La normativa in materia è sufficientemente confusa da meritare un ripensamento legislativo. Alcuni mesi fa, un blogger è stato condannato proprio per non essersi iscritto al registro. Nella motivazione della sentenza, il suo blog si presentava come una "testata", aveva intento informativo, e pubblicava regolarmente. Per questi motivi, valeva secondo il giudice la normativa che interessa i media tradizionali. Non voglio qui discutere la sentenza, la cui motivazione mi è parsa in alcuni punti incoerente. Esiste sicuramente un margine interpretativo della legge attuale che lascia spazio a credere che anche i blog di carattere informativo debbano, in certi casi, registrarsi. Altrettanto sicuramente, la legge non è chiara a riguardo.
Per fare chiarezza, il parlamento non vede altra soluzione che definire un insieme di blog, o siti internet in generale, per i quali debba sussistere l'obbligo di registrazione (nessuno, si spera, vuole intasare i tribunali di registrazioni da parte di blog dove gli utenti condividono con l'umanità il proprio diario personale). La definizione scelta dall'ultima proposta di legge è quella di obbligare i siti che siano "frutto di un'organizzazione imprenditoriale del lavoro". Dubito assai che questa norma fornisca la chiarezza tanto desiderata.
Anche se una definizione sufficientemente precisa fosse possibile, nessuno sembra metter in dubbio l'istituto della registrazione, che secondo me andrebbe abolito anche per la carta stampata. Occorre seriamente ripensare alle motivazioni sottostanti l'obbligo che oggi esiste per la stampa tradizionale. Esistono due principi fondamentali meritevoli di protezione: la libertà di parola e di stampa, e la facilità di perseguire chi compie reato a mezzo stampa. Secondo la giurisprudenza corrente l'obbligo di registrazione, di natura prettamente formale, non limita la libertà di pubblicare, ma facilita l'individuazione dei soggetti che commettono reati.
Occorre fare attenzione alle parole. Ogni obbligo impone un costo per chi ne à assoggettato. L'obbligo di registrazione, per un quotidiano di natura commerciale, è un costo certamente limitato, in rapporto agli altri costi necessari alla pubblicazione. Ma non è un costo nullo: occorre informarsi su quali documenti siano necessari, perdere una giornata per andare in tribunale, preparare la carta bollata e controbollata, etc... Tale costo diventa però significativo per un blogger che vuole pubblicare dal suo laptop senza pensarci due volte, tanto da poterlo indurre a non iniziare a scrivere.
Ma quali sono i vantaggi? Davvero pensiamo che un nome ed un indirizzo scritti in un elenco presso il Tribunale facilitino l'individuazione di chi diffama o commette altri reati attraverso i propri scritti? Questo è sicuramente poco vero per la carta stampata: per la Polizia basta andare nella sede del giornale e compiere le necessarie ricerche. È un po' più vero per i blogger, che scrivono spesso nel totale anonimato. Ma anche per i blogger le generalità di chi scrive sono reperibili, per esempio attraverso indagini presso i fornitori della connessione Internet.
Si potrebbe dunque obiettare che la possibilità di pubblicare anonimamente suggerisca che la registrazione sia più importante per i blog che per la carta stampata. Ma non è affatto così: affermazioni e diffamazioni compiute nel totale anonimato sono meno credibili di quelle firmate con nome e cognome, e quindi meno pericolose. Diffamazioni compiute tramite media di qualsiasi tipo sono certamente più gravi di quelle pronunciate al bar, ma certamente la legislazione penale sa tener conto di questa maggiore gravità senza che sia necessario assoggettare tutti coloro che vogliono esprimere la loro opinione, via internet o giornalino, a una schedatura preventiva.
L'imposizione dell'obbligo di registrazione va pesato con i costi e vantaggi che esso comporta. Nell'era di internet, i costi di pubblicazione e diffusione delle idee sono diventati estremamente ridotti. L'obbligo di registrazione limiterebbe considerabilmente la libertà di parola su internet, oltre a sembrare il segno di una società arcaica. In quale altro paese democratico e liberale lo stato sente l'esigenza di schedare chi scrive su Internet?
Due appunti di natura formale (la sostanza la condivido appieno). Innanzitutto non si tratta di una proposta simile, ma della stessa proposta leggermente emendata presentata dallo stesso proponente dell'anno scorso, ovvero Ricardo Franco Levi. In secondo luogo la proposta non è stata messa nel cassetto, ma è stata bloccata dalla caduta del Governo Prodi.
Va detto, inoltre, che mentre la precedente proposta era un disegno di legge, ovvero approvato dal Governo (secondo alcuni ministri senza neppure leggerla), quella presente è un progetto di legge, ovvero di iniziativa parlamentare e senza l'avallo del Governo (almeno per ora, visto che il Governo Berlusconi non si è ancora espresso, anche se credo interverrà visto che una riforma dell'editoria di questo genere, specialmente se proposta dall'opposizione, di cui Levi fa parte, potrebbe far gola al maggior editore d'Italia, ovvero il Silvio Berlusconi che è il capo del Governo stesso).
La dizione "messa nel cassetto" ovviamente non ha alcun contenuto formalmente preciso. Ricordo comunque che nei giorni successivi la sollevazione popolare, molti parlamentari fecero dietrofront, almeno davanti ai microfoni, con varie assicurazioni nei confronti dei blogger. La caduta del governo prodi avvenne piu' di sei mesi dopo senza che nel frattempo la proposta procedesse nel suo iter.