Il Senato degli Stati Uniti sta dibattendo in questi giorni la proposta di riforma del sistema di regolamentazione finanziaria che ha il supporto dei Democratici e della Casa Bianca. La proposta porta il nome del presidente della Commissione sulle Banche (Senate Banking Committee), Christopher J. Dodd, Democratico del Connecticut.
Vorrei provare qui a delineare il più chiaramente possibile gli elementi essenziali della riforma e a discuterli alla luce della teoria economica e dei fatti, lasciando a lato gli aspetti politici della questione, i compromessi pur necessari alla sua approvazione. A questo proposito volerò un po' alto, senza soffermarmi sui dettagli. Questo non perché i dettagli non siano importanti, spesso sono cruciali, ma perché in questo caso i dettagli sono ancora da definirsi: una battaglia di emendamenti è in corso al Senato che potrebbe snaturare parti della legge così come essa oggi appare. Poi magari a bocce ferme ci torneremo.
Il lettore con un bel po' di tempo libero può leggere il testo completo della proposta Dodd: sono 1300 pagine. Io, mi scuso, ma non l'ho fatto. Mi sono studiato invece il riassunto ufficiale e vari altri riassunti apparsi sulla stampa. Poiché sto cercando di capire le linee generali della riforma, spero sarà sufficiente.
I punti principali sono questi:
- La creazione di una autorità (Financial Protection Bureau) predisposta alla protezione dei consumatori di prodotti finanziari (leggi debitori) in vari mercati: mutui, carte di credito, credito al consumo. Questa autorità avrebbe il potere di imporre regolamentazioni applicabili a tutti gli attori in questi mercati.
- La creazione di un Consiglio (Financial Stability Oversight Council) che raccolga i presidenti di tutte le varie agenzie di regolamentazione finanziaria e che serva come meccanismo di coordinamento degli interventi di regolamentazione. I vari compiti di regolamentazione saranno re-distribuiti tra le varie autorità oggi esistenti - danno maggiori reponsabilità alla Fed.
- La definizione di un nuovo meccanismo di liquidazione di banche e altre società finanziarie, su decisione di Tesoro, Fed, e FDIC (Federal Deposit Insurance Corp.), l'autorità che assicura i depositi bancari. Per agevolare il meccanismo di liquidazione, il Tesoro disporrà di 50 miliardi di dollari da raccogliere dai mercati finanziari.
- La definizione di una regolamentazione più stringente delle agenzie di rating, che saranno sottomesse all'autorità della SEC (Securities and Exchange Commission) e saranno soggette ad azioni legali civili.
Altri interventi sono ancora vaghi nella forma e nei contenuti. Ma sembra probabile che
- i mercati dei derivati saranno soggetti a maggior trasparenza. Stessa sorte per gli hedge fund di dimensione rilevante.
- Gli azionisti avranno maggio potere nella determinazione della compensazione degli amministratori societari.
- Le banche saranno soggette a restrizioni sul proprio portafoglio, ad esempio riguardo a investimenti in hedge fund o in fondi di private-equity.
Innanzitutto una premessa generale, forse ovvia ma pur sempre importante. Non potrei esprimermi meglio di quanto non abbia fatto David Brooks sul NYTimes (che pur facendo il sociologo, dimostra ogni giorno di più di essere la migliore testa pensante di economia del nostro benamato giornalaccio):
The premise of the current financial regulatory reform is that the establishment missed the last bubble and, therefore, more power should be vested in the establishment to foresee and prevent the next one. The Goldman Drama, 27 Aprile, 2010
Poco, troppo poco, nella riforma, affronta le ragioni del fallimento della regolamentazione finanziaria prima, dopo, e durante la crisi. Pur non volendo passare da ultra-liberista più del dovuto (che è già molto), a me pare che il contributo che la cattiva regolamentazione dei mercati, dovuta in parte anche alla "cattura" del regolatore da parte dei mercati finanziari, ha imposto alla crisi dell'anno scorso sia assolutamente notevole. Una riforma che non affronti questo punto è quantomeno monca.
Vado punto per punto (sennò che ho messo i punti a fare).
1. Il Financial Protection Bureau. L'ideologia paternalista che supporta e giustifica la creazione di un Financial Protection Bureau più o meno indipendente mi fa ribollire il sangue nelle vene. Ho parlato di questo in tempi non sospetti - criticando la teoria economica comportamentale che fa da supporto teorico al paternalismo. La realtà però è che in effetti il Financial Protection Bureau sarà probabilmente irrilevante e potenzialmente anche positivo. Non vi è dubbio che regolamentazioni generali, ad esempio di chiarezza e trasparenza nei contratti di credito tipo mutui e carte di credito, sarebbero cosa buona. Non vi è dubbio che una larga parte della popolazione sia "finanziariamente analfabeta", come si ama dire di recente (permettetemi una divagazione coi miei complimenti ad Annamaria Lusardi, mia compagna di corso in Bocconi, che su questi temi ha lavorato da tempo e recentemente ha cominciato a collaborare con l'amministrazione). Un esempio piccolo piccolo e banale: una bella tabella chiara come quella che è obbligatorio mettere sui prodotti alimentari con le calorie e i grassi, che riassuma i termini finanziari dei contratti, sarebbe utilissima. Certo, se il Financial Protection Bureau si mettesse invece a regolamentare la forma e il contenuto dei contratti allora sarebbe un'altra cosa. Ma non mi pare si vada in quella direzione (ebbene sì sono un inveterato ottimista).
2. Il Financial Stability Oversight Council. Solo questione di re-distribuzione di potere. Niente di drammatico, né nel bene né nel male.
3. La liquidazione delle banche. Ecco questò sì che è importante. Su questo punto si attanaglia anche molta della discussione al Senato e sui media. Andiamo per ordine.
i) Un meccanismo di liquidazione ordinata di banche e istituzioni finanziarie da parte dei regolatori è necessario. Affrontare una crisi finanziaria senza dare adito al panico è difficile di per sé, senza bisogno di doversi inventare strumenti legali per intervenire, come hanno dovuto fare Fed e Tesoro l'anno scorso.
ii) Il meccanismo in questione deve lasciare notevole flessibilità di intervento al regolatore, ma deve anche predisporre un vincolo il più stringente possibile al salvataggio (al bailout) che il regolamentatore e la politica sono sempre proni a garantire ai ricchi mercati finanziari.
Sul punto ii) casca l'asino della proposta Dodd. I 50 miliardi (e nessuno garantisce che ex-post non se ne raccolgano di più come molti propongono) servono a questo, a finanziare un eventuale bailout. I Democratici argomentano che non è così, perché i 50 miliardi non vengono dai contribuenti ma da Wall Street. Questo è già qualcosa, in principio l'eventuale bailout non costerebbe ai contribuenti. Ma il problema del bailout è il moral hazard: una volta pagata la quota al Tesoro, ogni singola banca avrà interesse a investire in attività rischiose, contando su un bailout in caso le cose vadano per il peggio. In altre parole, la quota che ogni banca paga al Tesoro, con cui il fondo di 50 miliardi è costituito, non ha nessun potere di incentivo rispetto alle decisioni di investimento della banca stessa. Il moral hazard rimane tutto quanto lì, intonso.
Varie proposte girano per la blogosfera e per i media su come lasciare flessibilità di intervento al regolatore, pur impedendo i bailout. Un esempio è l'idea di Greg Mankiw di richiedere da parte delle banche l'emissione di bond convertibili in azioni - la cui convertibilità sia in parte determinata dai regolatori.
4. Le agenzie di rating. Verranno regolamentate. Sappiamo tutti quanto le agenzie di rating abbiano essenzialmente venduto rating favorevoli a chi li richiedesse, e pagasse. Non credo nessuno pianga se il Tesoro gli pianta la SEC e un esercito di avvocati assatanati alle spalle. [Agli avvocati bisogna stare attenti, però, che poi finisce tutto in casino tra cause frivole e inutili, come avviene in parte nei confronti dei medici.] Ma la questione delle agenzie di rating per un economista è un problema ostico. Mi spiego. Un bravo economista semi-ultra-liberista si sarebbe aspettato che le agenzie competessero sulla base della propria reputazione e che quindi non si lasciassero "comprare" dalle banche di investimento - indipendentemente da chi paga il loro conto alla fine. E poi, anche se il mercato della reputazione non avesse funzionato, il nostro bravo economista semi-ultra-liberista si sarebbe dovuto aspettare che i rating diventassero inutili, che nessuno li seguisse più.
Per capire cosa richieda una sana regolamentazione delle agenzie di rating è necessario capire com'è che i meccanismi di mercato cui il nostro bravo economista crede religiosamente non hanno funzionato. Beh, il primo punto è facile: il mercato non ha funzionato perché le agenzie operano in un sistema di oligopolio. Sono essenzialmente 3, e tre sono. Non solo, ma la SEC (sì, la stessa istituzione che dovrà controllarle) nel 1975 ha designato quali tra loro siano Nationally Recognized Statistical Rating Organization (NRSRO). Un bello stampino burocratico che sancisce legalmente l'oligopolio di fatto. Ma perché il mercato non le ha quindi trattate da irrilevanti passacarte quali sono? Beh, il mercato lo ha fatto, fino agli anni 70, ma la creazione delle NRSRO ha portato con sé un'altra bella pensata (a cosa serve un'oligopolio senza una rendita da strizzare?): il sistema di regolamentazione finanziaria, è basato, almeno in parte, formalmente sui rating delle NSRO. I vincoli di capitale, le restrizioni di portafoglio, essenzialmente ogni strumento regolativo è basato sui rating. Ed ecco fatta la frittata. La domanda per i rating favorevoli è creata appositamente dalla regolamentazione - le agenzie di rating hanno una enorme rendita da strizzare - tutti gli operatori sanno cosa valgono i rating - e la barca va. Se poi qualcuno ci crede, ai rating, meglio ancora. Si veda qui per una analisi dettagliata del mercato delle agenzie di rating.
Non è possibile riformare efficacemente il sistema finanziario senza lasciare le agenzie di rating al proprio destino, quello di vendere rating, cioé senza eliminare ogni riferimento ai rating nella regolamentazione. Come dice David Brooks, non si ovvia al fallimento del regolatore buttando soldi e potere al regolatore stesso. P.S. Il bravo economista semi-ultra-liberista ha ragione, in via di principio, ma farebbe bene a pagare più attenzione ai dettagli istituzionali dei mercati.
Poi leggo dal Corriere online che
Michel Barnier, il Commissario [europeo] alle finanze, [...] ha ammonito che [...] dovrebbe esserci almeno anche una grande agenzia di rating europea, forse pubblica anziché privata.
e penso che forse Moody's ed amici non sono poi così male: al male non c'è mai peggio.
Ed eccoci agli interventi che ho definito vaghi. L'unico su cui valga la pena dire qualche parola è il primo.
La questione della trasparenza. Questo è un punto difficile e sottile. Da un certo punto di vista, richiedere drastiche misure di trasparenza nelle posizioni di trading pare necessario. Il lettore ricorderà che una delle ragioni dell'implosione dei mercati finanziari l'anno scorso era che nessuno sapesse nei bilanci di chi risiedessero le attività tossiche. Nessuno lo sapeva. Non lo sapevano le banche e nemmeno le autorità monetarie e finanziarie. Questo è inaccettabile perché riempie il sistema finanziario di quantità enormi di "rischio di controparte" (counterparty risk) con conseguenze gravissime per il sistema stesso. In questo senso proposte anche radicali come quella del senatore Blanche Lincoln, dell'Arkansas, a capo del commitato del Senato sull'Agricoltura, che vuole costringere tutte le transazioni ad avvenire in una borsa, hanno il loro senso. L'argomento opposto è che transazioni anonime garantiscono più liquidità ai mercati: operatori di relativamente grandi dimensioni o specialisti con vantaggi informativi possono operare senza che il mercato riaggiusti le condizioni istantaneamente. (È importante che gli operatori possano speculare sui vantaggi informativi, perché altrimenti nessuno investirebbe in raccogliere informazioni.)
Non è facile pesare queste due opposte argomentazioni con serietà, sulla base dei dati. Io però azzardo un'opinione: molti mercati finanziari sono organizzati e relativamente trasparenti - attraverso borse di scambi - dai mercati azionari a quelli delle commodities. Perché non i derivati? O almeno la maggior parte dei derivati? Non è necessaria nemmeno una borsa, basterebbe un sistema di market-making appropriato, magari associato a una legislazione sulla bancarotta che privilegi gli scambi attraverso il market-maker. Senza annoiare il lettore con proposte specifiche - e senza voler dare l'impressione che sia cosa facile riorganizzare un sistema di scambi per i derivati ordinato e trasparente - ci si potrebbe pensare per bene, ed alcuni già lo fanno. Evitando di citare me stesso, rimando al lavoro dei miei colleghi a NYU-Stern: http://govtpolicyrecs.stern.nyu.edu/home.html e in particolare ai post di Viral Acharya e Rob Engle. Proposte simili vengono anche da Luigi Zingales e Oliver Hart.
Insomma, io credo che chi rifiuta di considerare la trasparenza degli scambi stia in effetti difendendo le rendite di coloro che nei mercati finanziari si avvantaggiano a causa della loro posizione, dimensione, informazione.
Finisco con la più grossa critica alla proposta Dodd, critica non a un aspetto specifico della proposta ma piuttosto ad un grave peccato di omissione.
Fannie Mae and Freddie Mac. Queste società possiedono o garantiscono quasi metà del mercato dei mutui negli Stati Uniti. Pur essendo private, esse hanno operato fino alla crisi in considioni di implicita garanzia pubblica. Subissate dai debiti, durante la crisi sono state poste in conservatorato, cioé sono passate alla esplicita gestite pubblica. Fannie e Freddie hanno avuto un ruolo assolutamente fondamentale nel gonfiare irresponsabilmente la bolla immobiliare e nel facilitare lo sviluppo dei mutui subprime. Ebbene, nulla è cambiato. Fannie e Freddie continuano la loro infausta attività succhiando risorse ai contribuenti (126 miliardi di dollari ad oggi), garantite da un Congresso che gode della loro attività di principesse dei lobbisti. E la proposta di riforma Dodd si guarda bene dal toccarle. Vergogna.
Qualcosa di nuovo sì. Troppo poco di buono, però. Qualcosa di sinistra? Con buona pace di Nanni Moretti, non ce ne frega niente che sia di sinistra o di destra.
Salve a tutti! Innanzitutto complimenti per il bellissimo blog: è un sollievo avere un punto di vista diverso (e qualificato) oltre al ciarpame rifilato dalla stampa nostrana.
Avevo una domanda: dato che il problema delle agenzie di rating è che danno un giudizio migliore a chi paga di più, cambierebbe qualcosa se invece di essere al servizio di coloro devono essere valutati venissero assunte (e pagate) e da un organo terzo, magari governativo, per dare esprimere un giudizio sul merito creditizio?
Inoltre la loro situazione non è simile a quella dei revisori contabili? Perchè di loro non si parla mai? Non soffrono di questi problemi o non sono così importanti?