Il 28 giugno scorso, la Camera dei Deputati (con la semi-bulgara maggioranza di 465 voti a favore su 529 presenti), ha definitivamente approvato la legge sulla “Parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati”, nota anche come legge sulle “quote rosa”, che entrerà in vigore dopodomani, venerdì 12 agosto 2011.
Come riferito dal relatore della legge, Silvana Andreini Comaroli, in apertura della discussione sulle linee generali
«la proposta di legge in esame, preso atto della scarsa rappresentatività delle donne nella veste di consiglieri di amministrazione e di componenti degli organi di controllo delle società per azioni quotate nei mercati regolamentati, apporta alcune modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, al fine di prevedere che nella composizione degli organi di amministrazione - consiglio di amministrazione o consiglio di gestione - e di controllo - ovvero collegio sindacale o consiglio di sorveglianza - di tali società al genere meno rappresentato sia riconosciuto almeno un terzo dei posti.»
In pratica, alcune norme modificano il Testo Unico della Finanza, mentre una norma riguarda le società controllate da pubbliche amministrazioni che necessita, tuttavia, di un regolamento per la definizione di termini e modalità di attuazione, da emanarsi entro due mesi.
Per quanto concerne le società quotate, la legge impone di prevedere nello statuto sociale un riparto degli amministratori, da eleggere in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, sicché il genere meno rappresentato dovrà ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.
In caso di violazione di tale obbligo, la legge prevede un sistema di sanzioni da parte della Consob, la quale in primo luogo diffiderà la società interessata affinchè si adegui entro 4 mesi; in caso di inottemperanza applicherà una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100.000 a euro 1.000.000, secondo criteri e modalità stabiliti con proprio regolamento, fissando un nuovo termine di tre mesi per adempiere; in caso di ulteriore inottemperanza si avrà la decadenza dalla carica dei componenti eletti.
L’obbligo di “equilibrio tra generi” riguarda, oltre agli organi amministrativi, anche l’organo di controllo contabile (ossia il collegio sindacale), che dovrà essere composto in modo tale che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei membri effettivi. Anche in questo caso, per l’eventuale violazione sono previste sanzioni pecuniarie (da euro 20.000 a euro 200.000) e decadenza dell’organo.
Insomma, l’affirmative action è arrivata tra noi.
Non è questa ovviamente la sede per ripercorrere i punti del dibattito sulla “discriminazione positiva” e sul sistema delle quote, qui basti dire che l’affirmative action è uno strumento piuttosto popolare, che si va sempre più diffondendo in lungo e in largo, ad ogni latitudine e longitudine.
Un illustre precedente specifico alla legge appena approvata qui da noi, si ritrova in Norvegia, che ha scelto di applicare le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società sin dal 2006, prescrivendo che le aziende quotate in Borsa debbano avere una direzione composta al 40% da donne.
A distanza di cinque anni dalla sua approvazione il risultato appare del tutto non sorprendente, nel senso che non ci sono state nè le catastrofi paventate dagli oppositori, nè il sol dell’avvenire auspicato dai sostenitori.
Le donne chiamate a sedere nei CdA, semplicemente, hanno gestito le società col medesimo stile e approccio dei colleghi maschi, con tuttavia uno specifico beneficio collaterale a loro vantaggio.
Poichè infatti le donne con competenze e curricula adeguati a coprire i posti di potere erano di numero proporzionalmente insufficiente, si è assistito a carriere fulminee, con incarichi plurimi per un numero tendezialmente ristretto di beneficiarie, tanto che in Norvegia è stato coniato il termine “gullskjortene”, ossia “gonnelline d’oro”.
Insomma, il dibattito è comunque acceso ed anche nel Parlamento italiano non sono mancate le voci contrarie, che hanno sottolineato l’aspetto illiberale della legge. Come evidenziato da Ilenia Argentin, del PD
“Non c’è niente di peggio delle quote: lo dico io abituata ad essere una quota per definizione, vorrei che le donne arrivassero ai vertici per quello che valgono, non perché rientrano in quote”.
La questione è dunque delicata. Da un lato, c’è la spinta - legittima - a veder riconosciute le competenze e abbattute le barriere che di fatto impediscono l’affermazione professionale delle donne. Dall’altro, c’è il fatto che non sono state abrogate norme che vietavano alle donne di accedere ai CdA, ma lo Stato ha deciso di intervenire nella scelta dei membri dei consigli di amministrazione delle società quotate. In pratica, con questa legge, si finisce per “istituzionalizzare” la discriminazione uomo-donna in campo economico, con buona pace:
1) dell’art. 41 Cost., il quale stabilisce che l'inziativa economica privata è libera .
2) dei diritti degli azionisti, che dovrebbero essere liberi di scegliere chi credono a guidare le loro società e
3) del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione, dato che crea una discriminazione “alla rovescia”,
Come commentato da un amico, una legge “appena appena” incostituzionale.
A parte questa legge, che si riferisce ai consigli di amministrazione delle spa quotate in mercati regolamentati, mi chiedo se il principio (genere meno rappresentato) valga per esempio anche tra gli (anzi le) insegnanti della scuola elementare o asilo. Una sottorappresentazione equivale forzatamente ad una discriminazione? Che dire dei giovani nella scuola? Dei calvi? Se si notasse una sottorappresentazione dei calvi, imporremmo "quote pelati"? E come faremmo con il genere femminile? Dovremmo contare se le bionde sono sovra o sottorappresentate?
Comunque visto che in Norvegia non ci sono stati disastri, probabilmente non ci saranno nemmeno in Italia e magari prima o poi avremmo finalmente un primo ministro o un presidente della repubblica donna. Mi pare infatti che qui sono stati bravi ad imporre regole alle spa ma questo rende ancora piu' evidente quanto la politica razzoli male per quanto riguarda se stessa.
Riguardo la questione della sottorappresentazione, qua mi sa che non si tratta "solo" di questo, ma di un'oggettiva discriminazione di genere, ossia, a parità di titoli e competenze, se sei di genere femminile parti svantaggiata. (nota: da certi film si deduce che negli USA, perlomeno in certi ambienti, in effetti c'è una discriminazione legata all'"apparire vincenti", quindi all'aspetto fisico (palestra, tingersi i capelli grigi) e allo stile di vita (casa grande, macchina costosa, golf club?); questo per la sottorappresentazione dei calvi ;) ).
A soluzione del problema, i nostri governanti non hanno trovato di meglio che creare una corsia preferenziale, ribattendo a discriminazione con discriminazione, rischiando di ottenere una composizione sub-ottimale (dati 10 posti e 10 candidati maschili con capacità superlative, una quota dovrà andare per forza a delle candidate con capacità inferiori?).
Se la cosa non sta bene, si propongano soluzioni alternative al problema suddetto. Se i nostri governanti hanno scelto questa, o sono in malafede, o sono pigri, o non hanno ritenuto altre proposte valide, o whatever. Io non ne so nulla, quindi non mi pronuncio ^_^;; .
Il fatto che in Norvegia non ci siano stati disastri evidenzia il fatto che non esistono situazioni in cui "dati 10 posti ecc."; invece la scarsità di candidate potrebbe modificarsi man mano che le nuove generazioni adeguano la situazione (sempreché in Norvegia non abbiano cominciato decenni fa, nel qual caso sarebbe utile una valutazione di efficacia ed opportunità e blablabla...).
CYA