Nessuna meraviglia: questo è lo stesso personaggio che da mesi straparla di gabbie salariali, manco fossimo negli anni Cinquanta. Si conferma l'esigenza insopprimibile di insegnare economia sin dai primi cicli scolastici, per non condannare le prossime generazioni di italiani (poveri loro, by the way) a sentire simili farneticazioni para-comuniste. Allargando lo sguardo, qualcuno ancora pensa che il federalismo Lega-style non sarà una centralizzazione burocratica e statalista su base locale? Abbandonate ogni speranza, o voi che pagate le tasse.
Nota a margine: il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, spiega perché i Tremonti Bond non servono più: "Presentano un'onerosità che è pari a quella del capitale di rischio". Esatto. Tremonti, a cui questi concetti sfuggono da sempre, era riuscito a dire che gli ibridi (i Tremonti Bond)
«non sono strumenti di debito ma di patrimonio, ed in ogni caso non servono alle banche ma alle imprese»
In realtà le cose stanno diversamente. I Tremonti Bond, per le loro caratteristiche, sono titoli ibridi tra capitale e debito (chi volesse approfondire troverà qui e qui una introduzione a questi strumenti). Ma a parte ciò, Tremonti pensa davvero che i mezzi propri non abbiano un costo? Mai letto nulla riguardo una cosa chiamata Capital Asset Pricing Model, per gli amici CAPM? Ah, no, lui non è un economista, è vero. Tornando a Faissola, il presidente dell'Abi dice alcune cose condivisibili. In primo luogo, che i Tremonti bond «sono stati molto utili a prescindere da quante banche ne abbiano bisogno». In altri termini, che l'annuncio degli ibridi ha avuto un impatto psicologico che è servito a rassicurare e in qualche misura a rasserenare il mercato circa il sostegno pubblico alle banche. Tremonti dovrebbe rallegrarsene, non recriminare, ma non vi riesce perché in cuor suo è sempre stato realmente convinto che gli ibridi sarebbero stati direttamente reimmessi nel circuito creditizio, e pure col moltiplicatore. Non è così, e Faissola lo ricorda quando dice che "la domanda di credito non è ancora decollata", e che le banche hanno bisogno di "credito buono", non di quello cattivo, cioè destinato a tenere in vita aziende che purtroppo non ce la faranno, vista la ristrutturazione epocale che abbiamo di fronte.
Quello che Bossi e Tremonti non possono o vogliono capire è proprio questo: che la valutazione della domanda di credito va fatta sul piano quantitativo ma anche su quello qualitativo. Oggi, in un momento in cui la manifattura pare riavviarsi in tutto il pianeta, quello che possiamo e dobbiamo chiedere alle banche è proprio di fare la loro parte nell'individuazione della domanda di credito "buono", e non penalizzarla con aggravi di costo.
Tutto il resto è demagogia padana, una nuova, ennesima variabile impazzita nel disgraziato panorama politico italiano.
Assolutamente, Mario. Le pittoresche critiche sin qui portate - da ogni parte - all'operato del sistema creditizio hanno sempre poggiato sulla medesima concezione etica (posso dire catto-socialista?) che deborda ovunque, ma che nello Stivale ha la sua massima e storica espressione.
Intendiamoci bene. Le banche sono tutt'altro che esenti da colpe, checché ne pensi l'imperturbabile Faissola, ma la questione fondamentale da sottolineare è proprio la sopravvenuta incapacità di valutare le aziende. La prudenza suggerita dall'incertezza in merito all'evolversi della situazione, corroborata dalla consapevolezza di essere considerati too big to fail (meglio, too friend to loose ....) dal potere politico, ha portato i banchieri a restringere il credito erga omnes - fatta eccezione per i soliti amici.degli.amici - proprio per manifesta incapacità a fare il mestiere che dovrebbe essere il loro.
Si sente dire spesso, dagli stessi vertici bancari, che gli istituti di credito devono tornare ad occuparsi di economia reale, anziché di transazioni ad alto rendimento e consistente rischio finanziario (ah, il senno di poi ......) ma, al momento, pare solo che il tutto si traduca nell'aggravio delle condizioni per la concessione del credito.