Ciò che segue è una discussione che ... viene da lontano. I due che discutono, sine ira ac studio, vorrebbero farsi una ragione del perché la (presente) opposizione in Italia sia così imbelle. Tutti sono invitati ad usare rodente critica o lasciare il dialogo alla critica dei roditori. Anche se ad alcuni una discussione di questo tipo potrà sembrare tempo perso, abbiamo l'ardire d'opinare che non lo sia, ma proprio per niente.
QUANDO IL PCI AFFONDERA', VERRANNO A GALLA TUTTI GLI... STRONZI
... disse, apparentemente, Alfredo Reichlin, anni fa (quando il PCI esisteva ancora, evidentemente). Poiché la previsione del vecchio Alfredo sembra essersi avverata e poiché riteniamo d'avere una certa conoscenza sia degli stronzi in questione (sin dal tempo in cui erano al più delle scorregge) sia dei meccanismi che li hanno selezionati, proviamo a discutere di questa jattura.
Michele. Allora, da che lato vuoi partire? Andiamo a ritroso e rifacciamo la storia di questi imbarazzanti funzionari di partito dagli anni '70 in poi? O non facciamo né l'una né l'altra e discutiamo a ruota libera? Il tema mi sembra chiaro: com'è possibile che a gestire la "sinistra" italiana siano ancora D'Alema, Veltroni, Bersani, Fassino, Bettini, Franceschini, Bindi, Follini e via andando, ossia, la FGCI degli anni '70, i giovani DC (di sinistra) del tempo e qualche scheggia di provenienza FGSI? Non hanno mai vinto nulla, non hanno mai fatto un'analisi politica corretta, non hanno mai azzeccato una previsione, non hanno mai "conquistato" nulla per il loro "popolo" o elettorato, insomma sono un fallimento sul piano politico ed uno zero assoluto su quello intellettuale e progettuale. Han passato circa 40 anni, qualcuno un pelo di più, qualcuno un pelo di meno, a "fare politica", perdendo sempre ed arrivando in ritardo a tutti gli appuntamenti. Eppure la loro base non li mette ancora in discussione né, tantomeno, li caccia a pedate. Anzi, o se ne vanno volontariamente come la nostra vecchia conoscenza il Doge di Venezia (vedremo se mantiene la parola, almeno lui -- al 30/3/2010, sembra averla mantenuta, la parola; Nota di Palma --) o nessuno li manda via.
Com'è possibile? In Spagna, per esempio, sono spariti dalla scena sia quelli degli anni '70, che quelli degli anni '80, che quelli degli anni '90! Idem in Francia, in Inghilterra, in Germania. In Italia no: una metà circa dell'elettorato si fa rappresentare e dirigere dalle stesse persone da 40 anni a questa parte, nonostante queste persone abbiano collezionato solo insuccessi! Com'è possibile che siano completamente bloccati non solo i meccanismi collettivi di decisione politica, quelli attraverso cui si elegge il parlamento, ma addirittura i meccanismi di selezione interni a ciascun partito? Quale anomalia italiana genera tutto questo?
Palma Prima i fatti. Il PCI, che veniva "da lontano", non andò molto lontano. Visse 68 anni esattamente, meno del PCUS. Generò dopo il 1945 un ircocervo bizzarro: un partito resistenziale e un partito bolscevico fusi in una baracca in cui le tensioni erano difficilmente sostenibili. Per chi ha la memoria corta quello era il partito in cui convivevano Secchia e Tafuri, Rodano e Luporini, Cossutta e Trentin. Il partito lo gestivano i primi, la politica e le sezioni erano loro, ma l'orizzonte intellettuale veniva definito dai secondi. Come i due gruppi potessero stare insieme lo spiega solo la presenza, come unica alternativa, della DC e l'immediato svuotarsi d'ogni forma di liberalismo indipendente dalla medesima. Il fatto è che la compresenza di queste due anime "socialdemocratizza" il PCI sin dall'inizio, nel senso che alla dittatura del proletariato ci credono solo quattro gatti (alcuni dei quali finiscono nel primo troncone delle BR): a partire dagli anni '50 il PCI parla nei fatti la stessa lingua dei partiti socialisti europei. Ma la struttura interna del partito e la selezione dei "quadri" rimane in mano, sempre e comunque, agli amici di Mosca, agli uomini dell'apparato, profondamente togliattiani e, spesso, stalinisti. Questo determina una realtà bicefala. All'esterno, fra gli elettori, fra molti militanti, hanno successo gli Ingrao ed i Trentin, persino i Cacciari ... all'interno, la classe dirigente la selezionano Secchia, Rodano, Cervetti, Cossutta, Napolitano, Angius ...
Michele. Ti seguo e provo ad anticipare dove vai, perché coincide con la mia esperienza del PCI e con la mia lettura degli ultimi 50 anni. Cosa teneva insieme queste due anime? A mio avviso l'esperienza antifascista e la concezione del mondo che questa implicava. L'essersi formati nel periodo tra le due guerre permetteva loro di stare dallo stesso lato di uno steccato erettosi allora e che è venuto progressivamente crollando a partire dagli anni '60: quello del fascismo/antifascismo, dittatura/democrazia, stato autoritario/stato liberale, stato religioso/stato laico. Quindi la comune aderenza partitica, perché era la maniera per stare dallo stesso lato dello steccato. Ma una diffidenza intellettuale totale, la quale richiedeva quindi che l'apparato si autoselezionasse in base a puri criteri interni, criteri di apparato. Ed i criteri di apparato, specialmente se dell'apparato togliattian-stalisnista del PCI si tratta, sono quelli della fedeltà, dell'obbedienza, della mediocrità, del lavoro di corridoio. Niente voli pindarici, niente rischi intellettuali, niente sperimentazioni, niente critica, niente contaminazioni culturali: allineati e coperti, che presto o tardi si occupa la stanza dei bottoni (perché in quei termini pensavano e pensano). Ricordo uno di questi personaggi (tal Marucci, te lo ricorderai) paragonare il 20 Giugno del 1976 alla conquista del palazzo d'inverno ... L'innovazione politico-intellettaule viene quindi penalizzata sempre, la mediocrità burocratica sempre premiata. E questo processo di selezione dura dal 1950 al 1990, instancabile.
Palma. Negli anni del tramonto e dell'implosione si affaccia una generazione nuova davvero, quella selezionata completamente all'interno del partito, quella che nulla ha a che fare né con la resistenza né con i movimenti sociali e culturali degli anni '50-70. Arriva al potere agli inizi degli anni '90 il nuovo gruppo dirigente del PCI. Essi sono il nulla allo stato puro. Personaggi, dubbi che fossero, alla Pugno e Garavini tanto per dirne due, vennero affiancati da personaggi alla Adornato e Velardi.
[Per la cronaca (e contro i possibili conflitti di interesse) il sottoscritto fu comunista dal 1972 al 1977, prima gravitava in aree assai più estreme, mai uccise nessuno e ebbe nessuna simpatia per le insurrezioni e il terrorismo. Ha votato, da quando maggiorenne al 1982, PCI. Nel 1983 esattamente alla morte di E. Berlinguer, mi venne l'astio guardando i funerali peronisti alla televisione (ero immobilizzato su una sedia a rotelle) e non riuscii più a far prevalere sull'astio disciplina e antiche lealtà.]
Quando arriva il tracollo arriva troppo tardi. A modesto avviso del sottoscritto il PCI doveva diventare titoista (anti-sovietico) nel 1953 e non lo fece per tante ragioni. Quando arriva il tracollo il PCI ha in mano una rete vastissima di governo locale ed è questo il modo in cui si forma il suo ceto politico. Ridicolo che adesso sia, il PCI era una partito della classe operaia, capì nulla dei suoi mutamenti (della sua scomparsa) guidato come era da teorie imbelli, e si trovò ad essere un immenso cervello sociale la cui unica area di competenza era l'intrigo politico interno a quella che adesso chiamiamo casta. Qui sta il nocciolo della vicenda. Il (mio e tuo) collega economista conterraneo, Antonio Pesenti, prima di fare il burocrate del PCI fece il detenuto, il cospiratore, GL, e così via. Longo sapeva fare il generale (neanche male pare), D'Alema no, fece il politico per genetica. Apprese tutto da stanze fumose (all'epoca si fumavano Turmac) e da nessun altro.
Quando arriva il tracollo questo ceto politico è al governo ed è in un governo non totalitario: nessuno avrebbe trattato Imbeni come fu trattato Ceausescu. Per questo a mio avviso questi sopravvissero, non sopravvisse il PCF e il Partito Comunista Inglese è un oggetto più interessante per le storie di spionaggio che per le politiche che propone. Quando arriva il tracollo il meccanismo di formazione del ceto politico in Italia è fermo (in effetti le due vere novità, il partito del MILAN Football Club sotto i suoi vari nomi e la Lega della Padania verde-e-indipendente sono esterne al ceto politico), la DC subisce una eutanasia e, astutamente, i fascisti capiscono bene che bisogna cavalcare nuove selle.
Quando arriva il tracollo il meccanismo di autosalvaguardia dei "giovani" (hanno tutti 60 anni ora) della sinistra democristiana (Franceschini) della FGCI (tutti quanti) degli "enti" locali (Bersani) prende il sopravvento e il potere, il poco che c'è da prendere, facendo scemenze strabilianti e dovendo cedere su punti non banali che si rivelano fatali, la principale fu quella di allearsi a cretini (Pecoraro Scanio), venditori di fumo (Bertinotti), demagoghi (Di Pietro) e arrivisti (Mastella). Questi sono i fatti.
Michele. Ottima sintesi, permettimi di fermarti qua. Se capisco tu dici: i dirigenti della sinistra pre-1980 (tanto per mettere una data più o meno ragionevole) erano "atti alla bisogna". La bisogna, al tempo, consisteva prima nel fare il lavoro clandestino e la resistenza, poi le lotte (più o meno ragionevoli o giustificate, o tutto il contrario, il punto ora non è questo) operaie e contadine degli anni '50 e '60 e forse financo '70 (qui comincio ad avere i miei dubbi, che articolo nel prossimo paragrafo) e queste cose la classe dirigente del PCI e della sinistra democristiana antiche sapevano fare e fecero con relativo successo. Tanto che non sparirono immediatamente, come il PCF ed il PCE, al crollo del muro e del comunismo dell'Est perché avevano una base sociale che in esse si riconosceva e che dalla loro guida qualcosa aveva ottenuto. Capisco bene? Non importa se capisco bene, alla fin fine, perché sono d'accordo sul punto di fondo: visto che "lottare", stando all'opposizione o addirittura in clandestinità, era il ruolo che la storia aveva assegnato a costoro, lottare essi sapevano fare e fecero. Quindi ebbero "successo", almeno se misuriamo il successo con la metrica del seguito popolare. Infatti, a giugno del 1976 il PCI ottiene il voto di più di un terzo dell'elettorato, il PSI quasi un dieci per cento e la sinistra DC controlla almeno un altro terzo e forse più del suo partito. Sommando hai ben più del 51% dell'elettorato italiano. Insomma, i padri di quelli che ora sono il PD avevano, circa trent'anni fa, il supporto della maggioranza degli italiani.
Ok, ma poi le cose cambiano. A mio avviso già cambiano durante la seconda metà degli anni '70 e non serve attendere la fine anni '80 e gli anni '90 per vedere il problema. Dopo il 1976 succedono, a mio avviso, alcune cose che spiazzano quell'antico gruppo dirigente e creano i presupposti per l'impasse attuale. Provo ad elencarle.
- La sinistra diventa maggioranza nel paese (qui per sinistra intendo i tre raggrupamenti elencati due paragrafi più su). Questo significa che dovrebbe governare e che la maggioranza degli elettori italiani vuole che governi. Però non governa. Da un lato non governa perché esistendo ancora l'URSS e non essendosi il PCI staccato dall'URSS in niente e per niente, vale il veto USA. Ma non governa anche perché non vuole e non sa governare. Ricordo cosa si proponeva allora: la riconversione industriale ed i sacrifici, più il compromesso storico e la difesa dello stato democratico dalla "grave minaccia" (metto fra virgolette, perché non era una grave minaccia, era solo un problema di polizia) del terrorismo nero e, soprattutto, rosso. Non era un programma di governo, era una foglia di fico tesa a legittimarsi di fronte ... di fronte a chi? Non lo capii mai. Mai intesi perché non avessero la capacità di dire: alternanza, governo ed opposizione. Noi vogliamo fare A, B, C e voi volete D, E, F, lasciamo che gli elettori decidano. A mio avviso era perché, proprio in quanto capaci solo di lottare ed esperti solo in quello, di governare non avevano voglia perché non ne avevano la capacità.
- Risposta al terrorismo ed all'autonomia. Scelta dello stato di polizia e dell'arroccamento a fronte d'un grande rischio invece di dire: nessun problema, la democrazia è solida, facciamola funzionare.
- Struttura interna: il centralismo democratico e la cultura che lo regge seleziona, di per se, solo "yes men". La selezione dei grandi uomini (dai Longo aiTerracini ai Trentin) non avviene all'interno del partito, ma nei fatti, nella clandestinità, nella lotta partigiana. Questi emergono perché sono meglio degli altri, ossia perché hanno gli attributi - uno come Veltroni, che attributi avrebbe? Una volta che non ci sia più la selezione sul campo ed essa avvenga tutta nelle federazioni dei partiti e nelle riunioni del CC, allora il centralismo democratico sa selezionare, in Italia come in Cecoslovacchia come in URSS, solo dei mediocri portaborse che fanno il lavoro tutto interno appoggiando i leaders giusti, eccetera. Non contribuiscono idee, non discutono, non propongono: si allineano per far carriera. Il personale politico che esce dalla FGCI-PCI del Tri-Veneto degli anni '70 ed '80, e che ben conosciamo, è il peggiore possibile. Tutti i più svegli, tutti quelli che sanno far qualcosa se ne vanno. Rimangono e sopravvivono e fanno carriera solo i mediocri. O mi sbaglio? C'è un'eccezione?
Palma Provo a rispondere. Dunque.... le vittorie degli anni '70 (sono gli anni in cui, dopo un esperimento a Venezia durante l'amministrazione di Giorgio Longo, nascono le regioni rosse, i comuni rossi, in seguito alle avanzate elettorali del giungo del 1975 di comunisti e socialisti) sono la capitalizzazione di una, sia pur modesta, modernizzazione della società stretta come era dalle maglie ferrate del governo democristiano. Sono gli anni in cui i fascisti e democristiani perdono il filo della storia. Pensano davvero che non si possa aver l'aborto in ospedale pubblici, che le coppie non possano divorziare, e così via: due referendum li spazzano via. A mio avviso il difetto genetico (almeno del PCI) è di non esser in grado di districarsi dal suo DNA. Se non fosse stata la collocazione geografica e i carri armati, il suo destino era quello di essere una SED. SED era il partito della Germania Democratica che rimase al governo fino al periodo di Perestroika. Non avvenne e tutta la loro cultura politica fu quella di un partito di opposizione, fatte le debite misure un grande partito, ma un partito confuso, dovendo adattare dottrine e pensieri politici affatto totalitari ad un sistema dove bisognava convincere a votarli gente che aveva tutto meno che voglia di vivere in Ucraina.
- Questo fu (ed è la mia risposta) il motivo del loro non saper dire nulla di diverso da sacrifici e riconversione industriale. In breve, forme abborracciate di statalismo. L'idea stessa di "Noi vogliamo fare A, B, C e voi volete D, E, F, lasciamo che gli elettori decidano." era aliena ad una cultura in cui si prese sul serio l'ipotesi che un colpo di stato fosse imminente (si vedano le celebri considerazioni dopo i fatti del Cile, di Berlinguer) e che non si "potesse" o "dovesse" governare con una maggioranza (doveva essere una "stragrande maggioranza" da cui le teorie del compromesso storico.) Il loro sistema immunitario diceva e ripeteva che il fascismo era dietro l'angolo, era l'anima profonda della borghesia italiana e la decisione fu di blindare il sistema politico, incarnato dalla trimurti DCPSIPCI. Perché questo fu il cammino deciso? Credo principalmente perché abbandonata la nave sovietica, l'unica scialuppa era quella di un papocchio inenarrabile che eliminasse un'opposizione forte ed un sistema alternativo. I comunisti (italiani) erano sinceri democratici, e pensavano proprio che la democrazia fosse una istituzione talmente debole da doverla "ricoprire" di preservativi formati da maggioranze "bulgare" (questo era il vero piano: dc+pci+psi al governo, fuori di esso rompiballe e noiosi rivoluzionari, fascisti impenitenti, e liberali saccenti.)
- Il terrorismo italiano fu senza dubbio un problema di polizia ed un pensiero totalitario non è in grado di rispondere se non in termini da CEKA. Ho adesso (e avevo allora) nessuna simpatia per gli insurrezionalisti. Perché il PCI non seppe reagire? Perché non aveva strumenti per capire che cosa stava succedendo. E quando li aveva capiva che il problema era tragico: vi erano davvero frange (di dementi, ma non solo) che presero sul serio le minacce di militarizzazione dello stato, di golpe in stile "greco", e queste non erano così lontane da settori di opinione che erano "coperti" dal PCI. Nei gruppi dirigenti nessuno mai fu cretino al punto di pensare che Curcio e Piperno potessero diventare Pol Pot, ma il terrore era perfettamente ben presente. Di fronte al terrore, reagirono terrorizzati, come i proverbiali cervi accecati dal bagliore. Quindi, errore di giudizio (la democrazia era più solida di quanto pensarono) ed errore di tattica. Nessuno diede loro medaglie per la sconfitta del terrorismo e il diluvio prossimo venturo avrebbe sepolto le diatribe imbecilli in cui si impegnarono tanto. Per chi non è di quella generazione: vi fu un periodo in cui le discussioni erano tra chi stava "né con lo stato, né con le BR" e chi stava con lo stato; le BR non dibattevano granché dato il loro contenuto cerebrale da facoltà di sociologia. La scelta, rivelatasi suicida e legata all'inamissibilità anche teorica di un distacco dalle prospettive socialiste, fu di legittimarsi come partito d'ordine. Al momento di ritirare le vincite al casinò della politica, non c'era più il banco. Mentre il mondo (quasi tutto) pensava a telefoni cellulari e computers, questi pensavano a come salvare l'Italsider.
- Meccanismi interni. Penso siamo d'accordo. Esauriti i meccanismi di selezione interni al lavoro clandestino e alla lotta di classe (per usare l'esempio che porti, Bruno Trentin fu chiamato da Di Vittorio direttamente da GL, l'università di Padova e Harvard) si inseriscono migliaia di portaborse, tra cui persone di belle speranze, largamente uscite dai tumulti studenteschi (la generazione del "Vietnam" o i "ragazzi di Berlinguer"), che vennero immessi in un tritacarne che doveva produrre funzionari (era il termine usato, non si diceva nemmeno più "quadri") e questi erano premiati dall'assegnazione di posti amministrativi in una miriade di assessorati a questo e a quello. Di quelle persone di cui tratti, penso nessuno sia rimasto a fare il "rivoluzionario [sic] di professione." Le carriere che vennero fatte (D'Alema primo ministro è solo il più indicativo degli esempi) sono sintomo della reale decadenza del ceto politico. Data l'invadenza assurda della politica in Italia si occupano di troppo e di troppo poco. Di troppo perché devono continuamente pagar il pedaggio ai valvassini (bisogna pur trovar un posto a Marrazzo), di troppo poco, perché di fronte ad un qualsiasi problema (la spazzatura a Napoli o riformare le Università) mancano di qualsiasi idea sul che fare. A mio avviso esser circondati da signorine-buonasera-del-sì (tanto per evitar il tono sessista di yes-man) ha un effetto poco osservato: la vuotezza di pensiero. Mi fermo su un aneddoto, credo illuminante. Biagio De Giovanni (figura napoletana storica del pci-pds-ds etc.) scrisse l'anno scorso un libro in cui notava l'ovvio (che l'unico spazio che non venne esplorato dalle sinistre è la libertà, il liberalismo, etc.) Ad un dibattito con D'Alema (del settembre 2009) l'autore venne rimbrottato per esser "più liberale della destra liberale" e che se questo fosse il caso, se questa diventasse la famosa "linea generale" che ci stava a fare un ex-bolscevico? Si noti la fallacia logica: la destra italiana liberale non lo è (vedasi le filippiche di quasi tutti, anche su nFA) il problema è che questo ceto politico ha nessuna ragione di abbandonare i propri giudizi e pregiudizi (la RAI pubblica, l'aiuto al mezzogiorno, il "primato" della politica etc. per chi è più maligno, anche i propri privilegi.) Ed hanno per le ragioni sovraesposte nessuno che glielo dica o nel modo giusto o con le parole che comprendono, perché sono anche assai ignoranti. (De Giovanni per la cronaca, se vi fosse bisogno di un altro esempio s'è rotto i cosidetti e non "partecipa")
Esitono eccezioni o opposizioni? Non sorprendente, se l'analisi di cui sopra è un'approsimazione della verità, l'unica opposizione viene da persone esterne sia alle cricche che al passato. Si tratta di amministratori locali. Per questo credo che la mini oligarchia abbia sempre represso non solo tutte le opinioni "federaliste" ma le modeste idee di rendere l'opposizione medesima un sistema democratico (e non monocratico, come lo è di fatto con l'imposizione dei candidati, etc.. - vedasi e.g. l'affaire Berlinguer nel Veneto.) Queste sono le eccezioni, minoritarie ed assai represse.
La domanda difficile da te posta: perché il loro elettorato non li caccia? La mia prima risposta, ma attendo violente repliche, è che il loro elettorato ha nessuna alternativa. Mi spiego: la mia impressione (ripeto, vivo da talmente tanto e talmente lontano dall'Italia, che adoro prender lezioni sul tema da chi ci sta) è che la composizione di classe (termine di CLASSE OPERAIA, le cui valenze mistiche esaminerò prima di ... Natale) è tale che: il popolo vota per Lega. Caveat: Gramsci, buonanima, chiamò l'UNITA' il giornale degli operai e dei contadini, ecco, quelli votano Lega. [Tutto questo è stato scritto mesi prima del 29/3/2010. NdR] La classe medio alta, formata da amministrazione e micro borghesia vota a sinistra con in più qualche brandello di contesse "rosse" e "rose'". Questi sono i milioni di statali che temono oscuramente che una svolta "liberale", "liberista", "brunettista" li renda ipso facto disoccupati, e sono intensamente anti Berlusconi come hell or high water.
L'anomalia, se così la si vuole chiamare, è che gli italiani sono più lenti. Si consideri ad esempio, quanto rapida sia stata la trasformazione del partito repubblicano da partito di gestione senza scosse dell'esistente (Ike) a partito reazionario di massa (contro l'aborto, il sesso, etc.) negli USA. I meccanismi di selezione "interni" ai partiti sono bloccati, su questo hai ragione (considera: chi pensa a sostituire Berlusconi? Attendono che muoia, chi con paura, chi con speranza) ed il motivo principale per cui sono bloccati è il declino reale dell'Italia. A qualcuno con un QI sopra il 99 fa voglia fare il bortaborse di ... Nicola Latorre? Se si trova quella persona, allora rivedo il mio giudizio.
Debbo notare pure che con tempismo imbattibile il neori-(non so quanti prefissi si possano mettere)-neo-nato partito democratico ha ben deciso di selezionare varie portaborse con la maturità e grandi esperienze in nulla di utile (viz. Ranieri sul progetto del Mezzogiorno o Fassino sulla politica estera del partito democratico.)
Michele. Nulla da aggiungere. Le urne, guarda caso, hanno parlato chiaro ancora una volta e la cricca degli inutili ha provato ancora una volta la propria inutilità. Un terzo d'Italia non vota più, il resto preferisce il figlio di Bossi ai loro lacché locali. Nel Nord da cui tu ed io trent'anni fa ce ne andammo, la "sinistra è morta". Vediamo se, ora, i due terzi d'Italia che non si fidano né di Bossi né di BS sgombreranno il campo del suo cadavere. O se invece, come è più probabile, gli zombi romani si daranno nuovamente appuntamento a Capalbio per iniziare l'ennesima profonda riflessione. La nostra l'abbiamo fatta.
apro il dibattito con una domanda su un punto marginale. Palma ad un certo punto scrive:
Questa descrizione mi stupisce. La divisione, nel PD-PDS, fra le "due anime" degli "intellettuali" e dello "apparato" e' un leitmotiv della cronaca politica degli ultimi 10 anni almeno, e io ho sempre pensato che fosse una cosa del dopo Occhetto o giu' di li' (culminata nella telenovela D'Alema vs. Veltroni). Mai ho sentito dire che quella fosse la frattura fondamentale nel PCI anni 50-70, per dire. La situazione allora, per come l'ho capita io leggendo libri, era un bel po' piu' variegata; altre erano le divisioni politiche e ideologiche principali. Insomma, mi stupisce trovare Napolitano e Cossutta elencati uno dopo l'altro dalla stessa parte della barricata. Pensate davvero che quella fra "intellettuali" e "apparato" fosse una divisione tanto chiara gia' nel PCI "storico"?
E' difficile rispondere in maniera apodittica, tuttavia rimango della mia iniziale opinione.
All'interno del PCdI forse quella non era una distinzione (Gramsci era in tutti i sensi sia un cervello da fermare -- secondo B. Mussolini-- e un quadro.) nel PCI, no, vi e' una sostanziale differenza tra quel che pensavano e persino dicevano i funzionari e que che dicevano intellettuali. Mentre qualche pazzo seguiva Zdanov nelle campagne per la "biologia socialista" (Lysenko) o la musica "realista", Bruno Maderna, per non citare amici privati sapeva benissimo che l'URSS era.. quel che era....
Cossutta e Napolitano, e Ingrao, erano dalla stessa parte. Ingrao (in seguito seguace di varie sinistre, interne ed esterne) scrisse nel 1956
Questa e' una citazione letterale. No, persino individui come Di Vittorio (che era CGIL e non un quadro PCI) ebbero ben chiaro di che cosa il problema era fatto. Vennero schiacciati dall'apparato, gli intellettuali si scocciarono, ma fecero molto rumore per nulla, mentre l'apparato funzionarial-politico fu affatto monolitico.
Ho zero dubbi sul merito.
Di fronte a Secchia, B. Maderna funzionava in modi completamente diversi.
Per la cronaca, nelle sezione "avvisi ai naviganti" consiglio la lettura di
partitodemocratico.gruppi.ilcannocchiale.it
per veder un po' come discutono i personaggi in questione.