Per quel che mi è dato capire, le prime avvisaglie di questo tentativo di stravolgere le regole sulle OPA si sono manifestate pubblicamente in articolo apparso sul Sole 24 Ore del giorno 11 ottobre. L'articolo è molto preoccupante, e si apre in questo modo:
Una modifica della passivity rule in caso di Opa e la riduzione dal 2
all'1% della soglia oltre la quale scatta l'obbligo di comunicare la
partecipazione in una quotata: così Consob e Governo stanno pensando di
proteggere le grandi società italiane da indesiderate aggressioni.
(la ''passivity rule'' è la regola che dice che una volta che viene lanciata un'offerta pubblica d'acquisto i dirigenti della compagnia non possono prendere iniziative per scoraggiarla). Da dove sorga la necessità di ''protezione'', un termine con connotati giustamente negativi, lo spiega successivamente l'articolo.
...la Borsa è un bazar dei buoni affari. Tutta
l'Eni vale 62,5 miliardi e l'Enel 32,8. Le due maggiori banche, Intesa
Sanpaolo e UniCredit, rispettivamente 38,1 e 34,7 miliardi. Mediobanca,
il cuore del sistema, vale 7,2 miliardi. Le Generali 30,6 miliardi e
Telecom Italia addirittura 11,5 miliardi. Le reti dell'energia Snam
Rete Gas (8,1) e Terna (4,7) sono ancor più a buon mercato. Come
Mediaset ( 4,7) e le regine del manifatturiero: Fiat (7,8) e
Finmeccanica (6,3).
In molti casi non sarebbe neanche necessario lanciare un'Opa su
tutto il capitale: basterebbe acquistare il 29,9% e si avrebbe il
controllo. Per comandare in Telecom sarebbero sufficienti meno di 4
miliardi, in UniCredit una dozzina, nelle Generali una decina. Se
qualche " ardimentoso" si volesse cimentare, non farebbe grandi sforzi
per raccogliere le munizioni necessarie. Certo, andrebbe incontro alla
probabilissima avversione del Governo ma intanto avrebbe messo insieme
un pacchetto importante.
Capito che roba? Qua c'è il rischio che arriva un Soros qualunque e, bum, con meno di una ventina di miliardi di euro, si porti via Fiat e Mediaset, con Mediobanca come contorno. E Mediobanca - parola del Sole 24 ore, come non credergli? - è "il cuore del sistema" ... Questo, per i nostri politici e per i nostri coraggiosissimi capitalisti è anatema: l'assetto proprietario della grande industria e delle banche deve essere deciso in riunioni riservate nei salotti buoni, cosa è questa idea che la proprietà va a chi è disposto a pagare di più le azioni in mano ai piccoli azionisti? L'articolo quindi continua spiegando come mettere una pezza a questo problema.
Ecco allora che Cardia e il Governo si mettono in moto per "prevenire"
sgradite sorprese: in questa fase le regole sono saltate, qualche
misura di emergenza ci può stare. Bastano un paio di modifiche al Tuf,
il Testo unico della finanza, e si rende più difficile la vita agli
scalatori. Oggi, se una società viene aggredita con un'Opa, il suo
management non può mettere in atto misure difensive se non dopo
l'autorizzazione dell'assemblea. La regola potrebbe essere cambiata in
modo che il management si possa sempre difendere a meno che lo statuto
della società non preveda espressamente un divieto per questo tipo di
operazioni.
Si darebbe quindi alle imprese aggredite la possibilità di chiamare
in soccorso un "cavaliere bianco", oppure di aumentare il costo
dell'operazione per l'aggressore con aumenti di capitale, conversione
di azioni di risparmio in ordinarie, acquisto di azioni proprie,
concambi convenienti, oppure ancora di dismettere attività per ridurre
l'interesse dell'aggressore.
Come si vede, si tratta di permettere la solità varietà di poison pills, ossia quei provvedimenti che, quando minacciato da un'acquisizione ostile, il management può adottare per ridurre il valore della società e renderla quindi meno appetibile al potenziale acquirente. Nota per i non addetti ai lavori: "ridurre il valore della società" vuol dire far danno all'impresa, ossia ai piccoli azionisti, rendendola meno produttiva e/o ricca!
Il punto viene ribadito da Cardia nell' audizione del 14 ottobre. Afferma il nostro (pag. 24):
Suscitano, inoltre, nuove preoccupazioni le conseguenze che la situazione del mercato può avere sull’esposizione delle società quotate a tentativi di acquisizioni ostili. Elevate sono, infatti, le limitazioni attualmente imposte dalla normativa nazionale – più restrittive di molti altri Paesi europei - alle capacità di difesa delle società (c.d. passivity rule, che impone ai manager della società-bersaglio di non effettuare operazioni che possano ostacolarne l’acquisto); limitazioni legittime e giustificate in contesti ordinari di mercato diversi da quello attuale.
Il rischio di un peggioramento normativo quindi c'è, ed è concreto. Si tratta a questo punto di indicazioni date dal presidente Consob in un'audizione parlamentare, non di indiscrezioni di un giornalista.
Forse non servirà a niente, però lo stesso vale la pena di spiegare in qualche dettaglio perché simili provvedimenti sono nefandi per i valori delle azioni. La teoria è abbastanza semplice e universalmente accettata. Un'azione vale tanto di più quanto più ci si aspetta che varrà in futuro. Un'OPA, ostile o amichevole, fa salire i prezzi delle azioni, dato che l'offerta di acquisto viene necessariamente fatta a valori superiori a quelli di mercato. Quindi, tanto più probabile è che nel futuro ci sia una OPA tanto più è probabile che i prezzi saliranno, e questo a sua volta fa aumentare la domanda di azioni (e quindi il prezzo) oggi. Supponete ora che vengano attuati provvedimenti come quelli auspicati da Cardia. La conseguenza è che le OPA diventano più difficili. Quindi diminuisce la probabilità che le OPA ci siano e, seguendo la catena causale appena descritta, questo fa scendere i prezzi delle azioni oggi.
La regolazione del mercato per il controllo delle società è sempre un tema molto dibattuto, sia in Europa sia negli Stati Uniti. È ben noto che i principali sostenitori dei provvedimenti tesi a restringere le OPA sono i dirigenti delle società, per la semplice ragione che temono di venire cacciati in occasione di cambi di proprietà. Ovviamente nel dibattito politico si punta il dito altrove: le ''acquisizioni selvagge'' minacciano i posti di lavoro, la stabilità della società, il tessuto economico nazionale (gli acquirenti potrebbero essere stranieri!!), e chi più ne ha pìù ne metta. Ma sostanzialmente non esiste alcun serio disaccordo tra gli studiosi sul fatto che dare al management la possibilità di bloccare possibili acquisizioni contro il volere degli azionisti sia una pessima idea. Come già osservato l'argomento teorico è semplice e convincente, e l'evidenza empirica è altrettanto convincente.
In verità di questo punto sembra convinto anche Cardia, il quale infatti afferma che le proibizioni delle tattiche manageriali anti-OPA sono ''limitazioni legittime e giustificate'' anche se solo ''in contesti ordinari di mercato diversi da quello attuale''. Ma, chiediamo noi, cosa ha la situazione attuale che invalida il precedente ragionamento? Cardia non si degna minimamente di spiegare perché le ''attuali condizioni di mercato'' rendano saggio un giro di vite anti-OPA.
Assumiamo pure che i valori delle azioni oggi siano innaturalmente bassi (cosa non interamente ovvia, e su cui si rischiano discussioni infinite). Apparentemente l'idea è che i prezzi artificiosamente bassi rendono più facile tentare le scalate delle società, anche di società ben gestite e per le quali non appare opportuno introdurre mutamenti nella gestione e nella strategia d'impresa.
E allora? Di cosa si ha paura? Chi si compra un'azienda non lo fa certo per fare un dispetto. Se l'impresa è ben gestita e sta facendo le cose giuste, il nuovo proprietario non vedrà ragione di cambiare strategia industriale. Resta quindi comunque vero che le OPA tenderanno a far aumentare i prezzi delle azioni. È vero che se tali prezzi sono innaturalmente bassi, sarà più facile organizzare OPA profittevoli.
Ma, di nuovo, e allora? Se i prezzi sono innaturalmente bassi qualunque cosa che li faccia aumentare dovrebbe essere benvenuta. Appare quindi chiaro che permettere al management di resistere le acquisizioni va contro l'interesse dei risparmiatori, e i bassi prezzi delle azioni non cambiano di una virgola il ragionamento. Chi ci guadagna invece sono i dirigenti delle società e gli attuali gruppi di controllo, che vengono meglio messi in grado di difendere le proprie rendite dalle pressioni del mercato. In altre parole, i soliti noti.
Concordo pienamente con i timori di Sandro Brusco. Questa difesa ad oltranza del "capitalismo nostrano" oltre a danneggiare lo sviluppo e il cambiamento delle aziende italiane si è rivelato, in merito alla vicenda Alitalia, oneroso per lo Stato (AirFrance a suo tempo era disposta a rilevare tutta l'azienda, debiti compresi).