Spiace perciò notare come in altri siti venga offerto spazio alla disinformazione di chi (Milena Petrocelli, insegnante a Lodi) pretende corporativisticamente di operare esentata da ogni possibilità di valutazione esterna. La risposta data da Ricci e Sestito dell'Invalsi in quel sito è troppo rispettosa. Alla loro risposta vorrei aggiungere un paio di riflessioni.
La professoressa si lamenta della concomitanza di UNO dei test invalsi (quello di terza media) con gli esami di stato. Per la prima volta, i professori si troverebbero a valutare assieme ("in un contesto interdisciplinare") i loro alunni. Questo sarebbe già abbastanza difficile (ce l'immaginiamo il professore di italiano litigare con quello di matematica!), perché dunque aumentare la complessità aggiungendoci il test Invalsi?
Chi opera nella scuola sa che il momento dell’esame di Stato pone delle complessità e delle contrarietà tra docenti che sono spesso molto difficili da governare; vediamo i ragazzi, forse per la prima volta nel triennio, in un contesto interdisciplinare; non è semplice l’obbiettività [...] Dunque, perché in un contesto già sensibile e complesso porre un’ulteriore difficoltà?
La verità, come spiegato da Ricci e Sestito, è che il test Invalsi conta per una quota del voto complessivo, quindi la presunta complessità derivante dall'interdisciplinarietà della valutazione non ne sarebbe aumentata, a meno che la professoressa non abbia difficoltà a calcolare una media ponderata con un elemento aggiuntivo. Andrebbe aggiunto che è quantomeno opportuno che in un esame di stato (portatore del tanto vituperato valore legale) almeno una delle componenti della valutazione sia standardizzata a livello nazionale, e non soggetta alle idiosincrasie dei docenti locali (in un paese in cui le disparità regionali nei risultati dei test PISA si ritrovano, in senso inverso, nei risultati dell'esame di maturità).
Continua la professoressa:
Che poi la valutazione finale debba comprendere anche il risultato della prova Invalsi è quanto meno sorprendente. L’esame non è un momento banale, come sappiamo tutti, è un momento conclusivo del ciclo d’istruzione dei ragazzi, ma anche un momento conclusivo di un progetto educativo e formativo che vede i docenti co-protagonisti dell’azione educativa. Perché inserire una prova così distante dalla nostra pratica quotidiana? Noi non lavoriamo così, non mettiamo la sola intelligenza logica al centro della nostra pratica educativa
Basterebbe, qui, osservare che la prova Invalsi concorre, assieme alle prove tradizionali, al voto finale. Ma non si renderebbe giustizia alla prova. Non sono un esperto pedagogista, ma io come genitore non avrei nulla in contrario all'idea che mia figlia venisse preparata per rispondere alle domande poste dall'Invalsi, anzi, direi che lo trovo il requisito minimo di una educazione efficace. Al contrario, certe prove vicine "alla nostra pratica quotidiana", come il tema d'italiano, costituiscono un esercizio nella produzione di una forma letteraria che esiste solo... per svolgere gli esami.
Sembra che la professoressa non abbia nemmeno dato un'occhiata veloce ai quesiti oggetto della prova Invalsi. Dia, per esempio, una scorsa ai quadri di riferimento di Italiano e Matematica pubblicati sul sito dell'Invalsi, che contengono anche degli esempi di domande. Le domande chiedono di saper comprendere semplici grafici, compiere operazioni elementari, capire il significato di un testo. Si tratta di quesiti che servono a testare competenze di base e capacità di comprensione della lettura che tutti gli alunni dovrebbero possedere? Chiunque spenda anche solo pochi minuti per dare una scorsa a queste domande si renderà conto che non è possibile "insegnare a passare il test" senza fornire delle compentenze utili e necessarie per qualsiasi tipo di materia e abilità.
E ancora:
E allora perché istituire in modo così preponderante l’esame come momento finalizzato esclusivamente alla misurazione dell’intelligenza logica? L’esame non è pluridisciplinare? E quindi perché deve fare “media” la valutazione della prova Invalsi? Fermo restando il valore che diamo a questa misurazione, si intende. È giusto e auspicabile che si omogeneizzino il più possibile le competenze dei ragazzi italiani, ma ci domandiamo perché? Qual è la finalità di questa indagine? Dove ci vuole portare?
Certamente le competenze oggetto del test Invalsi non possono essere gli unici obiettivi di un progetto educativo efficace: sappiamo molto dell'importanza della capacità critica, del ragionamento, della socialità e delle abilità non cognitive. Da genitore, ho seri dubbi sulla capacità delle prove d'esame tradizionali di saper testare queste abilità, mentre sono abbastanza sicuro che questi tipi di abilità, in buona misura, richiedono le capacità di lettura e di analisi di base che sono oggetto dei test Invalsi (ancora, per chi avesse qualche dubbio, si consultino gli esempi delle domande linkati sopra).
L'articolo giustifica i pregiudizi corporativi di chi pretende di essere esente da ogni possibilità di valutazione esterna disinformando sull'effettiva natura e ruolo dell'esame Invalsi, che può e deve essere una componente essenziale della valutazione ad ogni grado di istruzione. Davvero solo gli insegnanti possono valutare i risultati del proprio lavoro? Per quanto difficile e complessa sia la formazione di bambini e adolescenti io credo che esistano alcune competenze di base che debbono essere testate in modo standardizzato anche per valutare l'operato di scuole ed insegnanti. Da quanto ho potuto imparare alle giornate nfa, esistono sufficienti competenze e sensibilità ai vertici dell'Invalsi perché tali valutazioni possano essere lette con cautela, soprattutto in questa fase tutto sommato ancora sperimentale della vita dell'istituto. Prima o poi però anche la classe docente deve rendersi conto che strumenti di valutazione standardizzata possono essere utili non solo a se stessi come feedback indipendente nella valutazione degli alunni, ma sono indispensabili ai dirigenti scolastici, ai genitori e all'opinione pubblica, perlomeno per evidenziare (ed intervenire su) alcuni casi limite di carenze nell'insegnamento. Ai docenti, invece, il compito di spiegare, in dialogo con l'Invalsi e l'opinione pubblica, come migliorare questi test, per renderli più informativi ed efficaci.
L'istituto dell'INVALSI è un primo passo per il miglioramento delle prestazioni della Scuola Italiana (Pubblica e Privata). Al solito, se misuro delle prestazioni o servizi (di qualunque tipo: kWh, m3/h di metano, kg di mele) è perchè poi faccio una successiva azione: emettere uno scontrino oppure mettere mano al processo che genera il servizio per migliorarlo secondo criteri stabili prima ( e non dopo) la misurazione. Nel caso Scuola, la prestazione da misurare ritengo che sia la conoscenza degli studenti e quanto è efficace la scuola. Purtroppo (per la misurazione) stiamo parlando di soggetti "vivi", non statici (un kg di mele è sempre un kg di mele). I soggetti dellal misurazione sono bambini , ragazzi, giovani adulti che all'inizio dell'anno devono essere misurati nelle loro abilità e poi nuovamnte a fine percorso. In mezzo ci sta l'apprendimento con insegnanti (altro stakeholder del modello). Indirettamente, misurando gli studenti, si misura l'insegnante, quanto è efficace. Questo magari disturba, ma oltre alla "qualità del legno" (l'alunno) conta anche quanto l'artigiano (l'insegnante) riesce a plasmare, motivare (e ogni altra cosa che dovrebbe fare un insegnante) lo studente. Si potrebbe aprire un lungo capitolo su cosa si richiede a un insegnante, quali benchmark (indicatori) caratterizzano un buon insegnate da uno meno buono, ma andiamo OT. Restiamo sulla misurazione e sui controlli che si mettono in campo dopo per governare il sistema scuola e indirizzarlo dove si è programmato di andare. Diciamo che dovremmo prima decidere l'ideal-tipo di Scuola che vogliamo, poi analizzare la situazione attuale (con INVALSI) e poi mettere in campo le risorse (soldi e programmi) e in un arco temporale definito arrivarci. Prevedere milestones intermedie per correggere la rotta, ove necessario. Tutto questo processo leva dal campo la demagogia, il populismo, le storture ideologiche. Il problema secondo me, è che dopo INVALSI il MInistero piu' misero della storia italica non ha soldi per fare "azioni correttive". Si limita a misurare. A questo punto, INVALSI diventa uno spreco di soldi. E' come decidere di voler attraversare la strada e fermarsi a metà. Spreco di tempo e soldi. Potevi restare ignorante dall'altra parte della strada. Se si decide di misurare, lo studente, di mettere in campo le risorse, allora si arriva come conseguanza a misurare il corpo docente e i monagers che gestiscono 10 siti scolastici a 5000 euro al mese. Mi domando quanto un dirigente scolastico riesca a incidere su dieci siti, 4 ore a sito alla settimana (negligible). Misurando i professori finalmente , forse, certi professori cambieranno approccio con gli studenti (alcuni sono veramente non piu' adatti a insegnare, meglio metterli in una biblioteca pubblica per un paio di anni e vedere se non rinsaviscono). A proposito , i professori non hanno i buoni pasto da 14 euro (come si sente in giro raccontare da qualche inpiegato della PA). Insegnare è un mestiere complicato. Le elementari italiche, secondo PISA, pare che fossero a un buon livello. Ora non so. Il modello era quello dei moduli, dove si dava la possibilità ad alunni dai 6 ai 10 anni di recuperare (e piu' di uno recuperava). Oggi, non so. Qualcuno, forse molti, restano indietro e classi da 28 alunni non aiutano di certo nel compito di insegnare.