In un commento al post Marco Boninu chiede di spiegare meglio come si potrebbero ridurre le rendite da pubblico impiego. Dato che la rendita è la differenza tra l'utilità dell'impiego pubblico e l'utilità della migliore alternativa (impiego in altro settore o emigrazione), la sua riduzione richiede la riduzione del primo termine e/o l'aumento del secondo.
Cominciamo innanzitutto a quantificare l'entità di queste rendite. Purtroppo l'ISTAT ha smesso dal 2004 di pubblicare i dati riguardanti i redditi nella sua indagine sulle forze di lavoro, disponibile peraltro solo a pagamento. La promessa di rendere note le variabili dei redditi in un prossimo futuro non si è purtroppo ancora materializzata. Per fortuna rimane disponibile l'indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d'Italia, i cui dati sono liberamente disponibili sul sito. La numerosità del campione non è enorme, ma qualche calcolo non completamente impreciso lo si può fare.
Abbiamo innanzitutto calcolato, usando i dati dell'ultima indagine pubblicata (relativa al 2006), la media dei redditi da lavoro dipendente nel settore pubblico e quella dei redditi da lavoro dipendente nel settore privato. Ci limitiamo ai redditi da lavoro dipendente perché non riteniamo i redditi da lavoro autonomo riportati in questa indagine molto attendibili, oltre al fatto che una parte dei redditi da lavoro autonomo vengono dal settore pubblico (consulenze, contratti, piccole forniture, eccetera) ma l'inchiesta non permette determinare quali essi possano essere.
La seguente tabella raffigura i livelli di tali redditi (annuali, netti, in euro) disaggregati per aree geografiche
Area | Pubblico | Privato | Rapporto |
---|---|---|---|
Nord | 18545 | 15861 | 1.17 |
Centro | 20285 | 16463 | 1.23 |
Sud e Isole | 16963 | 12257 | 1.38 |
È interessante notare l'"effetto Roma" nei dati del Centro, effetto che richiederebbe commenti visto che segnala un altro tipo di rendita ma, per oggi, occupiamoci di quella iniziale. La tabella ci dice che, al Sud, un lavoratore del settore pubblico guadagna in media quasi il 40% in più di un lavoratore dipendente nel settore privato, mentre al Nord "solo" il 17% circa in più. Questo dato è però ancora troppo grezzo. La differenza di remunerazione tra pubblico e privato può infatti dipendere, anziché da una reale differenza nelle compensazioni, dalla diversa composizione (per esperienza, livello di istruzione o altri fattori) dell'insieme dei lavoratori. Per fare un esempio ultrasemplificato, supponiamo che nel privato ci siano operai e impiegati, e che nel pubblico ci siano solo insegnanti. Supponiamo inoltre che un insegnante venga pagato 138 euro, un impiegato 118 e un operaio 100. Infine, supponiamo che operai, impiegati e insegnanti vengano pagati lo stesso su tutto il territorio nazionale, ma che nel settore privato ci siano solo impiegati al Nord e solo operai al Sud. Allora i numeri che vedremmo sarebbero esattamente quelli della tabella, anche se in realtà la situazione salariale è omogenea a livello nazionale.
Occorre quindi tener conto della composizione della forza lavoro così come di altri fattori. È possibile tenere conto di questi fattori usando alcune tecniche statistiche piuttosto semplici ma che non spieghiamo per non tediare il lettore. I risultati dicono che a parità di età e livello di istruzione, al Nord essere dipendente del settore pubblico ha un effetto leggermente negativo sul salario (-2%) (questo dato si riconcilia con quello della tabella considerando che il settore pubblico ha dipendenti più educati e più anziani che il settore privato). Al Sud invece essere dipendenti del settore pubblico aumenta il salario del 22% circa, sempre a parità di età e di istruzione (nota per i secchioni: il coefficiente per il Nord non è statisticamente significativo, quello per il Sud ha uno standard error del 4%).
Limitiamo ora l'analisi alle persone istruite. Purtroppo la numerosità del campione non ci consente di focalizzarci sui laureati. Possiamo però limitarci ai lavoratori che hanno almeno un diploma di istruzione superiore, e calcolare quale sia la rendita da lavoro pubblico per persone con almeno un diploma, quindi la rendita per le persone con un minimo di istruzione. L'effetto rimane sostanziale: -5% al Nord, e +12% al Sud (per i secchioni: standard error del 4% in entrambi i casi). Insomma un differenziale medio del 18% per i diplomati fra Sud e Nord.
Ma il fatto interessante è che lo stesso calcolo, ripetuto con i dati del 1993, fornisce un effetto sostanzialmente nullo sia al Nord che al Sud. In altre parole, le rendite da lavoro pubblico per le persone con almeno un diploma erano praticamente nulle nel 1993, e sono da allora rimaste sostanzialmente nulle al nord, ma sono aumentate al sud.
La seguente tabella spiega il tutto in maggiore dettaglio, per i soliti secchioni. Per gli altri, basti sapere che i numeri, moltiplicati per 100, sono interpretabili come la differenza percentuale di stipendio percepita dai dipendenti pubblici.
Anno | Nord | Sud |
---|---|---|
1993 | -0.03 (0.04) | 0.03 (0.06) |
1995 | -0.08 (0.03) | 0.11 (0.06) |
1998 | -0.06 (0.03) | 0.22 (0.06) |
2000 | -0.11 (0.03) | -0.02 (0.08) |
2002 | -0.04 (0.04) | 0.10 (0.05) |
2004 | 0.04 (0.03) | 0.04 (0.06) |
2006 | -0.05 (0.04) | 0.12 (0.04) |
Lavoratori con almeno diploma di scuola superiore. Coefficienti della variabile "dipendente pubblico" di una regressione log-lineare del reddito da lavoro dipendente su: eta, eta^2, dip. pubblico (deviazione standard fra parentesi) |
Abbiamo usato tutti gli anni in cui, nell'indagine sui redditi familiari della Banca d'Italia, è possibile distinguere i lavoratori delle pubbliche amministrazioni dagli altri lavoratori. Come si può vedere i coefficienti sono un po' ballerini, per cui gli esatti valori quantitativi vanno presi un po' con le pinze, ma il messaggio è inequivocabile. Il coefficiente è sempre positivo al Sud (tranne che per un anno). Al Nord è sempre negativo (tranne che nel 2004) anche se non di molto (tranne che nel 2000, quando è fortemente negativo). La differenza tra i coefficienti è sempre non negativa, e va da un minimo di 0 nel 2004 a un massimo 0.28 nel 1998. Di fronte a questi differenziali, non stupiscono le scelte di tanti aspiranti insegnanti meridionali che accettano le forche caudine dell'insegnamento gratuito nella scuola privata per accedere alla scuola pubblica.
Torniamo ora alla questione originaria: cosa fare per ridurre le rendite da pubblico impiego? La prima e ovvia cosa da fare è, come minimo, far si che per un po' i salari pubblici crescano meno dei salari pagati nel settore privato. Notare che questo si ottiene anche quando i salari nel privato crescono molto, non solo bloccando quelli pubblici. È anche necessario decentrare la contrattazione. Non esiste nessuna buona ragione di equità o di efficienza per cui i salari nominali dei dipendenti pubblici debbano essere determinati in modo uniforme a livello centrale, senza tener conto del costo della vita e delle condizioni del mercato del lavoro locali. Ovviamente però una simile riforma non servirebbe a nulla se non si attuasse al contempo un federalismo serio, in cui gli enti locali diventano responsabili per il reperimento, mediante tassazione, delle risorse con cui i dipendenti pubblici vengono pagati
Una cosa un po' meno ovvia è invece la riorganizzazione del lavoro e della struttura della retribuzione nel settore scolastico. Al di là dei livelli salariali medi esiste la questione dei criteri di assunzione e del legame tra retribuzione e risultati. È un argomento complesso sul quale non siamo esperti, e quindi non ci addentriamo. Osserviamiamo solo, per rispondere in parte all'osservazione di marcospx, che non appare molto plausibile che ci siano forti effetti di selezione avversa legati al livello della retribuzione salariale. Sospettiamo invece che possano esistere effetti negativi di selezione avversa legati più alla struttura della compensazione che al livello. Una retribuzione rigida, indipendente dalla performance e che dipende solo dall'anzianità non tende ad attrarre le persone più dinamiche. Una retribuzione più sensibile ai risultati (cosa complicata da fare perché misurare i risultati non è banale, ma nemmeno impossibile se la si vuol fare sul serio) potrebbe probabilmente aumentare la qualità del corpo docente. Però questo è un tema complesso che lasciamo per riflessione futura.
Aumentare l'utilità che si ottiene nelle occupazioni alternative, è ovviamente assai più difficile. Richiede, puramente e semplicemente, che riparta il processo di crescita nel mezzogiorno. Per ragioni che cercheremo di spiegare più sotto (ma che potete trovare anche in questo articolo di Michele) la crescita può ripartire solo se si eliminano le rendite pubbliche e quindi il ferreo controllo che la casta politica esercita sulla società.
Veniamo ora allo ''sparare su Bambi'', espressione con la quale crediamo si intenda che l'eliminazione delle rendite da impiego pubblico finirebbe per colpire le parti più deboli e bisognose di protezione della società. L'espressione viene introdotta in questo commento di si-culo, che ringraziamo per le utili informazioni che riporta. Concetti simili vengo espressi in un commento di Cipangu. Da quel che ci è dato capire, i commenti non contestano la correttezza dell'analisi, ossia l'esistenza di rendite pubbliche come fonte del fenomeno considerato. Contestano invece la soluzione, ossia l'eliminazione delle rendite. In realtà siamo convinti che posizioni simili siano estremamente diffuse tra tantissime persone decenti e in buona fede. Siamo anche convinti che se non si inizia a capire quali sono le conseguenze nefaste di tali posizioni non c'è alcuna speranza di attivare un processo di crescita del Mezzogiorno, per cui spenderemo un po' di tempo per discuterle.
Cominciamo intanto con lo sbarazzare la piazza da un equivoco. Cipangu ci dice che ''dall'Amerika è facile dimenticarsi un po' come vanno le cose a Caserta'', un'accusa un po' simile a quella che ci mosse la sciura Marcegaglia ai tempi della polemica Alitalia (professori d'oltreoceano che non hanno chiare le cose, o qualcosa del genere). No, non ce lo dimentichiamo affatto. Lo sappiamo che la situazione a Caserta è grave; solo che non è grave per caso. Lo sappiamo che il settore privato offre scarse o nulle opportunità, e quelle poche a basso salario. Lo sappiamo che quando si parla per un giovane laureato casertano di ''miglior possibile alternativa all'impiego pubblico'' si parla quasi sempre di emigrazione. E sappiamo anche che l'emigrazione implica costi psicologici e materiali non trascurabili, possiamo assicurare che questo lo sappiamo molto bene.
Non ci illudiamo che la riduzione delle rendite pubbliche possa avvenire senza imporre costi, anche alti, a tante persone. Ma la domanda che poniamo è: qual è l'alternativa? Quali sono i costi che implica il mantenimento dello status quo?
Crediamo che la parte finale del commento di Cipangu sia un buon punto di partenza per la discussione. Si afferma
Certo nessuno è letteralmente obbligato a fare questa scelta, e se vogliamo ha le sue responsabilità etiche. Potrebbe provare a emigrare per esempio, ma se uno ha poche ambizioni o magari problemi personali il costo è certamente superiore al vantaggio - anche i romeni mica emigrano tutti, scusa. Poi possiamo anche discutere di come mai il mercato del lavoro sia così anemico, e perché ci siano tante persone laureate poco spendibili su questo mercato, ma questa è un'altra storia.
Ecco: non è un'altra storia. Il motivo per cui così tante persone laureate sono poco spendibili nel mercato è che la presenza di rendite da impiego pubblico rende conveniente disegnare il proprio percorso di carriera al fine del perseguimento di tali rendite, piuttosto che per produrre e commercializzare beni e servizi che qualcun altro scelga volontariamente di comprare. Il motivo per cui il mercato del lavoro è così anemico è che una quantità impressionante di energie ed intelligenza nella società meridionale (e anche quella settentrionale, purtroppo, per quanto in misura relativamente inferiore) va nel perseguimento di rendite pubbliche e nel tentativo di appropriarsi di ricchezza creata altrove, piuttosto che alla creazione di ricchezza.
Questa è la questione centrale che vogliamo porre, che tanta gente di buona volontà che si fa incantare dalla sirena della ''solidarietà verso le regioni più povere'' sembra rifiutarsi di capire. L'equilibrio politico-economico che si è venuto a creare nel paese ha riservato una triste sorte al meridione. In tale equilibrio una casta famelica, mediocre e incapace di politicanti meridionali riceve risorse aggiuntive dallo stato centrale, usa tali risorse per creare rendite e distribuisce tali rendite per rinsaldare e perpetuare il consenso che si crea intorno ad essa. Il meccanismo non è certo limitato alla scuola e ha infinite ramificazioni. Il peccato originario è la creazione delle rendite, non il particolare meccanismo con cui vengono distribuite. La vicenda delle scuole private che sfruttano i giovani insegnanti è emblematica. La decisione di far valere i punti acquisiti con l'insegnamento nella scuola privata fu ovviamente una decisione politica, decisione con la quale si permise a una particolare clientela (le scuole private) di azzannare una fetta della torta. Ma veramente si pensa che eliminando questo meccanismo non salterebbe fuori qualcos'altro? Per esempio corsi di dottorato fantasma che permetterebbero ad astuti e ben immanicati baroni universitari di azzannare a loro volta una fetta della torta? O qualche altra furbata? Ovunque esistono rendite da appropriare ci sarà gente che si ingegna per ottenerle e politici che si ingegnano a distribuirle. Come abbiamo detto, il peccato originario è la creazione di rendite e la loro ripartizione per criteri politici. L'unica soluzione seria è l'eliminazione di tali rendite.
Chi finisce per pagare l'eliminazione delle rendite? Veramente questo significherebbe ''sparare su Bambi''? Abbiamo i nostri dubbi. Anche qui, la vicenda della scuola è emblematica. Si, certo, può sembrare un buon affare per il quindicenne casertano di classe media che si creino posti ben pagati da insegnante nel settore pubblico. Questo, si pensa, gli darà qualche possibilità in più, gli permetterà di evitare l'emigrazione. E qualche briciola alla fine dovrà toccare pure a lui in effetti, altrimenti se ne andrebbe e non parteciperebbe al giochino. Ma di briciole si tratta. Il grosso della torta va altrove. Va agli astuti presidi delle scuole private che hanno trovato il modo di ottenere lavoro semigratuito. Va ai politici che hanno facilitato questo sistema e che, manco a dirlo, si fregeranno del titolo di difensori della scuola, sia privata sia pubblica. Non sono forse tali politici, immancabilmente, in favore dell'aumento dei salari degli insegnanti? Per avere un'idea di quale sia la dimensione del problema, date un'occhiata alla seguente figura tratta dall'indagine sui bilanci familiari della Banca d'Italia
Sono numeri impressionanti. Al Nord il 72,3% dei giovani tra 20 e 30 anni percepisce un reddito, mentre al Sud tale percentuale è del 38,8%, poco più della metà. Questo è quello che il sistema di creazione delle rendite pubbliche è riuscito a creare per i giovani meridionali. Questi sono i risultati della scellerata politica attuale, in cui ''aiuto al Sud'' è sinonimo di creazione di rendite pubbliche che poi, come tutti i beni razionati, vengono ottenute mediante una lunga ed estenuante attesa. Veramente pensiamo che si possa continuare così? Veramente pensiamo che questo sia bene per la società meridionale? È sicuramente bene per la casta che la controlla, ma per gli altri?
Andiamo un passo più in là, proviamo a pensare ad altri percettori di rendite, magari al Nord.
Pensiamo al giovane padre di famiglia che fa il tassista a Milano, e che si è appena comprato per decine di migliaia di euro una licenza. Si tratta di persona decente e normale, gente tranquilla che lavora. Ha speso tutti questi soldi per comprare la licenza nella legittima aspettativa che servisse ad assicurare alla sua famiglia un avvenire dignitoso. È giusto liberalizzare ed eliminare le licenze? È giusto sparare su Bambi?
Pensiamo alla ragazza figlia di negozianti, che non è andata a scuola perché doveva aiutare i genitori, nella legittima aspettativa di ereditare il negozio per lavorarci e vivere dignitosamente. Immaginiamo che ora un supermercato voglia aprire in una zona vicina, o voglia stare aperto la domenica fregandole i clienti. È giusto permetterlo? È giusto sparare su Bambi?
Si possono fare infiniti esempi di questo tipo. Il tassista, la negoziante, non sembrano meno bisognosi o meritevoli di protezione del ragazzo casertano di classe media che non ha voglia di emigrare. A loro volta tutti questi casi non ci sembrano, in tutta onestà, i più gravi. L'Italia è un paese in cui vaste fette della popolazione non godono di alcun ammortizzatore sociale in caso di disoccupazione. Se si vuole essere solidali bisogna esserlo sul serio. Primo, chiedendosi chi riceve aiuto dall'intervento pubblico, e se è vero che chi lo riceve è veramente il più bisognoso. Secondo, chiedendosi se le forme di aiuto che si adottano sono veramente le più efficaci per promuovere lo sviluppo economico e per far si che le situazioni di sofferenza spariscano.
A costo di apparire dei sanguinari la nostra risposta è si, bisogna sparare su Bambi o almeno provarci. Ossia, bisogna far entrare nel discorso politico generale l'idea che la soluzione ai problemi economici del paese passa per l'eliminazione delle rendite, non per la loro difesa e perpetuazione. Poi certo, in un mondo perfetto occorrerebbe predisporre ammortizzatori sociali, aiutare le persone le cui legittime aspettative sono state disattese e così via. Siamo a favore, ci mancherebbe. Ma c'è una differenza cruciale tra una politica che elimina le rendite, magari compensando parzialmente quelli che vengono colpiti, e una politica che tende a perpetuarle. La prima favorisce lo sviluppo e la mobilità sociale, la seconda uccide entrambi, oltre che la speranza.
devo dire che l'articolo teorico di sandro mi aveva molto convinto, pero' guardando i numeri sono un po' perplesso. Guardando la tavola della regressione, dei 7 anni che avete calcolato, al sud, in 3 c'e' un effetto positivo , sicuramente (per gli standard di tutti) statisticamente significativo (1998,2002,2006), in 3 l'effetto e' indistinguibile da zero (1993,2000,2004) e nel 1995 boh (com'e' 1.83?). Anche includendo quest'ultimo, siamo 4 a 3. Con questi numeri, forse buona parte della rendita (se c'e') deriva dalla stabilita' del posto, piu' che dal salario. O sto mancando qualcosa?
Parte della variabilità è probabilmente dovuta alle date del rinnovo dei contratti.
Capisco la tua titubanza, io però guarderei un po' meno agli standard errors e un po' più alla dinamica e alle differenze. Se togli il 2004, che mi sembra oggettivamente un anno anomalo, mi pare che si possa affermare che le differenze dei coefficienti fra nord e sud sono sempre notevoli, ad eccezione del 1993.
Nel 2004 i coefficienti nella tabella sono entrambi pari a 0.04 solo grazie ad approssimazione, ma, guarda caso, il coefficiente è pari a 0.036 al Nord e 0.043 al Sud. In quell'anno la differenza grossa riguarda i diplomati della scuola media o inferiore (coefficienti rispettivamente pari a 0.01 (0.05) e 0.38 (0.07)).