesima fosse utilizzata non contro qualcuno, ma misurata sulla base di parametri certi, pubblici e condivisi, con una autorità terza ad applicarli.

Inoltre no bisognerebbe tener conto del ruolo dello Stato come mediatore degli inevitabili conflitti e come moderatore degli estremi.

l'applicazione di una qualche minima forma di democrazia danneggia sempre e comunque qualcuno. sennò, non si capisce nemmeno perchè la si invoca così tanto. evidentemente perchè c'è qualcuno che si pensa svolga il proprio ruolo per cause non di merito. pensare che la parolina magica venga applicata soltanto a politici, banchieri e presentatrici televisive è molto comodo.

mettiamo che d'un tratto la meritocrazia venga applicata di botto e in tutti i settori. è lecito supporre che una larga parte delle persone abbia qualcosa da perdere, e che magari trasmetta questa insofferenza verso le altre. il punto è questo: che ne possono sapere gli altri dei benefici di un sistema basato sul merito? se non hanno la minima idea di come funzioni, probabilmente preferiranno accontentarsi dello stato attuale delle cose.

bisogna andarci cauti, che non significa affatto che non bisogna provarci. soltanto, non diamo per scontato che la società, o almeno, la cosiddetta società civile dia per buona un'idea che almeno in italia resta confinata nell'iperuranio.

poi, andiamo, "autorità terza"???

cosa significa?, che lo stato debba controllare chi ha merito e chi no? ma se la gente ha in genere una pessima percezione dello stato, se tutti i manager pubblici sono passibili di (a volte giustificate) tutte le possibili malizie sui loro percorsi di carriera, se anche la parzialità della corte costituzionale viene messa in dubbio (non solo da Lui)! pensare che sia un'autorità centrale, per di più come lo stato italiano, a innestare nelle anime dei cittadini il senso del merito è pensare a uno stato etico improbabilmente ben disposto a soddisfare i sogni erotici delle elite intellettuali.

per come stanno le cose, l'unica soluzione è smettere di fantasticare su un illuminazione improvvisa dei nostri politici, dei nostri superiori, di chi più o meno inconsapevolmente detta le regole di comportamento, e iniziare, molto più modestamente, a fare del merito uno spirito di condotta personale. se questo poi provoca risultati positivi, allora saranno gli altri a seguirci.

A me sembrava che, per Rawls, il punto non fosse nel "reddito" più alto ma in quello più basso e che qualunque reddito alto sarebbe stato "giusto" se quello basso fosse aumentato da 3 a 3,5. Per questo consideravo Rawls un liberista. Sbaglio?

 

no

p.s.

e' adorabile l'Italiano, uno scrittore qui

inveisce contro la maritocrazia, che suppongo sia la villa ai Caraibi che la sig.ra Berlusconi usa perche' maritata al sig Berlusconi.

Ma se il giudice era (il pokerista) Adinolfi era facile vincere!

 

Se il merito si forma socialmente non si capisce perché debba essere premiato individualmente. Se invece deriva da un talento individuale innato non si capisce quale merito ci sarebbe nel possederlo.

 

Al che domandi ad Adinolfi: "ma giochi a poker perché è meritocratico oppure perché è solo fortuna?"

E la parentesi pokeristica non finisce qui! Sul velo di ignoranza..

 

Un criterio è quello che ha descritto Aldo nel suo post e al quale rimando per i dettagli: il velo di ignoranza. Riprendo il caso descritto di Aldo: ci sono due persone al mondo, tu e un'altra; quale distribuzione del reddito preferisci non sapendo cosa ti toccherà in sorte? Ad esempio:

(2,8) oppure (5,5)?

In questo caso tutti o quasi scegliamo (5,5) perché siamo tutti o quasi avversi al rischio: in questo caso non ci piace l'idea di finire con 2 quando possiamo ottenere 5 con certezza. Se la distribuzione (2,8) riflette differenze di abilità, impegno e il resto, stiamo dicendo che con questi payoffs non ci piace, dietro il velo, un sistema meritocratico.

 

Qui Adinolfi capiva meglio un esempio del tipo: "Hai coppia di nove e vai all in, uno ti chiama. Speri che abbia una coppia (e la coppia più alta ha l'80% di vincere) oppure due figure (e siamo 50 e 50)?

Perdona il divertissement pokeristico :-) ma tra parabole e off topic non ho resistito.

 

C'è un errore. L'Adinolfi pokerista è Mario. Quello che ha moderato il dibattito è Massimo.

Con un modesto problemino. E' affatto infondato che i filosofi non ci avessero pensato, per la cronaca Hume e Smith.

E' piu' problematico il fatto (ad avviso del sottoscritto) che la filosofia italiana sia dominata (ahinoi ancora) da gruppuscoli di teste di legno che hanno in mente una specie di rivoluzione reazionaria in cui tutto fa brodo: Schmitt e qualche fenomenologo para nazista, il neo tomismo di Vattimo, e il pragmatismo comunitarista che estraggono da Wittgenstein (quelli che lo han letto), per il resto e' carta straccia.

Una dimostrazione, per chi abbia a cuore il soggetto lo trovate nelle scherzose giornate dedicate al comune (non al comune di Caserta) al "comune")

trovate ampie visioni qui

http://commonconf.wordpress.com/

Mi ha colpito l'osservazione "parlare di meritocrazia per coprire altro". Anche da questo interessante post si capisce nitidamente che la meritocrazia ha implicazioni complesse e profonde sulla società, sui suoi meccanismi, sull'ordinamento; meritocrazia va a braccetto con concorrenza e mercato. . Qui da noi la meritocrazia sarebbe rivoluzionaria nei suoi effetti. Credo sia peggio non parlarne perchè non parlarne implica il non evidenziare tutto l'immobilismo sclerotizzato e corporativo-clientelare che annichilisce ilpaese.

 

 

OT:  Link ad un recente paper di Glenn Ellison (MIT) sul rapporto fra citation based indeces e carriera accademica in Economia